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Posizione ufficiale della Fraternità San Pio
X
maggio 2001 (le sottolineature sono nostre)
Questo testo è apparso in Cor Unum, n. 68 (febbraio
2001).
Cari membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X Tra gli avvenimenti che hanno segnato la vita della Fraternità in questi ultimi mesi, bisogna certamente menzionare lo sviluppo delle relazioni con Roma. Come avete potuto leggere nel nostro comunicato di gennaio, il Vaticano ci ha avvicinato alla fine dell’anno scorso, nella persona del Cardinale Castrillon Hoyos, e ci ha presentato una proposta di accordo. Di essa erano tracciate solo le grandi linee, ed era un po’ presto per potervi comunicare qualcosa di concreto; ma alcune indiscrezioni provenienti dall’àmbito dell’Ecclesia Dei ci hanno costretti a parlarne per comunicarvi ciò di cui eravamo allora a conoscenza. In séguito, abbiamo ottenuto da Roma delle precisazioni sul progetto.
Ma prima di intraprendere realmente ogni discussione, abbiamo chiesto al Vaticano due condizioni: si tratterebbe di dare a tutti i preti del mondo la possibilità di celebrare la Messa tridentina, dichiarando che questa Messa non è mai stata abrogata ed è legittima. Ed abbiamo anche chiesto che sia ritirato il decreto di scomunica. Illustriamo dopo le ragioni di queste due garanzie. Sembra che Roma non abbia difficoltà ad accettare la seconda
condizione, ma per la prima ésita.
Cosí, malgrado l’ottima proposta avanzata da Roma, abbiamo
deciso di sospendere ogni discussione per un certo tempo.
L’insieme dei fatti, al pari dell’inizio dei negoziati, richiedono numerose
considerazioni, a diversi livelli: in primo luogo l’atteggiamento generale
di Roma. Secondariamente il perché delle garanzie. E terzo il nostro
comportamento.
L’atteggiamento di Roma. Perché Roma avanza oggi tali proposte? Bisogna vedervi necessariamente
un’intenzione maligna?
Ma se l’intenzione dei nostri interlocutori romani giuoca un ruolo molto
importante nell’esame della situazione, non si può dire lo stesso
della buona fede o della buona volontà, che non vi giuocano alcun
ruolo. E per risolvere la questione dell’opportunità delle discussioni
romane, non basta l’esame dell’intenzione dei nostri interlocutori; occorre
che ci portiamo in un dominio piú obiettivo, quello dei fatti.
Quanto alla linea generale, non vediamo alcun atto o documento che possa indicare un cambiamento di direzione a Roma. Al contrario, l’anno giubilare ha portato a termine tutto il programma previsto e annunciato dal Papa Giovanni Paolo II già da sei anni. Un’ecumenismo sfrenato che abbiamo giustamente deplorato e contestato. La richiesta di perdono, la giornata dei testimoni della fede e la beatificazione di Giovanni XXIII, ne sono gli esempii piú eclatanti; essi manifestano la volontà del Papa e dimostrano la sua determinazione, che non è diminuita malgrado la sua malattia, che avanza anch’essa. Il riferimento a cui si rinvia per giustificare gli atti e le dichiarazioni è sempre il Concilio Vaticano II e il suo spirito. In questa fine di pontificato, vi sono molti malcontenti nella Curia, e un certo numero lo sono per delle buone ragioni, ma le vere buone volontà sembrano pesare assai debolmente a fianco del male immenso che si continua a fare. Se è vero, per esempio, che il documento del Cardinale Ratzinger, Dominus Iesus, ricorda un buon numero di verità tradizionali in una maniera inusitatamente forte, è anche vero che lo stesso documento contiene tutte le novità del Vaticano II per quanto attiene alle relazioni con le altre religioni, cristiane o no. Inoltre, le diverse operazioni intraprese contro la Fraternità
San Pietro e gli altri movimenti dell’Ecclesia Dei in questi ultimi due
anni, dimostrano con molta chiarezza che l’intenzione di Roma è
di giungere a far condividere a tutti i soggetti dell’Ecclesia Dei adflicta
sia il Vaticano II sia la nuova liturgia. Tutte le garanzie circa la conservazione
dell’“identità” non servono a rassicurarci, né peraltro rassicurano
gli stessi membri della Fraternità San Pietro o di Una Voce, come
certuni ci hanno fatto sapere discretamente. Non solo lo stesso Cardinale
Castrillon, incaricato direttamente dal Papa per regolare la nostra questione,
decapita la Fraternità San Pietro, perché «il suo Superiore
ha voluto imporre un giuramento contro la nuova Messa», ma prepara
delle modifiche del rito atte a renderlo chiaramente piú simile
alla Messa nuova. Per quanto ne sappiamo, si tratterebbe di introdurre
nella Messa tridentina il nuovo calendario e i nuovi lezionarii (Il Cardinale,
con noi, ha negato tale intenzione, ma in ottobre, in una lettera a Michael
Davies, egli ha parlato della preparazione di adattamenti che saranno introdotti
al momento opportuno; in generale si parla dell’adozione delle rubriche
del 1965). Nella stessa lettera al Presidente di Una Voce Internazionale,
egli scrive che, tra le condizioni elencate nel decreto d’indulto del 1984
(Quattuor abhinc annos), la sola che l’Ecclesia Dei considera ancora
in vigore è la «nullam partem»: si concederà
la celebrazione della Messa antica solo a coloro che non hanno alcun rapporto
con quelli che mettono in discussione l’ortodossia e la legittimità
della nuova Messa.
In tali frangenti, come interpretare il gesto di Roma nei confronti della Fraternità San Pio X in questa fine del ventesimo secolo? È chiaro che l’approccio di Roma si presenta come un trabocchetto. Ed è per questo che nel nostro comunicato abbiamo parlato di «estrema sfiducia». Tuttavia, la situazione si complica ulteriormente per il fatto che in questa fine di pontificato regna sempre piú fortemente una sorta di anarchia intorno al Papa: ognuno cerca di ottenere ciò che corrisponde ai suoi interessi, da un Papa che sembra non avere piú il controllo della situazione. In tal modo, anche se la cosa appare contraddittoria, non possiamo escludere che il Papa e/o il Cardinale Castrillon vogliano veramente giungere ad una soluzione duratura per noi. Ci troviamo al di fuori di ogni razionalità. Vi è una
parte di marcato illogismo quando sentiamo queste stesse autorità
affermare e insistere che dalla Fraternità si attendono «che
essa lotti contro il modernismo e il liberalismo nella Chiesa»; e
quando ci si assicura che il Papa stesso si associa o si identifica con
questa battaglia! Il messaggio che si tenta di far passare è il
seguente: il Papa è con voi, ma non può dirlo. Egli è
per la Messa antica, ma non lo dirà mai, poiché questo causerebbe
troppi problemi nella Chiesa.
Le nostre conversazioni hanno mostrato molto chiaramente che il nostro interlocutore non comprende o fa finta di non comprendere la nostra posizione dottrinale e liturgica. Curiosamente, le ultime nomine alla Commissione Ecclesia Dei sono state
fatte all’insaputa di colui che il Papa aveva inviato personalmente a regolare
il nostro «problema». Si tratterebbe dei preparativi per regolare
la nostra questione, parola di cardinale. La nuova Commissione eretta per
sovraintendere noi sarebbe costruita con i cocci dell’Ecclesia Dei. Il
Cardinale sa molto bene che noi non vogliamo sentir parlare dell’Ecclesia
Dei e si è attenuto alla nostra richiesta; ma egli non è
il solo a governare la Chiesa o a provare a tirare i fili. Col rischio
di sbagliarci, noi pensiamo tuttavia che si tratti probabilmente di un
intervento del Segretario di Stato e dei Vescovi francesi, oppure della
massoneria. Dal momento che il Cardinale Castrillon gode di una relazione
molto personale col Papa, e che i nostri negoziati sono connessi a questa
relazione, possiamo legittimamente pensare che con queste nuove nomine,
i progressisti abbiano provato a contrastare la sua azione. Altri vi scorgono
semplicemente l’approntamento di un valido strumento in grado di contenere
i focosi tradizionalisti e, al tempo stesso, di difenderli (versione un
po’ ottimista!).
Il perché delle garanzie. Leggendo le osservazioni fatte dall’uno o dall’altro confratello, sembra che non tutti abbiano compreso la manovra intrapresa dalla Fraternità. Viste le contraddizioni romane, era necessario chiedere a Roma un atto concreto col quale dimostrare a tutti che essa compiva un gesto vero a favore della Tradizione. Per di piú, se giungessimo a degli accordi con Roma, sarebbe assolutamente necessario avere l’assicurazione della perennità del rito che celebriamo. Ora, la proclamazione ufficiale della non abrogazione del rito tridentino impedirebbe a Roma di “sopprimere” la Messa di San Pio V, almeno per degli anni, se non definitivamente. I benefici di una tale misura sarebbero immensi per tutta la Chiesa. Giustizia sarebbe fatta. Questo permetterebbe anche di valutare la buona volontà di Roma nei nostri confronti: poiché, se sono pronti a farsi carico dei problemi che, a livello dei Vescovi, nasceranno inevitabilmente con la reintroduzione della Messa antica, allora potremo pensare che forse sono anche pronti a far fronte alle contraddizioni e alle obiezioni che si leveranno al momento del nostro arrivo. È inutile ricordare l’accresciuta facilità con la quale i preti che lo desiderino, ma che non osano, potrebbero celebrare nuovamente la Messa antica. Per quanto concerne le scomuniche, esse non ci toccano minimamente.
Tuttavia, il Vaticano le àgita come uno spauracchio per intimidire
la brava gente che, se non ci fossero, si avvicinerebbe a noi. Questa censura
è stata una delle misure piú efficaci adottate da Roma per
emarginarci. È dunque nell’ordine della lealtà chiedere a
questa stessa Roma che propone degli accordi, di rimuovere questo ostacolo.
Ancora una volta, non si tratta di noi, o di una preoccupazione che ci
riguarda direttamente, ma del bene dei fedeli. È difficile valutare
l’ampiezza del bene che potrebbe essere ottenuto con tali misure, ma ho
l’impressione che noi corriamo il rischio di sottovalutarlo.
Terzo punto: l’atteggiamento della Fraternità Al cospetto della situazione determinata dal Vaticano, il nostro
atteggiamento è semplice, non cambia: è talmente chiaro che
la nostra posizione è radicalmente giusta, che sarebbe un errore
cambiarla o fare qualche concessione su uno qualunque dei punti essenziali.
In ogni caso, poiché la Chiesa si avvicina a noi, proviamo a trarne il massimo di bene per la Chiesa. La grande maggioranza dei membri della Fraternità, pur esprimendo
legittimamente i suoi timori e le sue diffidenze, ha fatto quadrato intorno
alla questione, cosa di cui mi felícito.
Noi contiamo molto sul sostegno molto reale ed efficace da parte vostra. Esso ci aiuterà fortemente a prendere la decisione giusta al momento giusto. Non lasciamoci prendere dalle cose che passano. Noi, decisamente, non vogliamo spingere le cose in un senso o nell’altro. Piú che mai teniamo a seguire la linea di mons. Lefèbvre, il quale diceva di non voler precedere la divina Provvidenza. Questa si manifesta sempre al momento giusto. Non abbiamo il diritto di escludere a priori un intervento della Provvidenza, in una questione che tocca cosí da vicino la Chiesa. Ma è nostro dovere di valutare con attenzione. Giorno verrà… E su questi avvenimenti rimaniamo fiduciosi con grande serenità. Mantenendo queste disposizioni, mentre abbiamo comunicato la nostra
intenzione di sospendere ogni discussione, abbiamo inviato al Papa, tramite
il Cardinale Castrillon, uno studio sulla nuova Messa, frutto del lavoro
assiduo di una commissione appositamente nominata da noi due anni fa. Il
risultato è ben fondato, e dimostra chiaramente la teologia deformata
che sta alla base della riforma liturgica, fonte della sua eterodossia
e della sua illegittimità. Questo studio dovrebbe essere pubblicato
nella seconda metà di marzo, e le traduzioni seguiranno subito dopo.
Noi pensiamo che si tratti di un’opera solida e speriamo che inciderà
sulla storia della nuova Messa.
In quest’inizio di Quaresima, vi raccomandiamo tutti a San Giuseppe, patrono della Santa Chiesa, e a Nostra Signora. Approfittiamo di questo tempo benedetto per avanzare ulteriormente nelle vie della santificazione. + Bernard Fellay - Mercoledí delle Ceneri - 28 febbraio 2001
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