BRANI DI UNA OMELIA PRONUNCIATA DA
MONS. ALFONSO DE GALARRETA
GIUGNO 2001
(le sottolineature sono nostre)
Mons. Alfonso de Galarreta è uno dei quattro Vescovi della
Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988.
Attalmente è Superiore del Distretto di Spagna e Portogallo
della Fraternità San Pio X
il Seminario della Fraternità a Ecône.
L'omelia è stata pronunciata nel Seminario di Ecône,
il 3 giugno 2001.
In essa Mons. De Galarreta ha parlato dei recenti contatti tra la
Fraternità San Pio X e Roma.
Vorrei presentarvi il mio punto di vista circa i contatti che abbiamo
con Roma.
Roma ha presentato una risposta ufficiale per iscritto, in cui rifiuta
le due condizioni che abbiamo poste.
Fin dall’inizio noi volevamo una discussione sui problemi della Fede,
sull’attuale apostasia, sulla dottrina, sulla teologia…
Le autorità romane hanno invece impresso ai contatti un orientamento
pratico, puramente pratico. Cosa che non ci interessava, anche perché
sapevamo bene quale sarebbe stato lo sbocco.
In questa lettera, il Vaticano pone in maniera implicita le condizioni
di sempre, e cioè l’accettazione del Concilio, della nuova Messa,
della nuova liturgia. In breve: l’accettazione di tutte le riforme e di
tutti gli sviluppi derivati dal Concilio. Come vedete, si ritorna alle
condizioni di sempre. Cosa che, evidentemente, è impossibile da
accettare. Ci si dà tutto e ci si toglie tutto: è solo un
inganno. Ci si propone di riconoscerci per quello che siamo, ma ci si vieta
di opporci a tutte le riforme. Mentre per noi si tratta di una condizione
sine qua non.
Diciamo loro: visto che volete porvi da un punto di vista puramente
pratico, lasciando da parte la dottrina, riconosceteci per quello che siamo
e dateci la libertà di parlare contro tutte queste cose. Essi invece
pongono la stessa condizione, ma al contrario. Dunque il problema di fondo
rimane.
Naturalmente noi ci atteniamo ad esso.
Occorre dire che possiamo constatare che a Roma, tra coloro che si
interessano a noi, vi sono essenzialmente due diverse tendenze: quella
dei modernisti speculativi, piú intellettuali e quindi piú
logici, piú coerenti, e anche piú settarii, e quella dei
modernisti pragmatici, piú pratici, evidentemente piú conservatori
poiché si adattano alle realtà, quindi piú accomodanti
nei nostro confronti, ma anche piú falsi, piú doppi. Non
parlo delle intenzioni, ma parlo obiettivamente, guardando i fatti: guardando
alle posizioni delle persone, indipendentemente dalle intenzioni o dai
desiderii.
Il grande pericolo per noi non è che si ceda sulla dottrina
- non v’è nessuno che sia prete che ceda sulla dottrina, questo
è fuori discussione - non è questo il problema, quanto piuttosto
di scambiare la realtà con i nostri desiderii, di credere possibile
l’impossibile, e dunque di credere che Roma ci offra ciò che invece
non ci offre. Attualmente le cose sono chiare come il sole, non v’è
alcun possibile dubbio, poiché è Roma stessa che pone certe
condizioni.
La realtà è quella che è, vedremo se le cose andranno
altrimenti. È un peccato, ma è cosí che stanno le
cose.
Dunque, a Roma vi sono queste due tendenze moderniste: una speculativa
e una pratica. Ma non bisogna dimenticare che il modernismo è stato
imposto alla Chiesa per via pratica. La nuova Messa, per esempio, è
stata allestita, è stata creata quasi dal niente, da un gruppo di
teologi e di liturgisti, da una élite, e nessuno la voleva! Quando
mons. Bugnini presentò ai Vescovi la sua Messa normativa, dopo il
Concilio, due anni prima della promulgazione della Messa nuova, questi
Vescovi la rigettarono a maggioranza; e tuttavia si trattava della stessa
Messa che ha imposto Paolo VI; e questo perché questa élite
aveva le sue idee e aveva approntato una liturgia, un culto, in consonanza
con una nuova teologia, con una nuova religione. Ebbene, per far passare
questa nuova Messa, essi hanno agito in termini pratici, nonostante la
maggior parte dei fedeli, dei preti e dei Vescovi non la volessero. Il
modernismo si è introdotto nella Chiesa in questo modo pratico,
non per dei preventivi convincimenti. Solo l’élite era guasta.
A suo tempo Cranmer aveva agito allo stesso modo per introdurre il
protestantesimo in Inghilterra. Siamo di fronte ad una situazione identica.
Ed ecco che Roma ci tenta di nuovo. Ci dà tutto, ma vuole
che noi si avalli il Concilio. Come dire alla polizia: potete parlare contro
il furto, contro il crimine…, ma non potete toccare un solo ladro, un solo
criminale; dovete rispettare i suoi diritti ed essi faranno come vogliono.
Come se ci si dicesse: potete giuocare ai Don Chisciotte, andare contro
i mulini a vento, perseguitare gli intelletti, in astratto, ma non toccate
le realtà. No, noi non possiamo: è un problema di Fede, molto
semplicemente. Non è una questione di persone, o di obbedienza,
o di carità, né di disciplina, o di rispetto, né di
questo o di quello: è un problema di Fede. E mai accetteremo un
accordo pratico che avesse come condizione di far tacere la voce della
Tradizione, la voce della Fede cattolica.
Non possiamo niente contro la verità, ma dobbiamo difendere
la verità. Ci si chiede di tacere, e la nostra risposta non può
che essere negativa. E tuttavia possiamo lasciare una porta aperta per
ribadire le nostre obiezioni nel dominio dottrinale, nel dominio della
Fede.
Certuni potrebbero dire: ma allora non bisognerebbe avere nessun
contatto. Io dico: no, o meglio, dipende. È una questione di prudenza.
Per principio occorre averli, poiché è possibile che Dio
accordi la sua grazia ad alcuni di essi, noi non lo sappiamo. In questo
caso è nostro dovere rendere testimonianza alla verità, e
rendere ragione della nostra posizione e del nostro atteggiamento, e questo
a Roma o dovunque, ma soprattutto a Roma…
+ Alfonso de Galarreta
Ecône, 3 giugno 2001
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