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Lettera agli amici e benfattori n° 64 di Mons. Bernard Fellay
Tradizione e modernismo
Cari Amici e Benefattori, Commentando un incidente avvenuto durante il Concilio Vaticano II e che riguardava la collegialità, monsignor Henrici dichiarava che esso "se non altro spiega chiaramente l’opposizione di due tradizioni differenti della dottrina teologica, che in realtà non potevano intendersi l’un l’altra"(1). Questa breve frase non è anodina; nella sua brevità descrive la grande tragedia che ha colpito la Chiesa da quarant’anni. Due pensieri opposti, due pensieri che non possono comprendersi si lanciano in un combattimento senza quartiere la cui posta non è nient’altro che la direzione della Chiesa. Quindici anni dopo il Concilio, il papa Paolo VI esprimeva all’incirca lo stesso pensiero al suo amico Jean Guitton. "C’è una grande agitazione in questo momento nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Ciò che mi spaventa, quando considero il mondo cattolico, è che, all’interno del cattolicesimo, sembra a volte prevalere una corrente di pensiero di tipo non cattolico e che può accadere che questa corrente non cattolica all’interno del cattolicesimo prevalga in un domani, ma essa non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia"(2). Precedentemente il papa si domandava se non eravamo negli ultimi tempi. Nella sua dichiarazione del 21 novembre 1974, esprimendo la sua adesione alla Roma eterna e il suo fermo rifiuto alla Roma modernista, mons. Lefebvre diceva la stessa cosa. Non si può non essere colpiti della concordanza dell’analisi dei tre personaggi citati, soprattutto per il fatto che vengono da ambienti profondamente diversi. Tutti e tre constatano l’esistenza di una rivalità straordinaria tra due maniere di vedere, due Weltanschauung (visioni del mondo) incompatibili nel seno stesso della Chiesa cattolica. Uno di questi pensieri non è nient’altro che l’insegnamento tradizionale cattolico, ciò che la Chiesa ha sempre e dappertutto insegnato: la fede cattolica con tutte le sue implicazioni pratiche. L’altro è un pensiero moderno, denunziato da san Pio X come un modernismo agnostico ed evoluzionista, e che, da semplice minaccia all’inizio del XX secolo, si è trasformato in una vera piaga che sta attaccando tutta la vita della Chiesa nella seconda metà di questo stesso XX secolo. Questo pensiero non cattolico ha effettivamente trionfato al tempo del Concilio. Poi, esso ha paralizzato la vita della fede, la vita soprannaturale, con una quantità di riforme imposte alla Chiesa nel nome dello spirito del Concilio Vaticano II. Vi è una logica, una coerenza in ogni sistema di pensiero; e ogni sistema di pensiero tende a una realizzazione concreta, ad un’azione. È nella natura delle cose che questo insieme di sforzi, che si chiamano riforme postconciliari e che riflettono lo spirito del Vaticano II, abbia provocato il disastro di cui soffre la Chiesa a partire dal Concilio. Questo pensiero è di per sé estraneo alla Chiesa. Per qualche fessura, il fumo di satana è penetrato nel tempio di Dio. Imbacuccato di un apparato ecclesiastico, vuol farsi passare oggi per norma cattolica. A causa della nostra opposizione a questo nuovo sistema, noi siamo stati condannati. La Tradizione cattolica che noi abbiamo sposato è stata, se non completamente rigettata, almeno emarginata dalla vita della Chiesa. È stata deprezzata come desueta. Per rendersene conto, consideriamo, per esempio, l’ampiezza dei cambiamenti imposti alla vita religiosa, questo fiore così prezioso dei consigli evangelici che descrive con chiarezza ai fedeli e agli uomini del mondo intero come il cammino della perfezione cristiana consista nell’allontanamento dal mondo. "Se qualcuno vuol essere mio discepolo rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Dia tutti i suoi beni…". Tutto ciò è in gran parte perduto nella volontà della riforma della vita religiosa e del suo adattamento al mondo di oggi; non si tratta soltanto di un allontanamento fisico dal mondo, oggetto dei consigli evangelici, ma innanzitutto e più profondamente di un rifiuto del mondo, rifiuto che la Chiesa domanda a mezzo delle promesse del battesimo, con tutte le esigenze necessarie alla salvezza. Questa perdita si constata negli innumerevoli dettagli della vita delle Congregazioni religiose, come per esempio nella soppressione dell’abito. Bisogna dire lo stesso della vita sacerdotale. Questo pensiero estraneo alla Chiesa che si è introdotto in Essa ha profondamente destabilizzato un elemento ancora più profondo e più necessario alla vita del Corpo mistico: il Sacerdozio. La perdita della nozione di sacrificio per riparare i peccati, la perdita del senso del sacrificio e anche il rifiuto della croce presso un numero impressionante di preti sono intimamente legati a questo nuovo pensiero che ha generato una nuova messa, il Novus Ordo Missæ. E così per tutte le riforme. Tutto è connesso. Con una terribile logica interna. Sì, bisogna dirlo e ripeterlo, gli sconvolgimenti imposti nella vita della Chiesa a partire dal Concilio sono i frutti dell’irruzione nel suo interno di un pensiero estraneo e distruttore della specificità cattolica. La cosa più tragica in questa situazione proviene dal fatto che questo pensiero non cattolico è come assunto dall’autorità della Chiesa e imposto in nome dell’obbedienza, ciò che ha reso la sua diffusione malauguratamente così efficace e ha impedito una normale reazione di opposizione a questo veleno mortifero in tutto il Corpo mistico.
Allorché noi consideriamo i diversi avvenimenti di questi ultimi mesi, mi sembra importante di rammentare questa trama tragica della nostra storia. In effetti il nostro criterio di giudizio per apprezzare gli avvenimenti della Chiesa e del mondo deve necessariamente tener conto di questo dato fondamentale: possiamo stimare come validi, determinanti e veramente buoni solo gli avvenimenti che influiscono realmente su questa trama. Chiaramente, noi crederemo che Roma farà veramente un gesto verso la Tradizione se e allorché essa, in una maniera o in un’altra, piegherà e correggerà la linea generale anti-tradizionale che continua ad appestare la Chiesa. Ha fatto ciò la nuova enciclica sulla santa Eucaristia? Malgrado le apparenze e i felicissimi richiami del Concilio di Trento, malgrado la denuncia di un certo numero di abusi, tutte cose buone in sé e che noi salutiamo con gioia, il pensiero di fondo e l’insieme delle circostanze che accompagnano questa enciclica ci fanno rispondere: disgraziatamente no. La messa alla quale fa riferimento l’Enciclica da un capo all’altro è la nuova messa, la messa riformata in nome del Vaticano II. Ciò dice tutto. Ciò implica una volontà di cambiamenti ornamentali e superficiali e non un cambiamento radicale assolutamente necessario per "ritornare alla Tradizione". In nessuna parte si rimettono in discussione anche parzialmente le riforme liturgiche, anche se si ammette che ci sono stati degli errori, degli abusi ecc. Questa enciclica non intende tornare indietro, intende soltanto regolare in maniera meno cattiva la dottrina sulla santa Eucaristia. Se si è disposti a cambiare la confettura, si rifiuta a priori a cambiare la fetta di pane ammuffito sulla quale si è spalmata. Così l’insieme resta indigesto e pericoloso per la salute. La messa celebrata dal card. Castrillón Hoyos il 24 maggio nella Basilica di Santa Maria Maggiore e di cui noi ci siamo rallegrati sarebbe un segnale di ritorno? Sarà da interpretare come una debole espressione di una ferma volontà di cambiare il corso disastroso degli avvenimenti? Per mancanza di convinzione, per paura dell’opposizione progressista, il bel gesto resterà un gesto unico e non il felice annunzio della liberazione della messa tanto atteso dai fedeli della Tradizione: il prete assistente di questa messa, colui che ha avuto l’onore di accompagnare il Cardinale all’altare, benché munito del Celebret Ecclesia Dei si è visto rifiutare la mattina stessa del 24 maggio la celebrazione di questa messa tridentina a San Pietro. Ciò parla chiaro. Vi è anche un miscuglio incompatibile di antico e di moderno, almeno come lo vediamo noi alla luce della Tradizione. Ma lo spirito moderno, per il quale il principio di non contraddizione è sublimato non l’intende come noi: assorbe i due elementi antagonisti. Accetta il contraddittorio; ad una condizione però: che l’antico rinunci a rigettarlo, che rinunci all’esclusività. Il carattere contraddittorio si ritrova in maniera clamorosa nell’enciclica [sull’Eucaristia] quando tratta la questione dell’ammissione dei non cattolici alla comunione. La distinzione tra gruppo (a cui bisognerebbe rifiutare l’Eucaristia perché fuori della comunione ecclesiale) e il singolo (a cui si può dare se crede nella santa Eucaristia) non è accettabile. Perché la fede e la comunione ecclesiale sono indipendenti dalla questione di gruppo. La teologia insegna che negare una sola verità di fede corrisponde a negare tutta la fede (cfr. Pio XII, dogma dell’Assunzione). E dunque non si può dire del non cattolico che rifiuta alcuni dogmi, che egli avrebbe obiettivamente la "fede nella santa Eucaristia" e che questa condizione sarebbe sufficiente per ricevere la comunione. Noi ritroviamo lo stesso problema nelle nostre relazioni con Roma. Se Roma è disposta a riceverci e perfino ci invita, è in questa stessa prospettiva larga e pluralista che accetta che dei punti di vista contraddittori possano coesistere (poiché essa ignora la contraddizione). Non si tratta qui di opinioni divergenti accettabili e che fanno la ricchezza della Chiesa nella loro diversità. Si tratta di un pensiero non cattolico che vuole ad ogni costo farsi accettare da tutti e per tutti. La fede cattolica al contrario è esclusiva, come ogni verità; essa non può accordare diritto al suo contrario, anche se delle circostanze esteriori in vista del bene comune richiedono qualche volta la tolleranza. Lo spirito cattolico che deriva da questa fede è anch’esso esclusivo, ed è incompatibile con lo spirito del mondo, anche se nella vita di numerosi fedeli si può incontrare questa incoerenza e questa mescolanza di cattolico e di mondano. Noi siamo consapevoli che la nostra esposizione è un po’ schematica. Allorché noi parliamo di Roma moderna o di Roma attuale, bisogna aggiungere che questa non è modernista in maniera monolitica, e che a Roma stessa un certo numero di prelati vorrebbero reagire contro questa catastrofe; ma fin qui tutto sta ad indicare che la linea direzionale resta ancora quella delle riforme postconciliari, a nome di un Concilio intoccabile. Resta il fatto che, o implicitamente o esplicitamente, è sempre il Concilio e la nuova messa - in quanto norma attuale e generale di vita cattolica - che Roma intende imporci. È questo pensiero estraneo, di cui noi abbiamo parlato prima, che si vuole ancora e sempre far prevalere. Roma ne fa la condizione sine qua non della nostra regolarizzazione. Non ci resta dunque che continuare il nostro sciopero della fame (delle novità) fino a che infine Roma vorrà dare a noi - e a tutto il Corpo mistico - il pane nutriente della Tradizione cattolica che noi mendichiamo in questa notte già così lunga. Ma noi non ci stancheremo di bussare. È il Signore che ci ha insegnato a fare così. Ed egli ha parole di Vita Eterna. Noi crediamo alla Sua Onnipotenza, noi crediamo alle Sue promesse. Si degni Nostra Signora, Madre della Chiesa, così grande e materna, di proteggerci, di condurci sul cammino della pazienza e della fedeltà e, "cum prole pia" (3), benedirvi abbondantemente. Festa del Preziosissimo Sangue, 1° luglio 2003 Ý Bernard Fellay (1) Peter Henrici, "La maturation du Concile", Communio, novembre 1990, p. 85 e s. (2) Jean Guitton, Paul VI secret. (3) "Con il suo divino Figlio".
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