LETTERA DI MONS BERNARD FELLAY,
SUPERIORE GENERALE DELLA FRATERNITÀ SAN PIO
X,
AGLI AMICI E AI BENEFATTORI
7 giugno 2002
(le sottolineature sono nostre)
Cari amici e benefattori,
In questi ultimi anni il nostro mondo tradizionale ha realmente vissuto
numerosi avvenimenti importanti nelle sue relazioni col Vaticano.
Dopo l’approccio di Roma al termine del 2000, ci sembra che è
tempo di fare il punto della situazione, di rispondere anche a un certo
numero di obiezioni e di domande poste intorno a questo problema. Vogliamo,
tuttavia, ricordare anche che, se ci dilunghiamo un po’ su questi argomenti,
essi non sono certamente tutta la nostra vita. La celebrazione dei
sacri misteri, le grazie effuse in abbondanza sulle vostre anime, le conversioni
abbastanza numerose e sempre molto commoventi, ecco l’essenziale della
nostra vita, ecco ciò con cui dimostriamo a fatti che siamo veramente
cattolici, mentre gli scambi e le controversie con il Vaticano esprimono
la nostra volontà di rimanere tali.
Ultimamente, un considerevole gruppo di seminaristi di Bombay si
è unito a noi. In sette anni di seminario, allorché l’esistenza
del diavolo era negata, mai la parola “inferno” aveva sfiorato le loro
orecchie, così come, d’altronde, il “sacrificio della messa”. Questo
ci attira i fulmini del cardinale di Bombay, naturalmente.
Negli Stati Uniti, diversi sacerdoti si uniscono o si avvicinano
a noi. “Ho fatto di tutto per non venire da voi” mi dirà uno
di loro. È una testimonianza eloquente: dopo aver esaurito tutte
le possibilità che oggi si offrono, a partire dalla Diocesi, la
messa dell’indulto e varie società Ecclesia Dei, questi sacerdoti
e seminaristi, contro la loro volontà e malgrado la loro iniziale
paura di legarsi a coloro che sono ancora presentati come scismatici, arrivano
alla conclusione che questa è la sola via percorribile per una vita
integralmente cristiana!
Quale epoca di confusione!
Il bene è vilipeso, il male troppo spesso benedetto.
Ecco ciò che sperimentano oggi numerosi sacerdoti, che vogliono
semplicemente restare cattolici. Quante vessazioni!
Come quei due seminaristi ripresi dal rettore per essere stati sorpresi
in flagrante delitto di recitare il rosario. Quando poi furono colti mentre
assistevano alla messa dell’indulto… dovettero rispondere del loro crimine
dinanzi al cardinale in persona…
Ci piacerebbe sentire che reprimende almeno consimili siano state
fatte per tutte le specie di vera indisciplina.
Mentre un certo numero di sacerdoti si accosta a noi, “Campos” si
accosta a Roma. A noi sembra che l’argomento decisivo per guadagnare
il loro consenso sia stata la promessa d’un Vescovo accanto a mons. Rangel,
già molto malato. Mi scrivono che essi ritenevano di non poter rifiutare
la volontà del Santo Padre che voleva dare loro un Vescovo: “sarebbe
da scismatici”. Per quanto riguarda il Vescovo essi devono accontentarsi
d’una promessa: “Ti darò un successore”. Certo, nessuno osa mettere
in dubbio una tale promessa, ma tutta la questione sta nella persona del
successore: chi sarà? Dove sarà scelto? Si può
ben pensare che Roma vorrà assicurarsi della fedeltà del
futuro Vescovo al Vaticano II, perché certuni non hanno deposto
le loro riserve sull’ortodossia della posizione dottrinale di Campos e
a Roma regna il sospetto.
Era stata promessa la libertà d’azione su tutto il Brasile,
ma, dinanzi all’opposizione dei Vescovi locali, il territorio dell’Amministrazione
si è ridotto alla sola Diocesi di Campos: punto e basta.
Che farà Campos? Mentre Campos si avventura in questo tentativo
rischioso con le armi delle dichiarazioni ambigue, noi constatiamo un fenomeno
molto interessante: nello stesso momento, parecchie comunità del
Brasile, estranee alla Diocesi e al clero di Campos, sia maschili che femminili,
si sono messe in contatto con noi e vogliono… unirsi alla Tradizione, ed
inviare i loro futuri candidati al sacerdozio nel nostro seminario dell’America
del Sud! Di fatto, in numero considerevole, fedeli disseminati un po’ dovunque
in questo immenso paese cominciano a farsi avanti e chiedono la nostra
assistenza… e non quella di Campos. È un’evoluzione veramente
strana. È come se di colpo il Brasile si aprisse all’apostolato
della Fraternità. Ci mancano solo gli operai, dei sacerdoti e ancora
dei sacerdoti…
Intanto, dopo esser riuscito ad allontanare Campos dalla Fraternità
e, poco a poco, dalle sue posizioni, il cardinale Castrillon ci ha inviato,
il 5 aprile u.s., una lettera, in riposta alla nostra del 22 giugno 2001.
Essa si propone di rilanciare il “dialogo”. Prima di parlarne, riprendiamo
la storia dei contatti.
Fin dall’inizio, con l’offerta romana di darci una struttura giuridica,
noi avevamo manifestato la nostra disponibilità ad aprire dei colloqui,
pur insistendo con sufficiente forza sulla necessità di ritrovare
fiducia.
Di fatto, decenni di angherie, emarginazioni, minacce, condanne,
vere persecuzioni a motivo del nostro attaccamento alla Tradizione della
Chiesa Cattolica non si cancellano così, da sole. Chiedevamo
perciò preliminarmente un gesto concreto da parte delle autorità
romane: il riconoscimento che il rito tridentino non è stato abrogato
e l’annullamento del decreto di scomunica.
Il cardinale Castrillon ci ha comunicato l’accordo di principio
sul primo punto, accompagnato dal rifiuto di metterlo in applicazione.
Successivamente anche il rifiuto totale, perché accordare la libertà
alla messa tridentina sarebbe a detrimento del novus ordo. Quanto alla
scomunica, la promessa era di toglierla al momento dell’accordo.
Dopo questo duplice rifiuto, che rafforza il clima di diffidenza, il
cardinale scrisse una lettera il 7 maggio 2001. Risposi che questa lettera
apriva un dialogo tra sordi e ci conduceva in un vicolo cieco.
Proposi allora di cambiare il punto di partenza, l’approccio di tutta
la questione, allo scopo di far progredire le cose. In breve, facemmo presente
che la nostra attuale posizione di dissidenza nei riguardi della Roma attuale
era causata non da colpevole cattiva volontà da parte nostra, ma
dalla terribile crisi che squassa la Chiesa da quarant’anni e della quale
il Concilio Vaticano II e le riforme postconciliari sono il segno evidente;
citavo alcuni fatti per dimostrare la realtà e la gravità
della crisi.
La lettera del 5 aprile del cardinale, per risposta, ci rimprovera
1. di giudicare il Papa e la Santa Sede;
2. di affermare che la Chiesa ha perduto la fede;
3. di negare al Sommo Pontefice il suo diritto sulla liturgia, poiché
affermiamo che il Novus Ordo
Missae è cattivo;
4. d’aver perduto la fede sulla vera nozione di tradizione;
5. di essere incapaci di cogliere la continuità tra il passato
e il presente della Chiesa, cioè concretamente
del Concilio Vaticano II e della
riforma liturgica.
Questi punti, evidentemente, esigono una risposta.
Al tempo stesso, però, questa lettera illustra benissimo
che il dialogo tra sordi continua: quale incomprensione della nostra posizione!
Saremmo stati, nondimeno, disposti ad affrontare questi diversi
punti se tutto ciò non fosse stato accompagnato da manovre che ci
obbligano ancora una volta a ritirarci: «Il tempo di una franca
collaborazione non è ancora venuto» diceva mons. Lefebvre
nel 1988 al momento delle consacrazioni, e questa frase conserva la sua
attualità.
Le manovre sono duplici.
Da una parte, il cardinale dichiara nella sua lettera che, vista la
gravità dell’affare, egli si era sempre astenuto dall’accordare
interviste pubbliche; qualche giorno dopo, però, in un’intervista
a La Stampa, egli dice che la Fraternità è
divisa in due gruppi: “Una grande maggioranza, che desidera ardentemente
la riconciliazione con Roma ‘per alleggerire la propria coscienza’ (lettera
del 5 aprile), e una minoranza di fanatici che non vogliono sentirne parlare”.
(Eppure nella sua lettera, il cardinale esprime la sua volontà di
non dividerci).
Dall’altra parte, pochi giorni dopo avermi inviato la lettera del
5 aprile con tutta l’apparenza della discrezione (doppia busta, riservato,
confidenziale), il cardinale invia per fax la stessa lettera a tre membri
della Fraternità. Non è necessario cercare un’intenzione,
i fatti parlano da soli: c’è un vero e proprio tentativo di divisione,
e questo impone, senza esitazioni, il nostro atteggiamento: mettere le
distanze.
In circostanze siffatte, la discussione non è ragionevole,
è imprudente, impossibile.
Davvero non ci si comprende.
Sono atti, fatti e dichiarazioni propriamente scandalose che ci hanno
obbligato al rifiuto delle novità e ad un raddoppiato attaccamento
all’insegnamento e alla disciplina plurisecolare della Chiesa cattolica
romana, nostra Madre.
La semplice esposizione dei fatti - ad esempio, la visita del
Papa alla sinagoga o alla moschea, il bacio del Corano, le libazioni nella
foresta del Togo, la ricezione del Tilac in India, gesti che hanno profondamente
scandalizzato i cattolici nella loro fede - non è un erigersi
a giudice al di sopra della Santa Sede. E così per molte dichiarazioni
e documenti. Altrimenti, bisogna semplicemente rinunziare a pensare.
Quanto alla riforma liturgica, dei cardinali hanno potuto dire che
essa si allontanava “in modo impressionante, nell’insieme come nei dettagli,
dalla teologia cattolica” (1). E ancora di recente
il cardinale Ratzinger ha potuto dire che “dopo il concilio Vaticano
II si è ingenerata l’impressione che il papa potesse fare qualunque
cosa in materia liturgica, soprattutto se agiva su incarico di un concilio
ecumenico. È accaduto così che l’idea della liturgia come
qualcosa che ci precede e che non può essere fatta a proprio arbitrio
sia andata ampiamente perduta nella diffusa coscienza dell’Occidente. Ora,
però, il Concilio Vaticano I non ha per nulla inteso definire il
Papa come un monarca assoluto, ma, al contrario, come il garante dell’obbedienza
rispetto alla parola tramandata: la sua potestà è legata
alla tradizione della fede e questo vale anche nel campo della liturgia.
Essa non è fatta da funzionari. Anche il papa può solo essere
umile servitore del suo giusto sviluppo e della sua permanente integrità
e identità” (2).
Circa la continuità delle dottrine moderne con il passato ecco
ciò che dicono persone “al di sopra di ogni sospetto” sulla libertà
religiosa, testo-chiave del Concilio: “Non si può negare che
questo testo [del Concilio sulla libertà religiosa] dica materialmente
una cosa diversa dal Sillabo del 1864 e persino quasi il contrario dei
paragrafi 15, 77-79 di questo documento”(3).
Sulla definizione della Chiesa (Lumen gentium): “In ultima analisi,
non si può risolvere pienamente da un punto di vista logico la differenza
tra ‘subsistit’ e ‘est’” (4).
Sul concetto di Tradizione (Dei verbum): “Il rifiuto della proposta
di prendere il testo di Lerino, conosciuto e consacrato in un certo qual
modo da due concili, mostra di nuovo il superamento di Trento e del Vaticano
I, la continua rilettura dei loro testi… [il Concilio Vaticano II] ha un’altra
idea del modo in cui si realizza l’identità storica e la continuità.
Il “semper” statico di Vincenzo da Lerino non gli sembra più appropriato
per esprimere questo problema”(5).
Sul testo-chiave del Concilio, la Gaudium et Spes: si tratta di un
contro-Sillabo: “Se si cerca una diagnostica globale del testo (Gaudium
et Spes), si potrebbe dire che esso è (in collegamento con i testi
sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo) una revisione
del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro-sillabo… contentiamoci qui di
constatare che il testo gioca il ruolo di un contro-sillabo nella misura
in cui rappresenta un tentativo per la riconciliazione ufficiale della
Chiesa con il mondo qual era divenuto dopo il 1789” (6).
Noi, sì, crediamo allo sviluppo omogeneo della dottrina, come
lo ha sempre insegnato la Chiesa. Ma la fede, che non elimina il principio
di non-contraddizione, obbliga anche a rifiutare ciò che non rientra
in questo sviluppo omogeneo.
Noi constatiamo quanto l’apprezzamento del cardinale sia erroneo… Tutti
noi desideriamo l’unità della Chiesa, unità che comincia
nella fede, che prosegue intorno a Pietro che conferma i suoi fratelli,
si consuma nell’unione con Gesù Ostia. Tutti noi, per conservare
questa unità, abbiamo dovuto, in nome della nostra coscienza cattolica,
allontanarci e rifiutarci di entrare nell’autostrada larga e comoda che
propongono le riforme. È per alleggerire le nostre coscienze che
siamo là dove siamo e la nostra coscienza non sarebbe del tutto
alleggerita se ci lanciassimo precipitosamente su una strada che per trent’anni
abbiamo rifiutato… per rimanere cattolici.
È in nome della nostra fede battesimale, È in nome della
promesse del nostro battesimo, alle quali abbiamo promesso di restare fedeli,
che diciamo “no” a tutto ciò che non assicura la sicurezza della
nostra salvezza. È questo il nostro diritto, È questo il
nostro dovere.
Che il Sacro Cuore vi colmi della sua ardente carità, d’un amore
indefettibile per la Chiesa, per la sua gerarchia che per ora ci fa soffrire,
per le anime, le anime da salvare a costo di unirci al Sacrificio di Nostro
Signore, alla Santa Messa, che ci farà penetrare sempre più
nella fermezza della fede nel suo amore riparatore e soddisfattorio. Tutto
per Gesù, tutto per Maria, tutto per le anime.
+ Bernard Fellay
Festa del sacro Cuore
7 giugno 2002
NOTE
1. Breve esame critico presentato a Paolo VI dai cardinali
Ottaviani e Bacci. (su)
2. Introduzione allo spirito della liturgia, ed. San
Paolo, p.162. (su)
3. P.Congar, la crisi nella Chiesa e mons Lefebvre,
Cerf, 1976, p.51. (su)
4. Card. Ratzinger, L'ecclésiologie de la Constitution
Conciliaire Lumen gentium, La Documentation Catholique, n.
2223, p.311. (su)
5. Joseph Ratzinger, LThK, Bd 13, p.521. (su)
6. Les principes de la théologie catholique,
Téqui, 1982, p. 426. (su)
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