Intervista di Mons. Bernard Fellay,
Superiore generale della Fraternità Sacerdotale
San Pio X,
rilasciata alla rivista Pacte, n° 43, marzo
2000
Il testo è stato evidenziato da noi
Monsignore, che ne pensate dei recenti avvenimenti
che hanno sconvolto la Fraternità San Pietro?
Se si vuole comprendere ciò che sta accadendo, ci si può
riferire a quanto affermato da Mons. Henrici, vescovo ausiliare di Coire,
in Svizzera, e segretario della rivista teologica “Communio”:
«Al Concilio si è assistito alla collisione di due Tradizioni,
che fondamentalmente non potevano comprendersi fra loro».
La Fraternità San Pietro ha rifiutato di riconoscere questo
confronto; essa si trova dunque impegnata, suo malgrado, in un processo
implacabile, e direi che ha superato lo spartiacque tra la fase uno
e la fase due. La fase uno che vede una Fraternità San Pietro tranquillamente
in possesso del diritto di usare il rito tridentino, che ne mena vanto,
che si discosta con un certo piacere dagli avvertimenti di Mons. Lefèbvre
e della Fraternità San Pio X, che hanno ricordato come non ci si
possa fidare di Roma. La fase due che vede il manifestarsi dell’irrigidimento
di Roma. Oggi si spiega ai membri della Fraternità San Pietro che
la loro situazione non è cosí come avevano ritenuto di credere.
Mons. Perl lo spiega bene, quando dice: «Il diritto esclusivo
all’antica messa non è mai esistito». Ciò significa
che il rito previsto per la Fraternità San Pietro, come rito della
Chiesa, è la nuova Messa. Il biritualismo non esiste. Per Roma,
il diritto di celebrare l’antica Messa non è un vero diritto, e
neanche un diritto privato, né un privilegio di tale Fraternità;
giuridicamente
è un indulto, una cosa passeggera ed eccezionale. La Fraternità
San Pietro fa parte di questa situazione passeggera ed eccezionale, essa,
in quanto comunità che conserva l’antico rito, non è stabilita
a norma di diritto.
Per convincersene, basta riandare alle motivazioni fornite nel Motu
Proprio per la fondazione di questo istituto da parte di Roma. Il Motu
Proprio “Ecclesia Dei adflicta” esprime una comprensione per coloro che
conservano l’antico rito, ma unicamente nella misura in cui si tratta di
nostalgici, e istituisce uno strumento in grado di facilitare la loro integrazione
nella Chiesa, dopo lo “scisma” di Mons. Lefèbvre. Se ci si attiene
al testo fondatore, la Fraternità San Pietro non ha altra ragion
d’essere se non quella di suscitare tale andamento verso la riforma conciliare;
ed è proprio perché Roma ha giudicato che fosse troppo statica,
che non corrispondesse chiaramente allo scopo per cui era nata, che ha
subito i recenti richiami all’ordine, e che il Segretario di Stato ha sostenuto
il gruppo dei sedici preti della Fraternità San Pietro che hanno
chiesto a Roma, nel giugno 1999, di poter celebrare la nuova Messa. Si
trattava di ottenere una accelerazione nel processo di integrazione, e
questo si è fatto attraverso l’espediente della concelebrazione
della Messa crismale. Malgrado i turbamenti e le reticenze, la Fraternità
San Pietro ha ceduto sui principii a Rocca di Papa. Accettando la nuova
Messa è divenuta súbito una Fraternità diversa. Si
ha un bel dire che si tratta solo di una Messa all’anno, un dato preciso
è stato posto: il primo colpo di maglio è stato sferrato.
Ormai è solo questione di tempo. Con tutta la sottigliezza e
l’abilità di cui è capace, la Curia manterrà la sua
pressione per tutto il tempo occorrente. La Fraternità San Pietro
sarà obbligata ad accettare sempre di piú il nuovo rito,
poiché è divenuto chiaro che il suo fondamento non consiste
nel privilegio che le era stato accordato di celebrare unicamente e liberamente
la Messa antica. La Fraternità ha voluto e vuole crederlo, ma gli
avvenimenti dimostrano chiaramente che la sua sola ragion d’essere, al
di là di quello che possono pensarne le persone, consiste nel favorire
l’integrazione dei fedeli tradizionalisti nella Chiesa conciliare, con
l’accettazione della nuova liturgia. La conclusione si impone da sé:
Mons. Lefèbvre aveva ben ragione di non credere alle false promesse
di Roma…
Grazie Monsignore di questa risposta circostanziata.
Parliamo anche dei vostri progetti.
Come si svolgerà il pellegrinaggio della Fraternità
San Pio X a Roma per l’anno santo?
A fronte del fuoco d’artificio ecumenico, noi intendiamo dimostrare,
con combattività, che la Tradizione non ha avuto inizio nel 1962,
ma ha 2000 anni, e che se oggi essa non vive in armonia col suo passato
si distruggerà da sé stessa. Vogliamo indirizzare al Papa
due testi: uno sulla mostruosa beatificazione di Giovanni XXIII, prevista
per la fine di quest’anno, nella speranza di poterla impedire; l’altro
che fa il punto sull’impegno della nostra battaglia per la Chiesa.
La nostra presenza è una professione di fede, a Roma nei confronti
di Roma. Noi vogliamo affermare la romanità della nostra fede. Le
circostanze fanno sí che la portata di questo pellegrinaggio sia
piú grande di quando Mons. Lefèbvre, nel precedente Anno
Santo del 1975, aveva voluto ci ritrovassimo nella Città Santa.
Certo, vi andremo anche per chiedere tutte le grazie e le indulgenze che
sono legate all’Anno Santo, ma vogliamo proclamarci cattolici, entro la
stessa Roma, checché se ne dica.
Quali sono secondo lei le realizzazioni della Fraternità
San Pio X piú foriere di promesse per l’avvenire?
Sicuramente i seminarii, che sono il cuore della Fraternità
e il nodo della crisi della Chiesa. Si tratta di una crisi del sacerdozio:
se i laici sono in crisi, questa è la conseguenza della trasformazione
della Messa, voluta dal clero. Tutta la crisi della chiesa è
spiegabile con la teologia della nuova Messa: triste riuscita, è
necessario dirlo, ove la si consideri dal punto di vista dell’applicazione
concreta di un principio nella vita pratica. Con il sacerdozio cristiano,
la nostra battaglia è quella della Messa. Vi sono poi le opere di
educazione a tutti i livelli, che formano i futuri figli della Chiesa,
le future famiglie, i futuri eroi cattolici di cui la Chiesa avrà
bisogno.
Qual è il posto dei laici nella battaglia della
Fraternità San Pio X?
Penso che vi sia una interazione: i laici debbono sostenere, in termini
temporali e spirituali, l’opera della Fraternità, poiché
è essa che concretamente li mantiene nella grazia della Chiesa.
Attualmente, date le circostanze, si può dire che i laici vivono
la Chiesa tramite la Fraternità. Quanto alle opere dei laici, mi
sembra che la Fraternità debba svolgere un ruolo direttivo, rispettando
tuttavia il principio di sussidiarità, e cioè le competenze
di ciascuno. Peraltro, in politica, la Fraternità deve ricordare
i principi della Chiesa - quei principi del diritto naturale e del diritto
cristiano che reggono la Città - ma senza immischiarsi direttamente
nelle applicazioni pratiche o nell’azione politica.
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