Intervista rilasciata da Mons. Bernard Fellay,
Superiore Generale della Fraternità San Pio
X,
all'Agenzia APIC, il 9 gennaio 2002
sugli accordi tra Roma e i tradizionalisti di Campos
APIC: Come Superiore Generale della Fraternità
San Pio X, come avete preso la “defezione” del vostro confratello, Mons.
Licinio Rangel, e della sua comunità, che era quasi alle vostre
dipendenze?
Mons. Fellay: Vi sono in me dei sentimenti differenti,
ma non è mia intenzione assumere posizioni a priori. Giudicheremo
Roma dalle sue azioni… Certo, la Società Giovanni Maria Vianney
di Campos si riunisce a Roma, ma io aspetto di vedere quello che succede.
La Fraternità San Pio X si trova in una fase di discussione con
la Santa Sede, nella quale, da parte di Roma, sono necessarii dei segnali
di fiducia. Poiché l’anno scorso la fiducia si è in parte
dissolta. Il modo in cui verranno trattati i tradizionalisti di Campos
sarà un vero test. La palla è nelle mani delle autorità
romane, che devono dimostrare qual è il posto che intendono assegnare
alla Tradizione.
Per quanto ci riguarda, noi attendiamo sempre una risposta
alla nostra lettera del 22 giugno 2001 indirizzata al cardinale Castrillon-Hoyos,
presidente della Pontifica Commissione «Ecclesia Dei». Con
lui avevamo iniziato a discutere un po’ piú di un anno fa, fino
quasi a metà del 2001. Ma dopo non vi è stato alcuno sviluppo
nei nostri rapporti con Roma.
APIC: Temete che ai tradizionalisti di Campos
accada come alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, che riunisce
i tradizionalisti fedeli a Roma?
Mons. Fellay: Il trattamento che sarà loro
riservato avrà per noi una grande importanza. Si tratta di capire
in che modo Roma si comporterà con noi una volta definito il riconoscimento.
Vorrebbero trattarci come hanno maltrattato la Fraternità San Pietro?
Secondo i desideri che il Papa ha espresso nel suo Motu Proprio «Ecclesia
Dei adflicta», Roma ha dato vita a questa Fraternità per accogliere
i fedeli legati alla Tradizione. Ma Roma non aiuta questa società
che è esposta all’opposizione dei vescovi locali. Di fatto li ha
lasciati soccombere. Nelle aspre dispute interne che sono sorte in seno
alla Fraternità San Pietro, Roma ha preferito la piccola minoranza
piú aperta al Vaticano II, piuttosto che la grande maggioranza che
voleva rimanere piú tradizionale.
Nel caso in cui accettassimo l’amministrazione apostolica
che è stata proposta dalle autorità romane, si teme che Roma
applichi nei nostri confronti gli stessi metodi applicati con la Fraternità
San Pietro, che è stata imbavagliata e condotta là ove non
voleva andare, verso il Vaticano II e la riforma liturgica, lentamente
ma inesorabilmente. Noi corriamo il rischio che ci si impongano delle cose
che non vogliamo, come la celebrazione della nuova messa, cosa questa che
è assolutamente fuori discussione, poiché noi vogliamo rimanere
fedeli alla messa tridentina, ad ogni costo. I nostri timori sono fondati,
ed è per questo che chiediamo dei segni concreti e ci teniamo molto
circospetti.
APIC: Il responsabile della comunità di
Campos, Mons. Rangel, dovrebbe veder annullata la sua scomunica «latae
sententiae»…
Mons. Fellay: In effetti non v’è mai stato
un decreto di scomunica contro Mons. Licinio Rangel. Roma non ha mai preso
posizione contro di lui. Da quanto ho sentito, egli dovrebbe essere reintegrato
come vescovo in un ordinariato, simile a quello di una diocesi militare.
Se quelli di Campos verranno trattati bene, questo farà progredire
le cose anche per noi.
APIC: Ma vi sono altri ostacoli sul cammino della
riconciliazione… Vi si potrebbe imporre il messale di Paolo VI…
Mons. Fellay: Questo proprio no, in questo caso
non vi sarebbe alcun accordo… La messa moderna è un punto fuori
discussione. Al contrario, l’autorizzazione di celebrare secondo il rito
tridentino dev’essere data a tutti i preti del mondo. Io lo dissi fin dall’inizio
al cardinale Castrillon-Hoyos, la messa non è oggetto di negoziato.
Per quanto riguarda le altre questioni dottrinali, Campos ha condiviso
fino ad oggi esattamente le stesse posizioni, in particolare un chiaro
«no» alla libertà religiosa, all’ecumenismo, al dialogo
interreligioso.
Si tratta di cose che vogliamo discutere con Roma. Se
le nostre posizioni sono errate, bisogna che Roma lo dica. Se invece ciò
che difendiamo è giusto, bisogna che si smetta di attaccarci costantemente
su questi punti. In effetti, in cardinale Castrillon-Hoyos riduce la questione
ad un problema disciplinare e giuridico, senza voler entrare nei problemi
di fondo.
APIC: A vostro modo di vedere, le autorità
romane avrebbero premura di chiudere la questione!
Mons. Fellay: Da parte di Roma, la preoccupazione
del momento è costituita dall’unità. Tutti gli sforzi ecumenici
sono fatti per provare a riavvicinare i cristiani disuniti, lacerati. Gli
atti audaci, sorprendenti, scandalosi, si moltiplicano. La decisione a
voler superare le differenze dottrinali con degli atti liturgici comuni,
manifesta la nuova attitudine ecumenica. Essa fa seriamente pensare ad
una volontà di relativizzare i problemi relativi ai concetti a favore
della vita vissuta. Da parte nostra, sosteniamo che occorre trattare dei
problemi dottrinali, anche se non è necessario che prima di un possibile
accordo si debba giungere a regolare tutto nei particolari.
APIC: Lo scisma di Ecône, tuttavia, dovrebbe
essere riassorbito a medio termine…
Mons. Fellay: Dal nostro punto di vista, Mons.
Lefèbvre nel 1988 non ha causato alcuno scisma. Noi siamo rimasti
nella Chiesa. Anche a Roma, a dispetto della posizione ufficiale assunta,
numerosi prelati di curia e di cardinali non sono cosí chiari circa
l’esistenza o meno di uno scisma. Effettivamente noi abbiamo dei sostenitori
a Roma. La simpatia di cui godiamo è difficile da quantificare,
ma posso dire che vi è una maggioranza che si augura che il problema
si definisca rapidamente.
D’altronde, Roma ci propone una posizione giuridica accettabile:
una amministrazione apostolica, meglio di una prelatura personale come
quella dell’Opus Dei. L’amministrazione apostolica, che è quasi
una diocesi, abitualmente è retta da un vescovo. Con una tale struttura
potremmo condurre una autonoma azione apostolica, senza alcun bisogno di
chiedere autorizzazioni ai vescovi diocesani. Avremmo una vera diocesi,
con la particolarità che essa si stenderebbe al mondo intero. Ma
se questa soluzione lasciasse intatta la causa che ha condotto alla situazione
attuale, allora domani ci ritroveremmo con gli stessi problemi. Le divergenze
dottrinali sussisterebbero all’interno, poiché il rifiuto delle
riforme post-conciliari resta. Ci si dice che in questo non v’è
nulla di grave, e che si tratterà in seguito di questi problemi.
APIC: Voi non fate delle previsioni sulla prosecuzione
dei negoziati…
Mons. Fellay: Attualmente non sono previste delle
riunioni con Roma. Io aspetto sempre la promessa risposta alla mia lettera
del 22 giugno. Io sono molto aperto, ma le discussioni dottrinali possono
durare dieci anni… Roma tornerà alla carica quando il problema di
campos sarà stato definito. E visto che noi abbiamo la stessa posizione
dottrinale di Campos, credo che le autorità romane possano farci
la stessa proposta.
Sicuramente, con 420 preti, 180 seminaristi e qualcosa
come 150.000 fedeli sparsi nel mondo intero, la Fraternità Sacerdotale
San Pio X rappresenta un altro boccone. Roma che ha indubbiamente la volontà
di chiudere questo capitolo una volta per tutte, avrà altrettanto
interesse a regolare il problema. Credo anche che questo potrebbe accadere
sotto questo pontificato.
Nell’attesa, l’idea di libertà religiosa e la
concezione della salvezza universale si sono profondamente radicate nelle
menti di molti cattolici, e le cerimonie e le dichiarazioni ecumeniche
e interreligiose non fanno che avallare questa nuova visione che noi combattiamo.
In questo senso, noi consideriamo la giornata di preghiera delle religioni
ad Assisi, prevista per il 22 gennaio 2002, come un nuovo piú imponente
ostacolo nel riavvicinamento col Vaticano.
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