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Motu Proprio de musica sacra
"Tra le sollecitudini" 22 novembre 1903 Tra le sollecitudini dell’officio pastorale, non solamente di questa
Suprema Cattedra, che per inscrutabile disposizione della Provvidenza,
sebbene indegni, occupiamo, ma di ogni Chiesa particolare, senza dubbio
è precipua quella di mantenere e promuovere il decoro della Casa
di Dio, dove gli augusti misteri della religione si celebrano e dove il
popolo cristiano si raduna, onde ricevere la grazia dei Sacramenti, assistere
al santo Sacrificio dell’Altare, adorare l’augustissimo Sacramento del
Corpo del Signore ed unirsi alla preghiera comune della Chiesa nella pubblica
e solenne officiatura liturgica.
ISTRUZIONE SULLA MUSICA SACRA I. - Principii generali. 1. La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli. Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri. 2. La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore
le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità
e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere,
che è l’universalità.
II.- Generi di musica sacra. 3. Queste qualità si riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano,
che è per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo
canto ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente
lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone
ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive
e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito
alla sua integrità e purezza.
4. Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto. 5. La Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti,
ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo
trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve però sempre
le leggi liturgiche. Per conseguenza la musica più moderna è
pure ammessa in chiesa, offrendo anch’essa composizioni di tale bontà,
serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni
liturgiche.
6. Fra i vari generi della musica moderna, quello che apparve meno acconcio
ad accompagnare le funzioni del culto è lo stile teatrale, che durante
il secolo scorso fu in massima voga, specie in Italia. Esso per sua natura
presenta la massima opposizione al canto gregoriano ed alla classica polifonia
e però alla legge più importante di ogni buona musica sacra.
Inoltre l’intima struttura, il ritmo e il cosiddetto convenzionalismo di
tale stile non si piegano, se non malamente, alle esigenze della vera musica
liturgica.
III. Testo liturgico. 7. La lingua propria della Chiesa Romana è la latina. È quindi proibito nelle solenni funzioni liturgiche di cantare in volgare qualsivoglia cosa; molto più poi di cantare in volgare le parti variabili o comuni della Messa e dell’Officio. 8. Essendo per ogni funzione liturgica determinati i testi che possono proporsi in musica, e l’ordine con cui devono proporsi, non è lecito né di confondere quest’ordine, né di cambiare i testi prescritti in altri di propria scelta, né di ometterli per intero od anche solo in parte, se pure le rubriche liturgiche non consentano di supplire con l’organo alcuni versetti del testo, mentre questi vengono semplicemente recitati in coro. Soltanto è permesso, giusta la consuetudine della Chiesa Romana, di cantare un mottetto al SS. Sacramento dopo il Benedictus della Messa solenne. Si permette pure che, dopo cantato il prescritto offertorio della Messa, si possa eseguire, nel tempo che rimane, un breve mottetto sopra parole approvate dalla Chiesa. 9. Il testo liturgico deve essere cantato come sta nei libri, senza
alterazione o posposizione di parole, senza indebite ripetizioni, senza
spezzarne le sillabe e sempre in modo intelligibile ai fedeli che ascoltano.
IV. - Forma esterna delle sacre composizioni 10. Le singole parti della Messa e dell’officiatura devono conservare anche musicalmente quel concetto e quella forma che la tradizione ecclesiastica ha loro dato, e che trovasi assai bene espressa nel canto gregoriano. Diverso dunque è il modo di comporre un introito, un graduale, un’antifona, un salmo, un inno, un Gloria in excelsis, ecc. 11. In particolare si osservino le norme seguenti:
b) Nell’officiatura dei Vesperi si deve ordinariamente seguire la norma
del Caerimoniale Episcoporum, che prescrive il canto gregoriano per la
salmodia, e permette la musica figurata per i versetti del Gloria Patri
e per l’inno.
c) Negli inni della Chiesa si conservi la forma tradizionale
dell’inno. Non è quindi lecito di comporre p. es. il Tantum ergo
per modo che la prima strofa presenti una romanza, una cavatina, un adagio,
e il Genitori un allegro.
V. - Cantori. 12. Tranne le melodie proprie del celebrante all’altare e dei ministri,
le quali devono essere sempre in solo canto gregoriano senza alcun accompagnamento
d’organo, tutto il resto del canto liturgico è proprio del coro
dei leviti, e però i cantori di chiesa, anche se sono secolari,
fanno propriamente le veci del coro ecclesiastico. Per conseguenza le musiche
che propongono devono, almeno nella loro massima parte, conservare il carattere
di musica da coro.
13. Dal medesimo principio segue che i cantori hanno in chiesa vero officio liturgico e che però le donne, essendo incapaci di tale officio, non possono essere ammesse a far parte del Coro o della cappella musicale. Se dunque si vogliono adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno essere sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa. 14. Per ultimo non si ammettano a far parte della cappella di chiesa
se non uomini di conosciuta pietà e probità di vita, i quali,
col loro modesto e devoto contegno durante le funzioni liturgiche, si mostrino
degni del santo officio che esercitano. Sarà pure conveniente che
i cantori, mentre cantano in chiesa, vestano l’abito ecclesiastico e la
cotta, e se trovansi in cantorie troppo esposte agli occhi del pubblico,
siano difesi da grate.
VI.- Organo ed instrumenti musicali. 15. Sebbene la musica propria della Chiesa sia la musica puramente vocale, nondimeno è permessa eziandio la musica con accompagnamento d’organo. In qualche caso particolare, nei debiti termini e coi convenienti riguardi, potranno anche ammettersi altri strumenti, ma non mai senza licenza speciale dell’Ordinario, giusta la prescrizione del Caerimoniale Episcoporum. 16. Siccome il canto deve sempre primeggiare, così l’organo o gli strumenti devono semplicemente sostenerlo e non mai opprimerlo. 17. Non è permesso di premettere al canto lunghi preludi o d’interromperlo con pezzi di intermezzo. 18. Il suono dell’organo negli accompagnamenti del canto, nei preludi, interludi e simili, non solo deve essere condotto secondo la propria natura di tale strumento, ma deve partecipare di tutte le qualità che ha la vera musica sacra e che si sono precedentemente annoverate. 19. È proibito in chiesa l’uso del pianoforte, come pure quello degli strumenti fragorosi o leggeri, quali sono il tamburo, la grancassa, i piatti, i campanelli e simili. 20. È rigorosamente proibito alle cosiddette bande musicali di suonare in chiesa; e solo in qualche caso speciale, posto il consenso dell’Ordinario, sarà permesso di ammettere una scelta limitata, giudiziosa e proporzionata all’ambiente, di strumenti a fiato, purché la composizione e l’accompagnamento da eseguirsi sia scritto in stile grave, conveniente e simile in tutto a quello proprio dell’organo. 21. Nelle processioni fuori di chiesa può essere permessa dall’Ordinario
la banda musicale, purché non si eseguiscano in nessun modo pezzi
profani. Sarebbe desiderabile in tali occasioni che il concerto musicale
si restringesse ad accompagnare qualche cantico spirituale in latino o
volgare, proposto dai cantori o dalle pie Congregazioni che prendono parte
alla processione.
VII. - Ampiezza della musica liturgica. 22. Non è lecito, per ragione del canto o del suono, fare attendere il sacerdote all’altare più di quello che comporti la cerimonia liturgica. Giusta le prescrizioni ecclesiastiche, il Sanctus della Messa deve essere compiuto prima della elevazione, e però anche il celebrante deve in questo punto avere riguardo ai cantori. Il Gloria ed il Credo, giusta la tradizione gregoriana, devono essere relativamente brevi. 23. In generale è da condannare come abuso gravissimo, che nelle funzioni ecclesiastiche la liturgia apparisca secondaria e quasi a servizio della musica, mentre la musica è semplicemente parte della liturgia e sua umile ancella.
24. Per l’esatta esecuzione di quanto viene qui stabilito, i Vescovi, se non l’hanno già fatto, istituiscano nelle loro diocesi una Commissione speciale di persone veramente competenti in cose di musica sacra, alla quale, nel modo che giudicheranno più opportuno, sia affidato l’incarico d’invigilare sulle musiche che si vanno eseguendo nelle loro chiese. Né badino soltanto che le musiche siano per sé buone, ma che rispondano altresì alle forze dei cantori e vengano sempre bene eseguite. 25. Nei seminari dei chierici e negli istituti ecclesiastici, giusta le prescrizioni tridentine, si coltivi da tutti con diligenza ed amore il prelodato canto gregoriano tradizionale, ed i superiori siano in questa parte larghi di incoraggiamento e di encomio coi loro giovani sudditi. Allo stesso modo, dove torni possibile, si promuova tra i chierici la fondazione di una Schola Cantorum per l’esecuzione della sacra polifonia e della buona musica liturgica. 26. Nelle ordinarie lezioni di liturgia, di morale, di gius canonico che si danno agli studenti di teologia, non si tralasci di toccare quei punti che più particolarmente riguardano i principii e le leggi della musica sacra, e si cerchi di compierne la dottrina con qualche particolare istruzione circa l’estetica dell’arte sacra, affinché i chierici non escano dal seminario digiuni di tutte queste nozioni, pur necessarie alla piena cultura ecclesiastica. 27. Si abbia cura di restituire, almeno presso le chiese principali, le antiche Scholae Cantorum, come si è già praticato con ottimo frutto in buon numero di luoghi. Non è difficile al clero zelante d’istituire tali Scholae perfino nelle chiese minori e di campagna, anzi trova in esse un mezzo assai facile d’adunare intorno a sé i fanciulli e gli adulti, con profitto loro proprio e edificazione del popolo. 28. Si procuri di sostenere e promuovere in ogni miglior modo le scuole
superiori di musica sacra dove già sussistono, e di concorrere a
fondarle dove non si possiedono ancora. Troppo è importante che
la Chiesa stessa provveda all’istruzione dei suoi maestri, organisti e
cantori, secondo i veri principii dell’arte sacra.
IX. - Conclusione. 29. Per ultimo si raccomanda ai maestri di cappella, ai cantori, alle persone del clero, ai superioni dei seminari, degli istituti ecclesiastici e delle comunità religiose, ai parroci e rettori di chiese, ai canonici delle colleggiate e delle cattedrali, e soprattutto agli Ordinari diocesani di favorire con tutto lo zelo queste sagge riforme, da molto tempo desiderate e da tutti concordemente invocate, affinché non cada in dispregio la stessa autorità della Chiesa, che ripetutamente le propose ed ora di nuovo le inculca. (torna su)
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