DOSSIER SAN PIETRO
I documenti e i commenti sulla vicenda della
Fraternità Sacerdotale San Pietro
Nostra presentazione e nostro commento del gennaio
2000
La crisi in seno alla Fraternità Sacerdotale
San Pietro
(La presente memoria è stata redatta attingendo le informazioni
anche tramite i diversi siti internet gestiti da diversi organismi laici
internazionali: in particolare il sito di Una
Voce America, il sito Lex
orandi - Lex credenti e
il sito, costituito proprio in occasione della vicenda in questione, dall’associazione
francese ART - Avenir du Rit Traditionnelle,
al quale dobbiamo di piú)
In Italia non esiste alcuna struttura sacerdotale o religiosa specificamente
connotata dalla fedeltà ai libri liturgici in vigore fino al 1962.
L’Istituto Cristo Re, di Gricigliano (FI), pur essendo un’istituzione sacerdotale,
non esercita alcun apostolato in Italia, salvo qualche eccezione.
Le poche chiese in Italia in cui si celebra la Santa Messa in forza
dell’indulto del 1984, non sono dei centri di azione pastorale, al pari
di una parrocchia, per esempio. Tanto piú che l’indulto è
relativo alla celebrazione della Santa Messa, con l’esclusione dell’amministrazione
degli altri sacramenti.
Di fatto, in Italia, esiste una situazione caratterizzata da alcuni
equivoci.
I fedeli tradizionalisti assistono quando possono alla Santa Messa
tradizionale (per la carenza di Sante Messe, e per la difficoltà
di raggiungere i pochi centri di messa), ma sono costretti a vivere la
vita religiosa appoggiandosi alle parrocchie alle quali appartengono (rendendo
grazie a Dio se capita loro di trovare un parroco ancora “accettabile”).
I preti che celebrano la Santa Messa secondo l’antico rito sono, quasi
tutti, dei preti modernisti (anche loro malgrado) o che comunque possiedono
una ridotta sensibilità circa i problemi posti dalle novità
del Vaticano II; per di piú praticano un biritualismo “di fatto”,
dal momento che celebrano regolarmente secondo il nuovo rito: cosa questa
che li porta a considerare la celebrazione secondo il rito antico come
una sorta di eccezione, magari simpatica, ma provvisoria. Le poche eccezioni,
costituite da preti con un certo scrupolo e con una certa sensibilità
liturgica e dottrinale, non cambiano, purtroppo, la situazione. I pochi
Vescovi che hanno concesso l’applicazione dell’indulto, oltre a non essere
seriamente convinti dell’avvenire di questo “esperimento”, sono portati
anch’essi a considerare la celebrazione della Santa Messa col rito antico
come una sorta di “capriccio” o di “lusso” per pochi, destinato ad esaurirsi,
e, nella migliore delle ipotesi, destinato ad “adattarsi” alla ormai definitiva
affermazione del Novus Ordo e delle sue premesse ed implicazioni dottrinali
e pastorali.
La presenza in Italia dei priorati della Fraternità Sacerdotale
San Pio X (FSSPX) non cambia di molto le cose, sia per la indebita situazione
in cui è stata costretta la Fraternità dalla pesante e prevaricante
azione modernizzatrice di buona parte della Curia romana; sia perché,
anche per essa, i centri di messa e la case sacerdotali sono cosí
poche che le è praticamente impossibile esercitare una compiuta
azione pastorale, tale da determinare il mantenimento di stabili comunità
di fedeli; e questo nonostante gli sforzi lodevoli che esercitano i pochi
preti presenti, che la domenica e nei giorni festivi sembrano moltiplicarsi
in maniera inverosimile.
Una situazione simile a quella italiana la si riscontra in Spagna.
Mentre in Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Canada e Australia,
le cose stanno in maniera diversa. Beninteso, si tratta sempre di situazioni
estremamente minoritarie, ma, nel loro piccolo, in questi paesi esistono
delle vere comunità di fedeli che godono del beneficio di vedersi
amministrare tutti i sacramenti da dei preti vincolati agli antichi libri
liturgici e alla dottrina tradizionale della Santa Chiesa.
La diversa situazione esistente in Italia e in Spagna, rispetto agli
altri paesi citati, si spiega anche con le diverse esperienze storico-religiose
che questi stessi paesi hanno vissuto; cosa questa che aiuta a comprendere
la stessa diversa realtà della FSSPX, che all’estero conta centinaia
di case.
Gli organismi sacerdotali e monastici tradizionali che esistono (a parte
la FSSPX) sono tutti derivati dall’applicazione del Motu proprio “Ecclesia
Dei”, quindi rientrano quasi tutti in un àmbito che sta fuori dal
cosiddetto indulto, poiché non vivono in forza di una speciale concessione,
bensí in forza di una loro legge propria. Questo fatto fa sí
che tali organismi abbiano una connotazione di “perennità”, almeno
teorica, e, soprattutto, di quasi totale autonomia rispetto alla conduzione
pastorale delle diocesi in cui si trovano. (L’elenco
di questi organismi è riportato a parte).
La Fraternità Sacerdotale San Pietro
In questi ultimi mesi, uno di questi organismi: la Fraternità
Sacerdotale San Pietro (FSSP), è stata oggetto di particolare interesse
per le spiacevoli vicende in cui è incappata.
Questa Fraternità è l’organismo sacerdotale piú
corposo e piú diffuso, lo stesso che ha organizzato, insieme ad
altri gruppi, il noto pellegrinaggio a Roma per il decennale dell’Ecclesia
Dei, nell’ottobre del 1998. Essa è stata fondata nel 1988, subito
dopo la vicenda delle ordinazioni episcopali effettuate da Mons. Lefèbvre,
e in seguito alla promulgazione del Motu proprio Ecclesia Dei.
Come si sa, il Motu proprio Ecclesia Dei fa espresso riferimento al
Protocollo
di accordo tra Mons. Lefèbvre e il Cardinale Ratzinger, del 5 maggio
1988 (che riportiamo a parte), cosí che la FSSP, al pari di
altri organismi simili, gode di una sostanziale autonomia che comporta
anche, e ufficialmente, lo studio dei problemi sollevati da “certi punti
insegnati dal Concilio Vaticano II o relativi alle riforme posteriori della
liturgia e del diritto, che ci sembrano difficilmente conciliabili con
la Tradizione” (si veda a parte il protocollo del 5.5.88). Questi problemi,
espressamente riconosciuti come tali dal Protocollo d’intesa del 5.5.88
e, quindi, dal Motu proprio Ecclesia Dei, costituiscono il nocciolo della
questione: poiché con il loro riconoscimento si statuisce, con l’assenso
del Papa, che gli organismi derivati dall’Ecclesia Dei hanno tra i loro
punti fondanti la parziale e critica accettazione del Vaticano II e delle
sue conseguenze dirette e indirette.
Non v’è dubbio che, in questa situazione, l’azione pastorale
degli organismi dell’Ecclesia Dei si “deve” necessariamente differenziare
da quella delle diocesi in cui operano, con tutte le conseguenze del caso.
Ciò nonostante (e per altro verso anche a causa di questa differenziazione),
sono state esercitate non poche pressioni da parte di certi Vescovi e di
certi prelati della Curia romana, perché tali organismi si uniformassero
o si adeguassero alla dottrina ed alla pastorale moderna. Col risultato
che molti religiosi facenti parte di tali organismi hanno ritenuto opportuno
venire incontro alle sollecitazioni ed alle pressioni subite, ponendo in
secondo piano, e in alcuni casi disconoscendo, gli elementi fondanti della
loro stessa esistenza.
Il “ricorso” dei 16 preti della FSSP
In questa ottica, il 29 giugno 1999, 16 preti della FSSP hanno presentato
alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei (PCED) un “ricorso” (che
riportiamo a parte), col quale contestano la conduzione della Fraternità
e il suo indirizzo, appellandosi proprio all’esigenza di andare incontro
alla pastorale moderna e, quindi, alla dottrina moderna.
In effetti, è come se si scontrassero due tendenze: una, quella
dei Superiori e della maggioranza dei membri della Fraternità, che
ritiene indispensabile che si rimanga fedeli alle costituzioni ed agli
scopi originari della Fraternità stessa, anche per mantenere in
tal modo tutti gli strumenti atti a contrastare le pressioni esterne che
vorrebbero svilire la funzione della FSSP; l’altra che ritiene di dover
scendere a compromessi con la pastorale moderna, cosí da ampliare
il raggio d’azione della Fraternità ed aumentare, a suo modo di
vedere, il numero dei fedeli legati alla Tradizione.
Come si vede, al di là dei diversi importanti elementi che compongono
la contesa e che segnaleremo in seguito, salta all’occhio un primo fattore
qualificante: che è poi lo stesso che portò i Padri conciliari
a privilegiare la “pastorale” anche a scapito della dottrina, lo stesso
che corre come un filo invisibile lungo tutta l’azione postconciliare,
dall’ “apertura al mondo” all’ “ecumenismo”: si ritiene doveroso, opportuno
e lodevole privilegiare la quantità anche a discapito della qualità:
ciò che piú conta è essere in tanti, poco importa
chi siano questi tanti.
Dalla lettura del ricorso presentato dai 16 preti si evince quanto segue.
- Hanno ritenuto di doversi rivolgere direttamente alla Santa sede,
all’insaputa e contro il proprio Superiore, e consapevoli di compiere un
atto gravemente illecito, adducendo la scusa della gravità della
situazione e dell’urgenza di porvi rimedio.
- Hanno criticato fortemente e nel merito l’operato dei propri Superiori
e dei propri confratelli, sulla base del convincimento che le loro posizioni
sono quelle che dovrebbero essere della Fraternità, facendo poco
caso (anzi ritenendolo una ingiustizia) al fatto che la maggior parte della
Fraternità (i rimanenti 80 preti e diaconi) non fosse d’accordo
con loro.
- Hanno preteso che la Fraternità fosse posta sotto tutela allo
scopo di esautorare i Superiori, zittire la maggioranza ed affermare la
loro posizione, giuocando “politicamente” sulla sensibilità dei
prelati romani nei confronti dei loro appelli ad una “maggiore comunione”
con i Vescovi.
- Hanno dato per scontato che uno degli scopi della Fraternità
sarebbe quello di apportare variazioni e adattamenti alla liturgia tradizionale,
cosí da “avvicinarla” a quella moderna e alle onnipresenti e mai
definite e definibili “esigenze pastorali locali”; nonostante lo spirito
e le Costituzioni della Fraternità.
- Hanno sostenuto la “necessità” di dover concelebrare secondo
il Novus Ordo, sia pure solo in certe occasioni e soprattutto nelle Messe
officiate dal Vescovo, cosí da poter dimostrare tangibilmente il
loro stato di “comunione” con il resto della Chiesa; ben sapendo, nonostante
non sia detto, che un tale accomodamento aprirebbe un varco dal quale domani
passerebbe di tutto: dall’indifferente celebrazione con qualsivoglia rito,
all’imposizione episcopale di atteggiamenti pastorali che farebbero fuggire
di volata tutti i fedeli tradizionalisti.
- Hanno accusato apertamente e malevolmente i Superiori e i confratelli
di lasciarsi andare ad una deriva emarginalizzante che li condurrebbe,
con una certa loro consapevolezza, allo “scisma”; come accadde per la FSSPX
che, sostengono gli accusatori, riscuoterebbe grande ammirazione nella
FSSP.
Il comportamento della Pontificia Commissione Ecclesia Dei
In seguito alla presentazione di questo ricorso, la PCED
- ha limitato i poteri del Superiore Generale, il Reverendo Padre Josef
Bisig,
- ha sospeso il Capitolo Generale della Fraternità che avrebbe
dovuto tenersi in agosto,
- ha imposto al Superiore di tenere, a novembre, una sorta di assemblea
di tutti i membri della Fraternità per confrontarsi e
dirimere la controversia
(riportiamo a parte la lettera prot 512/99 inviata
a Padre Bisig).
C’è da premettere che il Capitolo Generale della Fraternità
si dovrebbe tenere, per scadenza naturale, nel 2000, e dovrebbe provvedere
alla definitiva stesura delle Costituzioni della FSSP. Essendo però
sorte tali divergenze, il Superiore era stato autorizzato dalla PCED a
tenere un Capitolo preparatorio nell’agosto del 1999, cosí da predisporre
tutti gli elementi che nel Capitolo ordinario del 2000 avrebbero trovato
la giusta definizione. In vista di tale Capitolo preparatorio erano stati
designati, da tutti i confratelli, dei delegati, e, considerata la posizione
dirompente assunta da un gruppo di preti quasi tutti francesi (15 su 16:
il tempo ci fornirà lumi su questa stranezza), tutti avevano deciso
di non delegare alcuno di questi novatori.
È facile comprendere come questi stessi novatori si siano trovati
senza terreno sotto i piedi, e noi azzardiamo l’ipotesi che i piú
ringhiosi siano stati i loro mandanti, che vedevano sfumare la possibilità
di introdurre la divisione e il dubbio in seno alla FSSP sotto la ridicola
e ingannevole copertura di un “fraterno e pacifico confronto democratico”,
col quale sapevano bene (Vaticano II docet) quanto sarebbe stato facile
trasformare una posizione marginale e, alla luce degli sviluppi, strumentale
e subdola, in una posizione rispettabile e bisognosa di una “composizione”
onorevole per tutti.
Non si sono rivolti “ufficialmente” al loro Superiore, appellandosi,
se possibile, alle Costituzioni della Fraternità, ma hanno súbito
innescato la bomba della presunta disobbedienza al Concilio, che in questi
ultimi trent’anni è stato lo spauracchio col quale si è preteso
di tutto e si è fatto anche scempio della liturgia, della pastorale,
della dottrina e della Chiesa.
Cosa ha fatto la PCED? Ha dato súbito corso alle loro richieste,
avallando di fatto le loro accuse e le loro posizioni, e condividendo di
fatto le loro analisi e le loro pretese. Non solo, ma ha preso le sue decisioni
ignorando totalmente la FSSP e il suo Superiore Padre Bisig, al quale ha
solo notificato le decisioni assunte. Di piú, quando Padre Bisig
è giunto precipitosamente a Roma per cercare di dire la sua, il
Cardinale Felici, Presidente della PCED, non lo ha ricevuto.
Se, per ipotesi paradossale, un gruppo di Vescovi accusasse il Papa
di abuso di potere e deviazioni pastorali, sappiamo adesso che vi sono
nella Curia romana dei Cardinali disposti ad inviare al Papa, a sua insaputa,
una comunicazione, anche poco formale, con la quale, in attesa di chiarire
la questione, gli si imporrebbe di farsi da parte, notificandogli la perdita
dei suoi poteri.
Paradossi a parte, la PCED ha risposto cosí velocemente e cosí
in perfetta aderenza col ricorso dei 16 preti, che sono stati parecchi
quelli che ne hanno concluso che in fondo quei poveri preti sarebbero solo
delle pedine nelle mani di qualcuno che briga molto in alto, anche dentro
la PCED. Se ne ha la riprova nel fatto che nei confronti dei 16 preti non
è stato emanato neanche un “ammonimento” per la illiceità
del loro comportamento.
Le reazioni del mondo tradizionale
Ovviamente, la cosa si è risaputa e da ogni parte del mondo
i gruppi tradizionalisti legati agli istituti dell’Ecclesia Dei si sono
messi in agitazione: hanno espresso alla PCED la loro indignazione, hanno
protestato la loro condivisione per l’indirizzo della FSSP, hanno dichiarato
la propria totale solidarietà per il Reverendo Padre Bisig e hanno
minacciato di ripensare alla fiducia concessa alla Santa Sede. Tutti si
sono resi conto che stava accadendo qualcosa che aveva come punto di partenza
la controversia interna della FSSP e come punto d’arrivo la dissoluzione
o lo sconvolgimento dell’àmbito tradizionale cattolico.
Già si conoscevano le posizioni di molti prelati, i quali, convinti
che l’àmbito tradizionale avesse vita breve per motivi anagrafici
e che le disposizioni del Motu proprio Ecclesia Dei dovessero condurre
all’assorbimento dei fedeli tradizionalisti nell’amalgama ecclesiale moderno,
ove in fondo “c’è posto per tutti”, erano rimasti sconvolti ed indignati
dal pellegrinaggio dell’ottobre 1998, che aveva dissolto le loro aspettative
e travolto le loro facili previsioni. Avere sotto gli occhi migliaia di
fedeli da uno a ottant’anni, accompagnati da centinaia di giovani religiosi,
ha prodotto in molti prelati curiali una sorpresa ed una rabbia tale che
subito si sono messi al lavoro per troncare definitivamente questo progresso
crescente di adesioni alla Tradizione.
Evidentemente sono riusciti a trovare, in Francia, gli strumenti umani
disponibili a fare da grimaldello.
La coincidenza dell’intervento della Congregazione per il Culto Divino
Mentre si stava svolgendo la sconcertante e dirompente vicenda, e quasi
in concomitanza col suo innesco, ecco giungere, il 2 luglio 1999, un’altra
notizia che ha sconcertato ulteriormente il mondo tradizionale ed ha offerto
le prime chiavi di lettura di quanto stava accadendo. La Congregazione
per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (CCDDS) ha emesso un
documento col quale “risponde” a numerosi quesiti che le sono stati sottoposti.
Il documento, protocollo 1441/99 e intitolato “Risposte
Ufficiali” (che riportiamo a parte), dà le seguenti istruzioni.
a) Tutti i preti che sono tenuti a celebrare secondo il Messale del
1962, quando célebrano in seno ad una comunità che segue
il
rito moderno devono celebrare col rito moderno.
Il che significa che devono adeguarsi all’uso di entrambi i Messali,
accettando il biritualismo o, in alternativa, limitarsi a fare i preti
nel loro piccolo àmbito. La CCDDS dimentica l’esistenza del Motu
proprio Ecclesia Dei e si appella solo all’indulto, ben sapendo che i preti
di cui si tratta godono non di una “concessione” (dell’indulto), ma di
una legge propria (sulla base del Motu proprio). Se si tiene conto che
lo stesso documento premette che è stata interpellata anche la PCED,
c’è da chiedersi a chi risalga la responsabilità di questa
voluta dimenticanza, se alla CCDDS o alla PCED. Peraltro, nel documento
ci si richiama ai confratelli [preti] che hanno richiesto tale servizio
di carità pastorale, ammonendo che non li si deve stupire e mettere
a disagio, ma si deve prestare loro un aiuto efficace. Sorvoliamo sulla
questione dell’aiuto efficace, poiché c’è da chiedersi se
il vero aiuto non consisterebbe proprio nel celebrare secondo il rito tradizionale,
quasi sicuramente con l’entusiasmo e non con il disagio dei fedeli. Ma
precisare che un tale servizio di carità pastorale è richiesto
dai confratelli, può solo significare due cose: o che il confratello
che lo richiede sa bene a cosa va incontro e, magari, è proprio
per questo che richiede l’aiuto; oppure che questi richiede tale servizio
per mettere in difficoltà il confratello, ben sapendo come si trovi
vincolato al rito tradizionale per sua libera scelta e per suo profondo
convincimento, e proprio in forza del fatto che il rito moderno non riesce
a celebrarlo perché gli procura scrupoli e perplessità dottrinali
e pastorali riconosciuti come legittimi dallo stesso Pontefice.
b) I Superiori degli istituti dell’Ecclesia Dei non possono proibire
ai preti loro sottoposti di celebrare secondo il nuovo rito.
Il documento precisa che si ha in vista il caso predetto: quando celebrano
in seno ad una comunità che segue il rito moderno. Ma subito si
comprende come sarebbe impossibile per qualsiasi Superiore l’applicazione
di questa speciosa limitazione: se un prete che a suo tempo è entrato
per sua scelta nel tale istituto, accettandone i principi e le Costituzioni,
è poi libero di agire in contrasto con esse “in certi casi”, è
praticamente impossibile evitare che tali “certi casi” diventino estensibili
“ad libitum”. Peraltro, il documento si appella alla non-giurisdizione
dei Superiori sulle comunità che celebrano col nuovo messale, rendendo
evidente che la CCDDS si intende bene di giurisdizione, ma la considera
inesistente nel caso del Superiore che volesse esercitarla nei confronti
del suo sottoposto. Ubi maior! Continuando ad insistere, poi, su una chiarissima
inesattezza: con la quale si vorrebbe far passare il Motu proprio del 1988
per l’indulto del 1984, il documento dimostra a piene mani che sta volutamente
giuocando sull’equivoco; per cui si potrebbe addirittura capovolgere tutta
l’argomentazione, deducendo, per esclusione, che tutto ciò che il
documento afferma è da considerarsi come una negazione, e tutto
ciò che nega come una affermazione.
c) Né il Superiore, né il Vescovo possono proibire la
concelebrazione ai preti in questione, né devono farlo. Anzi è
lodevole
che i preti concélebrino sempre liberamente.
Il documento precisa: “specialmente la Messa del Giovedí Santo
presieduta dal Vescovo”. E questa precisazione, che qualcuno pretende di
leggere come esclusiva di altre occasioni, è la chiave di volta
di tutto il documento. Dicendo “specialmente”, il documento afferma che
“normalmente” i preti degli Istituti dell’Ecclesia Dei “devono” concelebrare
e “devono” essere liberi di farlo: neanche il Vescovo può impedirlo.
È il caso di ricordare che i preti incardinati negli istituti dell’Ecclesia
Dei, al pari di tutti gli altri religiosi che sottostanno ad una legge
speciale propria dell’istituto a cui appartengono, sono sotto la giurisdizione
delle Costituzioni e del Superiore Generale dello stesso istituto, il quale
è, di fatto, l’Ordinario del prete in questione. Lo stesso che accade
per gli Abati nei confronti dei propri monaci.
L’intervento dei Superiori delle Fraternità Sacerdotali San
Pietro e San Vincenzo Ferrer presso la Santa Sede (23 luglio 1999)
Nonostante il tutto sembri muoversi intorno alla FSSP, è chiaro
che le preoccupazioni hanno interessato tutti gli istituti dell’Ecclesia
Dei. È cosí che Padre Josef Bisig, Superiore Generale della
FSSP, e Padre Louis-Marie de Blignières, Priore Generale della FS
San Vincenzo Ferrer, in data 23 luglio 1999, hanno inviato una supplica
alla Santa Sede per non far pubblicare sul foglio ufficiale della CCDDS,
Notitiae, il protocollo 1411. Soprattutto per impedire che si determinasse
uno stato di fatto giuridico che avrebbe creato degli inestricabili problemi
sia agli istituti dell’Ecclesia Dei, sia alla stessa Santa Sede.
I due religiosi hanno fatto notare che questo documento della CCDDS:
- non rispetta il carattere proprio degli Istituti, né la giurisdizione
dei loro Superiori,
- introduce di fatto un biritualismo abituale,
- rende impossibile il governo degli Istituti.
Dal canto suo, Padre Bisig ha presentato un appello alla Signatura
Apostolica contro le disposizioni assunte dalla PCED nei confronti della
sua Fraternità.
Non sappiamo quali siano state le risposte alle due iniziative.
L’informativa rassicurante del Rev. Padre Bisig
Il 30 agosto, il Rev. Padre Bisig ha sentito il dovere di informare
ufficialmente i membri della FSSP, e quindi anche i fedeli, di quanto stava
accadendo, anche per rassicurarli circa la posizione che avrebbe tenuto
la FSSP nel corso degli sviluppi futuri (riportiamo
a parte la lettera in questione).
Le precisazioni della Pontifica Commissione Ecclesia Dei
In seguito alle numerose e indignate proteste che sono piovute sia
sulla PCED, sia sulla CCDDS, proteste che non potevano essere ignorate
sia per il numero sia per la portata, la PCED, il 10.9.99, ha precisato
(riportiamo a parte il documento) che:
- non fa sue le contestazioni dei 16 preti;
- che ha solo revocato il Capitolo straordinario dell’agosto 1999,
non quello ordinario del 2000;
- che il Superiore non è privato dei suoi poteri, ma invitato
a non esercitarli fino a…
- che l’assemblea plenaria dei membri della Fraternità è
stata concepita come un agone libero e democratico, nel corso del quale
la FSSP dovrà prendere coscienza del fatto che
costituisce un problema per altri membri della Chiesa e che quindi dovrà
collocarsi meglio al suo interno.
- che i laici avrebbero dovuto rimanere all’oscuro della vicenda, e
non essere informati in maniera inesatta e tendenziosa.
Che la PCED dovesse fare delle precisazioni è fuori dubbio, ma
è altrettanto certo che tali precisazioni non hanno affatto chiarito
le cose, piuttosto le hanno complicate: visto che si è tacitamente
dichiarata la legittimità dell’azione dei sedici preti, altrettanto
tacitamente si è accusato il Superiore di assumere ordinariamente
provvedimenti inopportuni, e si è quasi apertamente dichiarato che
i laici sono incapaci di intendere e di volere e devono essere tenuti all’oscuro
delle cose che riguardano la loro vita religiosa. Precisazioni come queste
fanno sospettare che la PCED abbia una grande considerazione di sé
e nessuna considerazione per i chierici e i fedeli tradizionalisti.
La solidarietà della FSSP al suo Superiore Generale
Il 19 settembre 1999, 71 preti e diaconi della FSSP inviano alla PCED
una lettera nella quale esprimono solidarietà al loro Superiore
Generale e dichiarano di condividere l’indirizzo della Fraternità.
L’iniziativa del Rev. Padre Bisig
Nell’intento di dirimere al piú presto la questione, Padre Bisig
ha chiesto ed ottenuto che si svolgesse, invece dell’assemblea generale,
una riunione ristretta tra i Superiori e i rappresentanti del gruppo dei
16. Sarebbe stato possibile affrontare tutti gli argomenti sul tappeto
e tentare di trovare una soluzione in vista dello svolgimento del Capitolo
Generale.
A tal fine si sono ritrovati a Roma, l’11 e il 12 ottobre, Padre Bisig
accompagnato da altri quattro confratelli e cinque rappresentanti del gruppo
dei 16. Ma le cose non sono andate come previsto, poiché i rappresentanti
dei ribelli si sono mossi in maniera tale da non concludere nulla.
Padre Bisig aveva chiesto espressamente che gli incontri si svolgessero
senza la presenza di alcuno estraneo alla FSSP, compresi i responsabili
della PCED, perché il confronto fosse il piú franco e il
piú semplice possibile. Si convenne invece che per una mezza giornata
ci sarebbe stata la presenza del Cardinale Felici, Presidente della Commissione.
Ciò nonostante, la mattina dell’11 i ribelli si sono presentati
accompagnati dal Cardinale Mayer, già Presidente della stessa Commissione,
con una certa sorpresa degli altri. Si trattò infatti di dover discutere
sulla sola questione della concelebrazione della Messa crismale, che sembra
sia un argomento caro al Cardinale Mayer. La presenza del Cardinale era
stata predisposta su iniziativa unilaterale di Mons. Camille Perl, Segretario
della Commissione.
La mattina del 12 era presente invece il Cardinale Felici, cosí
che la vera e propria riunione, invece che in due giorni, si è svolta
solo in due pomeriggi: con quasi nessun risultato serio, ma senza che si
riuscisse ad evitare la convocazione degli “stati generali” della FSSP
nel corso dei quali si dovranno affrontare “giacobini” e “legittimisti”
con gran gaudio democratico. Tutto secondo quanto aveva già deciso
la PCED fin dall’inizio.
L’unico accordo raggiunto consiste nella formazione di una commissione
ristretta, composta dai rappresentanti dei due gruppi, che avrà
il compito di preparare l’assemblea generale. Questa, che in un primo momento
avrebbe dovuto svolgersi nel gennaio 2000, è stata rimandata ai
primi di febbraio.
L’incontro dei due giorni avrebbe dovuto svolgersi in segreto, perché
sembra che la PCED non ne voglia sapere di aver a che fare con le prese
di posizione dei laici. Ciò nonostante, e visto che si tratta di
una vicenda di non poco conto, le notizie trapelano egualmente, e i laici
prendono posizione anche contro il tentativo di tenerli all’oscuro.
Le precisazioni della Congregazione per il Culto Divino
Anche la CCDDS è stata costretta ha fornire delle spiegazioni,
e il 18.10.99 ha emanato una “Risposta generale alle
lettere ricevute circa le Risposte Ufficiali della Congregazione per il
Culto Divino del 3 luglio 1999, prot. 1411.99” (che riportiamo a parte).
La cosa strana è che questa lettera, avente lo scopo di puntualizzare
le cose, è stata diffusa solo in latino. Non v’è dubbio che
la lingua ufficiale della Chiesa sia ancora il latino, salvo il fatto che
si dia per scontato che il latino non lo comprende nessuno e che quindi
per le cose importanti, come la Santa Messa, si “debba” utilizzare il volgare;
ma come non sospettare che, in questa occasione, l’uso esclusivo di tale
lingua abbia una venatura polemica e spregiativa, quasi una sorta di sfida
nei confronti di chi si picca di fare il tradizionalista?
Ma veniamo alle precisazioni.
- Il rito tradizionale ha un valore secondario rispetto all’unico rito
romano in vigore: quello di Paolo VI.
- La celebrazione secondo l’antico rito “protegge la sensibilità
liturgica dei preti e dei fedeli abituati al modo precedente, ma essa non
li costituisce in alcun caso come una ‘Chiesa rituale’”.
- “La Santa Sede esorta i vescovi a dimostrare una grande pazienza
nei confronti dei fedeli che desiderino partecipare alla santa liturgia
secondo i libri liturgici anteriori”.
La prima precisazione, invero, appare superflua, se si considerano
le cose dal punto di vista formale; ma è sconcertante allorché
si pone mente al fatto che l’uso dei libri liturgici del 1962 non può
essere considerato, soprattutto da dei Cardinali di Santa Romana Chiesa,
come una sorta di benevola sopportazione nei confronti di un gruppo di
poveri preti e fedeli afflitti da patologiche “fissazioni”. Se si trattasse
solo di questo, il Papa avrebbe commesso un grave errore col suo Motu proprio,
perché non è accettabile che si giuochi con la Sacra Liturgia
per soddisfare i malsani capricci di questo o di quel prete, di questo
o di quel fedele. Se invece l’uso dei libri liturgici del 1962 è
una cosa seria, con delle serie motivazioni basate su serie riflessioni
e su legittime aspettative, allora è inconcepibile che la CCDDS
parli di “grande pazienza” che i Vescovi devono dimostrare “nei confronti
dei fedeli che desiderino partecipare alla santa liturgia secondo i libri
liturgici anteriori”. Non pretendiamo certo di imporre il linguaggio, alla
CCDDS, ma ci sembra che, specialmente in questo caso, i Vescovi debbano
piuttosto praticare, e non solo dimostrare, la paterna benevolenza, e non
solo una grande pazienza, nei confronti di alcuni dei loro fedeli, senza
che nulla li induca e li autorizzi a considerarli di serie “B”. Anzi, se
di esercizio della Carità si tratta, come si dovrebbe trattare,
i Vescovi dovrebbero praticare una attenzione maggiore ed una cura particolare
per quei loro fedeli che sono legati alla liturgia tradizionale.
In effetti, però, le cose non sono cosí semplici come
vorrebbe far credere la CCDDS.
Innanzi tutto qui si fa ancora confusione tra l’indulto e il Motu proprio,
e si trascura volutamente l’aspetto piú importante della questione:
i fedeli non chiedono la pratica liturgica secondo i libri del 1962 solo
perché sono “abituati” alla liturgia preconciliare, quasi si trattasse
di una sorta di pigrizia e di un discutibile autocompiacimento, ma anche
perché hanno delle forti riserve circa la liturgia riformata. A
trent’anni dal Novus Ordo e a dieci anni dal Motu proprio non può
essere concesso piú a nessuno di far finta che certi problemi non
esistano. Se fosse cosí, dopo tanti anni, non si parlerebbe neanche
piú della liturgia tradizionale: e invece i problemi perdurano e
sono ancora tutti da risolvere, e si è di gran lunga ampliato l’interesse
nei loro confronti, e vi sono stati i ripensamenti, le autocritiche, gli
studi, gli approfondimenti: tutte cose che hanno confermato la validità
e la serietà delle riserve avanzate dai fedeli tradizionalisti nei
confronti della nuova liturgia. Non è serio e neanche responsabile
far finta di niente.
Che si sfati anche un’altra leggenda. Dopo tanti anni, nostra Sorella
Morte ha provveduto a sfoltire notevolmente il supposto sparuto gruppo
di fedeli “abituati” alla liturgia tradizionale: il fatto è, cosa
oggi molto piú seria e piú complessa di ieri, che i fedeli
tradizionalisti sono giovani: molti hanno fatto l’esperienza della nuova
liturgia come l’unica liturgia della Chiesa, eppure si sono rivolti alla
liturgia antica perché sentono, se non addirittura sono consapevoli,
che questa è cosa del tutto diversa, e piú profondamente
cattolica, e di gran lunga piú idonea a farli sentire piú
prossimi a nostro Signore, di quanto abbiano potuto sperimentare con la
nuova liturgia.
Questo è un fatto: un fatto che trova concordi sia dei laici,
sia dei chierici, entrambi ben lontani dall’aver ricevuto una influenza
“conservatrice” e “nostalgica”, entrambi mossi solo dal bisogno di maggiore
sacralità, entrambi portati a rifiutare la pochezza della nuova
liturgia.
Conoscendo tutto ciò, ma facendo finta che si tratti di qualcosa
di trascurabile, non si serve correttamente la Santa Chiesa, e si trascurano
i segni che nessuno può dire non possano provenire dall’ispirazione
dello Spirito Santo.
Contromanovre vaticane
La diffusione delle notizie e le proteste presentate ai diversi dicasteri
vaticani, e indirizzate per conoscenza anche al Cardinale Ratzinger, hanno
pur prodotto un qualche effetto. Come è logico, nulla si sa dei
colloqui che saranno intercorsi tra i vari prelati, né tampoco si
sa nulla della reazione del Sommo Pontefice.
Fatto è che a Roma, in ottobre, si è tenuta la seconda
assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, e a questo Sinodo
ha partecipato il Rev. Padre Bisig, come uditore, in evidente e dichiarata
rappresentanza dei fedeli tradizionalisti. Egli è intervenuto alla
presenza del Papa e di 153 Padri sinodali, facendo le dovute precisazioni
sul n° 69 del documento di lavoro dell’assemblea, in cui si parlava
dei fedeli tradizionalisti in termini tutt’altro che lusinghieri (riportiamo
a parte il testo dell’allocuzione).
Dal momento che la FSSP ha sede a Wigratzbad in Baviera, nella diocesi
di Augsburg, non stupisce sapere che i Vescovi tedeschi non abbiano gradito
la cosa e abbiano cercato di opporsi in tutti i modi: sapevamo già
che era impossibile che in trent’anni di moderno ecumenismo i luterani
tedeschi non avessero influenzato negativamente il clero della Germania.
Altro che attenzione per i tradizionalisti!
Posizione ufficiale della Federazione Internazionale Una Voce
La Federazione Internazionale Una Voce, dopo aver atteso lo svolgersi
degli eventi, ha interessato ufficialmente la PCED con una lettera privata
(del 22.10.99), esponendo i termini della questione e sollecitando un intervento
risolutore in grado di fugare le preoccupazioni del mondo tradizionale
(riportiamo a parte la lettera).
Nel contempo è stata indetta a Roma un’Assemblea dei delegati,
per discutere della questione. L’Assemblea si è tenuta nei giorni
dal 13 al 17 novembre. Nel corso dell’Assemblea vi è stato un intervento
di Mons. Camille Perl, Segretario della PCED, che ha letto una lettera
di chiarimenti (che riportiamo a parte) in
cui si fanno delle precisazioni già sentite e delle altre che possiamo
definire inaudite:
- I laici non hanno alcun diritto di fare pressioni su una cosa che
non li riguarda
- La PCED ha inteso proteggere i firmatari del ricorso
- Le “Risposte Ufficiali” della CCDDS sono irreprensibili e intangibili
- La concelebrazione col Vescovo è obbligatoria, diversamente
si rifiuta la comunione con la Chiesa.
Come chiarimenti non c’è che dire, se non che si poteva fare
a meno di darli, visto che tutti ormai avevano capito come stanno le cose
e da che parte sta la PCED.
Ovviamente i delegati presenti sono rimasti attòniti di fronte
a tanta prepotenza, e hanno chiesto a gran voce che Mons. Perl spiegasse
e chiarisse i chiarimenti. Ma il Segretario della PCED si è rifiutato
perfino di accettare il dialogo e, indispettito, se non infuriato, ha lasciato
subito l’Assemblea.
A conclusione dell’Assemblea, i delegati di Una Voce Internazionale
hanno votato all’unanimità una risoluzione che è stata notificata
anche alla PCED (riportiamo a parte il testo).
Dei quattro elementi piú importanti di questi “chiarimenti”,
quello che salta piú all’occhio è la reprimenda dei laici.
“…con quale diritto delle associazioni di laici si siano impegnate
in importanti atti di pressione su un argomento che riguarda in maniera
esclusiva un istituto religioso.”
Si potrebbero fare i piú diversi commenti, ma certo è
che Mons. Perl ha appreso alla perfezione la tecnica curiale di nascondersi
dietro la talare. Purtroppo per lui, non è stato San Pio V a inventare
i consigli parrocchiali e quelli diocesani, né è stato il
Venerabile Pio XII a convocare i laici nei Sinodi ponendoli sullo stesso
piano, e anche su un piano piú alto, dei chierici. È facile
richiedere solo ai tradizionalisti il rispetto per la riservatezza delle
cose di Chiesa, che andrebbero sempre lasciate ai chierici, ma è
inconcepibile che una tale richiesta venga proprio da un chierico o da
un organismo della Curia che vorrebbe imporre agli stessi tradizionalisti
i sistemi dei consigli parrocchiali.
Mons. Perl sa bene che la sua ostentata riprovazione era del tutto
fuori luogo, perché sa bene che in tutta la vicenda quelli che sono
presi di mira sono proprio i laici: perché sono i laici tradizionalisti
a sostenere e a incoraggiare gli istituti dell’Ecclesia Dei, è l’esistenza
dei laici tradizionalisti che ha giustificato la nascita e ancora giustifica
l’esistenza apostolica di questi istituti, sono i laici a rappresentare
il lievito della Tradizione in seno alle comunità ecclesiali moderne,
sono i laici che fin dal 1970 si sono alzati per opporre resistenza alle
forze che continuano a demolire il sentire religioso dei cattolici, sono
i laici tradizionalisti che súbito fanno barriera se qualcuno tenta
di infliggere a loro e ai loro preti ulteriori umiliazioni e ferite. Eppure
ha sentito il dovere di manifestarla questa riprovazione, e con lui la
stessa PCED: tradendo cosí timore e preoccupazione. Forse in Curia,
a Roma, certuni non si aspettavano tanta indignazione e tante proteste,
forse non si aspettavano neanche tanta solidarietà tra i tradizionalisti.
Per quanto riguarda gli altri punti di questi “chiarimenti”, abbiamo
già tratteggiato la situazione nelle righe che precedono, ma abbiamo
pensato anche che sia opportuno che si leggano gli articoli
scritti in proposito dal Priore della FS San Vincenzo Ferrer, Padre
Louis-Marie de Blignières (insieme ad un altro
di Padre Nonim, che lo completa), e dal Presidente
di Una Voce Internazionale, dott. Michael Davies; e, dato che i ribelli
sono francesi, due lettere sull’argomento che Padre Guy Gérentet
de Saluneaux, di Lione, a scritto proprio a loro, visto che li conosce
personalmente e molto bene, e visto che conosce altrettanto bene la situazione
francese per l’esperienza dovuta alla sua età e per la frequentazione
assidua della FSSP (Prima lettera - Seconda
lettera).
Inter Multiplices Una Vox
Gennaio 2000 a. D.
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Gli sviluppi della vicenda della Fraternità
Sacerdotale San Pietro - Luglio 2000
Gli sviluppi della vicenda della Fraternità
Sacerdotale San Pietro - Gennaio 2001
Gli sviluppi della vicenda della Fraternità
Sacerdotale San Pietro - Gennaio 2002
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