OMELIA DI MONS. TISSIER DE MALLERAIS,
pronunciata il 27 giugno 2002, a Ecône,
in occasione delle ordinazioni sacerdotali
 

(le sottolineature sono nostre)



Testo diffuso da “De Rome et d'ailleurs” - ripreso con l’autorizzazione dell’abbé Puga, del Seminario di Ecône. 


In ottobre l'omelia è stata pubblicata dalla rivista Le Sel de la Terre, n° 42, autunno 2002 (Couvent de la Haye-aux-Bonshommes, 49240 AVRILLÉ, Francia). In questa occasione Mons. de Mallerais, per meglio precisare il suo pensiero, ha voluto che fosse preceduta da una sua presentazione.

Riportiamo il testo dell'omelia rivisto dallo stesso Mons. de Mallerais, preceduto dalla sua presentazione, come pubblicate da Le Sel de la Terre.



(La traduzione è nostra)


 
 

PRESENTAZIONE

Il 27 giugno 2002, ho voluto mostrare che dalla molteplicità e dalla diversità degli errori professati e creduti attualmente nella Chiesa, e dai feroci tagli o dalle novità praticate dalla liturgia postconciliare, scaturiscono delle idee guida, si coglie una profonda unità: quelle di una religione nuova col suo nuovo culto.

Oggi, per essere eterodossi non è piú necessario, come un tempo, negare delle verità di fede, basta cambiare il significato delle parole. È cosí che i termini di «redenzione», «soddisfazione», ecc., pur non mancando nel linguaggio del nuovo catechismo (Catechismo della Chiesa cattolica), sono svuotati del loro significato cattolico per finire col significare un’altra cosa, per lo piú indefinita e stemperata nel contesto di prolisse esposizioni ingannevoli.

Del pari, per essere eretici, non è piú necessario contraddire le verità insegnate dal magistero tradizionale, basta spostare gli accenti dall’essenziale al secondario o all’accessorio.

In tal modo l’opera della redenzione non sarà piú attribuita per eccellenza alla Passione di Cristo, ma alla sua Resurrezione, alla sua Ascensione e, finalmente, sarà diluita nell’insieme delle «azioni notevoli» di Cristo. 
Allo stesso modo, il suo sacerdozio consisterà nel suo sacrificio celeste, richiamato da San Paolo nella sua lettera agli Ebrei e anche nella Messa detta di San Pio V, piuttosto che nel suo sacrificio della croce.

Per questi due motivi, una discussione dottrinale tra i cattolici e i sostenitori della nuova religione diventa una partita a nascondino, a meno che si abbia la lealtà di ritornare al significato cattolico dei termini e di ricondurre l’accento sugli aspetti che lo esigono. In questo senso, nella mia omelia, senza dirlo, invitavo i sostenitori delle nuove tendenze ad uno sforzo di onestà intellettuale.

Mi si rimprovera di aver affermato che la nuova religione professa che «il peccato non offende Dio», quando invece il nuovo catechismo dice a chiare lettere che «il peccato offende Dio». 
Ma, quando si leggono con attenzione le spiegazioni sparse qua e là nel nuovo catechismo sulla natura del peccato, si arriva alla seguente conclusione: il peccato non offende realmente Dio, poiché i termini di giustizia e ingiustizia non sono affatto pronunciati. 
È allora preliminarmente necessario che si compia uno sforzo per definire il senso delle cose. Che si chiami cane un cane e gatto un gatto, dissipando gli equivoci e le false prospettive.

Presentando questa sintesi senza pretese della nuova religione, non ho inteso affermare che essa esista in qualche modo allo stato puro, o che sia presente uno spirito alquanto perverso in seno alla gerarchia o nei sacerdoti della Chiesa, tale da costituire la base di tutte le proposizioni. I modernisti del tempo di San Pio X non professavano indubbiamente tutte le proposizioni condannate dalla Pascendi e dalla Lamentabili, e tuttavia il santo papa coglie nel segno esponendo a tutta la Chiesa un compendium, una sintesi completa e ordinata degli errori modernisti. 
Io non ho fatto altro che tratteggiare ciò che si potrebbe chiamare la sintesi necessaria condotta un secolo dopo. La Chiesa lo farà.

Infine, è del tutto estraneo al mio discorso la conclusione che, a causa di questi errori cosí gravi e cosí diffusi, da un capo all’altro della gerarchia, la Chiesa romana abbia cessato di esistere: che i depositarii dell’autorità episcopale abbiano perduto il loro potere, o che in definitiva il sovrano pontefice abbia perduto le chiavi di San Pietro. Una cosa è l’autorità, altra cosa è il suo esercizio. Una cosa è il grave cedimento constatato presso l’autorità, altra cosa è il giudizio che si vorrebbe esprimere sull’esistenza stessa di questa autorità: questo giudizio appartiene solo alla Chiesa, e cioè ad un papa futuro. Non spetta a noi prevedere un tale giudizio.

Di conseguenza, o piuttosto in linea di principio, la Chiesa resta la Chiesa, ve ne è solo una, la santa Chiesa cattolica, apostolica, romana. 
Occupata da un sistema eterodosso, penetrata dal sottile veleno dell’errore, stretta dai piú diversi tentacoli della seduzione: la Chiesa resta garanzia della promessa dell’indefettibilità.

È su queste basi che noi lottiamo per il ritorno di Roma a Roma, per la conversione di Pietro a Pietro: «Et tu aliquando conversus, confirma fratres tuos» “E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32).

Mons. Bernard Tissier de Mallerais


TESTO DELL'OMELIA

In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Cosí sia.

Signor Superiore Generale, carissimi Signori, signor Direttore, cari confratelli nel sacerdozio, cari ordinandi, carissimi fedeli:

Tra pochi istanti il vescovo, nel corso di questa cerimonia di ordinazione dei diaconi e dei sacerdoti, pronuncerà queste parole; ai diaconi dirà: «Siete ormai i cooperatori del Sangue e del Corpo del Signore», e dopo l’ordinazione dirà ai sacerdoti: «Ricevete il potere di offrire il sacrificio a Dio e di celebrare delle messe sia per i vivi sia per i morti».

Queste parole, che ci sembrano quasi banali, che esprimono la nostra fede cattolica con tanta semplicità, che esprimono dunque l’oggetto stesso del sacerdozio che consiste nella consacrazione del Corpo e del Sangue di Nostro Signore per rinnovare in maniera incruenta la Sua Divina Passione, queste parole sono state ormai soppresse nel nuovo pontificale dell’ordinazione, sia dei diaconi sia dei sacerdoti. 

Questa sparizione è molto significativa, e indica che la nuova religione non vuole piú esprimere la trasmissione del potere di consacrazione del Corpo e del Sangue di Cristo e del potere di rinnovare la Passione del Calvario.

Dunque, miei carissimi ordinandi, io sono sicuro che nel corso dei vostri sei anni di seminario voi avete ben compreso quella dottrina cattolica oggi ignorata dalla maggior parte dei preti della nuova religione. Poiché questo cambiamento del rito dell’ordinazione comporta una nuova religione; in questa soppressione del potere di offrire e di consacrare il Corpo e il Sangue di Cristo si esprime precisamente una nuova religione, nella quale si trova la grande maggioranza dei Cattolici, che in cuor loro rifiutano, ma che vivono in questa nuova religione che consiste non solo in un culto nuovo, ma in una nuova dottrina. 
E dunque, cari fedeli, se permettete, in poche parole vi dirò prima della nuova dottrina di questa nuova religione, e poi del suo nuovo culto.

Innanzi tutto dei nuovi dogmi e quindi della nuova dottrina che ne deriva.

Per primo il peccato, che praticamente non esiste piú, poiché esso non offende Dio. Ci si dice che il peccato non offende Dio, ma nuoce solamente al peccatore. Infatti, il peccato non può intaccare la natura di Dio che è incorruttibile. Il peccato non fa niente a Dio. Il peccato non fa che nuocere al peccatore facendogli perdere la vita divina - questo lo si concede - e, al tempo stesso, offendendo la solidarietà umana. In queste condizioni il peccato non ha piú la caratteristica dell’offesa, della distruzione dell’onore di Dio, della Sua gloria, della Sua lode; non ha piú la caratteristica della disobbedienza alla legge di Dio. 
Di conseguenza, si nega che Dio abbia il diritto di esigere dalle Sue creature, non solo la lode, ma anche la sottomissione alla Sua legge, come dice sant’Ignazio nei suoi esercizi: «L’uomo è creato per lodare, onorare e servire Dio e con questo salvare la sua ànima». 
Ebbene! Lodare, onorare e servire Iddio sono cose che non esistono piú nella nuova religione, poiché il peccato non distrugge la gloria esterna di Dio, il peccato nuoce solo all’uomo! 

Vedete dunque quanto questa nuova religione distrugga la nozione stessa di peccato, distrugga la gloria di Dio, distrugga anche la nozione di peccato come ingiustizia suprema, limitandosi a considerare solo le ingiustizie umane; ma l’ingiustizia verso Dio, il peccato contro la giustizia di Dio, non lo si vuole piú.

Poi, ci si dice che la dignità umana non si perde a causa del peccato, l’uomo conserva la sua dignità anche dopo aver peccato. L’uomo resta degno; l’uomo rimane gentile, gradito. Ed ecco che ne consegue la giustificazione dell’ecumenismo e della libertà religiosa. Qualunque cosa faccia nell’ordine religioso, che onori un falso dio o onori il vero Dio con un falso culto, poco importa: l’uomo conserva la sua dignità; egli è dunque degno di stima e di rispetto. E quindi si deve rispettare la sua religione e, di conseguenza, si deve collaborare anche con le altre religioni, poiché la dignità umana non viene intaccata dal peccato. E questo secondo errore molto grave legittima quindi l’ecumenismo e la libertà religiosa.
Ed allora ci si dice: poiché l’uomo rimane molto gradito, ebbene, Dio continua ad amare il peccatore, a mantenerlo nel suo amore e nel suo favore; nulla è cambiato fra Dio e il peccatore. Ed ecco che Dio ci viene proposto sottoforma di un Dio impassibile, bonario, che accetta tutto dai suoi figli capricciosi. La Sua carità è dunque ridicolizzata. Dio continua ad amare anche il peccatore, senza distinzione, senza precisazione.

In seguito, ci si dice, come conseguenza, che Dio non punisce il peccato con una qualche pena temporale o eterna. Poiché il peccato non offende Dio, Dio non lo punisce. Del resto Dio è la bontà stessa: come potrebbe infliggere delle pene all’uomo peccatore? No, è l’uomo stesso che si punisce, subendo le conseguenze dei suoi errori, e l’inferno - se mai qualcuno vi si trova - l’inferno non è altro che l’esclusione, l’autoesclusione dall’amore divino. Dunque l’inferno non è piú una pena inflitta da Dio. Dio non ha piú il diritto di punire. Ne consegue che l’uomo è esentato da ogni dovere di riparazione verso Dio.
Ciò che noi chiamiamo, nel nostro catechismo, la soddisfazione dopo il peccato, il fatto che il peccatore debba soddisfare la giustizia divina a causa dei suoi peccati, la soddisfazione, il bisogno di espiare i proprii peccati per riparare l’onore di Dio, non esiste piú. L’uomo deve solo riparare la sua salute spirituale (1).
Ma riparare la gloria di Dio, cooperare al recupero della creatura caduta nel peccato, non lo si vuole piú! Mentre voi conoscete la bella dottrina cattolica della soddisfazione che è tutta a gloria di Dio, perché l’uomo peccatore possa rialzarsi e ridare a Dio la gloria e la lode, risollevando la sua caduta natura per mezzo della soddisfazione, per mezzo della pena che egli subisce volontariamente.

Ma questa dottrina, che non vuole piú saperne del peccato, dell’espiazione e della soddisfazione, va molto piú lontano, poiché essa arriva anche a falsare il senso delle sofferenze e della Passione Redentrice del Salvatore. E dunque va a falsare il dogma della Redenzione.
È questo dogma centrale che hanno attaccato i modernisti. 
Ci si dice: le sofferenze di Nostro Signore sulla Croce sono destinate solo a rivelare l’amore di Dio perseverante, ma non a soddisfare la giustizia divina a posto degli uomini peccatori. Nostro Signore, sulla Croce, non ha offerto al Padre suo alcuna soddisfazione a nome nostro. Non ha fatto che rivelare agli uomini l’amore di Dio Padre. Dunque si va decisamente contro il dogma del Prezioso Sangue, quella legge che Dio ha posto anche nell’Antico Testamento: e cioè che senza effusione di sangue non v’è remissione
Si rifiuta il Sangue versato da Nostro Signore, con tutto il suo valore di espiazione, di remissione dei peccati, per limitarsi a considerarlo solo un atto gratuito con il quale il Padre abbandona senza alcuna ragione il Figlio Suo alla morte, semplicemente per rivelare l’amore del Padre.
È la piú abominevole crudeltà: il Padre che abbandona il Figlio Suo alla morte piú abominevole, semplicemente per rivelare il Suo Amore. 
Si è falsato, svuotato, il dogma della Redenzione e si è anche bestemmiata la Santa Passione del Salvatore.
Mentre, al contrario, il nostro catechismo ci insegna che Nostro Signore, con la Sua Passione, ha offerto al Padre Suo una soddisfazione per i nostri sovrabbondanti peccati, e questo, da una parte, a causa della dignità della persona divina che soffre sulla Croce, e dall’altra a causa dell’estrema carità e obbedienza con cui soffre Nostro Signore, e infine a causa degli estremi dolori che Egli ha sofferto sulla Croce. 
Egli ha dunque potuto offrire al Padre Suo, per noi, al nostro posto, una soddisfazione sovrabbondante, quasi infinita. 
Sta in questo tutta la bellezza della contemplazione della Croce: nel vedervi la nostra Salvezza, la nostra Redenzione, il nostro riscatto, il nostro recupero, e non solamente l’amore del Padre, ma innanzi tutto l’amore di nostro Signore Gesú Cristo.

E comunque, in questa nuova religione ci si dice: A che il Sangue di nostro Signore Gesú Cristo? tutt’al piú per rivelarci l’amore del Padre, non per salvarci, poiché tutti gli uomini sono salvati, in ogni caso! 
E questo è certo, poiché con la Sua Incarnazione, come dice il concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes, con la Sua Incarnazione il Figlio di Dio «si è unito in qualche modo a tutti gli uomini». 
Ogni uomo è cristificato con l’Incarnazione e allora tutti sono salvati. 
E da qui si giunge all’asserzione del Papa Giovanni Paolo II che, in uno dei suoi libri, dice che praticamente l’inferno probabilmente è vuoto. Tutti sono salvati. 
Vedete dunque annientato il dogma della Redenzione, radicalmente falsato. Tolto il peccato, tolta anche la giustizia di Dio, si toglie anche la Redenzione, si sopprime la soddisfazione della Croce di nostro Signore Gesú Cristo.

Ecco la nuova religione, i nuovi dogmi.

Passiamo adesso, se permettete, al nuovo culto, che corrisponde al nuovo dogma. 

Ed ecco che innanzi tutto nel nuovo culto ci si dice che l’atto principale della Redenzione di Nostro Signore, la Sua prima Messa che ha celebrato sulla Croce dopo la messa della Cena, dunque l’atto principale della Redenzione, non consiste nella Croce del Salvatore, ma piuttosto nella Resurrezione gloriosa e nell’Ascensione di Nostro Signore. 
È con la Sua Resurrezione e con la Sua Ascensione che Nostro Signore ci avrebbe salvati. 
Infatti Dio corona l’opera della Redenzione e manifesta pienamente il suo amore, l’amore del Padre verso di noi, resuscitando il Figlio Suo, poiché Dio non è il Dio dei morti, ma il Dio dei vivi. Punto e basta. 
Questo è quanto dichiara il Papa Giovanni Paolo II. 
Dunque la Croce di Cristo è un avvenimento piuttosto secondario nella Redenzione, l’opera essenziale essendo costituita dalla Resurrezione e dall’Ascensione del Salvatore.

In seguito, ci si dice che l’atto principale del sacerdozio di nostro Signore Gesú Cristo - nostro Signore Gesú Cristo in quanto sacerdote - non consiste nell’offerta sanguinosa del Suo Sacrificio sulla Croce, ma essenzialmente nel Suo sacerdozio celeste, col quale dunque, attraversando la tenda del santuario celeste, Egli si presenta al Padre Suo col Suo Sangue. 
Dunque si finisce col negare che l’atto principale del sacerdozio è costituito dall’offerta del Sacrificio di Nostro Signore sulla Croce.
Si parla, si mette l’accento sul sacerdozio celeste: e questa non è una novità; era già professata dal Padre Joseph Lécuyer, futuro successore di Mons. Lefebvre a capo della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo. 
Queste eresie datano da prima del Concilio. Esse sono state diffuse dal Concilio e dopo il Concilio.
 

Dopo, ci si dice che la Messa non è il rinnovamento incruento della Passione, questo non si può piú dire: la Messa è il memoriale di tutte le “azioni notevoli” che Cristo ha compiuto nella Sua vita; dunque non solo la Sua Passione, ma anche la Sua Resurrezione, la Sua Ascensione e, perché no, la Sua Incarnazione, la Sua Presentazione al Tempio, insomma tutte le azioni notevoli compiute da Cristo. Si tratta di farne memoria, ed è questo che costituisce la Messa!

Ora, il nostro catechismo ci insegna - nondimeno! - che è la Consacrazione che realizza la Messa, e la migliore teologia ci dice che ciò che è significato dalla Consacrazione separata del Pane e del Vino, dunque del Corpo e del Sangue di Cristo, ciò che è significato è misteriosamente prodotto: viene realizzata l’immolazione sacramentale, e cioè la separazione del Corpo e del Sangue, per mezzo della potenza stessa delle parole del sacerdote; sotto l’apparenza del Pane vi è direttamente il Corpo, e sotto l’apparenza del Vino vi è direttamente il Prezioso Sangue di Cristo. Certo, non separati realmente, poiché per reale concomitanza essi sono entrambi sotto ciascuna delle due specie, ma ciò non toglie che tramite la forza delle parole, ciò che è realizzata è proprio la separazione del Corpo e del Sangue di Cristo, separazione sacramentale.

Ne consegue che il ruolo della Consacrazione nella Messa è assolutamente negato. Si tratta semplicemente di un memoriale.

Ci si dice, poi - ed è il cardinale Ratzinger che lo ha scoperto qualche mese fa (2) - : la Messa è valida anche senza le parole della consacrazione. Lo avete letto tutti, vi è stato spiegato; si tratta di una recente dichiarazione del cardinale Ratzinger tramite la sua Commissione Teologica Internazionale: la Messa è valida anche senza le parole della Consacrazione! 
Ma allora a che serve il sacerdote? In effetti, il popolo cristiano può celebrare la Messa, il prete non serve piú a niente dal momento che non v’è bisogno di pronunciare le parole della Consacrazione perché la Messa sia valida. 
Anche priva delle parole di Cristo, la messa vale ugualmente, è valida!

Ci si dice anche che il Cristo, nel corso della Messa, è reso presente, sí, ma reso presente con tutti i Suoi misteri salvifici e non per l’«opera magica» della Consacrazione - che è un’azione «magica» -, bensí per il vissuto dell’azione liturgica comunitaria che oggettiva i misteri di Cristo. 
In questo modo, quindi, il mistero di Cristo, e in particolare il mistero pasquale, diviene il mistero del culto.
Ecco che cosa ci si dice: e cosa dice in particolare Mons. Annibale Bugnini, ànima della riforma liturgica. 
Dunque non si tratta di consacrare il Corpo e il Sangue di Cristo, ma di evocare insieme, attivamente, comunitariamente, liturgicamente tutto il mistero di Cristo, e in particolare il Suo mistero Pasquale, mettendo in evidenza la Resurrezione e l’Ascensione di Cristo.

Infine, carissimi fedeli, l’ultima eresia - e sono veramente desolato per questo fiotto di eresie che evidentemente è appena degno di un sermone - il sacerdozio comune dei fedeli si esercita nel corso del memoriale eucaristico. Occorre dunque concedere un piú ampio spazio alla partecipazione attiva dei fedeli, perché possano esercitare il loro sacerdozio comune, mentre il prete dovrà semplicemente presiedere a queste parole del memoriale.

E concludo: tanto nei suoi dogmi che nel suo culto, la nuova religione ha svuotato la nostra religione cattolica della sua sostanza.
La Passione di Nostro Signore serve solo a rivelare in maniera molto intellettuale e astratta l’amore di Dio Padre per noi. Quanto all’amore di Cristo per il Padre Suo o per noi, non se ne sa piú niente. E d’altronde, il culto cristiano è solo una memoria: si tratta insomma di prendere coscienza del gran lavoro delle gesta di Cristo, e prenderne talmente coscienza che quest’opera divenga presente in seno all’assemblea in preghiera, come un autocoscientizzazione comunitaria.

Questa nuova religione, carissimi fedeli, non è altro che una gnosi.
Penso che sia il termine che meglio descriva la sua caratteristica, poiché si tratta di una religione senza peccato, senza giustizia, senza misericordia, senza penitenza, senza conversione, senza virtú, senza sacrificio, senza sforzo, ma semplicemente un’autocoscientizzazione. Una religione puramente intellettualistica: una pura gnosi.

E allora, carissimi futuri diaconi e sacerdoti, abbiate la certezza che io non vi ordino diaconi e sacerdoti per essere dei diaconi e dei sacerdoti di questa religione gnostica.
E sono convinto che questa era anche la vostra intenzione: ricevere oggi il sacerdozio cattolico, dalle mani della Chiesa Cattolica, e non ricevere un sacerdozio gnostico dalle mani di non so quale sistema gnostico.

Rigettiamo con orrore, carissimi fedeli, carissimi ordinandi, questa religione naturalista, intellettualista, che non ha niente a che vedere con la religione cattolica, e restiamo invece fermamente, sempre piú fermamente convinti della ragione della nostra battaglia, della ragione del nostro sacerdozio.

Cari ordinandi, siate fieri di ricevere il vostro sacerdozio nella Chiesa Cattolica dalle mani di un vescovo cattolico, di tutti quei vescovi che si sono succeduti nella trasmissione del sacerdozio cattolico nella sua purezza dottrinale, da cui discende la loro vera carità pastorale.

Siate felici di ricevere oggi, in questo modo, nella Chiesa Cattolica, il sacerdozio cattolico di nostro Signore Gesú Cristo, il sacerdozio di Padre Pio, il sacerdozio di tutti i santi sacerdoti, del santo Curato d’Ars, il sacerdozio degli Apostoli, il sacerdozio che ha vissuto vicino agli Apostoli la santissima Vergine Maria di cui oggi festeggiamo la festa gioiosa.

E supplichiamo la santissima Vergine Maria, Madre del sacerdozio, Madre dei sacerdoti - Madre del Gran Sacerdote e Madre dei sacerdoti - di conservarci fedeli al sacerdozio cattolico, al fine di comunicare la religione cattolica. 
Cosí sia.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 
Cosí sia.

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NOTE

1) Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1459: «La soddisfazione. - […] Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora 
      recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di piú per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in 
      maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza».
2) Si veda la Documentation catholique N° 2265 del 3 marzo 2002, p. 213-214: Una nota del Pontificio Consiglio per la 
      Promozione dell’Unità dei Cristiani riconosce «la validità dell’Eucarestia celebrata con l’anafora di Addai e Mari, una delle 
      tre anafore tradizionalmente usate nella Chiesa Assira d’Oriente». Questa nota precisa che «l’anafora di Addai e Mari è 
      singolare per il fatto che, da tempo immemorabile, essa è utilizzata senza il racconto dell’Istituzione [cioè senza la 
      Consacrazione]». Questo ha condotto, continua la nota, ad un «lungo e approfondito studio a proposito dell’anafora di 
      Addai e Mari, condotto da un punto di vista storico, liturgico e teologico, al termine del quale, il 17 gennaio 2001, la 
      Congregazione per la Dottrina della Fede [diretta dal cardinale Ratzinger] è giunta alla conclusione che questa anafora 
      poteva essere considerata valida. Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II ha approvato questa decisione.» 
      (NdR - Le Sel de la Terre)
 
 




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