RIFLESSIONI "INTRA MUROS"

Chiarimenti in seguito agli accordi di Campos con la Santa Sede
Redatti a cura dell'Amministrazione Apostolica Personale
San Giovanni Maria Vianney
 

Questi chiarimenti sono incentrati sulla controversia sorta tra 
la Fraternità San Pio X e la stessa Amministrazione Apostolica S. G. M. Vianney
dopo l'erezione di quest'ultima
 

(le sottolineature sono nostre)



(Il testo è stato pubblicato sul sito dell'Amministrazione Apostolica:
http://www.seminario-campos.org.br/portugues/index.html
(La traduzione e l'organizzazione del testo sono nostre)



 
 

1) Il problema che ci preoccupa
2) “La questione della visibilità della Chiesa è troppo importante per la sua esistenza…"
3) “Né eretici né scismatici: questa dev’essere la nostra attitudine nel corso della crisi attuale”
4) «Chi disprezza voi, disprezza me» (Luca, 10, 16). Rispetto delle autorità della Chiesa.
5) “Preoccupatevi per espressioni come “due Rome”, “due Chiese”.
6) “A causa della sfiducia nella gerarchia, è sovversione eretica seguire abitualmente qualcuno, non appartenente alla 
       gerarchia, come portavoce e giudice dell’ortodossia”.
7) “La soluzione potrà arrivare a tappe, anche con una situazione un poco ibrida, delle parrocchie personali riconosciute 
       a fianco delle parrocchie attuali”.
8) “Lasciateci fare l’esperienza della Tradizione”.
9) “Tutto a suo tempo… tempo per tacere e tempo per parlare”.
10) “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati” (Luca 6, 37). 
          “Non giudicate prima del tempo” (I Cor. 4, 5).
11) “Una rondine non fa primavera, ma può contribuirvi”.
12) “In questo momento io credo nella possibilità di un accordo pratico e nella totale inutilità delle discussioni dottrinali”.
13) “Il caso della Fraternità San Pio X è diverso dal caso della diocesi di Campos. Non si deve collegare il caso di Campos 
          alla Fraternità.”
14) “Se il Papa mi chiama, io vado. Per obbedienza.”
15) “Et nos credidimus caritati”.
16) “… Maestro … glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci. Ma Gesú gli rispose: Non glielo 
         impedite, perché chi non è contro di voi è per voi.” (Luca 9, 49-50).
 

1) Il problema che ci preoccupa (Mons. Marcel Lefebvre).
Il fatto di non essere riconosciuto come cattolico, essere in qualche modo fuori dalla gerarchia, benché per stato di necessità, deve costituire per ogni buon cattolico uno stato anormale, temporaneo, un problema che preoccupa, dal quale bisogna provare ad uscire al piú presto nei limiti del possibile e sentirsi felice per la possibilità che permette di giungere alla fine di tale anormalità.
Questo era il pensiero di Mons. Marcel Lefebvre, quando, nel corso dei colloquii con la Santa Sede, nel 1988, egli scriveva al Card. Ratzinger: «Avendo potuto seguire i lavori della Commissione incaricata di preparare una soluzione accettabile per il problema che ci preoccupa, mi sembra che, con la grazia di Dio, ci stiamo avviando verso un accordo, del quale siamo molto felici» (Lettera del 15/4/1988 - cf. Fideliter - Dossier completo).
Di conseguenza, sentirsi soddisfatti con la separazione, essere felici con la condizione anormale, non essere inquieti per il problema, non voler giungere in alcun modo ad una intesa, rifiutare a priori ogni tentativo di accordo, non corrisponde al giusto spirito e sentimento cattolici di cui abbiamo un esempio in Mons. Marcel Lefebvre.
Ed è bene notare la data: 1988, due anni dopo l’“incontro di Assisi”, un anno dopo l’“incontro di Kyoto” e un anno dopo la risposta ai “dubia” di Mons. Lefebvre. In quella occasione, non si era verificata alcuna “conversione” delle autorità. E malgrado ciò, Mons. Lefebvre, inquieto per il problema, cercava un accordo e si diceva felice per la sua realizzazione.

2) “La questione della visibilità della Chiesa è troppo importante per la sua esistenza…” (Mons. Marcel Lefebvre)
La Chiesa cattolica non è una società spirituale invisibile, l’insieme dei fedeli in possesso della vera Fede. Sarebbe, questo, un concetto protestante di Chiesa, condannato dal Magistero della Chiesa (cf. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, de Ecclesia Christi, n. 332). La Teologia Cattolica insegna che la Chiesa è visibile in quanto società gerarchica, con unità di Fede e di Governo.
La visibilità della Chiesa consiste nella sua organizzazione esterna, manifesta a tutti, e a detta organizzazione devono appartenere tutti i fedeli per il legame visibile della stessa fede, esternamente professata, per il legame della stessa comune obbedienza ad una autorità visibile e per il legame della condivisione degli stessi sacramenti istituiti da Cristo: questo è l’elemento visibile della Chiesa” (Dictionnaire de Théologie Catholique - D.T.C., v. Église, col  2144).
Ecco cosa insegna il Papa Pio XII: «Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore, da non potersi più ne vedere né rinvenire il porto della salute eterna.» (Enciclica Mystici Corporis, n. 36).
Il concilio Vaticano I ha definito che il Papa è il «principio perpetuo e il fondamento visibile dell’unità della Chiesa» (Denz 3051), e anatemizza coloro che affermano che San Pietro non avrebbe dei perpetui successori nel primato su tutta la Chiesa (Denz 3058). Ripetendo sempre questa stessa dottrina, Mons. Antonio de Castro Mayer insegnava: «Il Papa è il Capo della Chiesa e, come tale, il segno e la causa dell’unità visibile della società soprannaturale, internamente comandata e vivificata dallo Spirito Santo» (Istruzione Pastorale sulla Chiesa, 2/3/1965, cap. II).
Ed ecco cosa pensava Mons. Marcel Lefebvre: «La questione della visibilità della Chiesa è troppo importante per la sua esistenza perché Dio possa ometterla per dei decenni» (In Mons. Lefebvre y la Sede Romana, Roma Aeterna, n. 112, p. 5). 3) “Né eretici né scismatici: questa dev’essere la nostra attitudine nel corso della crisi attuale” (Mons. Marcel Lefebvre).
È questa la posizione di equilibrio che dobbiamo tenere nel corso dell’attuale crisi che attraversa la Santa Chiesa. Non essere degli eretici, e cioè non lasciarsi coinvolgere negli errori già condannati dal Magistero della Chiesa, soprattutto il modernismo, il falso ecumenismo, l’indifferentismo religioso, ecc. Non essere degli scismatici, e cioè non separarci dall’unità di governo della Chiesa. E se per necessità si verifica una situazione di separazione, che essa sia temporanea, mentre noi dobbiamo sempre mantenere il vivo desiderio della normalizzazione, senza mai nutrire alcun sentimento scismatico.
Il Magistero della Chiesa (Leone XIII, Satis Cognitum) ci insegna che l’unità di regime o di governo è altrettanto necessaria che l’unità di Fede. 
È quello che insegnava Mons. Lefebvre: «Preferisco partire dal principio che si deve difendere la nostra fede… Se qualcuno attacca la nostra fede, noi diciamo: No! Ma non per questo si può dire poi che se attacca la nostra fede è un eretico, dunque non ha piú autorità, quindi i suoi atti non hanno piú alcun valore… Attenzione, attenzione, attenzione! … Non poniamoci in un circolo infernale da cui non sapremmo come uscire. Questa attitudine comporta un vero pericolo di scisma… Noi vogliamo rimanere legati a Roma, al successore di Pietro, ma rigettiamo il suo liberalismo con la fedeltà ai suoi predecessori… È per questo che, lungi dal rifiutare le preghiere per il Papa, noi le aumentiamo e supplichiamo perché lo Spirito Santo lo illumini e lo fortifichi nel sostegno e nella difesa della fede… È per questo che non ho mai rifiutato di andare a Roma ad una sua chiamata o alla chiamata dei suoi rappresentanti. La verità deve affermarsi a Roma piú che in ogni altro posto. Appartiene a Dio farla trionfare… Io credo sia necessario fare queste precisazioni per rimanere nello spirito della Chiesa…» (In Mons. Lefebvre y la Sede Romana, Roma Aeterna, n.112, p. 5 et 6).
Mons. Marcel Lefebvre conosceva la condanna delle proposizioni di Wiclef e di Jean Huss, predecessori degli eretici del Protestantesimo, che affermavano che un papa malvagio perde l’autorità sui fedeli (Cf Denz 1158 e 1222), proposizioni condannate come non cattoliche (Denz 1251).
D’altronde, è dogma di fede cattolica: «Noi dichiariamo, affermiamo e definiamo essere totalmente necessario alla salvezza che tutti gli uomini siano sottomessi al Romano Pontefice» (Bonifacio VIII, Bolla Unam Sanctam, Denz 875).
E l’abbé Franz Schmidberger, primo successore di mons. Lefebvre come Superiore della Fraternità San Pio X, parlando degli attuali colloquii con la Santa Sede, ha esposto «l’importanza di mantenere dei contatti con Roma per non cadere in una mentalità scismatica» (Conferenza negli Stati Uniti, secondo la “newletter of SSPX in the UK”, agosto-settembre 2001, editoriale). 4) «Chi disprezza voi, disprezza me» (Gesú agli Apostoli e ai loro successori, Luca, 10, 16). Rispetto delle autorità della Chiesa.
Sant’Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi Spirituali, alla regola 10 per sentire con la Chiesa, insegna che dobbiamo essere piú pronti a lodare le direttive e i comportamenti dei nostri superiori che a criticarli. E anche quando essi non sono buoni, parlare contro di loro, pubblicamente o conversando, procurerebbe piú critiche e scandalo che profitto. Si causerebbe discredito all’autorità. Ciò che può essere utile è parlarne a delle persone che possono rimediare al male.
Dunque, Mons. Fellay, in una intervista alla rivista 30 Giorni, alla domanda del giornalista che gli faceva notare: “Siamo realisti. È veramente difficile che Roma possa dire: ci siamo sbagliati col concilio Vaticano II”, rispondeva: «Avete ragione: occorre essere realisti. Noi non ci aspettiamo che il Vaticano faccia un grande mea culpa, dicendo delle cose come: “Abbiamo promulgato una falsa messa”. Non vogliamo che l’autorità della Chiesa sia ancor piú diminuita. Lo è stata abbastanza: ora basta…»  5) “Preoccupatevi per espressioni come “due Rome”, “due Chiese” (Abbé Michel Simoulin della Fraternità San Pio X).
“Le espressioni: due Rome, due chiese, due religioni che si opporrebbero e si affronterebbero, non avendo apparentemente niente in comune tra loro. Queste formule sono… suggestive e giuste, ma solo nei limiti dell’analogia: se se ne forza il significato esse possono diventare infatti fonte di terribile confusione e possono generare un manicheismo in cui il senso della Chiesa, la fede nella sua divinità e il semplice senso del soprannaturale sarebbero le prime vittime. (Abbé Michel Simoulin, Superiore del Distretto d’Italia della Fraternità San Pio X, articolo “Dans la crise de l'Église, un peu de vrai romainité”, in Communicantes, maggio 2001).
“…Mons. Lefebvre non ha mai esitato a recarsi a Roma, o a chiedere alla Roma modernista di lasciarci fare l’esperienza della Tradizione, o a chiedere il riconoscimento della Fraternità e il permesso di effettuare le consacrazioni, ecc.…, perché egli credeva che la Chiesa vive ancora a Roma e poteva utilizzare gli stessi organi conciliari per trarne del bene. …” “Non dobbiamo aiutarla se ce ne viene offerta la possibilità?” (Abbé Michel Simoulin, ibidem).
Dobbiamo ricordarci anche della condanna dei Fraticelli e della loro teoria erronea delle due chiese (Denz 911), condannata come eretica e insana (Denz 916). 6) “A causa della sfiducia nella gerarchia, è sovversione eretica seguire abitualmente qualcuno, non appartenente alla gerarchia, come portavoce e giudice dell’ortodossia” (Mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo diocesano di Campos).
Parlando di un altro argomento, Mons. Antonio de Castro Mayer ci fornisce i principi che possono servire di riferimento per il caso attuale: “Sfortunatamente, oggi vi sono altri tipi di eresia. Come quella che va alla ricerca di un profeta, di una guida, col pretesto che l’intera gerarchia ha sbagliato! Nel caso in cui fosse l’intera gerarchia a sbagliare, verrebbero meno le parole di Gesú Cristo, poiché il Divino Salvatore ha affidato alla gerarchia il governo e la direzione della sua Chiesa fino alla fine dei secoli e, in piú, la sua assistenza perché essa non sbagli (Monitor Campista, 26/1/1986).
Lo stesso san Roberto Bellarmino ha detto: «Se tutti i vescovi si sbagliassero, la Chiesa intera si sbaglierebbe, poiché il popolo è obbligato a seguire i suoi Pastori, come ha detto Gesú in san Luca, 10, 16: “Chi ascolta voi, ascolta me”, e in san Matteo, 23, 3: Fate ciò che vi dicono”» (Liber III, cap. XIV De Ecclesia militante). 7) “La soluzione potrà arrivare a tappe, anche con una situazione un poco ibrida, delle parrocchie personali riconosciute a fianco delle parrocchie attuali” (Mons. Marcel Lefebvre).
Mons. Lefebvre accettava che la soluzione potesse arrivare per tappe: «È possibile che un giorno i vescovi, consci del loro compito, possano arrivare a dire: Bene, questa parrocchia è ormai riconosciuta; forse anche con una situazione un po’ ibrida, direi, nel senso che sosterrebbero: “le parrocchie attuali continuino in quello che hanno fatto fino ad oggi, ma riconosciamo questa parrocchia personale per tutti coloro che vogliono venire a frequentarla e servirsi dei suoi preti, noi riconosciamo anche questa”. Sarebbe una soluzione, forse… Direi… una tappa, forse, non prevedo il futuro… Ma è possibile. In ogni caso, è necessario trovarsi in questa disposizione di spirito e non in una disposizione di rottura né in una disposizione di opposizione per l’opposizione, di opposizione alla Chiesa, per non si sa bene che cosa” (Mons. Marcel Lefebvre, Ecône, 3/3/1977 - Cf. DICI n° 7, 11/5/2001, p. 17).
Nell’intervista a 30 Giorni, alla domanda: “Allora, cosa potrebbe fare il Vaticano, concretamente, per riannodare i rapporti con voi?”, Mons. Fellay ha risposto: “Nelle questioni pratiche, su come fare per risolvere i problemi, la saggezza e la capacità di Roma sono molto grandi. Quindi Roma può trovare le formule appropriate.
E sulla proposta dell’Amministrazione Apostolica, Mons. Fellay ha commentato: “È una proposta straordinaria, e se Roma vuole una vera riforma, questa è la strada che occorre intraprendere…” (Intervista a Pacte, n. 56, estate 2001 - Cf. DICI n. 16, 13/7/2001 - [sito internet della pubblicazione DICI: http://www.dici.org/accueil.php] -). 8) “Lasciateci fare l’esperienza della Tradizione” (Mons. Marcel Lefebvre al Papa).
Qualche volta, nei colloqui di riconciliazione, è necessario utilizzare l’argomento “ad hominem”, e cioè usare le parole e ricordare i principi che sono accettati dagli interlocutori, affinché con buona logica essi ne traggano delle buone conclusioni, senza con questo voler dire che anche noi accettiamo quel punto di vista.
Cosí, Mons. Lefebvre chiedeva anche che, in nome del corrente pluralismo, gli lasciassero la tradizione nell’insieme del gran numero di “esperienze” attuali: «Il Papa Giovanni Paolo II…, in occasione dell’udienza che mi ha concessa nel novembre del 1979, sembrava essere disposto, dopo una prolungata conversazione, a lasciarmi la libertà di scelta nella liturgia, a lasciarmi fare ciò che, in fin dei conti, ho sempre sollecitato fin dall’inizio: l’esperienza della tradizione tra tutte le esperienze che si sono effettuate nella Chiesa» (Mons. Marcel Lefebvre, 1984, in Lettera aperta ai cattolici perplessi, XX). 
Questo non significa che Mons. Lefebvre fosse d’accordo con tutte queste “esperienze che si sono effettuate nella Chiesa”. 9) “Tutto a suo tempo… tempo per tacere e tempo per parlare” (Eccl 3, 1 e 7)
Gesú visse nel tempo in cui la schiavitú era diffusa nella società. La schiavitú è un male. E Gesú non parla nemmeno una volta contro la schiavitú. La cosa avrebbe provocato una dissoluzione sociale. Ma Gesú ha posto le basi - le virtú cristiane di giustizia, umiltà e carità - che hanno permesso, con la penetrazione del cristianesimo nella società, l’abolizione della schiavitú. Qualche volta è necessario attendere il momento opportuno. È necessario tenere conto delle circostanze e della capacità di ricezione della critica. E qualche volta la battaglia positiva è piú fruttuosa della negativa.
Anche la Fraternità San Pio X, quando ha avuto la possibilità di utilizzare le Basiliche romane nel corso del Giubileo del 2000, non ha approfittato dei microfoni per parlare contro gli errori diffusi nella cosiddetta “Roma modernista”. E i sacerdoti della Fraternità che hanno organizzato il Giubileo hanno chiesto agli altri che avrebbero parlato nelle Basiliche di abbassare il tono e di non parlare con durezza delle autorità. E Mons. Fellay, passando per le Porte Sante, non ha protestato per il fatto che il Papa le avesse aperte accompagnato dai rappresentanti di altre religioni. E sempre Mons. Fellay, quando ha parlato ai microfoni delle Basiliche, ha usato un tono molto moderato e non ha criticato la “Chiesa conciliare”, malgrado si trattasse di un’occasione irripetibile. Lo stesso è accaduto quando ha celebrato la Messa nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Solo la gente mal disposta ha potuto immaginare che, comportandosi cosí, egli avesse mancato alla professione di Fede.
“Tutto a suo tempo”. 10) “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati” (Gesú in Luca 6, 37). “Non giudicate prima del tempo” (San Paolo in I Cor. 4, 5)
“Tutte le cose sembrano gialle agli occhi di chi è affetto da itterizia… La malizia del giudizio affrettato, al pari di questa malattia, fa sembrare che tutto è malvagio agli occhi di coloro che ne sono affetti… Se un’azione presenta cento aspetti diversi, noi dobbiamo considerarla solo per i suoi aspetti migliori… (San Francesco di Sales, Filoteia, III, 27).
“E chi toglie ingiustamente la reputazione al suo prossimo, oltre al peccato che fa, è tenuto alla restituzione…” (Ibidem, III, 28). 11) “Una rondine non fa primavera, ma può contribuirvi” (Abbé Michel Beaumont della Fraternità San Pio X, sull’elogio che il Papa ha fatto del Messale tradizionale, detto di san Pio V, e a proposito delle valide osservazioni avanzate dal card. Ratzinger sulla liturgia):
“Di fronte a un muro ostile ogni breccia è benvenuta. Essa dimostra almeno che la battaglia non è inutile. Una rondine attraversa il cielo. Essa non fa primavera, non sostituisce la primavera della Chiesa che auspichiamo e alla quale lavoriamo. Ma una rondine annuncia la primavera, e può dunque dar forza e coraggio per attenderla” 
(Cf http://www.le-combat-catholique.com).
È in questa ottica che Mons. Fellay ha detto molto bene: “Se vi è una possibilità, una sola, che i contatti con Roma possano far ritornare un po’ piú di Tradizione nella Chiesa, io penso che dobbiamo approfittare dell’occasione” (Mons. Fellay, Fideliter, n. 140, p. 7).
Ecco perché l’abbé Pierre-Marie Laurençon, Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pio X, ha considerato come una grande vittoria per la Tradizione il fatto che i fedeli tradizionalisti abbiano ottenuto di celebrare la Messa di san Pio V, per la prima volta in 20 anni, nella Basilica sotterranea (moderna) di san Pio X, nel Santuario di Lourdes, nel corso del pellegrinaggio del 28 ottobre 2001. “Questo è forse il miracolo di Lourdes per il 2001! In ogni caso, i nostri fedeli non potranno piú rimproverarci di “accontentarci delle briciole”, lasciando che le autorità di Lourdes ci confinassero in una sala periferica del Santuario!… Non dobbiamo interpretare questa bella vittoria come un segno di speranza per il ritorno di Roma alla Tradizione?” (Lettera agli amici e benefattori, gennaio 2002). 12) “In questo momento io credo nella possibilità di un accordo pratico e nella totale inutilità delle discussioni dottrinali” (Abbé Philipe Laguérie della Fraternità San Pio X).
“Ecco la mia conclusione, forse sorprendente: io credo, in questo momento, alla possibilità di un accordo pratico e all’inutilità totale delle discussioni dottrinali… Si perde tempo - forse la propria ànima - con delle discussioni che non giungono mai ad una conclusione, per la ragione evidente che non hanno la minima problematica in comune. Questo significa che sono contrario ad ogni accordo? Tutt’altro. Se un accordo dottrinale sarà possibile solo tra 20 o 30 anni, questa non è una ragione per rinunciare all’accordo…” (DICI, n. 8, 18/5/2001, p. 12).
La Fraternità San Pio X ha chiesto al cardinale di Parigi una chiesa che i fedeli potessero visitare per il Giubileo del 2000. È stata concessa la chiesa di San Sulpicio, nella quale i fedeli hanno pregato, condotti dai sacerdoti della Fraternità, che sono stati ricevuti dal curato della parrocchia locale, che ha rivolto loro delle parole di benvenuto. Si trattò di un accordo pratico, fruttuoso, senza che fosse stata risolta la questione dottrinale.
Sempre la Fraternità San Pio X, in occasione del pellegrinaggio a Roma per il Giubileo del 2000, ha fatto un accordo pratico col Vaticano, nel senso che le è stato concesso il permesso per accedere alle Basiliche. Il Vaticano ha concesso l’uso delle Basiliche, l’uso dei microfoni per i vescovi, ma non li ha autorizzati a celebrare la Messa. Si trattò di un accordo pratico, non totalmente soddisfacente per il mancato permesso della Santa Messa tradizionale, ma esso ha portato molti frutti, anche senza che fossero state risolte le questioni dottrinali. 13) “Il caso della Fraternità San Pio X è diverso dal caso della diocesi di Campos. Non si deve collegare il caso di Campos alla Fraternità.” (Mons. Marcel Lefebvre).
Dio, nell’attuale crisi della Chiesa, ha voluto suscitare due vescovi fedeli che resistessero al modernismo corrente in maniera particolare, ognuno con le sue proprie caratteristiche: Mons. Marcel Lefebvre, un vescovo missionario, per un apostolato piú universale, e Mons. Antonio de Castro Mayer, un vescovo diocesano, per un apostolato di tipo diocesano. I loro figli dovrebbero continuare nel sacerdozio con le medesime caratteristiche: uniti nella stessa dottrina, ma ognuno con la sua propria strada.
Era questa l’opinione di Mons. Antonio de Castro Mayer, condivisa da Mons. Lefebvre, il quale, sul problema di una eventuale consacrazione, scriveva: “Il caso della Fraternità Sacerdotale San Pio X si presenta diverso dal caso della diocesi di Campos. Penso che il caso della diocesi di Campos sia piú semplice, piú classico… È per questo, a mio avviso, che non bisogna collegare il caso di Campos alla Fraternità… I due casi devono rimanere separati. La cosa è di una certa importanza per l’opinione pubblica e per la Roma attuale. La Fraternità non dev’essere implicata e deve lasciare tutta la responsabilità, peraltro legittima, ai sacerdoti e ai fedeli di Campos… Ecco la mia opinione; penso che essa si fondi sulle leggi fondamentali del diritto ecclesiastico e sulla Tradizione…” (Lettera del 4/12/1990, Communicantes, n. 40, gennaio 1992). 14) “Se il Papa mi chiama, io vado. Per obbedienza.” (Mons. Fellay).
“Se il Papa mi chiama, io vado, anzi corro. Questo è certo. Per obbedienza. Per rispetto filiale verso il Capo della Chiesa” (Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, intervista a 30 Giorni, settembre 2000).
Noi vogliamo rimanere legati a Roma, al successore di Pietro… È per questo che non mi sono mai rifiutato di andare a Roma ad una sua chiamata o alla chiamata dei suoi rappresentanti” (Mons. Marcel Lefebvre).
La preoccupazione per la nostra unità e per la nostra preservazione è essenziale, essa non deve farci dimenticare il nostro dovere di servire la Chiesa” (Mons. Fellay, Fideliter, n. 140, p. 7). 15) “Et nos credidimus caritati” (Divisa di mons. Marcel Lefebvre).
“Siamo gli eredi della sua carità… I membri della Fraternità potrebbero essere tentati di conformarsi con ciò che hanno. Perché di piú, se stiamo bene cosí? Conserviamo i nostri pochi fedeli… Io correrei se qualcuno mi offrisse la parrocchia de La Reja… Ma facciamo attenzione a non conservare il denaro che ci è stato dato senza lasciarlo fruttare, perché ci verrebbe tolto. Si, oggi lo dico soprattutto in relazione ai contatti che la Fraternità ha avuto con Roma. Certo che essi ci colpiscono. Noi stiamo bene, perché volere di piú? Ma non è per noi, è per tutti coloro che ci sono vicini che non possiamo dimenticare senza tradire la spinta alla carità che Dio ha posto nel cuore del nostro fondatore”. (Abbé Alvaro Calderón della Fraternità san Pio X, sermone del 25 marzo 2001). 16) “… Maestro … glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci. Ma Gesú gli rispose: Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi è per voi.” (Gesú in Luca 9, 49-50).
Commento: “Il Signore avverte gli Apostoli, e con essi tutti i cristiani, contro l’esclusivismo e lo spirito del partito unico nella cura apostolica, che si esprime nel falso assunto: Il bene, se non è fatto da me, non è il bene. Al contrario, noi dobbiamo assimilare questo insegnamento di Cristo, perché il bene è il bene, anche se non faccio io”. (Sacra Bibbia, Ed. Theologica Braga). (Cf Fil 1, 15-18).
È lo spirito di apertura che aveva Mons. Marcel Lefebvre, quando vedeva del vantaggio per la Chiesa anche nelle “messe dell’indulto”, le quali sono state concesse, secondo lui, a condizioni inaccettabili: “Ma questo primo gesto - preghiamo perché ce ne siano altri dello stesso tipo - solleva il sospetto gettato ingiustamente sulla messa e libera le coscienze dei cattolici perplessi che ancora esitano ad assistervi.” (Mons. Marcel Lefebvre, Lettera aperta ai cattolici perplessi, XX).
Anche Mons. Bernard Fellay, in una conferenza a Campos nel novembre del 2000, ha detto ai nostri fedeli, con compiacimento, che la messa tradizionale è celebrata in quasi cento diocesi degli Stati Uniti. “Messe dell’indulto”, in gran parte, sostenute da altri gruppi tradizionalisti diversi dalla Fraternità San Pio X.
Lo stesso Mons. Lefebvre, in una lettera ai sacerdoti del Distretto di Francia, diceva: “Penso che dobbiamo andare soprattutto là dove siamo chiamati e non dare l’impressione che abbiamo una giurisdizione universale, né una giurisdizione su un paese o una regione. Sarebbe come basare il nostro apostolato su un fondamento falso e illusorio. Anche per questo, se altri sacerdoti soddisfano abitualmente i bisogni dei fedeli, non è il caso che noi ci immischiamo nel loro apostolato, ma siamo contenti perché vi sono altri sacerdoti cattolici che si dedicano alla salvezza delle ànime” (27/4/1987).
Tutte queste considerazioni non devono essere prese necessariamente alla lettera, ma esse dimostrano proprio il “sensus romanus”, il buono spirito cattolico che animava Mons. Marcel Lefebvre e mons. Antonio de Castro Mayer. Che i loro figli nel sacerdozio conservino lo stesso spirito.

Et nos credidimus caritati” 
(divisa di Mons. Marcel Lefebvre)

Ipsa conteret” 
(divisa di Mons. Antonio de Castro Mayer)

In principiis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas” 
(Sant’Agostino)






(settembre 2002)




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