Mons. Brunero Gherardini

Concilio Ecumenico Vaticano II
Un discorso da fare



Presentazione del libro
Supplica al Santo Padre Benedetto XVI
Prefazione di S. Ecc. Mons. Mario Oliveri
Qualche informazione su Mons. Gherardini
COME REPERIRE IL LIBRO


 
Non è uscito “col botto”, ma quasi in sordina, come il piccolo seme di cui parla Nostro Signore nel Vangelo; e come quel seme, è destinato a crescere molto e a fungere da ricovero per tante anime smarrite dalla crisi che ha seguito l’ultimo Concilio. Stiamo parlando dell’ultimo libro di Monsignor Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, edito dalla Casa Mariana Editrice di Frigento, fondata e diretta dai Francescani dell’Immacolata.
E’ certamente una pubblicazione destinata a far scorrere molto inchiostro e probabilmente ad accendere qualche polemica, sebbene ciò non rientri nelle intenzioni dell’Autore.
Ci sembra però inevitabile visti i contenuti del libro, l’eminenza di chi lo ha scritto e l’aria che tira in molti ambienti del mondo cattolico (e non).


A ciò si aggiungano la prefazione di Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga e Imperia e la presentazione di Sua Ecc.za Mons. Albert Malcom Ranjith, Arcivescovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Cosa è uscito dunque dalla penna dell’ultimo grande teologo della Scuola Romana? Rispettivamente un ridimensionamento, una critica ed una supplica.

Anzitutto ridimensionamento, o forse sarebbe meglio dire corretto inquadramento del Concilio Vaticano II. Sì, perché la teoria, la prassi, la stessa terminologia dei cinquant’anni che hanno seguito il Concilio, sono stati una falsificazione di ciò che realmente il Concilio è stato. Testi di Teologia, Corsi nelle Facoltà teologiche, articoli specifici e non, hanno posto il Concilio Vaticano II, ribattezzato “il” Concilio come il fondamento della vera fede, uscita finalmente dalle ristrettezze ecclesiali dei secoli passati.
L’anno zero, insomma, l’anno di fondazione della chiesa, che infatti si rinomina “chiesa conciliare”.
E questo atteggiamento non è quello di qualche piccolo gruppo un po’ fanatico: bisogna andare nelle parrocchie, frequentare le Facoltà teologiche, leggere le pubblicazioni “cattoliche”, ascoltare i discorsi dei cattolici “adulti” per rendersi conto della vastità e della radicalità del nuovo corso.
«La ripetitività, in effetti, è ormai una recita: e ripetitivo è il reiterato richiamo al Vaticano II, il celebrarne acriticamente i meriti, l’affermarne l’importanza oltre i limiti del dovuto, il dichiararne l’incomparabile eccellenza rispetto ad ogni altro Concilio, il farne un prontuario di ricette per la soluzione di problemi d’ogni ordine e tipo. Mi pare che, dopo quasi mezzo secolo d’un linguaggio siffatto, d’incensazioni “a tre tiri doppi”, di celebrazioni intempestive, non richieste e controproducenti, sia finalmente venuto il momento di voltar pagina. Mi pare anzi che, “finite le feste al tempio” e conclusa la fase osannante, s’imponga oggi di necessità una riflessione storico-critica sui testi conciliari, che ne ricerchi i collegamenti - qualora effettivamente ci siano - con la continuità della Tradizione cattolica… Ne va della Fede e dell’autentica testimonianza cristiana» (p. 17).

E’ questo un dovere del Magistero, precisa Gherardini; è questo un diritto dei fedeli, che per decenni hanno dovuto ingoiare veleno, mentre venivano rassicurati che tutto era voluto dal Concilio…

Monsignor Gherardini dedica i primi capitoli ad un’analisi del valore del Vaticano II, secondo quanto il Concilio stesso ha affermato di sé, escludendo che il Concilio si sia avvalso dell’infallibilità propria ai Concili ecumenici che lo precedono e facendo il punto sulla “pastoralità” che lo caratterizza. Conseguentemente al valore del Vaticano II, Gherardini offre i criteri per l’interpretazione fedele dei suoi testi, indicando in tal modo i criteri di cui avvalersi nella tanto auspicata analisi storico-critica dei documenti conciliari.

In secondo luogo, nel nuovo libro si trova una critica, nel significato più nobile del termine, di quell’arte, cioè di giudicare secondo i principi del vero, del buono e del bello, che nel nostro caso, non sono altro che i principi custoditi, tramandati, sviluppati dalla Tradizione della Chiesa.
Gherardini attua in tutta la sua pregnanza quell’invito a considerare il Vaticano II alla luce della Tradizione.
Ed è per tale motivo che a fianco di rilievi indubbiamente positivi, egli non può tacere problemi reali che i testi stessi rivelano. Dal documento conciliare sulla Sacra Liturgia, ai passi più discussi di Lumen Gentium, fino alle dichiarazioni sull’ecumenismo e la libertà religiosa, il lavoro di Monsignore è tutto un confronto analitico e serrato con la grande Tradizione della Chiesa, da parte di un uomo che quella Tradizione e quella Chiesa ama veramente e per le quali ha consacrato tutta la sua vita.
E cosa risulta dal confronto con la Tradizione?
Non vogliamo fare come quelli che, leggendo una romanzo, saltano subito alla fine, per sapere l’esito ultimo della storia; rimandiamo perciò allo studio del testo.
Però un assaggio lo vogliamo offrire, citando un passaggio del libro: «A chi mi chiedesse se in ultim’analisi la tabe modernista s’annidasse proprio nei documenti conciliari e se i Padri stessi ne fossero più o meno infetti, dovrei rispondere con un no quanto con un sì. No, perché il respiro soprannaturale è tutt’altro che assente dal Vaticano II grazie alla sua aperta confessione trinitaria, alla sua fede nell’incarnazione e redenzione universale del Verbo, al radicato convincimento circa l’universale chiamata alla santità, alla riconosciuta e professata causalità salutare dei sacramenti, alla sua alta considerazione del culto liturgico ed eucaristico in special modo, alla sacramentalità salvifica della Chiesa, alla devozione mariana teologicamente alimentata. Ma anche sì, perché non poche pagine dei documenti conciliari arieggiano scritti e idee del modernismo – si veda soprattutto la Gaudium et Spes – e perché alcuni Padri conciliari – e non dei meno significativi – non nascondevano aperte simpatie per antichi e nuovi modernisti… Volevan infatti una Chiesa pellegrina della verità, in cordata verso di essa insieme con ogni altro pellegrino… La volevan amica ed alleata d’ogni altro ricercatore. Assertrice, anche nell’ambito degli studi sacri, dello stesso criticismo metodologico d’ogni altra scienza. Una Chiesa, insomma, laboratorio di ricerca e non dispensatrice di verità calate dall’alto» (pp. 78-79).

In definitiva, una Chiesa non cattolica. E nei documenti conciliari si possono purtroppo rinvenire le tracce di questo atteggiamento.

Infine, Monsignor Gherardini eleva una supplica – alla quale si unisce toto corde anche Sua Ecc.za Mons. Mario Oliveri, autore della Prefazione al volume – al Santo Padre, una supplica che è un’armonia di umiltà, coraggio e scienza e che proponiamo di seguito per intero e che – chissà – non possa dare origine ad una sottoscrizione pubblica da parte dei media veramente cattolici, non per spirito referendario, ma per manifestare il sostegno delle pecore al loro Pastore Supremo, perché, secondo l’espressione da Egli stesso adoperata, “non fugga davanti ai lupi”:

Supplica al Santo Padre

Beatissimo Padre,
so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.
Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.
Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche.
Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione. Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.
Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti. Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molte altre - domande:
1.    Qual è la sua vera natura?
2.    La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
3.    È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?
4.    È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo. Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni. È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.
Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino. Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.
Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica

Sac. Brunero Gherardini




Prefazione di S. Ecc. Rev.ma
mons. Mario Oliveri
Vescovo di Albenga-Imperia



" Vi rendo noto, fratelli,
l’Evangelo che vi ho annunziato
e che voi avete ricevuto,
nel quale restate ben saldi
e dal quale ricevete la salvezza
purché lo manteniate in quella forma
in cui ve l'ho trasmesso"
(1Cr 15,1-2)
Rev.mo e Caro Professore,
Con atto di grande cortesia, Lei ha voluto che io potessi leggere prima della sua pubblicazione il contenuto di una Sua elaborata meditazione teologica, che sarà edita da "Casa Mariana Editrice", con il titolo "Un Discorso da fare", ed il discorso riguarda il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ho letto il tutto con lo stesso animo assetato, con cui ho recepito sinora molte Sue pubblicazioni, diversi suoi libri, tanti Suoi articoli. Il filo conduttore di tutti i Suoi scritti è sempre quello che mette in logico e - direi - ferreo collegamento Verità rivelata e verità meditata dall'umano intelletto illuminato dalla fede, sostenuto dalla Teologia dei Padri della Chiesa, sistematizzata dalla grande Teologia scolastica, tramandatasi per secoli; sorretto dall'Insegnamento del Magistero della Chiesa, che mai può essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così omogeneo da non dire mai "nova", ma tutt’al più "nove" (secondo la terminologia del "Commonitorium" di San Vincenzo di Lerino).
Mi accorgo che con queste espressioni mi riferisco ad una concezione filosofica, e quindi anche teologica (nella misura in cui si dà attenzione alla Verità rivelata) che riconosce all'umano intelletto il suo vero valore e la sua vera natura, così da considerarlo capace di raggiungere e di aderire ad una verità che è immutabile, come immutabile è l'essere di tutte le cose, perché dall'Essere Assoluto, da Colui che è, trae per creazione la sua natura. Ma l'intelletto non crea la verità, poiché non crea l'essere: l'intelletto conosce la verità, quando conosce il ciò che è delle cose.
Al di fuori di una tale visione, al di fuori di una tale Filosofia, qualsiasi discorso sulla immutabilità della verità e sulla continuità di adesione dell'intelletto alla stessa identica verità non terrebbe più, non avrebbe più alcuna sostenibilità. Non resterebbe che accettare una mutabilità continua di ciò che l'intelletto elabora, esprime e crea.
Anche un discorso sullo sviluppo omogeneo del dogma, o dell'Insegnamento della Chiesa attraverso i secoli, nel fluire del tempo e della storia, non potrebbe più farsi con la possibilità che sia compreso, proposto ed accolto. Ci si dovrebbe arrendere ad un "continuum fieri" sul piano di una "verità" non più conosciuta e riconosciuta dall'intelletto, ma da questo elaborata in base a ciò che appare e non a ciò che è.
Non è certo a Lei che questo discorso va fatto, ma leggendo la Sua meditazione teologica, dalla quale emerge la necessità di una vera "ermeneutica della continuità" a proposito dell'insegnamento del Vaticano II, non ho potuto fare a meno di esprimere qualche mio pensiero e di condividerlo con Lei.
La Sua pubblicazione mostra con grande chiarezza, con quella chiarezza di pensiero che Le è abituale, in forza della Sua acutezza di intelligenza ed altresì della Sua lunghissima esperienza di Docente, che nella Chiesa non vi può essere se non continuità. Il solo immaginare che vi possa essere "rivoluzione, cambiamento radicale, sostanziale mutazione" sul piano della verità e sul piano della vita soprannaturale della Chiesa, devia già dal sano ragionamento teologico, poiché come ho detto prima, devia dal sano ragionamento anche filosofico. Non disturba soltanto la fede, ma anche la ragione.
Si parla necessariamente di continuità "in substantialibus", non "in accidentalibus"; si parla di continuità con tutto ciò che "in sua materia" la Chiesa ha sempre creduto, professato, insegnato e vissuto nella sua vera realtà attraverso i secoli, a partire da quell'inizio che non è umano ma divino, che può essere colto soltanto da un intelletto illuminato dalla fede, sostenuto da una volontà mossa dalla Grazia divina.
Il Suo discorso, Chiarissimo Professore, permette di affrontare una profonda analisi del Vaticano II e del suo insegnamento, formulato nei suoi Documenti, tale da condurre a comprendere che anche là dove il linguaggio potrebbe far pensare ad una discontinuità con il contenuto teologico che si ritrova in "tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa" non può che essere un dire "nove" non un dire "nova". E quindi non si può piegare il "bagaglio dottrinale della Chiesa" a quel linguaggio, ma esso va interpretato in modo che davvero non dica "nova" rispetto alla Tradizione della Chiesa.
Ma, attesa la natura del Concilio e la natura diversificata dei suoi Documenti, penso si possa sostenere che se da una ermeneutica teologica cattolica emergesse che taluni passi, o taluni passaggi e affermazioni del Concilio, non dicono soltanto "nove" ma anche "nova", rispetto alla perenne Tradizione della Chiesa, non si sarebbe più di fronte ad uno sviluppo omogeneo del Magistero: lì si avrebbe un insegnamento non irreformabile, certamente non infallibile.
Mi conforta moltissimo aver potuto proprio in questi giorni leggere il discorso del Santo Padre alla Plenaria della Congregazione per il Clero. Parlando della formazione dei Sacerdoti, Egli afferma: "La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tal senso, è importante favorire nei Sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa".
Di fronte a questa Mente del Santo Padre è agevole pensare che Egli vorrà dare buona considerazione alla Supplica, che a conclusione della Sua meditazione teologica sul Vaticano II, il Suo animo di devotissimo figlio della Chiesa ha voluto formulare al Successore di Pietro, chiedendo che al più alto livello del Magistero vi sia "una grandiosa e possibilmente definitiva mess'a punto sul Vaticano II in ognuno dei suoi aspetti e contenuti", che tocchi la sua vera natura, che indichi che cosa significhi che esso ha voluto proporsi come un Concilio pastorale. Qual è, dunque, il suo valore dogmatico? Tutti i suoi documenti hanno lo stesso valore, oppure no? Tutte le espressioni presenti in essi hanno lo stesso valore oppure no? Il suo insegnamento è tutto irreformabile? E vero che alcune risposte a detti quesiti possono già dedursi dal Suo lavoro e dovrebbero potersi enucleare in base ai costanti criteri di giudizio teologico sempre seguiti nella Chiesa; ma nessuno può negare che in molta produzione "teologica" post-conciliare la confusione al riguardo sia molta e densa, e molto densa è l'incertezza dottrinale e pastorale.
Mi permetta perciò, caro Professore, e mi permetta soprattutto il Santo Padre, di unirmi "toto corde" alla Sua Supplica, mentre formulo l'auspicio che la Sua pubblicazione susciti molta attenzione e molta riflessione all'interno della Chiesa, ovunque si voglia fare vera teologia, e sia accolta con il rispetto che merita un lavoro condotto con rigore e certamente con grande amore alla Chiesa, alla sua perenne Tradizione, al suo Magistero, per la fedele conoscenza e trasmissione del quale Lei ha operato in tutta la Sua lunga attività di Docente della Sacra Teologia.

Albenga, 19 Marzo 2009
Solennità di San Giuseppe
Patrono della Chiesa Universale


+ Mario Oliveri,
Vescovo




Qualche informazione su Mons. Gherardini

Mons. Brunero Gherardini è nato a Prato il 1° febbraio 1925, ed è stato ordinato sacerdote il 29.6.48 a Pistoia
Residente presso la Canonica Vaticana, Città del Vaticano, 00120 Roma

Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi
Canonico nella Basilica Papale San Pietro in Vaticano
Già Professore presso la Pontificia Università Lateranense


Già membro e responsabile della Pontificia Accademia Teologica Romana e della Pontificia Accademia di S. Tommaso, (da cui si è volutamente staccato “quando le Accademie Pontificie vennero "rifondate").
Postulatore della causa di beatificazione di S. S. Pio IX
Direttore della rivista Divinitas.
Riconosciuto studioso tomista, allievo di C. Fabro, ha approfondito lo studio del Protestantesimo e della Riforma in genere.



Come reperire il libro

Il libro Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, di Monsignor Brunero Gherardini può essere richiesto

-    scrivendo a CASA MARIANA EDITRICE, Via dell'Immacolata, 83040 Frigento (Av)
-    telefonando o inviando un fax allo 0825.444015 - 444391
-    usando il seguente indirizzo di posta elettronica cm.editrice@immacolata.ws
-    rivolgendosi alla Chiesa Maria SS. Annunziata, Via Lungo Tevere Vaticano, 1 - 000193 Roma. Tel. 06.6892614 (apertura: 9.00 – 12.00; 16.00-20.00)

Tutti i libri di "Casa Mariana Editrice" non hanno un prezzo commerciale ma vengono ripagati con un'offerta a secondo della Vostra disponibilità e bontà.



giugno 2009