Lettera ricorso dei 16 preti della Fraternità San Pietro




Fraternità San Pietro
Roma 29 giugno 1999. Nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Un gruppo di preti

A S. E. il Cardinale Angelo Felici
Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”
Città del Vaticano

Eminenza,
I firmatari di questa lettera sono dei preti, membri della Fraternità San Pietro. 
Rivolgendoci direttamente a voi, scavalcando l’autorità del nostro Superiore generale, siamo coscienti di commettere un grave atto, contrario agli usi clericali. Noi formuliamo questo ricorso alla Sede Apostolica, confidando nella priorità della paternità del Papa e nella sua giurisdizione diretta. L’attuale situazione della nostra Fraternità ci appare tanto urgente da rendere necessaria la presentazione della presente richiesta, dopo aver considerato la situazione e pregato.

Undici anni fa, in seguito all’atto scismatico del 30 giugno 1988, il Santo Padre promulgava il Motu Proprio “Ecclesia Dei adflicta” con il quale permetteva l’uso della liturgia secondo i libri del 1962, nella Tradizione vivente della Chiesa. Il 18 ottobre 1988, la Commissione “Ecclesia Dei” erigeva la Fraternità San Pietro.

In occasione del X anniversario di questo Motu Proprio, il 26 ottobre 1988, il Santo Padre si augurava che “tutto fosse vissuto nello spirito del Concilio Vaticano II, in piena armonia con la Tradizione”. S. E. il Cardinale Ratzinger precisava che: “Il Concilio ha dato una definizione di ciò che è la liturgia, e questa definizione costituisce un valido criterio per ogni celebrazione liturgica [quindi: sia per il rito nuovo, sia per il rito del 1962]. Se si pensasse di poter disprezzare queste regole essenziali e se si volessero mettere da parte le norme generali che si trovano nei nn° 34-36 della Costituzione sulla Sacra Liturgia, si verrebbe meno all’ubbidienza verso il Concilio!”.

In occasione delle elezioni preparatorie del capitolo generale della Fraternità San Pietro, previsto per l’estate del 1999, la totalità dei membri eletti costituisce un gruppo fortemente contrario ad ogni adattamento del rito del 1962, secondo gli auspici dei Padri conciliari, compresi quegli stessi adattamenti fin qui ammessi e al pari di tutti quei segni di unità col vescovo del luogo; e questo sulla base della stretta osservanza di una posizione ecclesiale parallela e marginale.

Tuttavia, circa un terzo dei membri della Fraternità San Pietro àuspica di poter continuare ad operare nella direzione chiaramente espressa dallo stesso Motu Proprio e dai discorsi dell’ottobre 1988, nonché delle giuste proposte avanzate dalla Commissione Ecclesia Dei nel 1989, in vista di un giusto adattamento delle norme del Messale del 1962 alle direttive conciliari.

Queste considerazioni è opportuno che siano illustrate da alcuni esempi.
1  - a) Molti dei seminaristi che studiano nei nostri seminari, rifiutano impunemente di servire le messe dei professori di 
           passaggio che celebrano secondo il Novus Ordo Missæ.
      b) Il canto del Pater da parte dell’assemblea, largamente ammesso ormai da diversi anni, adesso è strettamente interdetto: 
           ne ha fatto la triste esperienza, all’ultimo pellegrinaggio di Chartres, Mons. Guillame, vescovo di Saint-Dié, malgrado 
           ne avesse fatto esplicita richiesta.
      c) Il Direttorio liturgico adottato nel 1995, che prevedeva alcune concessioni per la Francia, non è stato presentato ai 
           seminaristi; un gran numero di essi, dopo aver scoperto il rito tradizionale nei mesi precedenti il loro rientro in 
           seminario, divengono, dopo pochi mesi di formazione, i vigili guardiani dell’esatta obbedienza alle rubriche del 1962, 
           specialmente nei confronti dei preti della Fraternità sospettati di “liberalismo”.
2 - La concelebrazione col vescovo, quali che siano le circostanze, viene considerata un attentato all’unità della Fraternità e un 
       grave delitto.
       Alcuni membri della Fraternità che hanno concelebrato sono stati puniti; per evitare questo fastidio e non divenire oggetto 
       di riprovazione da parte dei loro confratelli, altri si vedono costretti a nascondere quest’atto “riprensibile”. Prima della 
       tonsura, i candidati devono ormai impegnarsi a non concelebrare, sotto pena d’esclusione.
3 - Molti preti, anche tra i Superiori, rimettono in causa l’autorità della Commissione Ecclesia Dei sulla “questione liturgica”, 
       o, piú generalmente, argomentando circa l’esatta fedeltà al rito del 1962 e agli “atti fondatori”.
       Cosí, prima della visita canonica al seminario di Wigratzbad, i seminaristi furono invitati dai Superiori a tacere nei 
       confronti del visitatore, per salvaguardare l’unità interna della Fraternità.

Ci lamentiamo anche di una grave disfunzione nell’esercizio del potere del Superiore Generale, che regolarmente non tiene conto del parere del Consiglio generale ed agisce da solo.
È cosí che il Superiore del seminario degli Stati Uniti è stato cambiato, senza che il Consiglio fosse stato avvertito.
La lista degli esempi potrebbe allungarsi abbondantemente, ma riteniamo che non sia questo l’essenziale.

Il Motu Proprio, “alla base dell’atto scismatico” del 30 giugno 1988, segnalava la presenza  di una “incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione”. Se tutti coloro che vogliono vivere la tradizione liturgica hanno ben accolto la generosità del Santo Padre, si può dire che sia stato sempre inteso nella maniera corretta il suo avvertimento?
Per quanto riguarda la nostra Fraternità, l’irrigidimento in materia di liturgia appare come la manifestazione esteriore di una piú grave opposizione nei confronti della Chiesa visibile, del suo insegnamento e della sua attuale gerarchia, anche se le dichiarazioni ufficiali si sforzano di dimostrare il contrario.
Le ragioni di questa opposizione di fondo alla gerarchia ecclesiastica
     a) Non sono solo liturgiche. 
     b) Non sono neanche veramente dottrinali, visto che è mancato il lavoro di approfondimento di quei punti considerati 
         problematici nel 1988.
     c) Sono piuttosto delle ragioni psicologiche, sociologiche, e quindi incontrollabili, come dimostrato dal crescente acuirsi 
         delle tensioni.

In questa costante progressione verso uno spirito di separazione, si ritrova passo passo quello slittamento insensibile che nel 1988 condusse la Fraternità San Pio X a rifiutare le proposte romane:
     a) soddisfatte le aspirazioni liturgiche, accettato lo spirito della nomina di un vescovo scelto tra i ranghi della Fraternità, 
         decisa l’accettazione di una discussione teologica su alcuni punti dell’insegnamento attuale della Chiesa.
     b) Ecco che il tutto veniva sostituito dalla mancanza di fiducia nella Chiesa.

Si può temere la stessa evoluzione per la Fraternità San Pietro, che finirebbe allora col coinvolgere in questo stato d’animo alcune vocazioni e molte famiglie fin qui estranee a questa mentalità.

In pratica, l’insistenza smisurata su certi dettagli liturgici (cristallizzazione sul Messale del 1962) ha condotto a dimenticare, e poi a ignorare di fatto, altri aspetti essenziali alla vita della Chiesa, come:
- l’ascolto del Magistero vivente: nei due seminari della Fraternità San Pietro, l’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis 
    non è stata veramente applicata, e i documenti relativi alla preparazione del Giubileo non hanno trovato riscontro;
- l’evangelizzazione: allorché un vescovo propone delle parrocchie territoriali, richiedendo in cambio alcuni adattamenti 
    liturgici indispensabili alla situazione locale, all’offerta si oppone un rifiuto giustificato con la fedeltà dovuta alle 
    Costituzioni. Fu il caso di Mons. Thomazeau, vescovo di Beauvais, un anno fa.

Peraltro, è sorprendente constatare come molti di coloro che non hanno conosciuto il movimento detto “tradizionalista” e la sua storia prima del 1988, siano affascinati dalla figura di Mons. Lefèbvre e vogliano fare della Fraternità San Pietro l’esatta replica della Fraternità San Pio X, senza le consacrazioni episcopali, ma con in piú il diritto pontificio.
L’irrigidimento progressivo constatato nel corso degli anni, e la durezza di posizioni prevedibile per il prossimo capitolo, sono sostenute da un semplice ragionamento:
1 - Il rifiuto sistematico di ogni “compromesso” è presentato come
     a) la volontà stessa del Santo Padre, espressa nel Motu Proprio,
     b) la garanzia indispensabile per conservare il “carisma dei fondatori” e rimanere fedeli alle costituzioni.
2 - Occorre dunque rifiutare deliberatamente ogni adattamento, per evitare di essere trascinati oltre.
3 - Si tratta quindi di rimanere solidamente ancorati ad una “tradizione” fissata nel 1962, attendendo un ipotetico crollo delle 
      diocesi e delle strutture ecclesiastiche locali.
4 - Queste ultime, allora, in mancanza di effettivi, sarebbero costrette a ricorrere alla Fraternità San Pietro conservata nella sua 
      primitiva purezza.

In concreto, la sfiducia permanente nei confronti delle strutture e degli uomini della Chiesa, si accompagna ad un puntiglioso archeologismo che, sulla base di strane interpretazioni dei libri antichi, conduce a delle pratiche liturgiche spesso desuete e poco estetiche. In tal modo si è perduta la concezione cattolica di una tradizione liturgica ricevuta fedelmente, vissuta seriamente e gioiosamente trasmessa al servizio della missione della Chiesa.
La Fraternità San Pietro, non sottolineando a sufficienza la sua specificità liturgica, teme dunque di essere infedele alle sue origini?

“È necessario che queste timori e queste paure cessino!”, esclamava il Cardinale Ratzinger alla fine della sua conferenza dell’ottobre scorso.

Dopo gli incontri romani di ottobre, Padre Aulagnier, uno dei membri principali della Fraternità San Pio X, poteva felicitarsi con Padre Bisig per la sua intransigenza in materia di concelebrazione, e rivolgere un veemente biasimo a Dom Gérard Calvet che aveva dichiarato di aver concelebrato il 27 aprile 1995 col Santo Padre, in uno “spirito di pace e di comunione”.

Questo biasimo, abbondantemente e tristemente ripreso in seno alla Fraternità San Pietro, specialmente dopo la dichiarazione motivata dell’Abate di Le Barroux di voler proseguire su questa strada, ha finito col turbare la serenità di un gran numero di fedeli.
Questo malessere si va sempre piú diffondendo: certi nostri confratelli non esitano ad esporre in pubblico le difficoltà interne della Società, e annunciano il prossimo allontanamento di elementi a tendenza “liberale” o “modernista”. Molti laici sanno che la Fraternità San Pietro si trova “ad un crocevia”, e si chiedono quale strada sceglierà.

Eminenza,
1 - a) noi veneriamo la tradizione liturgica latina che la Santa Sede ci permette di usare
     b) senza porre in questione l’ortodossia del Novus Ordo Missæ, non vogliamo un “biritualismo” che aggraverebbe la 
         situazione;
     c) tuttavia, noi non siamo i preti di un rito, ma siamo preti per la Chiesa e per le anime.

2 - È per questi motivi, ed avendo presenti
     a) tutti i fedeli che, senza alcun complesso, vogliono vivere pienamente questa liturgia in comunione con la Chiesa romana;
     b) tutti i seminaristi che domani saranno costretti a sfuggire ad una atmosfera divenuta irrespirabile;
     c) ed anche tanti giovani preti diocesani attenti a questa evoluzione;
     che vi supplichiamo umilmente, ma fermamente, per quanto è permesso a dei figli nei confronti di un padre, di intervenire 
     in questa situazione che, diversamente, condurrà tutti in un vicolo cieco.

3 - In vista di tutti questi fattori, e senza pregiudizio per quelle che saranno le vostre future decisioni, vi chiediamo:

     a) il differimento del capitolo previsto per la prossima estate;
     b) l’invio di un visitatore canonico per l’intera Fraternità, perché si possa rendere conto della realtà;
     c) la nomina urgente di un amministratore apostolico che prenda in mano i destini della nostra Società.

La Chiesa è Madre, ed essa ne ha dato prova con l’atto di fondazione e con la grande pazienza che non ha smesso di esercitare. Noi chiediamo adesso, con grande fiducia, che sia anche Maestra, tramite la vostra autorità.

Vogliate ricevere, Eminenza, l’assicurazione dei nostri sentimenti filiali e riconoscenti.

Preti firmatari della Fraternità San Pietro

Michel Berger, responsabile dell’apostolato a Périgueux
Thibaut Desgrées du Loû, superiore della casa di Sainte-Jeanne d’Arc, à Epinal
Marc-Antoine Dor, in apostolato a Bruxelles
Etienne Dumoulin, responsabile dell’apostolato a Dijon
Xavier Garban, superiore della casa di Sainte Thérèse, a Nantes
Laurent Guimon, in apostolato a Lyon
Eric Journu, in apostolato a Versailles
Albert Kühlem, economo del distretto della Svizzera, in apostolato a Lausanne
Tancrède Leroux, superiore della casa di Saint-Jacques, a Perpignan
Fabrice Loiseau, responsabile dell’apostolato a Créteil
Bernard Malmezat, responsabile dell’apostolato a Agen
Hugues de Montjoye, in apostolato a Perpignan
Bruno le Pivain, superiore della casa Saint Thomas d’Aquin, a Lausanne
Denis le Pivain, assistente del Superiore generale, superiore della casa di Saint-Dominique Savio, a Versailles
René de Reboul, economo del distretto di Francia,  superiore della casa di Sainte-Odile, a Besançon
Gérald de Servigny, superiore della casa di Sainte-Blandine, a Lyon
 
 

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