Note sui “gesti di comunione”
richiesti ai preti che celebrano la Messa solo secondo
l’antico messale romano
del Padre A. Nonim
Nel n° 68 della rivista Sedes Sapientiæ, il R. P. Louis-Marie
de Blignières, Superiore della Fraternità San Vincenzo Ferrer,
ha ragione a difendere il monoritualismo dei preti che sono rimasti fedeli
all’antico messale romano.
Il monoritualismo è sempre stato la norma generale della Chiesa,
e i preti autorizzati da Roma a celebrare con due riti sono stati sempre
rari. Tutti sanno che, dal punto di vista canonico, il CDC non è
il medesimo per la Chiesa di rito latino e per le Chiese (cattoliche) di
rito orientale.
Oggi si vorrebbero obbligare i preti che celebrano solo secondo il
messale detto di San Pio V, a concelebrare o a celebrare anche secondo
il messale di Paolo VI (che in pratica significa: secondo le traduzioni
infedeli di questo nuovo messale, o anche secondo le fantasie locali).
Il R. P. de Blignières intende accettare solo l’assistenza al
nuovo rito, in abito talare, con la sola stola, ma ricevendo la comunione.
Il R. P. dom Gérard, fondatore e abate di Le Barroux, va oltre:
accettando di concelebrare col nuovo rito.
Se la mia salute mi permettesse ancora di viaggiare facilmente, andrei
a dire a questi due Superiori che conosco e stimo:
Caro dom Gérard, vi si chiede “un gesto pubblico di comunione”:
ed esso è stato dato chiaramente e pubblicamente: per prima cosa
dalla suprema Autorità, quando vi ha nominato abate e vi ha inviato
un cardinale per intronizzarvi; poi da voi stesso: innanzi tutto quando
avete chiesto il riconoscimento canonico della vostra fondazione, e in
secondo luogo quando avete accettato la carica di Superiore, in terzo luogo
quando avete chiesto o/e accettato la venuta di un cardinale romano per
la vostra intronizzazione. È dunque ben evidente che voi siete in
comunione con Roma e, per ciò stesso, con tutti i vescovi e i preti
che sono in comunione con Roma. Non vi sono dunque altri “gesti di comunione”
da esigere.
E al caro Padre de Blignières: i vostri “segni di comunione”
esistono già, anche per voi nei due sensi (da parte di Roma nei
vostri confronti e viceversa), essi sono chiari e pubblici e ampiamente
sufficienti: per un verso avete richiesto, ricevuto e accettato il riconoscimento
canonico della vostra Fraternità; per l’altro, avete accettato la
carica di Superiore; infine, avete fatto ordinare molti membri della vostra
Fraternità, secondo le norme canoniche, da un vescovo in comunione
con Roma e in una abbazia benedettina della Congregazione di Francia. Tutto
ciò è ampiamente sufficiente.
Tutti coloro che erano già preti prima dell’arrivo del messale
di Paolo VI, possono dire:
Prima del 3 aprile 1969, data della Costituzione Apostolica
Missale Romanum sul Novus Ordo Missæ, nessuno metteva in dubbio,
né ha mai messo in dubbio anche dopo, che io fossi in comunione
con tutta la Chiesa cattolica; non solo con la Chiesa di allora, urbi et
orbi, ma anche con tutta la Chiesa di sempre: dalla Pentecoste al 3 aprile
1969. E questa comunione era totale: dottrinale, liturgica, sacramentale
e canonica.
Ora, dopo il 3 aprile 1969 io non sono affatto cambiato, in nessuno
di questi àmbiti.
Dunque, io sono sempre in comunione con tutta la Chiesa cattolica,
apostolica, romana: sia attualmente, urbi et orbi, sia dal tempo della
Pentecoste ad oggi.
Coloro che sono cambiati in questi àmbiti, e che oggi esigono
da me dei nuovi “gesti di comunione”, fanno sorgere il sospetto legittimo
sulla loro comunione con la Chiesa cattolica, apostolica, romana. Di quale
Chiesa sono o pensano di essere?
Per fugare questo sospetto sarebbe necessario che concelebrassero pubblicamente
secondo l’ordo piú che millenario, sia a Le Barroux, sia a Chéméré
o con il Superiore Bisig. È questo il “gesto di comunione” che proponiamo
loro.
Essi non possono esigere da noi la concelebrazione secondo il Novus
Ordo, poiché essa è contraria:
- al diritto canonico attuale (canone 902),
- alla Bolla Quo primum tempore di San Pio V (che non è mai
stata abrogata, come ha ricordato una recente commissione di
cardinali consultata dal papa sulla questione).
E in questo caso si applica la regola: Melior est condicio possidentis.
Infine, io non posso celebrare né concelebrare secondo il Novus
Ordo. La mia coscienza si rifiuta poiché esso è gravemente
equivoco, a tal punto che i protestanti, senza aver abbandonato la loro
teologia eterodossa, lo ammettono per le loro celebrazioni. In coscienza
non posso amministrare ai fedeli un rito che è pericoloso per la
loro fede (e la pratica lo ha dimostrato fin troppo bene); poiché
se vi è abbastanza per assicurare la stretta validità cattolica
della Messa, ve n’è anche “per accontentare i piú modernisti
dei protestanti” (si veda sotto).
Su questa grave questione occorre rileggere il Breve
esame criticodei cardinali Bacci e Ottaviani (il giudizio di quest’ultimo
è particolarmente competente e autorevole, poiché egli, a
capo del Sant’Uffizio, fu incaricato di vegliare sulla dottrina della fede
sotto il regno di tre papi diversi).
[Articolo pubblicato da Avvenir
du Rit Traditionnelle]
AL DOSSIER SAN PIETRO
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