LETTERA DI MONS BERNARD FELLAY,
SUPERIORE GENERALE DELLA FRATERNITÀ SAN PIO
X,
AGLI AMICI E AI BENEFATTORI
maggio 2001
(le sottolineature sono nostre)
Lettre aux Amis et Bienfaiteurs - n°60 - mai 2001
Cari amici e benefattori,
Questa lettera vi giunge con molto ritardo. Non volevamo inviarvela
senza comunicarvi delle novità il piú precise possibile sullo
stato delle nostre relazioni con Roma. Mi sembra che adesso sia giunto
il momento.
Molte voci sono circolate, e anche molte voci false. Noi comprendiamo
bene che questa questione è estremamente importante e può
determinare il nostro futuro. Vi illustriamo qui diversi aspetti della
questione.
Da parte nostra, siamo emarginati dalle autorità romane, per
non dire rifiutati a causa delle nostre posizioni dottrinali: il rifiuto
del Vaticano II e delle riforme postconciliari.
Quando diciamo di rifiutare il Concilio, non intendiamo dire che
rigettiamo totalmente la lettera di tutti i documenti conciliari, che per
la maggior parte contengono delle semplici ripetizioni di ciò che
è già stato detto nel passato. Ma attacchiamo il nuovo linguaggio
introdotto in nome della pastoralità del Concilio. Questo nuovo
linguaggio, molto meno preciso, vago, veicola un altro pensiero filosofico,
fondamento di una nuova teologia. Esso rigetta la stabile attenzione sull’essenza
delle cose per fondarsi sul loro stato d’esistenza, necessariamente mutevole,
molteplice, piú difficile da cogliere nella sua molteplicità.
Tratta e considera necessariamente il cambiamento e il movimento come appartenente
alla vita di ogni essere, anche alla Chiesa. I dogmi intangibili divengono
suscettibili di correzione, di miglioramento… li si costringe nell’epoca
in cui sono stati formulati per pretendere di limitare l’ampiezza della
loro obbligazione… l’eodem sensu, e l’eademque sententia
divengono obsoleti.
La tentazione di assolutizzare il particolare, la persona, è
grande… e alla fine l’uomo viene posto al centro e Dio ad un lato. È
una nuova religione che appare.
Il modernista è molto abile a non parlare di opposizione. Egli
la presenta come un arricchimento rispetto ad una povertà ormai
superata dai nuovi concetti. Quasi tutti i termini: redenzione, grazia,
rivelazione, sacramento, mistero, ricevono una nuova accezione.
Nella vita della Chiesa, tutto ciò si tocca con mano nella nuova
liturgia, coreograficamente centrata sull’uomo e non piú diretta
gerarchicamente verso Dio tramite la mediazione del prete. Del sacrificio
non si parla piú e a questo termine si preferisce quello di eucarestia,
che un tempo era limitato ad indicare l’ostia consacrata; l’idea dominante
è quella di cena, banchetto.
In questi cambiamenti vediamo anche l’origine del tracollo di cui soffre
oggi la cristianità, la causa della crisi che attraversa la Chiesa
cattolica. La libertà religiosa è radicalmente incapace
di opporsi al movimento di secolarizzazione che caratterizza il mondo moderno,
un mondo senza il vero Dio, e che si fa dio. Poiché, recisa la dipendenza
della creatura dal suo creatore, per meglio affermare la sua indipendenza
e la sua libertà, essa non può piú fondare la dipendenza
innata, assoluta della creatura nei confronti di Dio. Per salvare la
persona dal totalitarismo dello Stato moderno, la Chiesa ha voluto affermare
una superiorità della persona e della sua libertà, senza
riuscire a conciliare questa libertà reale con l’assoluta dipendenza
da Dio. Necessariamente, il peccato, questo male della creatura che si
ribella contro il suo Creatore, non è piú capito, la responsabilità
della creatura diviene sfumata, e la redenzione, la risposta di Dio a questo
male, ne risulta totalmente cambiata.
Tutta la vita umana diventa molto piú facile, comoda; i comandamenti
di Dio passano nel dimenticatoio; la disciplina, il rigore, l’austerità
e la rinuncia, spariscono. La grandezza della persona umana cosí
fondata, la relazione di questa persona con Dio, la religione, rivestono
una considerazione tutta nuova. La considerazione della persona e dei suoi
atti si pretende talmente positiva, ci si sforza cosí tanto da riscontrare
dappertutto i “semi del Verbo”, e oggi il pensiero della salvezza universale
è profondamente radicato in molti cattolici; e le cerimonie e le
dichiarazioni ecumeniche e interreligiose non fanno che rafforzare questa
nuova visione, che sviluppa un impressionante indifferentismo, almeno di
fatto.
Da qui il nostro fiero attaccamento a tutto ciò che la Chiesa
insegnava in un passato ancora recente, a tutto ciò che presiedeva
alla vita cristiana e che oggi si descrive come superato, vecchiotto, polveroso,
limitato.
Noi non neghiamo che un certo cambiamento è proprio della
vita di ogni società, e quindi anche della Chiesa, ma affermiamo
che il melo produrrà delle mele, ed è assurdo attendersi
dei cambiamenti tali che il melo produca improvvisamente delle noci di
cocco.
La nostra vita cristiana produce dei frutti di salvezza innegabili,
anche Roma lo riconosce. Che vi sia una grave crisi nella Chiesa, una perdita
spaventosa nella predicazione della dottrina, un disinteresse da parte
del popolo cristiano, Roma lo riconosce ugualmente. Che uno dei motivi
dell’avvicinamento da parte del Vaticano possa fondarsi in queste due considerazioni,
non è da escludere, e se Roma ci chiama come pompieri per aiutarla
a spegnere il fuoco, noi non ci facciamo indietro, ma prima di impegnarci
con l’incendio ci permettiamo di chiedere che si chiuda il gas, fonte dell’incendio.
Ma in fondo, la ragione degli approcci romani è un’altra.
Da parte di Roma, la preoccupazione del momento è la cura dell’unità.
Tutti gli sforzi ecumenici tendono a questo: gli atti audaci, sorprendenti,
scandalosi si susseguono per provare ad avvicinare i cristiani disuniti,
lacerati. La decisione di superare le differenze dottrinali con degli atti
liturgici comuni è parecchio indicativa della nuova attitudine ecumenica.
E questa fa pensare seriamente alla volontà di relativizzare i problemi
concettuali a favore della vita; e in ogni caso, la volontà di superare
i problemi dottrinali tramite l’azione, è cosa esplicitamente dichiarata.
Probabilmente è qui che occorre trovare il motivo dell’approccio
fatto dal Vaticano fin dallo scorso autunno.
Ci viene proposta una soluzione pratica che non si sofferma sui
punti controversi. Senza negare la loro esistenza, e senza rifiutare che
questi punti siano trattati piú tardi, ci si invita a “rientrare
nell’ovile” senza piú indugiare. E ci si offre, come segno di benevolenza,
una soluzione accettabile, una situazione che in effetti ci converrebbe
perfettamente dal punto di vista pratico.
E tuttavia ci vediamo costretti a rifiutare l’offerta. Per le seguenti
ragioni: tutta la nostra storia dimostra quanto noi si sia un segno di
contraddizione, quanto la nostra semplice esistenza susciti reazioni talvolta
molto violente, odiose da parte di cattolici, soprattutto da parte della
gerarchia. L’attitudine di parecchi vescovi disponibili per un verso a
qualsiasi ecumenismo, e per l’altro pronti ad assumere una durezza indefinibile
nei nostri confronti, stona pesantemente.
Noi soffriamo di questa situazione in quasi tutte le nostre famiglie,
divise. Ma questa divisione non può risolversi con un semplice accordo
pratico. Noi siamo portatori di questa contraddizione senza volerlo, e
un accordo pratico non cambierebbe nulla. Ed allora occorre risolvere il
problema. In fondo, Roma non comprende il nostro atteggiamento nei confronti
della nuova Messa e delle riforme; essa considera tutto questo come la
manifestazione di uno spirito limitato, irrigidito.
E quando cerchiamo di affrontare la questione di fondo, ci ritroviamo
nuovamente davanti ad un muro: non ci si permette di parlare contro le
riforme, contro il Concilio; si tollererebbe certo una limitata messa in
discussione, ma sicuramente non l’ampiezza e la gravità dei nostri
appunti.
In altre parole, se noi accettassimo oggi la soluzione proposta
da Roma, domani ci ritroveremmo esattamente con gli stessi problemi.
Per noi, che siamo e che vogliamo restare cattolici, la separazione
apparente è meno importante a confronto del problema maggiore che
scuote la Chiesa, e di cui proprio noi siamo, nostro malgrado, un segno
molto rilevante. Per Roma, regolare la questione dell’apparente separazione
è di primaria importanza, ed è questa che dev’essere regolata
prima di tutto; si parlerà dopo delle questioni dottrinali. Facendo
cosí, Roma ha effettivamente mutato la sua posizione nei nostro
confronti, e cerca veramente una soluzione, ma per noi questa è
di secondaria importanza. Certo, siamo desiderosi di veder finire
questa crisi, siamo desiderosi di risolvere l’opposizione con Roma, ma
questo presuppone un diverso approccio della questione.
L’incomprensione della nostra posizione da parte di Roma è
tale che domani finiremmo col subire esattamente lo stesso trattamento
della Fraternità San Pietro, imbalsamata, condotta lentamente ma
sicuramente dove essa non voleva andare: verso il Vaticano II e la riforma
liturgica. Se la Fraternità San Pietro e gli altri movimenti dell’Ecclesia
Dei finiranno bene o male col sopravvivere, sarà proprio grazie
al nostro atteggiamento risoluto.
Certamente: noi siamo riconoscenti per l’approccio di Roma, ma riteniamo
di dover affermare che le cose non sono sufficientemente mature per andare
avanti. Le ragioni invocate per rifiutarci quello che abbiamo chiesto come
presupposto della nostra fiducia, sono del tutto significative. “Questo
susciterebbe troppe opposizioni, significherebbe sconfessare tutto il lavoro
postconciliare”.
C’è ancora da fare un lavoro immenso, ed è per questo
che non rifiuteremo una vera discussione con Roma per affrontare le questioni
di fondo.
Fin qui ci siamo arrivati.
Noi desideriamo profondamente l’Unità del Corpo Mistico; la preghiera
di Nostro Signore: “che tutti siano uno”, è sicuramente anche il
nostro programma, ma se la pratica della carità aiuta molto e può
far progredire vantaggiosamente la causa dell’unità, è solo
quando si sia stabilito l’accordo delle intelligenze che è possibile
realizzare l’unità delle volontà verso il fine comune inteso
come tale.
“Gli occhi elevati al cielo, rinnoviamo spesso, per tutto il clero,
la stessa supplica di Gesú cristo: Padre santo, santificali. E ci
rallegriamo al pensiero che un gran numero dei nostri fedeli di ogni condizione,
preoccupandosi vivamente del vostro bene e di quello della Chiesa, si uniscano
a Noi in questa preghiera; e non ci è meno gradito sapere che vi
sono anche molte ànime generose, non solo nei chiostri, ma anche
nel seno stesso della vita secolare, che, con ininterrotta oblazione, si
offrono come vittime sante a Dio per questo scopo. Che l’Altissimo gradisca,
come un soave profumo, le loro preghiere pure e sublimi, e non disdegni
le nostre umili suppliche; che ci venga in aiuto, con la sua misericordia
e con la sua provvidenza, lo supplichiamo, e che effonda su tutto il clero
i tesori di grazia, di carità e di ogni virtú contenute nel
Cuore purissimo del suo Figlio prediletto”. (San Pio X, Haerente
Animo).
Ci raccomandiamo con forza alle vostre preghiere, e non dubitiamo che
abbiate già molto pregato perché la Chiesa ritrovi il suo
volto, senza rughe, eterno, che irraggia la santità di Dio e infiamma
tutta la terra del fuoco dell’amore di Dio che ci ha tanto amato. Che Nostra
Signora, che presiede cosí chiaramente ai destini della Chiesa in
questo inizio di secolo, vi protegga e vi benedica col Bambino Gesú,
cum prole pia, come dice la liturgia.
+ Bernard FELLAY
Superiore generale
Menzingen, nella Festa di San Pio V
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