GIOVANNI TORTELLI - Democrazia e cattolicesimo- La voce della Chiesa nelle società secolarizzate -  Con la Prefazione di Mons. Brunero Gherardini - Edizioni Cantagalli, Siena, 2012, pp. 192, € 15,00.
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Ecco un libro di facile lettura, che sintetizza il noto corposo lavoro di Romano Amerio: Iota Unum, pubblicato sia dalle Edizioni Lindau, Torino, sia dalle Edizioni Fede e Cultura, Verona

Presentazione
Prefazione
Indice


Presentazione
dalla quarta di copertina

I grandi e affascinanti temi della democrazia, ma anche i suoi difetti di nascita, la sua storia, le sue risposte insoddisfacenti di fronte ad una società che cambia, la sua enfatizzazione da parte di un pensiero filosofico, politico e giuridico sempre più ostile alla Chiesa. In primo piano il difficile incontro tra democrazia e pensiero cattolico e insieme la necessità che alla Chiesa e ai suoi valori venga riconosciuto uno spazio adeguato nello Stato laico.


Prefazione
di
Mons. Brunero Gherardini

Questa volta non mi salva nessuno dal giusto rimprovero d'Apelle al ciabattino che criticava una delle sue opere: “Sutar, ne ultra crepidas”: non al di sopra dei calzari! A dir il vero, il primo a rimproverarmi d'esser andato “al di sopra dei calzari”, son proprio io. Troppo chiara è in me, per non farlo, la consapevolezza dei miei limiti. D’altra parte, il caro Dr. Giovanni Tortelli, che ha voluto da me questa presentazione, l’ha chiesta con tanta grazia ed amabile insistenza, da vincer ogni mia residua resistenza. Fermo restando che non per questo mi sono trasformato all’improvviso in ciò che non son mai stato, prendo il coraggio a quattro mani e dico la mia, anche se non suffragata dalla competenza dello specialista.

Forse qualcuno ricorderà che, nella seconda metà del 1900, in séguito ad alcuni interventi di papa Wojtyla e ad una riunione programmatica della Conferenza Episcopale Italiana, si diffuse come una parola d’ordine: dottrina sociale della Chiesa. Le iniziative si moltiplicarono. Non ci fu Diocesi che facesse l’orecchio del mercante. lo pure fui chiamato qua e là, dove si fosse istituito o ripristinato un Centro Studi per la formazione sociale dei cattolici. Ricordo benissimo che in tali occasioni, per non atteggiarmi a sociologo, svolsi preminentemente il tema del fondamento teologico della Dottrina sociale della Chiesa. Mi par opportuno, anche in quest’occasione, partire dall’accennato fondamento, per non espormi al rimbrotto d’Apelle né a quello, non meno salace, del vate Dante, contro chiunque «vuol seder a scranna / per giudicar da lungi mille miglia / con la veduta corta d'una spanna» (Parad. XIX, 79).

Di tale fondamento trovo autorevole conferma in Centesimus annus 55 (AAS 83/1991/860), un’enciclica dello stesso papa Wojtyla, che recita: «La dimensione teologica risulta necessaria sia per interpretare, sia per risolvere gli attuali problemi della convivenza umana». Poco dopo, in quella medesima enciclica, Giovanni Paolo II rincara la dose e parla non di semplice “dimensione”, ma di “natura teologica” della Dottrina sociale della Chiesa. Va detto, anzi, che neanche la convivenza umana si spiega correttamente e compiutamente se si prescinde dalla teologia e non si chiede ad essa un po’ di luce per districarsi nei contorti confini d’un’esistenza, sempre obnubilata e tormentata da problemi perennemente attuali, perché problemi dell’esistenza stessa. La Dottrina sociale della Chiesa non solo risponde a tali problemi e non solo illumina l’incerto incedere dell’umanità in mezzo ad essi, ma s’insinua nelle maglie stesse dell’essere e ne spiega l’origine e le finalità, agganciandolo all’atto creativo di Dio, immergendolo nella luce della divina Rivelazione ed orientandolo verso una comunione d’amore e di fedeltà a Dio stesso come suo principio e suo fine.
Quale riflesso di codesta comunione di fedeltà e d’amore, si snoda la gamma vastissima dei rapporti umani in base ai quali gli uomini son tutti figli dello stesso Padre e quindi tutti fratelli.

La Dottrina sociale, in quanto ha per oggetto l’accennata gamma dei rapporti umani, dà un colpo d’ala allo svolgimento storico del genere umano, collegandone le scelte e la loro attuazione alla luce di Dio e finalizzandone al bene comune, in ossequio a tale luce, l'impegno con cui, in ogni fase della sua storicità, tenta la soluzione dei problemi sopra indicati come problemi dell’esistenza umana. La Dottrina sociale è pertanto l’eco fedele e l’applicazione articolata del “comandamento nuovo”. All’aggregarsi dei singoli applica l’Evangelo nella sua essenzialità: l’amore. Non ciecamente, com’è ovvio, né meccanicamente, bensì in modo riflesso, ricercando il fondamento non tanto dell’aggregarsi proprio della stessa natura umana - quanto della motivazione evangelica che lo signoreggia. E determinando, quindi, il suo concreto attuarsi secondo linee programmatiche capaci di fonder insieme giustizia e carità. Autorità e singole coscienze vengon in tal modo spronate a compier scelte attuative d’una convivenza giusta e pacifica.

Non è chi non veda che, sotto questo profilo, la Dottrina sociale della Chiesa è di per sé teologia e più specificamente teologia pratica, con il proprio fondamento ultimo nella Rivelazione e nel Magistero ecclesiastico. Ciò che il sociologo chiama solidarietà, per una società cristianamente organizzata è carità sociale orientata alla comunione. E quella pace che altri fan derivare dall’ambito della giustizia attraverso la giusta dialettica dei diritti e dei doveri, diventa nella e per la società cristiana la civiltà dell’amore. Proprio questa è dunque la ragione per la quale la Dottrina sociale della Chiesa ha un’indole indiscutibilmente teologica o, meglio, è essa stessa teologia.

Non alla Dottrina sociale, tuttavia, s’interessa il volume qui presentato, o non in prim’istanza, bensì a democrazia e tradizione. Qualcuno, perciò, potrebbe considerar fuori tema l’osservazione iniziale sul fondamento teologico della Dottrina sociale della Chiesa. Non è così.
La tradizione, infatti, è la Chiesa stessa, la sua vita e la sua giovinezza. La democrazia, a sua volta, la si tratti a parte o nel quadro complessivo delle tematiche sociali, appartiene a quella visione organica della società, qual è delineata e fondata dalla Dottrina sociale della Chiesa. In sé, al di fuori cioè della sua cornice teologica, la democrazia è per la società uno dei suoi modi di strutturarsi; il parlarne fa sempre parte d’un discorso complessivo sulla struttura sociale (oligarchia, monarchia, democrazia). Proprio per questo la democrazia è una forma strutturale della convivenza umana; è la struttura specifica che tale convivenza intende, o ha inteso darsi. È quindi un fenomeno sociale, oggetto della scienza che studia appunto i fenomeni sociali e che Auguste Comte chiamò sociologia.
Nel metter a fuoco le dinamiche e le leggi di codesti fenomeni, la sociologia ha nella democrazia un tema obbligato. Non potrà mai ignorarlo, sia che lo consideri ancora in termini aristotelici (governo non dei ricchi ma dei liberi), sia che lo descriva nel suo significato moderno (di Stato politico i cui cittadini, senza distinzione di nascita capacità e censo, sono in solido i detentori della sovranità). Pertanto, un trattato di sociologia, partendo dalla persona umana come centro di diritti e di doveri, ne analizzerà la naturale apertura sociale, in rapporto alla famiglia ed alla comunità. All’interno del quadro sociale, prenderà in esame l’emergenza del singolo come valore primario, al di sopra della stessa società, il concorso di tutti al bene comune, i valori di verità giustizia e libertà che presiedono al pacifico e retto consorzio civile, i problemi del lavoro e dell’assetto politico con particolare riferimento alla correlazione tra economia e morale, tra iniziativa privata ed impresa pubblica, tra solidarietà e partecipazione.

Basta quest'ultima parola a riportar in primissimo piano la democrazia, non perché partecipazione sia una parola magica, ma perché dalla partecipazione la democrazia nasce: la esige, se ne nutre, ne vive. Né c’è bisogno di scomodar il Parmenide di Platone, le elucubrazioni dei neoplatonici (Plotino, Prodo, Avicenna) ed in ultim’analisi nemmeno la metafisica di san Tommaso d’Aquino per capire il senso del lemma partecipazione. Qui infatti non ne parliamo in chiave rigorosamente filosofica, nonostante che proprio un principio tommasiano potrebbe venir in aiuto anche a questo discorso: “Quando una cosa riceve in misura parziale ciò che nella sua totalità appartiene ad altri, si dice che ne è partecipe” (De Hebd. 2,24).
La partecipazione sta alla radice della democrazia, appunto perché è lo strumento mediante il quale la sovranità, considerata di pertinenza popolare ed appartenente perciò senza restrizioni a tutti i cittadini, vien partecipata entro determinati limiti ad alcuni di essi. I quali, perciò, in tanto svolgono nella società un compito democratico, in quanto operano per mandato popolare, insieme con altri, per il bene di tutti. Ne discende, logicamente, che: 1) non c’è vera democrazia se non in forma partecipativa; 2) non c’è forma partecipativa se non come concorso di tutti, in cordata o singolarmente, alla promozione del bene comune. La qual cosa, in soldoni, è come dire: a) promozione d’una pacifica coesistenza sociale su base familiare, cittadina, nazionale e supernazionale; b) incremento culturale ed economico dell’intero corpo sociale; c) costruzione d’una società internazionale attenta al bene di tutti mediante la corresponsabilità d’ognuno.

Ciò che precede è, ovviamente, una contenuta sintesi di quanto sull’argomento gli specialisti son soliti dire. Aggiungo che la sintesi è stata redatta in ottica puramente ideale. Sono però consapevole che quando qualche politico parla di “democrazia incompiuta” non intende affatto paragonarla all’Incompiuta di Schubert: una sinfonia che, se pur incompiuta - o forse proprio perché incompiuta - è un capolavoro. Nella nostra democrazia incompiuta è possibile ravvisare il rovescio della medaglia “puramente ideale”. All’atto pratico, infatti, quella che potrebbe apparire come la più perfetta forma di reggimento politico rivela un'’innata fragilità: come ogni altro reggimento politico è esposta essa pure alla legge del più forte. Se penso alla così detta partitocrazia ed ai suoi giochi di potere, se ne considero i comportamenti nella storia della nostra democrazia italiana che ho intensamente desiderato ancor prima che nascesse ed ho poi non meno intensamente vissuto, ho sotto gli occhi un’interminabile sequenza di comportamenti partitocratici lesivi delle libertà fondamentali, a favore delle classi dirigenti e fatalmente ripetitivi, perciò, delle più deprecabili forme di reggimento oligarchico.
In realtà, c’è nella democrazia qualche motivo di profonda perplessità: lo chiamerei il suo “peccato d'origine”, contro il quale, per il momento, non sembra aver trovato un redentore. Essa si presenta con un suo “dogma” assoluto e indiscutibile: la sovranità popolare. Guarda caso, è il dogma diffuso a piene mani dalla Rivoluzione francese. Avesse almeno la delicatezza d’attenuare l’asserita sovranità con l’aggettivo relativa: in assoluto, infatti, per il credente la sovranità è di Dio; per il non credente, non esiste un assoluto che non sia egli stesso. Il “dogma” della sovranità popolare è, inoltre, come “'a livella” di Totò: riduttivo d’ogni singolarità, omologazione qualitativa d’ogni soggetto, relativizzazione d’ogni capacità e d’ogni impresa.
La conseguenza dell’incenso bruciato anche da uomini di Chiesa a codesto “dogma” è la caduta verticale d’ogni distinzione: è, p. es., quel relativismo che a parole si depreca un po’ dappertutto, ma che nella pratica vien tutelato da quelli stessi che lo deprecano: nel gran contenitore democratico costoro riconoscono che tutto e perfino il contrario di tutto ha, di diritto, il suo posto.
C’è infine, nel metodo democratico, un pericolo che non raramente affiora dalla realtà del quotidiano e che eticamente, giuridicamente, politicamente non saprei come impedire, né come correggerne gli esiti nefasti: alludo all’aleatorietà - almeno in apparenza non superabile - della tutela che una maggioranza deve assicurare alle minoranze ed a tutti i loro diritti. L’impressione è che, nella pratica, succeda esattamente il contrario.
Si ha così nella democrazia qualcosa di simile ad un tessuto double face: da una parte lo splendore ideale d’un reggimento politico che riconosce a tutti ed a tutti i livelli parità di diritti e di doveri; dall’altra una serie di non superficiali controindicazioni, per non parlare dei fatti concreti, le cui conseguenze ammorban l’aere del consorzio civile e lo contaminano.
Mi chiedo, a questo punto, se sia questa la visione della democrazia descritta nella pubblicazione per la quale sto scrivendo.

Dico anzitutto che si tratta d’un’ottima pubblicazione: una scrittura limpida ed agile, una conoscenza indubbiamente ampia e profonda della subiecta materia, una pronunciata sensibilità - oggi non sempre reperibile nemmeno fra tutti gli uomini di Chiesa o fra tutti gli studiosi d’estrazione cattolica – “per l'ethos come impronta della legge di natura nella coscienza individuale e collettiva”; un’attenzione lodevolissima ai valori di fondo di cui la democrazia non può far a meno senza venir meno essa stessa. Non solo i valori dell’uguaglianza, della partecipazione e della condivisione, ma anche e soprattutto quelli della verità, del senso morale, della libertà e della giustizia, oltre che della “necessaria correlatività tra ragione e fede” (cfr. Ratzinger).
Evidente la conoscenza delle fonti, ma anche la capacità di riflettere sulla tematica democratica come tale; sulla democrazia astrattamente intesa e sulla concretezza storica di quella - o di quelle - tuttora in atto; sulla “debolezza congenita della democrazia” e sugli scenari del suo futuro. Un po’ a volo d’uccello può sembrare la terza parte, forse perché una trattazione storica dei tanti problemi legati all’argomento ed un’esposizione più particolareggiata delle concezioni contrapposte - bastano i nomi a far capire l’ampiezza della contrapposizione: C. Magris, P. Flores d’Arcais (il sottoscritto conobbe il padre: altra stoffa), G. Zagrebelsky, J. Habermas e J. Ratzinger - avrebbero richiesto non uno ma più volumi.

Ciò avrebbe certamente moltiplicato le fatiche del bravissimo Tortelli, che già ne sostenne molte e di non piccolo rilievo. Egli, tuttavia, mi permetterà di dirgli molto amichevolmente che su due punti almeno qualche pagina in più l’avrei letta volentieri. Mi riferisco alla nozione di teologia politica, sulla quale egli già riferisce, ma senz’approfondirne in modo ultimativo, il rapporto con la democrazia; e mi riferisco pure alla Tradizione che, se è quella della Chiesa, è oggetto diretto ed immediato dell’ecclesiologia; questa, in effetti, la riconosce nel suo rapporto con la Sacra Scrittura, nel Magistero ecclesiastico e nella secolare attività magisteriale di esso. Ma sempre, se è quella della Chiesa, il trattarne in termini sociologici e puramente fenomenologici è riduttivo della Tradizione stessa. Non che sia questa la maniera con cui Tortelli ne tratta; ma, sempre secondo me, avrebbe fatto bene a metter qualche paletto fra teologia e fenomenologia, per invitare chi fa finta di niente a proceder per la propria strada, senz’indebite invasioni di campo.

Non potrebbe esser questo, per il bravo Tortelli, l'oggetto e il motivo d’un prossimo intervento? Dopo aver terminato la sua fatica attuale con la distaccata osservazione del Duca d’Auge sulla poca chiarezza della situazione politica, nell’attesa delle sue fatiche future io chiudo la mia presentazione con l’augurale ed interessata ripetizione di 1 Re 19,7: «Grandis tibi restat via».

Dal Vaticano, 5 febbraio 2011

Mons. Brunero Gherardini

Indice

Prefazione
Premessa

Capitolo I - Dentro la democrazia

1. Le origini

2. La democrazia contemporanea: tentativo di definizione

3. Fondamenti della democrazia
    3.1 Il contrattualismo
    3.2 La sovranità popolare e il corpo elettorale
    3.3 Cenno sui sistemi elettorali
    3.4 Le regole di maggioranza
    3.5 La rappresentanza politica

4. Debolezza congenita della democrazia come forma di governo
5. Il dominio delle “élites”
6. Quando la democrazia fa autocritica
7. Considerazioni sullo stato presente della democrazia
8. Democrazia: scenari per il futuro
9. Post democrazia?

Capitolo II - Democrazia e dintorni

1. “democraticismo” e democrazia

2. Necessità di una “teologia della politica”
    2.1 Teologia e politica dai primi secoli fino a san Tommaso
    2.2 La Chiesa e le autorità terrene nel pensiero di san Tommaso
    2.3 La Riforma, san Roberto Bellarmino e la “potestas indirecta”

3. La democrazia come risultato del processo di secolarizzazione della storia
    3.1 Thomas Hobbes, Baruch Spinoza e la fine del vecchio mondo
    3.2 Edmund Burke, tanti-illuminista
    3.3 La reazione cattolica
    3.4 Immanentismo e Stato assoluto
    3.5 Il sofferto pontificato di Pio IX
    3.6 Leone XIII e le nuove dottrine sociali della Chiesa

4. Il Novecento: la configurazione del nuovo Stato liberale
    4.1 Max Weber
    4.2 Kelsen, ovvero lo “Stato di diritto”
    4.3 Carl Schmitt e il recupero dell’idea religiosa
    4.4 L’associazionismo cattolico e Pio X
    4.5 Pio XI e i regimi totalitari
    4.6 Pio XII, la “ricostruzione”e le ultime vestigia della Tradizione

5. Il Concilio: riposizionamento interno ed esterno della Chiesa
    5.1 La nuova “ecclesiologia di comunione”
    5.2 La “libertà religiosa”
    5.3 “La legittima autonomia delle realtà terrene”

6. Giovanni Paolo II
    6.1 Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa

Capitolo III - «Il Signore piantò un giardino in Eden»

1. Il progressivo distacco della politica dalla morale
    1.1 La “legge naturale”
    1.2 Una morale “relativista”

2. Il pensiero democratico anticattolico
    2.1 Claudio Magris, Paolo Flores d’Arcais e Gustavo Zagrebelsky
    2.2 Il risveglio dell’ethos

3. Il saggio sulla "Democrazia nella Chiesa" di Joseph Ratzinger   
    3.1 Il rapporto democrazia-morale nel pensiero del cardinal Ratzinger
    3.2 Ancora il cardinal Ratzinger sul rapporto fra democrazia politica e morale

4. Le “condizioni prepolitiche” di Jürgen Habermas e di Joseph Ratzinger
    4.1“Undici tesi”di Flores d’Arcais contro le «condizioni prepolitiche»

5. Democrazia e Chiesa nel magistero di Benedetto XVI
    5.1 L’esortazione apostolica Verbum Domini e “Gesù davanti a Pilato”

Considerazione  finale






aprile 2015