Intervista rilasciata da Mons. Bernard Fellay,
Superiore generale della Fraternità Sacerdotale
San Pio X,
al mensile 30 Giorni, n° 9, settembre 2000
Eccellenza, Lei è formalmente un vescovo scomunicato. Perché
ha deciso di venire in pellegrinaggio a Roma, con tutta la sua Fraternità,
e di pregare solennemente nella basilica di San Pietro? Perché questa
decisione a favore di un papa che vi ha allontanato dalla comunione della
Chiesa cattolica?
Io non mi considero scomunicato. Questa scomunica non ha valore.Secondo
me è importante aver dimostrato a tutti la nostra volontà
di essere e di rimanere cattolici. Pregare in San Pietro ne è stata
la prova. Per me non v’è alcuna contraddizione. Ma penso che per
i prelati del Vaticano non sia andata cosí: essi avranno percepito
tutto questo come una contraddizione. Tuttavia, la contraddizione, quella
vera, è di aver emesso la scomunica nei confronti di cattolici fedeli
e devoti.
Per effettuare questo pellegrinaggio sono stati necessari due anni
di negoziati con Roma. Sono state accettate tutte le vostre richieste?
All’inizio abbiamo chiesto di poter dire la Messa in San Pietro, ma,
sinceramente, sapevamo bene che ce l’avrebbero rifiutato. Abbiamo chiesto
il massimo per ottenere il possibile.
Non ha mai temuto un rifiuto totale?
A dire il vero, no. Politicamente parlando, non credo che potesse praticarsi
una diversa soluzione, visto il clima attuale della Chiesa. Un “no” del
Vaticano avrebbe prodotto uno scandalo enorme e sarebbe stato in evidente
contraddizione con il suo atteggiamento ecumenico. Si fanno venire a Roma
i capi delle chiese scismatiche e i capi dei non cristiani, e il Papa prega
con loro. Come si sarebbe potuto dire di no, a noi che dichiariamo di essere
e siamo cattolici?
Molti, tuttavia, hanno considerato questo pellegrinaggio come una
provocazione, un tentativo per creare un clima di agitazione e approfittarne
per rimettere in discussione una scomunica che non è mai stata accettata.
Si tratta di questo?
Nient’affatto. Noi siamo cattolici romani, ed è normale per
un cattolico fare il Giubileo.
Il cardinale Ratzinger è intervenuto in questa decisione di
permettervi di venire a Roma?
Non ufficialmente. Io suppongo di sí, ma non ho alcuna prova
di ciò.
Monsignor Fellay, Lei è stato ordinato vescovo il 30 giugno
del 1988, e lo stesso giorno è stato scomunicato latae sententiae.
Il giorno seguente Mons. Lefèbvre, in una intervista, mi ha fatto
questa confidenza “a cuore aperto”: «Queste ordinazioni ho dovuto
farle, perché altrimenti il mio lavoro sarebbe andato perduto, e
con esso la Tradizione della Chiesa. Ma da qui a quattro anni, cinque al
massimo, Roma finirà per trovare un accordo con noi». In effetti
sono passati dodici anni: cos’è accaduto?
È difficile prevedere i comportamenti umani. È chiaro
che la Chiesa non può continuare a tenere per lungo tempo l’attuale
direzione, e un giorno dovrà ritornare alla Tradizione, se non vuol
perdere totalmente la sua credibilità. Mons. Lefèbvre pensava
che questo si sarebbe verificato in breve tempo: come ha detto lei, in
cinque anni. Sfortunatamente sono passati molti anni e noi siamo ancora
considerati fuori dalla comunione.
Quali previsioni può fare oggi?
Previsioni? È piú difficile farne oggi che dieci anni
fa. In Vaticano le diverse tendenze sono piú forti che allora. Quale
di esse prevarrà? La fede ci dice che alla fine sarà l’ordine
a prevalere, ma noi non sappiamo per quale via vi si giungerà. La
situazione è tale che si può immaginare che la ricomposizione
possa avvenire entro un anno, ma anche entro venti.
Lei parla di tendenze diverse che si contrastano in seno alla Chiesa.
E tuttavia si parla spesso di una Chiesa “wojtylizzata”, intendendo con
questo termine il fatto che il Papa ha fortemente segnato con la sua impronta
personale la Chiesa universale, che sembra essere unita e solidale.
Questo è vero. In apparenza regna l’armonia. Ma si tratta
solo di apparenza; di un errore di valutazione. La Chiesa oggi è
piú divisa che vent’anni fa. Vi sono dei vescovi che fanno delle
dichiarazioni contro Roma, e Roma non fa praticamente niente per combatterli.
Vent’anni fa vi erano già delle dichiarazioni del genere, ma Roma
interveniva. Oggi essa non lo fa piú, il che significa ammettere
che ha perduto il suo potere.
Non è singolare che sotto un Papa come Paolo VI, che era considerato
piú progressista degli altri, voi siete rimasti, malgrado le difficoltà,
all’interno della comunione ecclesiale, mentre invece sotto un Papa come
Giovanni Paolo II, accusato da molti di essere troppo tradizionalista,
siete stati scomunicati? Come lo spiegate?
Giovanni Paolo II si presenta sotto due aspetti. Karol Wojtyla ha
una personalità molto complessa. Le sue posizioni sulla morale,
sulla famiglia, sull’aborto, danno una impressione tradizionale. Ma su
degli argomenti come l’ecumenismo e le relazioni col mondo, si trova su
posizioni molto avanzate. Noi siamo felici quando mostra il suo aspetto
tradizionale, ma l’altro ci fa paura. Wojtyla, secondo me, è un
mistero, e forse lo è in parte anche per lui.
Si aspetta che le cose càmbino con un nuovo Papa?
Dio può cambiare i cuori quando vuole. Le cose potrebbero
cambiare da súbito. Spesso ci si dimentica, anche tra i cattolici,
che la Chiesa non è un organismo semplicemente umano, ma essenzialmente
soprannaturale. È questo che costituisce il mistero della Chiesa.
Ci aspettiamo qualcosa di piú da un nuovo Papa? Lo speriamo. Ma
non si può dire niente di piú. L’avvenire è incerto.
Sí, ma il pellegrinaggio a Roma ha avuto degli effetti importanti.
Quando pensa di intraprendere una nuova azione?
Io sono lí che mi chiedo se valga la pena di richiedere una
udienza al Papa. Sarà disposto a riceverci? E ancora: cosa possiamo
aspettarci da tale udienza? E rifletto su questi due interrogativi prima
di decidermi.
Lei ha sempre detto che Roma non poteva ragionevolmente impedire
il vostro pellegrinaggio. È dunque difficile pensare che il Papa
non accetti di riceverLa, non ha mai rifiutato ad alcuno un’udienza.
Sí, ma per me non si tratta di un atto politico, io non voglio
incontrare il Papa per lucrare dei titoli sui giornali. Se incontrerò
il Papa è per parlare della situazione della Chiesa.
Ma non ritiene che in ogni caso possa essere utile incontrare il
Papa per aprire un dialogo diretto?
È difficile dirlo. È possibile, ma non ne sono sicuro.
Vedendo tutto quello che accade nella Chiesa, vedendo come funziona la
Curia romana, sono perplesso. Confesso che sono di fronte ad una scelta
molto difficile, una scelta che non ho ancora fatto. Ma non dico che, per
principio, non voglio vedere il Papa.
E se il Papa La chiamasse?
Se mi chiama, vado. Súbito. Anzi, corro. Questo è
certo. Per obbedienza. Per obbedienza filiale nei confronti del capo della
Chiesa.
Eccellenza, sono sorpreso. Talvolta, in seno alla vostra Fraternità,
sono apparse delle tendenze “sedevacantiste”, in base alle quali il Papa
non viene piú considerato il legittimo capo della Chiesa, o quantomeno
viene messa in discussione la sua autorità. E questo ha spesso reso
piú difficile il dialogo. Lei adesso dice tutto il contrario: è
una novità. Quelle tendenze sono state definitivamente sconfitte?
Non siamo tutti dello stesso avviso. Di fronte all’attuale situazione
qualcuno potrebbe rispondere con minore apertura, in maniera piú
dura. Tra di noi, alcuni potrebbero usare parole piú severe, altri
parole piú concilianti. Ma credo che oggi vi sia una linea generale
uguale per tutti. Non nutro grandi timori.
Tra le altre cose, voi avete pregato per il Papa in San Pietro. Se
si pensa all’asprezza dei propositi manifestati dalla Fraternità
in questi ultimi anni, anche questo è sorprendente.
Neanche su questo punto vi sono stati dei contrasti in seno alla
Fraternità. La nostra posizione è forse un po’ difficile
da comprendere. La riassumo: per noi non vi è che una sola Chiesa,
e il suo capo in terra è il Papa. È normale che noi si preghi
per il Papa, anche se non approviamo tutto quello che fa.
Pensa che se Mons. Lefèbvre vivesse ancora oggi, la sua autorità
faciliterebbe un eventuale ritorno della Fraternità nella piena
comunione con Roma?
L’interrogativo è difficile, e spesso mi domando come si
comporterebbe oggi Mons. Lefèbvre. Egli seguiva due direttrici:
dialogare con Roma e al tempo stesso condannarne gli errori. E noi cerchiamo
di fare la stessa cosa. Sono le questioni dottrinali che creano il problema.
E queste questioni non sono state ancora risolte.
Può dire in poche parole qual è il problema?
Il problema è il seguente: Roma accetta o no la nostra posizione
come una posizione cattolica? Per esempio, sull’ecumenismo. È normale
che si ricerchi l’unione di tutti i cristiani. La desideriamo anche noi:
quando si dice che siamo contro l’ecumenismo si afferma qualcosa di falso.
Non è questa la difficoltà. Ciò che noi mettiamo in
discussione è il metodo impiegato. Un metodo che ha per unico obiettivo
una pacifica coesistenza e non la conversione di coloro che sono nell’errore.
Ora, si esprime un vero desiderio di dialogo solo quando si rimane fermi
sugli elementi dottrinali. Il problema è questo: abbiamo o no il
diritto di dire queste cose? Coloro che ne parlano devono veramente essere
posti fuori dalla comunione ecclesiale? Sfortunatamente, il Vaticano II
ha ingarbugliato le idee di molti nella Chiesa.
Monsignore, siamo realisti. È veramente difficile pensare
che Roma possa dire: col Concilio Vaticano II ci siamo sbagliati. Ed allora,
cosa potrebbe fare concretamente il Vaticano per rinnovare i legami con
voi?
Nelle cose concrete, sulla maniera di risolvere i problemi, la competenza
e l’abilità di Roma sono molto vaste. Il Vaticano è in grado
di trovare la formula appropriata. Lei ha ragione: occorre essere realisti.
Noi non ci aspettiamo che il Vaticano faccia un grande mea culpa e dica
delle cose come: “Abbiamo promulgato una falsa messa”. Non vogliamo che
l’autorità della Chiesa sia ulteriormente indebolita. Lo è
già stata fin troppo: adesso basta. Ma Roma, con i fatti, potrebbe
dare il segnale di un chiaro cambiamento di direzione.
Monsignore, insisto: ci dia un esempio di ciò che ritiene
sufficiente come indicatore di questo cambiamento di direzione. Un esempio
realista, ovviamente.
Un segno molto chiaro sarebbe quello di dare a tutti i preti del
mondo la possibilità, solo la possibilità, di dire la Messa
tridentina. La Messa che per secoli e secoli è stata la Messa della
Chiesa… e che adesso è fuori legge. Non ci sarebbe bisogno di dire
che sono stati commessi degli errori con la nuova Messa: sarebbe sufficiente
concedere a tutti i preti che lo desiderano la possibilità di celebrare
la Messa secondo il rito che preferiscono.
Chiede dell’altro, o questo sarebbe per Lei un segno sufficiente
di ciò che chiama cambiamento di direzione?
Questo è il punto fondamentale.
Ammettiamo che Giovanni Paolo II, o il Papa futuro, decida di permettere
a tutti i preti del mondo di celebrare la Messa , se lo desiderano, secondo
il rito tridentino. Che farebbe allora? Vi sentirebbe autorizzato a chiedere
la rimozione della scomunica?
Se ciò accadesse, in poco tempo cambierebbe tutto l’àmbito
ecclesiale, e sarebbe molto, ma molto piú favorevole ad una totale
armonizzazione.
Questa non sembra, per Roma, una decisione molto difficile da prendere,
in cambio della fine dello scisma. Del resto, questa Messa è stata
per lungo tempo la Messa ufficiale della Chiesa cattolica.
No, non sarebbe difficile. Posso anche dire che Roma stessa, in
una riunione di cardinali, nel 1986, aveva discusso l’opportunità
di prendere questa decisione. Questo significa che il Vaticano ha già
preso in considerazione la possibilità di farlo…
E dunque, se questo accadesse…?
Non voglio parlare di ritorno, perché noi non ci consideriamo
al di fuori. Ma posso dire con certezza che questo cambierebbe tutto. Certo,
cambierebbe tutto se si concedesse a noi e a tutti quelli che lo desiderano
la semplice libertà di dire la Messa che la Chiesa ha sempre detto.
Monsignore, Lei è il Superiore generale della Fraternità.
Quali sono i canali attraverso i quali fate conoscere le vostre richieste
al Vaticano?
Abbiamo solo dei contatti personali con alcune persone che hanno autorità
nella Chiesa. Niente di piú.
È curioso. Si fanno cosí tanti sforzi per il dialogo
con i protestanti e gli eretici e non esiste un canale ufficiale di dialogo
con voi. Siete voi che lo rifiutate?
Io credo che il Vaticano si trovi al cospetto di un problema. Qual
è la Congregazione romana competente per dialogare con noi? Per
un verso, Roma non ha dichiarato ufficialmente scismatica tutta la Fraternità:
ha scomunicato solo noi, i vescovi. Quindi non è certo il Consiglio
per l’Unità dei cristiani che possa occuparsi di noi, poiché
esso intrattiene rapporti con i non cattolici. Si dovrebbe affidare questo
compito a qualcuna delle altre Congregazioni. Ma quale? Non ve n’è
nessuna che possa dirsi competente.
È stata creata una Commissione ad hoc, l’Ecclesia Dei, per
il dialogo con i sostenitori di Lefèbvre che volessero rientrare
in comunione con Roma, dopo le scomuniche; si potrebbe dunque creare una
Commissione ad hoc per voi, o no?
Sí. Si potrebbe. Perché no? Questa potrebbe essere
un’eccellente idea. Posso anche dire ufficialmente, in quanto Superiore
della Fraternità San Pio X, che se fosse proposta una Commissione
del genere, noi saremmo disponibili ad esaminare l’ipotesi di una nostra
partecipazione.
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