SANTA MESSA TRADIZIONALE

Roma 24 maggio 2003

Basilica di S. Maria Maggiore
 

RASSEGNA STAMPA
 

Articoli e segnalazioni dopo la celebrazione

giugno 2003 - Jesus
Editoriale

(L'articolo non si occupa direttamente della S. Messa del 24 maggio, ma è, comunque, 
una chiara espozione del punto di vista di coloro che, all'interno della Chiesa, si preoccupano di tutto
tranne che del culto da rendere a Dio)

Tranquilli perché inquieti

di Vincenzo Marras

La convocazione di un grande summit di leader religiosi e la celebrazione della Messa in latino secondo il rito tradizionale nella basilica di Santa Maria Maggiore. Un progetto, forse un sogno, il primo; la cronaca di un fatto limitato ? ancorché enfatizzato nel significato ? il secondo. Da punti di vista opposti ci invitano a fissare qualche riflessione sulle diverse visioni di Chiesa che si incontrano e talvolta scontrano nell’opinione pubblica della comunità ecclesiale. E tutte ? così ci sembra ? rimandano all’interpretazione dell’avvenimento epocale che ha segnato il cammino della Chiesa nel XX secolo: il Concilio Vaticano II. Ancora oggi la lettura di quella che è stata definita dal teologo domenicano Marie-Dominique Chenu "una rivoluzione copernicana nella Chiesa" continua a offrirsi a interpretazioni diverse. Da quelle più conservatrici ("È tutta colpa del Concilio": la rovina della Chiesa, il secolarismo, l’indifferenza, la frammentazione dei cattolici, lo svuotamento delle chiese...); a quelle più corrosive di intellettuali non credenti o anticlericali (molti dei quali preferivano la Chiesa, tutta avvolta nel mistero e nella solennità del rito lontano dalle masse, nemica della modernità, della storia, della cultura contemporanea). Poi ci sono le interpretazioni "moderate", interne alla comunità ecclesiali: lo Spirito ha soffiato, ma si è dovuto un po’ correre ai ripari... A questa si contrappone la lettura degli insoddisfatti, dei nostalgici della "rivoluzione tradita". C’è poi quella che storicizza la scrittura testuale del Concilio negli anni dell’ottimismo, della cultura dello sviluppo illimitato e della speranza nel progresso inarrestabile dell’umanità nella giustizia e nella pace, cogliendone perciò il limite e riconoscendone tuttavia la portata storica. Infine c’è la lettura di coloro che credono che il Concilio sia un evento, un soffio ? non concluso e non compiuto ?, che va ancora incarnato, realizzato, nella Chiesa: una traccia permanente e incancellabile sulla quale costruire il futuro e, chissà, le strade per un nuovo Concilio. Con pazienza, tenacia, comprensione per i ritardi degli uomini e delle istituzioni che inevitabilmente ne riflettono le debolezze, gli umori, le lentezze e, di pari passo, le speranze.

Certo, immaginarsi cristiani del nuovo millennio senza costituzioni conciliari come la Sacrosanctum Concilium, la Lumen gentium, la Dei Verbum, la Gaudium et spes o la dichiarazione sulla libertà religiosa, senza la rivoluzione che è avvenuta nella liturgia, nelle missioni, nell’ecumenismo, senza la consapevolezza della dignità e del sacerdozio laicale del popolo di Dio, sarebbe, anzi è, assolutamente impossibile. Il Concilio ha accettato la sfida del dialogo con il mondo moderno e le culture contemporanee. Ha inaugurato un sentiero di passaggio dalla "fede d’obbligo" alla "fede di convinzione". È il ritorno al primato del Vangelo. Un ritorno ancora da compiere, un cammino in campo aperto, con tutte le perdite numeriche ma anche le conquiste e le gioie dell’autenticità delle vocazioni laicali e religiose. È lo spirito dell’avventura cristiana, del pellegrino, lo spirito della Gaudium et spes, che significa gioia e speranza, non pietà e rassegnazione. È quanto ci suggeriva nel suo Journal lo scrittore cattolico Julien Green: " Finché si è inquieti, si può stare tranquilli". Ci mette in animo una sana impazienza contro il torpore, l’inerzia distratta, il vociare vano e vacuo. Perché lo "scandalo della fede" ritrovi accenti profetici e contribuisca alla comune ricerca dei valori del terzo millennio.
 
 

(su)


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