ENRICO MARIA RADAELLI, Il mistero della sinagoga bendata
(nuova edizione)
Se si pone mente al fatto che l’ideologia “pacifista” è diventata
una delle colonne portanti dell’azione pastorale della Chiesa, a partire
dal Concilio Vaticano II, si può guardare al libro di ENRICO MARIA
RADAELLI, IL MISTERO DELLA SINAGOGA BENDATA, come ad una di quelle
sopravvenienze quasi provvidenziali che spesso intervengono per contribuire
al necessario raddrizzamento a fronte di un andazzo incontrollato e sovvertitore.
Dopo aver pubblicato la prima edizione di questo testo (si
veda la nostra segnalazione dell’aprile 2002), Radaelli ha ritenuto
opportuno ampliarne il contenuto, proponendo una nuova edizione del tutto
rivista e corredata di importanti “appendici”.
Il volume, di ben 438 pagine, si articola nello svolgimento dei quattro
temi centrali già presentati nella prima edizione:
Continuità e discontinuità tra Mosè, Gesú
e il Sinedrio;
Monoteismo e trinitarietà;
Se la religione ebraica oggi sussista;
Se la dottrina della sostituzione della Sinagoga con la Chiesa possa
essere sostituita.
Questa ultima edizione del libro trova la sua prima giustificazione
in quella che è ormai divenuta, anche all’interno della Chiesa,
la “questione ecumenica”, fattore portante della pastorale conciliare e
postconciliare, nonché dell’impegno personale di Giovanni Paolo
II.
Si usa dire che, sulla base delle condizioni oggettive in cui si trova
il mondo moderno, non è possibile prescindere dall’ecumenismo
(intercristiano e interreligioso): l’incontro e la collaborazione tra le
diverse religioni sarebbe essenziale per contrastare i piú
gravi problemi che affliggono i popoli del pianeta: la guerra, la fame,
l’ingiustizia, l’angoscia esistenziale, l’oppressione, il fanatismo, ecc.
In qualche modo si è giunti al convincimento che questi problemi
richiedano un impegno primario, tale da poter perfino sacrificare la stessa
predicazione del Vangelo, che, secondo un certo strano e stolto modo di
vedere, non potrebbe neanche darsi senza una risposta adeguata ai detti
problemi.
In sostanza, per cercare di porre rimedio alle storture tipiche di
un mondo che sempre piú si è allontanato dagli insegnamenti
divini, non si fa altro che ridurre la portata di questi insegnamenti,
affidandosi ad un immaginario potere taumaturgo dei fattori minimi che
sono presenti in tutte le filosofie diffuse nel mondo. Una sorta di buona
volontà umana che dovrebbe avere una efficacia maggiore degli insegnamenti
divini.
È in questa ottica che va collocato il lavoro di Radaelli.
La sua principale preoccupazione è di richiamare il valore imprescindibile
della Verità, senza la quale non è possibile alcuna condivisione
e quindi alcun ecumenismo. In modo specifico, l’Autore si propone di chiarire
qual è il senso vero dei rapporti che possono intercorrere tra le
tre religioni monoteiste. Il fatto che cattolicesimo, ebraismo e islamismo
si richiamino ad un Dio unico, il Dio di Abramo, è sufficiente a
giustificare un loro avvicinamento, non solo pragmatico, ma anche dottrinale?
Radaelli cerca di dimostrare che senza la condivisione dei valori fondamentali,
si può solo giungere a dei compromessi tra la Verità e l’errore,
e quindi all’inevitabile disconoscimento della Verità: il che può
solo significare confusione, disordine e morte.
Può parlarsi di continuità tra Abramo, Mosè
e Gesú?
Radaelli mostra, nel primo capitolo, come la lettura del Vecchio
Testamento, una corretta lettura “spirituale” come dice San Tommaso (p.
20), porti incontestabilmente all’annuncio del Messia che è il Cristo.
Cosí che la religione di Abramo è la religione di Cristo,
e il Dio di Abramo e il Dio di Gesú: è Gesú stesso,
l’Unto del Signore, il Cristo di Dio.
"Non è il Cristo che è fuori dall’Alleanza e dalla
figliolanza di Dio … ma Israele se ne recide e se ne allontana: si recide
per vanagloria dalla radice soprannaturale che lo teneva unito a Dio …"
(p. 21).
"Non riuscendo i giudei, per peccato d’orgoglio, a vedere nelle
Scritture l’umile uomo-Dio Gesù Cristo, quello stesso peccato li
fa traguardare a dismisura, in se stessi, nient’altro che se stessi, cadendo
così, come profetato, in un peccato ancora più grande di
quello dell’orgoglio: il peccato di idolatria, anzi: di autoidolatria."
(p. 23).
"Una minoranza di purissimi ebrei, invece, cioè prima poche
centinaia, poi tremila, poi cinquemila, poi ancora migliaia e migliaia,
dispone l’intelletto all’accoglimento della parola delle Scritture aperta
da Gesù e se ne lascia penetrare con semplicità d’animo."
(p. 27)
Da quest’ultima citazione si coglie uno degli aspetti piú interessanti
e meno esaminato della questione ebraica. In genere si tratta il problema
come se da un lato ci fosse il giudaismo e dall’altro il cristianesimo,
qualcosa di estraneo e sopraggiunto che si porrebbe in contrasto col primo.
In realtà non v’è alcuna discontinuità tra giudaismo
e cristianesimo: dopo la venuta e la predicazione del Signore, entrambe
attuate in seno all’àmbito giudaico, il giudaismo si converte in
cristianesimo, nella piena continuità tra Abramo, Mosè e
Gesú. Quello che accade è che una parte del popolo giudaico
rifiuta questa conversione, rifiuta cioè questa continuità,
limitandosi ad osservare quanto era sopravvissuto della regola mosaica,
ormai ridotta a puro letteralismo, rinnovato e corretto proprio dalla Incarnazione
del Verbo. Questo processo di conversione del popolo ebraico si sviluppa
poi nel corso della predicazione degli Apostoli, effettuata principalmente
nelle sinagoghe distribuite in tutta l’area greco-romana, Roma compresa.
È questo il dato di partenza, da considerare al di là della
sua consistenza numerica, dato che conferma come il giudaismo fosse destinato
a rinnovarsi totalmente sulla base degli insegnamenti di Cristo. Tale che
il cristianesimo è l’unico legittimo continuatore della tradizione
abramica, mentre il perdurante giudaismo ne è una deviazione, come
sarà, sei secoli dopo, per l’islam.
Questo aspetto del problema viene sviluppato dall’Autore nel terzo
capitolo, ove si può leggere: "Credono, i giudei di oggi,
a ciò che credettero gli ebrei di ieri? In proposito, alla venuta
di Cristo si sono stabilite due grandi correnti interpretative dell’Antico
testamento: la corrente giudaica dell’attuale Sinagoga di farisei, principi
e sacerdoti, la quale nega nelle Profezie ogni simbolica trinitaria e cristica;
e la corrente ebraica costituita dagli Apostoli, che pone le sue più
ferme indicazioni nelle esegesi che dei sacri Versetti ha fatto, primo
fra tutti, quello che si potrebbe dire l’Ebreo per antonomasia: Cristo
stesso." (p. 132).
"La sentenza del Sinedrio stabilisce come lama affilata i termini
della scelta, tutti coloro che credono in un Dio che si immola per indicare
all’uomo la strada stretta della salvezza, tutti questi formano nei secoli
il popolo dei discendenti di Abramo: la Chiesa. Essi non sono imparentati
spiritualmente con altri se non con Dio, di cui sono infatti gli unici
figli adottivi. … È bene spazzare via secolari malintesi. Per esempio
che ci sia una religione ebraica fondata da Abramo - o da Mosè
- e un’altra religione fondata da Gesù di Nazareth: due Alleanze,
una temporanea, l’altra definitiva, non sono infatti due religioni…"
(p. 165).
Da questi concetti, secondo i quali il giudaismo trova il suo completamento
e la sua continuità solo nel cristianesimo, discende quella che
la Chiesa ha sempre chiamata la “dottrina della sostituzione”, che l’Autore
affronta nel quarto capitolo del libro. Tale dottrina è implicita
nello svolgimento del terzo capitolo, così che nel quarto l’Autore
semplicemente la approfondisce, rifacendosi principalmente agli sviluppi
odierni di tale dottrina, i quali, basati sulla primaria esigenza neoconciliare
di un ecumenismo a tutti i costi, costituiscono una vera e propria negazione
di questa stessa dottrina. In tali sviluppi moderni, ciò che colpisce,
in primo luogo, è la pretesa di rileggere i Padri della Chiesa alla
luce del procedere della storia, come se i loro insegnamenti riguardassero
le mutevoli vicende umane piuttosto che gli stessi insegnamenti divini.
"“Soprattutto gli scritti di Paolo - continua padre Ardusso - hanno
potuto beneficiare delle recenti ricerche ed acquisizioni. Con molta attenzione
i revisori hanno eliminato ciò che poteva essere interpretato come
una ‘teologia della sostituzione’ da parte della Chiesa nei confronti del
popolo d’Israele, quasi che non fosse più il popolo eletto”. Eccoci
al vertice del problema che tanto angustia i nuovi esegeti e i loro mandanti
novatori, ovvero i periti ricercatori di novità e di invenzioni
e le autorità ecclesiastiche più alte. … Se un testo è
capace di essere interpretato in modo che ne discenda una certa dottrina,
e viene invece corretto, anche solo in nota e/o nei titoli dei paragrafi,
in modo che questa dottrina non ne possa più discendere, quel testo
è stravolto, quel testo è falsificato, quel testo è
un altro testo" (pp. 246-247).
"Il dogma da confermare invece è questo: che la Chiesa sostituisce
nella via dello spirito un popolo che a quella via divina ha preferito
quella carnale, a un re virtuoso nel soffocamento del proprio Io ha preferito
Cesare, cioè un re con un Io che lo fece padrone di tutta la Terra.
È così che anche San Tommaso illustra la dottrina, tanto
da affermare, in lezioni oggi facilmente dimenticate, che i seguaci di
Cristo possono ben dirsi più ebrei degli stessi ebrei, come visto
(Cfr. In evangelium Ioannis expositio, cap. XIX, lectio III) … Se la Chiesa
non fosse aderente con tutto il suo essere alla Dottrina della sostituzione,
dovrebbe di conseguenza accettare una fede parallela alla propria in un
altro Messia ancora da venire.” (pp. 254-255).
Vi è un altro aspetto della questione che tocca il cuore del
“problema ecumenico”, e che l’Autore esamina ed approfondisce, ed è
l’aspetto della concordanza tra i diversi “credi” del monoteismo ebraico,
di quello islamico e di quello cristiano. In realtà, come abbiamo
detto prima, se di concordanza si volesse parlare occorrerebbe constatare
che tale concordanza è fondata sui principi, ma questo non corrisponde
alla realtà, poiché, come dimostra l’Autore nel secondo
capitolo (Monoteismo e trinitarietà), vi è una profonda
e sostanziale differenza tra il Dio unico, come lo credono gli ebrei e
i musulmani, e il Dio Unitrino, come lo credono i cristiani. Differenza
che non tocca solo aspetti collaterali della questione, ma si pone al centro
della questione stessa, poiché il credo monoteista ebraico e musulmano
esclude ogni possibile accettazione dell’Incarnazione, della Passione,
della morte e della Resurrezione del Figlio di Dio, di Gesú Cristo,
che è invece l’elemento portante e assolutamente ineludibile del
credo cristiano, appunto. Il Dio dei due monoteismi, ebraico e musulmano,
non è, sotto ogni aspetto, il Dio Unitrino rivelato dal Signore
Gesú, cosí che a nessun titolo di potrebbe parlare di qualsivoglia
“concordanza” tra le “tre religioni monoteiste”. E il problema diventa
ancora piú complesso e sempre piú carico di implicazioni
negative, allorché si pensi che la riduzione del cristianesimo al
monoteismo “comune” alle tre religioni, implica necessariamente l’abolizione
del Cristo e della Chiesa.
L’Autore si muove in questa direzione, sviluppando un ragionamento
che parte dalla confutazione delle dichiarazioni delle massime autorità
della Chiesa attuale, per giungere, sulla scorta dei Padri e dei Dottori
della Chiesa, alla evidenza che la Rivelazione, da Abramo a Gesú,
presuppone, implica ed esplicita l’elemento primario della Trinità
del Dio rivelato: Padre, Figlio e Spirito Santo.
"Dire che cristianesimo, giudaismo e islamismo esprimono “un identico
monoteismo” in “tre espressioni” è eguagliare l’ineguagliabile o
innalzandone due o abbassandone una. … Inoltre, prima ancora, in quanto
cristiani dobbiamo tener presente, ragionando su Dio, che la nostra fede
differisce dalle altre non solo quando professiamo di credere in Dio in
quanto trinitario, ma anche quando semplicemente professiamo la fede in
Dio come unico Dio. … San Tommaso d’Aquino … precisa: “l’incredulo manca
della vera conoscenza di Dio, e con una conoscenza falsa a lui non si avvicina,
ma si allontana maggiormente”. Cosa questa che si può constatare
facilmente sia per i giudei che per i maomettani." (p. 78).
"Il divino conversare della Trasfigurazione sta a dire che, come
sottolinea San Tommaso, i conduttori dell’Antica Alleanza conobbero in
velis la Trinità, conoscendo e credendo il Figlio, in qualche modo
comunque questi credettero." (p. 71).
"Credere la fede maomettana o giudaica è non credere al sangue
di Cristo, è non prendere parte all’atto supremo della sua transustanziazione
per cui noi diveniamo … di lui partecipanti. Questa partecipazione, però,
non è da ritenersi come atto successivo alla fede, come sua conseguenza;
le è invece proprio, come dice il Cristo: “Chi crede in me ha la
vita eterna”." (p. 85).
"Non è possibile fare a meno del Cristo, poiché senza
di lui niente è stato fatto di tutto ciò che è stato
fatto, materiale e spirituale, della realtà terrena e della realtà
religiosa. Non solo quindi non ci sono altri monoteismi che non siano quello
trinitario del Dio rivelato da Cristo, ma non ci sono altre religioni,
altre fedi, che facciano scendere il Cielo soprannaturale nei nostri cuori,
se non quella da Cristo rivelata." (p. 116).
La rilevanza che ha il testo ai fini di una corretta comprensione della
“questione ecumenica”, è messa in risalto nella Introduzione al
testo, redatta da Mons. Antonio Livi (Cappellano di Sua Santità
e professore ordinario della Pontificia Università Lateranense).
In realtà, quella che abbiamo chiamata la “questione ecumenica”
non tocca solamente coloro che diffidano o si oppongono a questa nuova
impossibile commistione tra la depositaria della verità, che è
la Chiesa, e i diversi sostenitori della negazione della verità
rivelata, che sono i giudei, i musulmani e tutti gli altri; ma tocca molti
uomini di Chiesa preoccupati della relativizzazione della religione cattolica.
Scrive Mons. Livi: "…ai giorni nostri l’operazione politica dell’ideologia
pacifista ha buon gioco nel suo progetto di omologare a sé anche
la cultura teologica, perché l’indifferentismo e il relativismo
dogmatico sono già penetrati in ampi settori dell’opinione pubblica
cristiana, anche tra i cattolici, tanto che la Chiesa ha dovuto intervenire
(senza molto successo, purtroppo, almeno per ora) con il documento chiarificatore
intitolato Dominus Iesus." (p. II).
E ancora: "La dottrina di ebrei e musulmani non è quindi
da intendersi come sapienza religiosa che può diventare un avviamento
alla fede cristiana: … non è un innocuo “monoteismo” integrabile
nella dottrina cristiana, ma una alternativa radicale e assoluta. Il dogma
della Santissima Trinità è scandalo per gli ebrei e bestemmia
per l’Islam, perché chi concepisce Dio secondo la dottrina ebraica
o islamica non è in alcun modo disposto ad accettare la rivelazione
che Cristo ha fatto della sua natura divina e del suo rapporto con Dio
Padre e con Dio Spirito Santo. Si dirà che si tratta di rilevamenti
scontati, ovvii: ma riflettere seriamente su questa ovvietà, per
poi metterla in rapporto critico con la prassi, è quanto ha fatto
Radaelli con questo libro" (p. VI).
ENRICO MARIA RADAELLI, Il Mistero della Sinagoga Bendata, ed.
Effedieffe, Milano, 2002, pp. 411 + XXIX, € 30,00. Il libro è
reperibile presso le librerie cattoliche o presso l’Autore (via San Sisto,
3, 20123 Milano) - info@enricomariaradaelli.it.
(4/2004)
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