SANTA MESSA TRADIZIONALE
Roma 24 maggio 2003
Basilica di S. Maria Maggiore
RASSEGNA STAMPA
Articoli e segnalazioni prima della celebrazione
24 maggio 2003 - Il Giornale
Tradizionalisti, una Messa di riconciliazione
Di Andrea Tornielli
La Messa secondo l’antico rito di san Pio V che questo pomeriggio il
cardinale Dario Castrillon Hoyos celebrerà a Roma, nella basilica
di Santa Maria Maggiore, potrebbe segnare la fine di un’epoca: quella dell’ostracismo
verso i tradizionalisti nostalgici della vecchia liturgia in vigore fino
al Concilio Vaticano II. Per la prima volta un porporato della Curia romana
ancora in carica e a capo di un importante dicastero, la Congregazione
per il clero, celebra in una basilica seguendo il messale tridentino.
Per l’occasione i tradizionalisti italiani si sono dati appuntamento
nella capitale e molti verranno anche dall’estero. E’ un popolo di dimensioni
ridotte, molto variegato, che si sente perennemente “assediato”. Un popolo
che in questi anni si è battuto con forza e con troppe intemperanze
verbali per far sì che l’indulto concesso da Giovanni Paolo II nel
1988 fosse applicato, e i vescovi diocesani venissero incontro ai desideri
di chi vuole continuare a seguire la Messa preconciliare. La decisione
di Wojtyla fu presa proprio per scoraggiare la fuga di quei pochi fedeli
verso la Fraternità San Pio X, fondata da monsignor Lefebvre, il
vescovo ribelle che non volle accettare le riforme conciliari.
La cerimonia odierna, celebrata da un cardinale non sospettabile di
simpatie destrorse e pienamente conciliare, rappresenta dunque un segnale.
Ed è un invito, con l’azione prima ancora che con le parole, ai
vescovi perché tengano conto delle istanze anche di questi loro
fedeli “sui generis”, e siano più generosi nei loro confronti, proprio
come ha chiesto e continua a chiedere Giovanni Paolo II.
Ma la messa tridentina di Santa Maria Maggiore rappresenta anche un
segnale lanciato più lontano, alla compagine lefebvriana, che in
questo momento appare divisa al suo interno e titubante di fronte alle
offerte che arrivano dalla Santa Sede. Papa Wojtyla vorrebbe chiudere la
ferita aperta dallo scisma di Lefebvre ed è pronto ad offrire molto
perché questi cristiani dell’ancién regime tornino alla piena
comunione con la sede di Pietro, concedendo loro una prelatura o un vicariato
e garantendo una giusta autonomia oltre che l’uso perpetuo del vecchio
messale. Certo, tutto questo probabilmente si sarebbe potuto evitare. Se
nella Chiesa post-conciliare la liturgia non fosse troppo spesso degenerata
in show (l’espressione è forte ma condivisa da personaggi del calibro
di Joseph Ratzinger), se nelle parrocchie non si vedessero Messe con i
burattini, celebrazioni stravolte dove i parroci in barba alle norme
e al rispetto dovuto ai fedeli modificano, cambiano, tolgono letture,
aggiungono siparietti e si lanciano in balletti. Forse, se la riforma liturgica
fosse stata applicata bene e i vescovi avessero vigilato e vigilassero,
il “problema” dei tradizionalisti non si sarebbe posto.
Balza agli occhi una coincidenza: proprio oggi, sempre a Roma, una
delegazione di ortodossi bulgari inaugurerà l’uso liturgico della
seicentesca chiesa cattolica dei Santi Vincenzo e Anastasio, che si affaccia
sulla Fontana di Trevi. Il Papa aveva deciso di concederla al Patriarca
bulgaro Maxim un anno fa, alla vigilia della sua partenza per il suo viaggio
a Sofia. E’ un bel gesto, un gesto di amicizia e di condivisione, nella
prospettiva ecumenica che tanto sta a cuore a Giovanni Paolo II. Non sarebbe
una cattiva idea se qualche vescovo, imitandolo, tenesse un atteggiamento
ugualmente ecumenico anche verso i tradizionalisti e i lefebvriani. Che
per quanto riguarda la fede professata sono certamente più vicini
dei “fratelli separati” ortodossi.
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