Intervista rilasciata da
S. Em. Rev.ma il Card. Jorge Arturo Medina Estévez,
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti,
al quotidiano francese Présent, che
l’ha pubblicata il 9 marzo 2001
Eminenza, in Vaticano voi siete il Prefetto incaricato della liturgia.
La vostra presenza, particolare e solenne, in questo monastero dedicato
al rito tridentino, riveste dunque inevitabilmente una importanza particolare.
Ho conosciuto questo monastero l’anno scorso. Ero venuto per
il trentésimo anniversario della fondazione dell’abbazia Sainte-Madeleine.
Mi avévano chiamato i mònaci, ed allora la Badessa era Madre
Placida. Mi fu richiesto di ritornare per la benedizione della nuova Badessa,
e, dopo aver preso i contatti prescritti dal regolamento, ho accettato.
Io fui ordinato prete prima del Concilio Vaticano II, ed ho celebrato
con l’antico rito per 15 anni. Per me non si tratta di una cosa sconosciuta:
è la Messa della mia giovinezza.
La mia presenza qui testimònia il rispetto e la venerazione
della Santa Sede per l’antica liturgia. Non potrebbe essere diversamente:
poiché essa è stata una fonte di vita per la Chiesa nel corso
di un millénnio.
Questa fonte, non si è sicuramente inaridita?
Dopo la promulgazione del nuovo Messale di Paolo VI, il Messale
di San Pio V aggiornato al 1962 è caduto in disuso. I preti hanno
appreso rapidamente a celebrare secondo il nuovo rito.
Ciò non signífica che abbiamo disprezzato la costituzione
di importanti gruppi di tradizionalisti, ai quali la Santa Sede ha largamente
concesso la possibilità di utilizzare l’antico rito.
In queste circostanze, le famíglie religiose riunite nella Commissione
Ecclesia Dei hanno ottenuto delle parròcchie, nelle quali i Vescovi
hanno accettato che celebràssero i preti della Fraternità
San Pietro. In mérito ritengo che, a poco a poco, si stia determinando
una certa apertura che, all’inízio, sembrava meno evidente.
Negli Stati Uniti esístono delle parròcchie personali
che séguono l’antico rito. Le realtà sono differenti da un
paese all’altro. Ma la realtà di questa sensibilità non è
sospetta.
Perché il Papa non célebra mai secondo l’antico rito?
È una questione di abitúdine. Il Papa célebra
solo secondo il rito romano in vigore.
Io credo che il Santo Padre sia stato ordinato col rito antico, e quindi
lo conosca bene. Forse, di fronte a certe accuse mosse contro il nuovo
rito, egli vuole dimostrare che quest’ultimo è ortodosso.
Talvolta si assiste a degli incidenti che raséntano lo scàndalo.
Per esémpio quando un Vescovo rifiuta per un defunto, anche un prete,
la Messa di eséquie secondo il Messale del 1962.
Se fossi Véscovo accetterei senza esitazioni. Il desidério
di un morente dev’éssere rispettato. E questo è particolarmente
giustificato nel caso di un prete. È una questione di sensibilità.
Ma non diramate delle direttive in questo senso?
Il princípio è che il Vescovo è il Vicario
di Cristo nella sua diòcesi. La responsabilità in matéria
appartiene dunque, innanzi tutto, agli Ordinàrii diocesani. Il Papa
può essere chiamato ad intervenire solo per delle ragioni di forza
maggiore. A fronte di Véscovi diversi, vi sono differenti approcci
nei confronti del problema.
Secondo il Magistero, dunque, qual è la situazione canònica
della Messa tridentina?
Il Santo Padre ha concesso l’uso del rito antico ad alcune
istituzioni. Ma i preti appartenenti a queste comunità, se sono
chiamati ad effettuare delle sostituzioni in una parròcchia del
nuovo rito, debbono celebrare secondo il nuovo rito, per non creare confusione.
Per casi diversi, possono attuarsi delle soluzioni diverse. Non bisogna
erígere a dogma delle cose che non lo sono. È il princípio
di Sant’Agostino: «In necessàriis, únitas; in dúbiis,
líbertas; in ómnibus, càritas» (Nelle cose necessarie:
unità; nelle cose dúbbie: libertà; in tutte: carità).
In ogni caso, è da ricordare che la Chiesa ha sempre dimostrato
una grande sensibilità nei confronti dei moribondi. Se qualcuno
esprime la volontà di avere dei funerali con una Messa secondo l’antico
rito, acconsentire è un segno di carità. È una cosa
brutta erígere a princípii delle cose normali. Ciò
non dovrebbe accadere.
Da quando è nata la nuova Messa, sfortunatamente si è
assistito a dei gravi abusi litúrgici, non era inevitabile che questi
provocassero delle reazioni?
Si tratta di abusi che non sono permessi. Il Concílio
ha dichiarato espressamente: «Nessuno, neanche un prete, può
cambiare qualcosa dei testi litúrgici, salvo i casi lasciati alla
libertà».
Per esémpio: durante la veglia pasquale si possono fare nove
o quattro letture. Lo stesso dícasi per l’uso dell’incenso in certe
Messe non solenni. È possibile aggiúngere o togliere certe
cose, ma all’interno del «sistema», uscirne fuori non è
permesso.
C’è da stupirsi se certi Véscovi lasciano fare?
Innanzi tutto è necessario che ne síano al corrente.
Quand’ero un giovane prete, un anziano Véscovo mi diceva: «Il
Véscovo è l’ultimo ha sapere di ciò che accade nella
sua diòcesi». D’altronde, credo che da un po’ di tempo la
disciplina litúrgica sia migliorata.
La Comunione sulla mano è sempre oggetto di controvérsia?
Non vorrei che se ne facesse un casus belli. Personalmente
ho molto piú peccato con la lingua che con le mani. Non si tratta
dunque di una questione di purezza.
Io preferisco dare la Comunione sulla lingua. Ma se qualcuno me la
chiede sulla mano non la rifiuto. In ogni caso, constato che non è
male che la gente cominci a preferire la comunione sulla lingua. Credo
che il Santo Padre la dia cosí.
Altro oggetto di discussione è la Messa detta «verso
il pòpolo».
Il Card. Ratzinger ha appena pubblicato un libro. Ciò
che mi ha colpito è l’eccezionale profondità della sua visione
storica, per quanto attiene alla liturgia. Egli si sofferma in particolare
su questo problema della Messa “verso il pòpolo”, e sulla posizione
della Croce sull’Altare. Nelle basíliche romane, il Papa célebra
“verso il pòpolo”.
Questo nelle chiese “occidentate”, ma nelle altre?
La basílica di San Pietro, in effetti, è costruita
in modo che l’ingresso sta ad Oriente.
D’altra parte, nelle città moderne, spesso è diffícile
avere delle chiese versus Oriente.
In ogni caso, per quanto mi riguarda, io non guardo mai le persone,
sono solo attento alla celebrazione. Per me, la Messa, in un senso o nell’altro,
è sempre detta versus Deum.
Argomento ancora piú scottante: l’ordinazione delle donne.
Il Papa ha pubblicato un documento a questo propòsito,
documento in cui impegna tutta la sua autorità. Non è un
testo «infallíbile», visto che si tratta di un documento,
ma è definitivo, in quanto corrisponde alla tradizione della Chiesa
di sempre: un no, una volta per tutte, all’ordinazione sacerdotale della
donne.
Pensate che sia possibile che l’attuale discòrdia fraterna
abbia a cessare?
Credo che il Santo Padre voglia fare tutto il possíbile
per eliminare le rotture. Lo aveva chiaramente dimostrato nel memoràndum
che Mons. Lefèbvre aveva firmato, prima di ritirare la sua firma
il giorno successivo.
Le cose che il Papa aveva concesse allora érano enormi. Io penso
che sarebbe disposto a concéderle sempre. Tuttavia, certi problemi
dottrinali dovrebbero essere presi in esame. Qualcuno sostiene la nullità
del rito di Paolo VI: è una cosa eccessiva!
Io prego per l’unificazione. Ma non mi límito a pregare, àttuo
delle iniziative con le quali provo a gettare dei ponti.
La vostra conclusione, Eminenza?
Conosco certi Véscovi latino-americani che sono molto
ben disposti verso i tradizionalisti.
Credo che si debba essere sempre ottimisti, a condizione che si preghi
molto. I problemi piú diffícili da risòlvere sono
quelli relativi alla sensibilità.
Ognuno tende a vedere dietro a delle semplici abitúdini, delle
intenzioni eterodosse…
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