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BRANI DI UNA OMELIA PRONUNCIATA DA
MARZO 2001 (le sottolineature sono nostre)
Mons. Bernard Tissier de Mallerais è uno dei quattro Vescovi
della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel
1988.
La battaglia di Mons. Lefèbvre per il sacerdozio si concretizza ben presto nella battaglia per la Messa. Nel 1969, piú di trent’anni fa, fu istituita dal Papa Paolo VI una nuova Messa. Una Messa ecumenica, una Messa ambigua, una Messa protestantizzata, e quindi Mons. Lefèbvre disse: no. Egli rifiutò questa nuova Messa, e la criticò. Diede inizio a delle iniziative per impedirla, per farla fallire fin dal suo nascere. Ma non ci riuscí. Essa venne imposta con la forza. Molti preti ne morirono di dispiacere. Un martirio spirituale del dovere: o obbedire e dire la nuova Messa o rifiutarsi di dirla e dar segno di disobbedire al proprio Vescovo, cosa che non vollero fare. Lo stesso martirio spirituale che colpí mons. Lefèbvre. Nel 1974, in visita a Ecône, diceva all’abbé Aulagnier: “Prevedevo che ci sarebbero stati dei contrasti, e avrei preferito morire piuttosto che oppormi al Papa”. Ecco lo spirito con cui ha combattuto mons. Lefèbvre: “Avrei preferito morire piuttosto che oppormi al successore di Pietro, e tuttavia è necessario”. E mons. Lefébvre fu anche l’uomo suscitato dalla Provvidenza per resistere a Pietro, come già Paolo resistette a Pietro: “Tu non segui la verità del Vangelo”. Fu cosí che ebbe inizio la contrapposizione col Papa, contrapposizione che ancora perdura. Un anno fa mons. Fellay, successore di mons. Lefèbvre, ha scritto
una lettera a Sua Santità Giovanni Paolo II, rimproverandogli di
non aver fatto penitenza, di non essersi pentito per Assisi. Non v’è
stato alcun pentimento per il pentimento. Tuttavia, non disperiamo.
Chissà che un giorno non vedremo i segni inequivocabili di un ritorno
di Roma alla tradizione. Non sappiamo se questi segni ci si presentano
oggi. Siamo molto prudenti e inquieti. Non siamo di quelli che, presi da
un entusiasmo esagerato, pensano che da qui a qualche settimana o a qualche
mese tutto si aggiusterà. “È necessario che la tradizione
ritorni a Roma”, diceva mons. Lefèbvre nel 1988 prima delle consacrazioni.
Non basta che ci diano la Messa, occorre che l’accettino con convinzione.
Diceva mons. Lefèbvre: non basta che si tratti di una manovra, occorre
che la concedino con convinzione: che la dichiarino libera, perfettamente
libera, con una certa stima a causa della tradizione. A queste condizioni
avremo un primo segno della Provvidenza: il cielo della Roma eterna, oscurato
dalle tenebre del modernismo, incomincia a schiarirsi.
Ricordiamo con attenzione le parole di mons. Lefèbvre: “La corruzione della S. Messa continua a corrompere il sacerdozio cattolico”. Vorremmo che Roma lo comprendesse: non si può conservare la nuova Messa che è l’espressione di un nuovo sacerdozio, del sacerdozio comune dei fedeli, un sacerdozio che nasce dal popolo di Dio e non un sacerdozio tutto divino, derivante da una scelta di Dio, da uno speciale Sacramento, quello dell’Ordine, il quale conferisce al prete un potere spirituale che nessun altro cristiano possiede col suo battesimo. È questo che si è voluto confondere con la nuova Messa: il sacerdozio comune dei fedeli, consistente nel loro battesimo, e quindi nella possibilità di ricevere i sacramenti, col sacerdozio gerarchico del prete che consiste nel poter celebrare la Messa e nel tenere sull’altare la divina Vittima del Calvario. Sono due cose del tutto diverse. Lo vedete bene, cari fedeli. Non possiamo confondere il sacerdozio per eccellenza, il sacerdozio del prete, col sacerdozio in senso lato, in senso metaforico, il sacerdozio dei fedeli. È questo che si è voluto fare con la nuova Messa, nella quale l’altare è capovolto, tutti stanno intorno all’altare, si stabilisce un dialogo tra il presidente e il popolo radunato, nella quale non esiste piú quella espressione gerarchica dell’unicità del prete che solo può celebrare la Messa, mentre i fedeli possono solo unirsi al sacrificio di Gesú Cristo. È questa la battaglia essenziale: la battaglia per la Messa. Ed allora è necessario che Roma comprenda questa battaglia, l’ammetta, torni indietro. Non basta che ci conceda la Messa, occorre che l’abbracci, che la stimi. È arrivato questo giorno? Mons. Lefèbvre diceva anche: “Io sono solo un Vescovo cattolico che ha trasmesso la fede, e sulla mia tomba saranno incise queste parole: Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Ecco la tradizione che mons. Lefèbvre ha dato ai suoi figli, ai preti e ai Vescovi che ha consacrato. Trasmettere ciò che lui stesso aveva ricevuto dalla Chiesa. È questo, cari fedeli, il ruolo del Vescovo, del prete: non farsi apostoli di una nuova dottrina, ma predicare ciò che è stato sempre predicato, insegnare ciò che è stato sempre insegnato. E anche per il Santo Padre, il successore di Pietro, il Vicario di Gesú Cristo - e Dio sa se siamo legati al soglio di Pietro - non dimentichiamo che il suo potere è contenuto entro dei limiti: e cioè nel trasmettere fedelmente e nel conservare santamente il deposito della Fede, e non certo nello scoprire una nuova dottrina per mezzo dello Spirito Santo. Ora, quali sono queste nuove dottrine? La nuova Messa, la Messa del popolo di Dio radunato, l’ecumenismo, la libertà religiosa. Occorre che anche su questi argomenti Roma si converta, occorre che Roma riconosca di aver sbagliato strada con l’ecumenismo, riconoscendo la divinità del paganesimo, dichiarando che Cristo è il compimento di tutte le religioni, errore, questo, molto grave, una eresia, riunire tutte le religioni ad Assisi per far pregare i loro falsi dei e compiere i loro falsi culti. Occorre che vi sia un pentimento sull’ecumenismo, cosí come occorre che vi sia un pentimento per la libertà religiosa, che è un insulto a nostro Signore Gesú Cristo, il solo che abbia diritto di regnare pubblicamente nella società, diritto che non appartiene alle altre religioni, tranne forse quello di essere tollerate per il bene pubblico, ma non certo un diritto naturale che verrebbe loro dall’essere religione; ed allora si saprà chiaramente che si tratta di false religioni, che distolgono le ànime dalla vera religione, dalla grazia di nostro Signore Gesú Cristo, dall’adesione al magistero di Pietro. Ecco, cari fedeli, una battaglia che dobbiamo continuare a combattere:
ricordare Roma a Roma.
Ierusalem qui aedificatur ut civitas. Gerusalemme è edificata
come una città.
+ Bernard Tissier de Mallerais
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