Intervista a S. Em.za Rev.ma il Card. Darìo
Castrillon Hoyos
Prefetto della Congregazione per il Clero e Presidente della Pontificia
Commissione “Ecclesia Dei”.
Rilasciata alla rivista 30Giorni, nel novembre 2000
Eminenza, si aspettava questa nomina a Presidente della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei?
Come Prefetto della Congregazione per il Clero può immaginare
quanto la mia agenda sia già abbastanza fitta di impegni. Ma l’ubbidienza
è un atteggiamento fondamentale. Ed essere incaricato di questa
delicata materia lo considero un servizio finalizzato a facilitare la piena
comunione ecclesiale di coloro che si sentono legati ad alcune venerande
espressioni liturgiche nelle quali tante generazioni si sono santificate
e che desiderano rimanere uniti al successore di Pietro nella Chiesa cattolica.
Come mai, per la prima volta, per guidare Ecclesia Dei si è
preferito scegliere un cardinale ancora in carica come Prefetto di una
Congregazione?
Evidentemente si è ritenuto opportuno stabilire un certo collegamento
tra la sfera di competenza della Congregazione per il Clero e quella della
Commissione Ecclesia Dei, perché le associazioni di chierici dipendono
normalmente da questa Congregazione. La sua espressione “cardinale in carica”
potrebbe forse sminuire la portata dell’impegno dei miei stimati predecessori,
i cardinali Paul Augustin Mayer, Antonio Innocenti ed Angelo Felici, i
quali hanno, invece, prestato un servizio ammirevole a Ecclesia Dei.
Perché è stato scelto proprio il Prefetto della Congregazione
per il Clero?
La Congregazione per il Clero risale alla Sacra Congregatio cardinalium
Concilii Tridentini interpretum, istituita nel 1564 allo scopo di curare
la retta interpretazione e la pratica osservanza delle norme sancite dal
Concilio di Trento. In un certo senso sarà anche mio compito, quale
Presidente della Commissione Ecclesia Dei, aiutare i fedeli cosiddetti
“tradizionalisti” a meglio scoprire la continuità dottrinale fra
il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano II. D’altronde credo che una
delle urgenze pastorali attuali, per tutti, sia quella di evidenziare che
la Chiesa di oggi è la Chiesa di sempre, che il Magistero procede
in eodem sensu, che non si potrebbe costruire - come già diceva
Paolo VI - la Chiesa di oggi sulle macerie di quella di ieri e che lo Spirito
Santo non può dire in un periodo il contrario di quanto dice in
un altro. Lo Spirito dice cose nuove e cose antiche. Il cristiano fedele,
in questo senso, è necessariamente “tradizionalista” e necessariamente
“aperturista”. I Santi ne costituiscono l’esempio piú sicuro ed
entusiasta.
Negli ultimi mesi la vita all’interno della Fraternità San
Pietro è stata piuttosto turbolenta. A fine giugno lei ha deciso
di nominare d’autorità Arnaud Devillers come nuovo Superiore Generale,
il quale normalmente viene eletto dal Capitolo Generale. Perché
questa specie di commissariamento?
Nella fase attuale ritengo occorra aiutare i membri della Fraternità
a mantenere l’equilibrio fra l’autentica interpretazione del carisma originale,
le sue implicanze, e le conseguenze del loro inserimento nella attuale
realtà ecclesiale. La perseveranza ben comprensibile nella volontà
dei fondatori deve armonizzarsi con le necessità pastorali di tutta
la Chiesa. La legittimità di una posizione particolare propria di
quelli che si sentono legati ad alcune forme della liturgia latina antecedenti
l’ultima riforma liturgica non abolisce e non può togliere a nessuno
il diritto di accogliere la norma liturgica in vigore in tutta la Chiesa.
Non riesco a capire poi il rifiuto sistematico a concelebrare una volta
con l’Ordinario diocesano e i fratelli presbiteri, specie in occasione
della santa messa crismale. Vorrei sottolineare il fatto, da non
dimenticare, che tutti i riti approvati nella Chiesa cattolica non si fanno
reciprocamente concorrenza. Dobbiamo spogliarci di un atteggiamento “hegeliano”
nell’ambito liturgico, secondo cui l’origine e lo sviluppo di un rito so
svolgerebbe soltanto a sfavore di un altro, come se ci fossero tesi e antitesi,
come se si escludessero a vicenda.
Ritiene che l’indulto previsto dal Motu Proprio Ecclesia Dei sia
adeguatamente concesso nella Chiesa? In alcuni Paesi, in Francia per esempio,
c’è chi ne lamenta una scarsa applicazione.
Intanto vorrei esprimere la mia personale gratitudine a tutti i vescovi
che hanno concesso coraggiosamente (di fronte a non poche pressioni contrarie)
e generosamente di celebrare secondo il messale del 1962 nelle loro diocesi.
Non è da escludere che ci siano alcuni Paesi nei quali il motu proprio
potrà essere applicato in modo piú ampio. L’applicazione
del motu proprio dovrebbe orientarsi nel senso di una apertura reciproca
di quanti chiedono quest’eccezione e di coloro che la concedono: i vescovi
si aprano ai fedeli di tale orientamento liturgico e i fedeli si aprano
alla realtà della norma liturgica di oggi. Credo che,
per questo, sia indispensabile formare chierici e fedeli laici rispettosi
delle autentiche norme liturgiche, osservanti dei veri orientamenti della
costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Sarebbe gravemente
ingiusto usare due pesi e due misure.
Alcuni considerano i fedeli legati alla messa cosiddetta di San Pio
V come un residuo del passato. E proprio cosí?
Il passato della Chiesa e il suo tempo presente non possono essere
contrapposti. Sarebbe una ecclesiologia falsa se si volesse considerare
la Chiesa cattolica come un partito politico con fazioni di destra e di
sinistra in perenne conflittualità. I fedeli che esprimono
la loro fede tramite la messa di san Pio V seguono lecitamente l’Eucarestia
in questo rito, in quanto l’autorità competente ha permesso una
tale celebrazione. Si tratta di un rito venerabile, che ha favorito il
fiorire di tanti santi e modellato il volto della Chiesa per molti secoli.
I fedeli non sono mai da considerare un “residuo del passato”. Sono uomini
e donne che meritano rispetto ed ogni piú delicato sforzo pastorale.
Ritiene risolvibile in futuro la crisi lefebvriana?
Con la grazia di Dio ogni crisi è sempre risolvibile. Il
fenomeno del vescovo Marcel Lefébvre è, allo stesso tempo,
una richiesta e un mezzo per l’esame di coscienza su come noi celebriamo
l’Eucarestia, sulla maniera in cui viene espressa la fede all’inizio del
terzo millennio e sulla misura di quanto siamo davvero vigilanti sempre
e dovunque circa la doverosa ortodossia di ciò che affermiamo nelle
omelie e nelle diverse istruzioni o per il tramite degli strumenti di comunicazione.
Se la santa messa e gli altri sacramenti vengono celebrati in maniera degna,
osservando scrupolosamente le norme e le indicazioni contenute nei libri
liturgici, se il Santissimo Sacramento viene custodito con amore e con
la dovuta riverenza, se le nostre omelie sono eco fedele del Catechismo
della Chiesa cattolica e delle dichiarazioni dell’ininterrotto Magistero,
allora avremo già stabilito i migliori presupposti per far avvicinare
alle nostre parrocchie e diocesi tutti quei fedeli che pensano che nella
Chiesa sia stata operata una rottura fra passato e presente. D’altra
parte è un dolore non piccolo rilevare lo spirito ipercritico di
coloro che vorrebbero diventare giudici implacabili di tutta la vita della
Chiesa con un mal celato, oserei dire, catarismo. Dovrebbero ricordare
ciò che dice san Paolo: «Non sei tu che porti la radice, ma
è la radice che porta te» (Rm 11, 18). Sappiamo che la Chiesa
è madre e maestra e dunque possiamo affidarci tranquillamente al
suo giudizio, alle sue decisioni e disposizioni. La soluzione della “crisi
lefebvriana” starà anche nel superamento della diffidenza su ambedue
i fronti e in una fondamentale riacquisizione di fiducia nella Chiesa,
nel suo ministero e nella sua stabilitas invicta.
Cosa pensa del pellegrinaggio giubilare effettuato dai lefebvriani
a Roma nello scorso agosto?
Penso che sia stato un atto di fede apostolica e di buona volontà.
Tutto ciò che è buono unisce e genera altro bene.
È vero che ha incontrato a cena i vescovi lefebvriani ordinati
nel 1988? Perché?
Mi pare semplicemente doveroso favorire la conoscenza, il rispetto,
la cordialità, la sincera fraternità.
Cosa pensa delle affermazioni rilasciate da mons. Bernard Fellay
sul numero di settembre di 30Giorni, e cioè: la disponibilità
di correre a Roma, se convocato dal Papa; la richiesta di un indulto diretto
a tutti sacerdoti per celebrare la messa di san Pio V; la richiesta di
formare una Commissione ad hoc per i lefebvriani?
Il verbo “correre” mi piace moltissimo perché è conseguente
ad un contenuto di fede profonda e penso che il cuore di Pietro sia sempre
spalancato. Per le richieste alle quali lei si riferisce, se verranno fatte,
penso che saranno esaminate con rispetto e nell’ottica dell’autentico bene
dell’intera comunità ecclesiale.
In altre interviste lei ha dichiarato l’intenzione di rivedere alcune
parti del Messale del 1962. Di cosa si tratta?
Non si tratta di “rivedere”. La Commissione può soltanto fornire
delle indicazioni sul buon uso di ciò che è stato concesso
dall’indulto del 1984, e poi dal motu proprio Ecclesia Dei del 1988. Si
pensa ad un testo sull’uso del Messale del 1962, con alcune possibilità
nella linea delle rubriche del 1965, come è già stato concesso
a certe comunità. Si tratterebbe dunque piuttosto di una istruzione
sul modo di usare, con prudenza pastorale e senso liturgico, il rito tale
e quale, e le rubriche che ne regolano l’uso oggi. Quest’ultimo
punto è importante perché dopo il Concilio Vaticano II, certe
acquisizioni liturgiche possono essere valide per tutta la Chiesa, come
ad esempio i lezionari, o i nuovi santi che si vorrebbero celebrare anche
nel rito antico, ecc. Questa istruzione avrebbe per scopo una certa unità
nelle celebrazioni nel rito antico, e favorirebbe anche i vincoli tra le
due tradizioni, nel rispetto dell’identità di ciascuna. Naturalmente
si tratta solo di un progetto ancora allo studio.
In questo anno sono state celebrate nelle basiliche romane cerimonie
giubilari in molti riti, persino in quello mozarabico. Come mai non è
stata prevista una celebrazione secondo il rito tridentino? Nessuno l’ha
chiesto?
C’è stata una petizione in questo senso nel 1998. Ma poiché
era indirizzata al Santo Padre, non solo non ho la competenza per rispondere,
ma ancora di piú, credo che sia un dovere di tutti difendere e rispettare
la libertà del Santo Padre come uno dei beni piú importanti
per la vita della Chiesa. Non sono pochi coloro che hanno sofferto il martirio
per difendere questa libertà: si può rispettosamente proporre,
ma non fare indebite pressioni. In assenza di una risposta, si può
ritenere che in una vita di famiglia non sempre il padre risponde alle
sollecitazioni, e questo non significa che non abbia sentito.
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FS San Pietro
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