INTERVISTA DI MONS. BERNARD FELLAY,
pubblicata su Fideliter, n. 149, settembre-ottobre
2002
In cui si fa cenno ai rapporti con Roma
e alla erezione dell'Amministrazione Apostolica
Personale San Giovanni Maria Vianney, di Campos
(le sottolineature sono nostre)
(La traduzione è nostra)
Fideliter: Monsignore, siete giunto ai due terzi del
vostro mandato come Superiore Generale. Quale bilancio potete fare?
Mons. Fellay: Il bilancio che posso fare in questo momento
è che la storia della Fraternità è una storia affascinante,
straordinaria. È veramente entusiasmante vedere quest’opera ingrandirsi
in mezzo alle sofferenze, sballottata piú dai vescovi, i quali non
ci amano e si adoperano per metterci il bastone fra le ruote, che da Roma,
la quale ormai da lungo tempo ci lascia in una calma relativa. Vedere dunque
quest’opera crescere e produrre dei frutti veramente straordinarii: questo
è sicuramente il “miracolo di Ecône”.
La Fraternità conta ormai quasi 450 sacerdoti e piú di
60 fratelli. Quale emozione ripensando ai suoi inizii oscuri e difficili
a Friburgo, nel 1969! Ma a questo si aggiunge un fenomeno nuovo per la
Fraternità, che mi colpisce quando sono in visita ai nostri confratelli
sparsi per il mondo: i sacerdoti avanzano in età. Se l’età
media resta appena al di sotto dei 40 anni, un certo numero dei nostri
confratelli la superano di gran lunga, con tutto ciò che questo
comporta in termini di esperienza e di saggezza, ma anche di fatiche e
di infermità. Devo confessare che per la nostra giovane comunità
questo fenomeno è inedito e richiede un’attenzione particolare.
Esso deve rientrare tra le nostre riflessioni e le nostre decisioni, senza
dimenticare di preparare fin da adesso le strutture atte ad accogliere
i confratelli malati, infermi o semplicemente anziani.
F. - Oggi, pensate di poter dire: «Mi restano
solo quattro anni di mandato, devo dunque concentrare i miei sforzi su
tale o talaltro punto che non ho sufficientemente sviluppato fino ad ora?»
M. F. - Non è cosí che mi pongo la questione.
Credo che bisogna sforzarsi di guardare piú lontano di noi stessi,
occorre ritornare agli orientamenti generali della Fraternità, porli
al di sopra delle mie intenzioni o delle mie specifiche volontà.
Su questo piano vi sono dei punti da tenere sempre sotto controllo, in
particolare l’osservanza dei nostri statuti, che sono la fonte della santificazione
dei membri e quindi dei fedeli che la Provvidenza ci ha affidato.
Questo significa che occorre adeguatamente sostenere i confratelli
nel loro apostolato, nella vita di tutti i giorni, nei priorati. Se vi
è allora qualcosa di particolare che richiama la mia attenzione
è proprio questa vita della Fraternità. La cosa sembra elementare,
troppo semplice, ma è molto importante. Non bisogna insistere sull’apostolato
esterno tanto da dimenticare i sacerdoti, i nostri confratelli.
F. - Quali sono i mezzi che avete in vista per sostenere
questa vita della Fraternità?
M. F. - Sono quelli che attengono all’organizzazione,
al governo, a livello dei distretti. L’esperienza dimostra che, accrescendosi,
i distretti tendono a trascurare proporzionalmente lo sviluppo della casa
distrettuale, la quale tuttavia gestisce i servizi centrali: per esempio,
quelli relativi alla sicurezza sociale, a cui abbiamo appena accennato
parlando dell’invecchiamento dei confratelli. Penso dunque che occorra
rafforzare le strutture centrali di ogni distretto, proprio per potersi
meglio occupare dei confratelli.
Per altro verso, occorre cercare di rafforzare i priorati. Io mi rendo
conto che una comunità di cinque sacerdoti, per esempio, o di tre
sacerdoti e due fratelli, rende la vita pratica e spirituale molto piú
facile, molto piú solida, molto piú incoraggiante.
F. - Il secondo assistente, l’abbé Aulagnier,
è stato sostituito recentemente, anche il Superiore del distretto
della Francia è cambiato. Nei due casi si constata che si tratta
di un netto ringiovanimento. È stato voluto? Si tratta del segno
di un avvicendamento generazionale, come quando voi stesso eravate piú
giovane di dodici anni del vostro predecessore? Si tratta del desiderio
di raccogliere intorno a voi un gruppo piú compatto per realizzare
i vostri obiettivi entro il breve tempo che vi rimane del vostro mandato?
M. F. - Non svolgo dei piani cosí elaborati. Io
cerco di mettere insieme tutte le forze vive che incontro. Anche se l’età
è in grado di fornire la saggezza, mi sembra che sarebbe una cattiva
politica quella di ritenere che basti l’età per possedere automaticamente
delle capacità. Penso invece che, come dice il poeta: “nelle anime
belle il valore non aspetta il numero degli anni”. Il criterio dell’età,
in un senso o nell’altro, non è per me un criterio determinante.
Del resto, quando l’abbé Schmidberger divenne Superiore,
nel 1982, aveva quasi la mia età. Anche l’abbé Aulagnier
non era piú grande quando assunse le funzioni di Superiore del distretto.
Per altro verso, l’invecchiamento relativo della Fraternità le conferisce
una certa saggezza che deriva dall’esperienza, che si acquisisce con l’età,
con la vita, e di cui io conto di fare buon uso per la nostra comunità,
anche se nei casi menzionati la cosa non appare con immediatezza.
F. - Il numero dei sacerdoti della Fraternità
è in aumento. Ora, si nota che gli studi propriamente dottrinali
rimangono rari. Non v’è neanche una pubblicazione della Fraternità
dedicata agli studi, in Europa. È questo che vi preoccupa?
M. F. - La mia analisi è diversa. Se in realtà
gli studi che sono stati pubblicati sono pochi, tuttavia del lavoro è
stato fatto. Non necessariamente dei lavori specialistici, quanto dei lavori
di divulgazione. Non si può dire che la Fraternità sia talmente
dedita all’apostolato pratico da smettere di pensare. Si guardi per esempio
ai congressi di SI SI NO NO, di cui l’ultimo,
sulla Messa, è stato un bel successo.
Un altro esempio, molto attuale, lo dimostra ugualmente. Quando l’abbé
di Tanoüarn e Maxence Hecquart hanno lanciato il progetto
del simposio sui quarant’anni del Vaticano II, hanno ricevuto la disponibilità
di piú di 30 confratelli interessati a presentare degli studi, e
questo nonostante il breve tempo a disposizione. Credo che questo sia un
segnale di vero interesse per la riflessione teologica tra noi.
F. - Il cardinale Journet parlava del 10% dei seminaristi
che si dedicano agli studi speculativi. Essendoci piú di 400 sacerdoti
nella Fraternità, dovremmo averne una buona quarantina in grado
di proporre dei lavori piú complessi, come il recente studio sulla
riforma liturgica o come il libro di mons. Tissier su mons. Lefebvre, che
ha una dimensione dottrinale. Ora, apparentemente, le cose non stanno cosí.
Pensate di adottare delle misure particolari per distogliere eventualmente
i sacerdoti piú dotati da almeno una parte del loro ministero pastorale,
al fine di orientarli verso lo studio e di permettere loro di dedicare
piú tempo al lavoro intellettuale?
M. F. - Io sono del tutto favorevole agli studii e lo
sono sempre stato. Penso anche che occorra stimolarli. Ma, lo ripeto, penso
che questi studii esistano già, almeno in parte, anche se non sono
ancora spettacolari.
Ho già incominciato ad affidare dei lavori piú specifici,
a questo o a quel confratello. Ma è ancora un po’ troppo presto
per farlo in grande scala. Mi sembra che, anche se la situazione è
migliorata, è necessario attendere ancora alcuni anni, a che la
Fraternità sia piú rafforzata. In effetti vi sono le necessità
dell’apostolato, che ci reclamano dappertutto. La crisi della Chiesa produce
dei danni tali che le ànime esigono dei veri pastori. Anche la Provvidenza
mostra le priorità del momento. Ma sono convinto che si appresta
il tempo in cui occorrerà che alcuni dei nostri sacerdoti si dedichino
allo studio in maniera piú specifica.
F. - Un avvenimento recente ha interessato la Tradizione,
quello dell’accordo fra Roma e Campos. Prima ancora di esprimere un giudizio
sulla questione, potete precisare in che modo siete intervenuto nei confronti
di Campos o di Roma nel corso dello svolgimento della vicenda?
M. F. - Mi richiamerò innanzi tutto alla fase
preparatoria. In questo periodo abbiamo avuto dei contatti relativamente
intensi con Campos. Io delegai mons. Galarreta a recarsi
al fianco di mons. Rangel nel mese di settembre. Nello stesso mese
incontrai l’abbé Rifan a Roma. Io stesso mi sono recato a
Campos alla fine di ottobre. E ho anche scritto diverse lettere
a Campos.
Con Roma vi sono stati meno contatti sull’argomento, proprio perché
tutti i passi sono stati fatti a nostra insaputa. Confesso che non ho apprezzato
molto la cosa, né per quanto riguarda Campos, né per quanto
riguarda Roma. Noi siamo stati franchi con l’una e l’altra parte al
momento delle “conversazioni”, mentre le loro trattative sono rimaste segrete.
Dopo la pubblicazione, a Natale, della prima lettera del Papa che parlava
dell’erezione a Campos di una Amministrazione Apostolica,
i contatti sono stati pochi: una lettera qui e là, alcuni richiami
alla fedeltà. La situazione è molto tesa. Devo confessare
che è quello che temevo fin dall’inizio. Del resto, avevo avvisato
Campos di fare attenzione in caso di accordo separato, poiché
esso avrebbe comportato necessariamente degli screzii, fors’anche una divisione,
ed è proprio quello che è accaduto, sfortunatamente.
Al momento attuale noi continuiamo ad osservare ciò che accade
a Campos, in che modo sono trattati dalle autorità romane, sapendo
che quello potrebbe essere un esempio per noi, ma considerando che potrebbe
anche servire da esca per farci abboccare all’amo.
F. - Volete dire che Roma farebbe le piú grandi
concessioni a Campos per farvi credere che potrebbe fare lo stesso con
la Fraternità?
M. F. - È una delle possibilità da prendere
in considerazione, anche se non è la sola. E questo perché
le grandi linee sono sempre le stesse: Roma non è cambiata, tanto
sul concilio quanto sulla Messa. È questo è un elemento fondamentale
che non bisogna mai perdere di vista, anche quando Campos beneficia di
concessioni insperate.
F. - Questo accordo di Campos è dunque intervenuto
senza la vostra partecipazione, e anche contro il vostro parere. Tuttavia
è possibile esprimere un giudizio su di esso. Cominciamo con quelli
positivi. Ritenete che un tale accordo comporti degli approcci significativi?
M. F. - Prescindendo dalle circostanze nelle quali ci
troviamo, vi è incontestabilmente del positivo, si è fatto
un gran passo avanti. È la prima volta che Roma stabilisce una struttura
veramente seria, con una certa possibilità per la Tradizione di
proteggersi. E indubbiamente si tratta di una cosa notevole. Lo stesso
dicasi per la concessione del vescovo da succedere a mons. Rangel, mons.
Rifan.
Forse si tratta di un atto politico, ma in ogni caso è un
fatto, un punto fermo. Nel caso specifico siamo di fronte all’elevazione
all’episcopato di un sacerdote che, come noi, è stato accusato di
essere scismatico per diversi anni, ed ecco, che d’un sol colpo, è
scelto per diventare vescovo. La cosa è certo interessante.
F. - E per quanto riguarda lo stato della Messa? L’abbé
Aulagnier, sulla base di una analisi semantica della lettera di Roma a
Campos, afferma che la Messa tradizionale non è piú ormai
una semplice concessione, ma una “facultas”, un vero diritto.
M. F. - Io non condivido l’analisi ottimista dell’abbé
Aulagnier. A mio avviso si tratta sempre di una legge particolare,
relativa ad una Amministrazione Apostolica, non siamo ancora di fronte
ad una legge generale, come l’abbiamo chiesta noi per tutta la Chiesa.
Per contro, la struttura giuridica, l’Amministrazione Apostolica, è
certamente piú solida della struttura delle società dell’Ecclesia
Dei, e da essa deriva una garanzia piú ampia per poter utilizzare
esclusivamente la liturgia tradizionale.
F. - Passiamo adesso alle reticenze, e cioè
alle critiche su questo accordo di Campos.
M. F. - Il punto fondamentale, quello che salta agli
occhi e che è forse il piú grave, è il compromesso.
Essi hanno ormai due padroni. Da una parte vogliono conservare la Tradizione,
e questo è il loro primo padrone, e dall’altra aspirano a conservare
ciò che una Roma comunque moderna ha loro concesso, è questo
è il loro secondo padrone. Ne consegue che, per rimanere in accordo
con i due, diviene necessario tutto un lavoro di equilibrismo. Il che è
estremamente pericoloso e sgradevole. Essi seguono adesso questo procedimento
un po’ in tutte le direzioni. Addebitano a me o a mons. Lefebvre
quelle espressioni che vanno incontro alla loro versione dei fatti, ma
estrapolandole dal loro contesto. È questo un giuoco pericoloso,
intriso di ambiguità. Basta guardare alla loro recente posizione
sull’ecumenismo: un vero capolavoro di ambiguità.
F. - Pensate che per loro vi sia il rischio, diciamo
nell’arco di cinque anni, di essere richiamati all’ordine, ingannati, maltrattati?
M. F. - Non penso ai cinque anni prossimi. Ritengo che
bisogna guardare piú lontano, tranne che Roma non ne sia veramente
costretta, cosa della quale dubito. Quando guardo alla Fraternità
San Pietro, il suo “stato di grazia” è durato dieci anni. Ma, indubbiamente,
vedo delle nubi minacciose addensarsi su questa scadenza. Perché?
Perché, ancora una volta, nell’atteggiamento fondamentale di
Roma, di tutta la Chiesa, niente è cambiato. Non si può affermare
che la concessione fatta da Roma a Campos rappresenti un reale cambiamento,
diciamo un atteggiamento di favore, uno sguardo benevolo di Roma nei confronti
della Tradizione.
F. - Si tratta allora semplicemente di una manovra
politica?
M. F. - Non parlerei di manovra. Credo piuttosto che
occorre piazzarsi nella prospettiva ecumenica di Roma, che fa di tutto,
in questo momento, per giungere all’unità con le diverse “Chiese
sorelle”. In questa prospettiva, è del tutto evidente come il preteso
“scisma” della Fraternità sia un elemento di disturbo.
Ma il grande problema di questa prospettiva ecumenica consiste nel
fatto che non si guarda neanche piú al fondamento, alla ragione
della nostra esistenza, alle cause di questa situazione. No! Ci si occupa
solo dell’aspetto pratico: la nostra opposizione all’attuale insegnamento
papale, derivato dal Vaticano II, senza fare piú caso ai problemi
di fede che vi sono implicati.
F. - Ed eccoci giunti alle relazioni con Roma. Il cardinale
Ratzinger vi ha scritto. Potete parlarci del tenore di questa lettera?
M. F. - Si tratta di una lettera relativamente breve,
una risposta al piccolo studio che gli avevo mandato circa la conferenza
da lui tenuta a Fontgombault, e nella quale criticava il nostro
libro sulla Messa. Un’analisi che dimostra in definitiva come il nostro
libro collimi con lui stesso e la sua tesi, e che dunque le obiezioni da
noi poste siano del tutto attuali. Egli prova a difendersi. Ma riconosce
poi che vi sono dei gravi problemi, tanto a livello teologico quanto a
livello liturgico, e propone di costituire un gruppo di studio per approfondire
la questione.
F. - Avete risposto positivamente a questa proposta
del gruppo di studio teologico, che corrisponde ad una delle vostre richieste
insistenti?
M. F. - Io sono sempre interessato alla discussione teologica.
Penso che essa sia di un’estrema importanza, non foss’altro che per sgombrare
il terreno, poiché piú andiamo avanti e piú constato
che si son dette tante stoltezze nei nostri confronti e sulla nostra posizione,
anche in seno agli ambienti romani. Vi è dunque molta confusione
da superare, e le discussioni che producano dei chiarimenti sono di reale
utilità.
Tuttavia, questa lettera del cardinale Ratzinger si colloca in un
preciso contesto. E in questo contesto io scorgo delle manovre poco chiare
da parte di Roma contro la Fraternità. Questa situazione non toglie
nulla all’interesse delle discussioni dottrinali, ma mi obbliga a differirne
provvisoriamente la realizzazione. Risponderò positivamente al cardinale
Ratzinger, ma porrò un certo freno, a significare “Niente manovre”!
In altri termini: “Mettetevi d’accordo, io non intendo lavorare in un clima
siffatto”.
F. - Anche il cardinale Hoyos vi ha scritto?
M. F. - Si, per due volte, il 7 maggio dell’anno scorso
e il 5 aprile di quest’anno.
F. - Sembra che ormai siate molto critico nei suoi
confronti, dopo che nella vostra precedente intervista avevate lodato la
sua apertura di spirito.
M. F. - Per dirla in breve, occorre comprendere che in
tutte le discussioni, e fin dall’inizio, noi abbiamo posto come dei paletti.
Per noi si trattava, e si tratta sempre, di avere dei chiari e indiscutibili
segni da parte di Roma, senza i quali le discussioni non potrebbero essere
fruttuose, né portare avanti i rapporti. Ora, sarà bene notare
che tutto quello che noi abbiamo chiesto fin dall’inizio degli incontri
è stato sempre rifiutato, talvolta con diplomazia, talaltra
un po’ bruscamente.
È ugualmente interessante notare che in tutti i rapporti
ecumenici che Roma intraprende, vi è sempre un gesto da parte sua,
una captatio benevolentiae. Nei nostri confronti, invece, nessun gesto:
ogni volta vi è un “Niet”, secco, deciso!
La seconda cosa da notare, che si evinceva dalla prima lettera, ma
che è molto piú chiara nella seconda, è la terribile
impressione di trovarsi di fronte a qualcuno che non ci capisce affatto.
Una piccola frase lo dimostra a sufficienza. Nella sua lettera, egli afferma
che una grande maggioranza dei sacerdoti o dei fedeli della Fraternità
aspirano ad un accordo con Roma “per alleviare la propria coscienza”. Mentre
invece è esattamente del contrario che si tratta: vi sono delle
persone che si allontanano dalla Roma moderna e vengono a rinforzare i
nostri ranghi, e in questo caso sí per alleviare la propria coscienza,
poiché questa Roma li pone di fronte a dei problemi di coscienza
enormi e insostenibili.
Sembra che questo il cardinale Hoyos non lo veda neanche. A leggere
le sue lettere, sembra che per lui nella Roma attuale vada tutto molto
bene mentre noi saremmo della gente limitata, senza apertura di spirito
e mancanti stranamente di comprensione nei confronti degli sviluppi della
teologia e della dottrina, che sarebbero del tutto naturali e normali.
In altre parole, si ha l’impressione di aver a che fare con qualcuno
che non prende in considerazione i nostri argomenti, né i nostri
lavori teologici, ma che invece prende sul serio il problema che noi costituiamo
per la Chiesa. Noi abbiamo di fronte un pragmatico che guarda al problema
dal punto di vista della divisione, della rottura e del non-senso ecumenico
che questa rappresenta per la Chiesa attuale, e che cerca dunque una soluzione
pratica ad un problema di ordine teologico. Questo è molto seccante,
perché si ha l’impressione di portare avanti un dialogo tra sordi.
F. - Tuttavia, si può obiettare che mons. Lefebvre
non ha mai interrotto i contatti, anche quando lo si trattava da “folle”.
M. F. - L’ingiuria mi lascia indifferente. Di contro,
io sono molto sensibile alle manovre intraprese per cercare di dividere
la Fraternità. Ed è del tutto normale, è mio dovere
prendere le misure atte a proteggere la Fraternità dalle manovre
che mirano ad introdurre in essa un’inizio di divisione.
Bisogna ben comprendere che queste manovre derivano da una falsa analisi
da parte di Roma o del cardinale Hoyos, che consiste nel vedere la divisone
nei nostri ranghi. Ai loro occhi, una grande maggioranza dei membri
e dei fedeli della Fraternità vorrebbe un accordo, contro una piccola
minoranza di duri, di fanatici che non lo vorrebbe ad alcun costo. Significa
sbagliarsi del tutto! Lo stato della Fraternità non è questo.
Noi siamo un gruppo profondamente unito, anche se le personalità
ed i giudizii puramente individuali sono differenti. Ma non esiste la divisione
immaginata da Roma. Io non apprezzo questo genere di manovre, non sono
affatto chiare.
Noi siamo dunque ben decisi a non lasciar perdere, poiché non
si tratta semplicemente di noi, ma di questioni di fede. È necessario
cercare di neutralizzare la manovra per provare a rimettere le trattative
su un piano piú solido. Quanto tempo occorrerà attendere?
Difficile a dirsi, tanto piú che in questo momento trattiamo di
una questione di persone, e la cosa diventa molto delicata, perché
bisognerebbe quasi permettere di squalificare le persone che si comportano
cosí.
F. - Agli inizii di ottobre verrà pubblicata
una biografia - che si potrebbe chiamare “definitiva” - di mons. Lefebvre,
a cura di mons. Tissier de Mallerais. La pubblicazione di una tale biografia
vi sembra importante?
M. F. - Essa è importante da diversi punti di
vista. Innanzi tutto per la storia, perché mons. Lefebvre
è una figura notevole del XX secolo. Già notevole nella prima
metà del secolo, in Africa, ma che lo diventa ancor di piú
dopo: per la capitale importanza che riveste per la Chiesa a partire dal
concilio Vaticano II. È dunque importante che questa figura appaia
in piena luce e sotto la sua vera luce, sgombra da quell’insieme di congerie
e di etichettature congegnate nelle officine moderniste o diffuse dagli
ambienti ufficiali.
Poi, essa è importante per noi, per la Tradizione, affinché
noi si sappia apprezzare il dono immenso che ci ha fatto il buon Dio nel
darci mons. Lefebvre; affinché noi si sappiano apprendere le lezioni,
gli insegnamenti che egli ci lasciati, insegnamenti di una vita interamente
dedicata a Dio, alla Chiesa, senza ricompense per la sua persona.
Infine, essa è importante per le persone che sono intorno a
noi, affinché anch’esse imparino a conoscere questa bella figura.
Questo libro aiuterà parecchio a rivedere una quantità di
giudizii affrettati, malevoli o erronei.
F. - In questa biografia, l’autore rimette in questione
certi punti, anche in contrasto con delle affermazioni di mons. Lefebvre.
Per esempio, mons. Tissier afferma, documenti alla mano, che mons. Lefebvre
ha firmato tutti i documenti del concilio Vaticano II, benché abbia
votato contro la libertà religiosa e la Gaudium et spes. Egli ritiene
che se mons. Lefebvre ha affermato il contrario a partire dal 1976, è
perché, a piú di dieci anni di distanza, la sua memoria lo
tradiva. Vi sembra una cosa legittima o pensate che vi sia una certa mancanza
di rispetto e che sarebbe stato meglio non scriverlo?
M. F. - Mi sembra che un libro scritto con questo spirito
dia un’immagine coraggiosa e nobile della Fraternità, che non nasconde
niente della verità, anche quando questa è sgradevole o difficile.
L’autore impegna la sua responsabilità personale sulle affermazioni
che egli fa dopo lunghe e circostanziate ricerche. Con le affermazioni
alle quali voi alludevate, egli prova la sua libertà di pensiero
e manifesta l’onestà del suo lavoro. Egli dimostra anche che
la Fraternità non intende imporre ai suoi membri una costrizione
su dei punti storici liberamente discutibili, come se li si obbligasse
a guardare tutto col paraocchi.
Per contro, non vi è alcun obbligo di condividere l’opinione
di mons. Tissier de Mallerais su questo o quel punto, e si può
giudicare diversamente da come fa lui.
D’altronde, come dice lo stesso mons. Tissier de Mallerais,
altri documenti potrebbero essere scoperti in futuro, che permetterebbero
di precisare certi punti, o di rivederli o rettificarli.
Indubbiamente, a questo proposito, vi saranno delle discussioni,
forse delle sane controversie intellettuali. Ma si tratta del prezzo
ordinario ed inevitabile da pagare alla preoccupazione storica, alla cura
per la verità che ànima mons. Tissier de Mallerais, ed è
una buona cosa.
La cosa piú importante è l’intima conoscenza della vita
e dell’ànimo di mons. Lefebvre, che procura la lettura di questo
libro eccezionalmente preciso e documentato. Per ciascuno dei figli di
mons. Lefebvre esso sarà come una grande luce. Questa biografia
dovrebbe diventare uno dei nostri libri prediletti.
Intervista raccolta dall’abbé Grégoire Celier
(settembre 2002)
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