Lettera di un giovane sacerdote
della FSSPX
  ai tre Vescovi, ai due Assistenti,
a Don de Cacqueray
- Superiore del Distretto di Francia -
e a Don Nicolas Pinaud
- sospeso a divinis a tempo indeterminato -


17 novembre 2013


Questa lettera è stata letta
da Don Nicolas Pinaud nel corso della conferenza da lui tenuta in Francia
il 15 febbraio 2014


impaginazione e neretti sono nostri


Monsignore,

nella sua qualità di vescovo della Tradizione, caricato dell’enorme fardello di essere per i fedeli scombussolati in questi tempi di crisi, un faro e una guida sicura, io le scrivo per esprimerle le mie proteste e farla partecipe del mio dolore nell’attuale situazione.

Io protesto con tutte le mie forze contro la sentenza che è stata emessa contro Don Pinaud. In questo momento, la notizia corre e si diffonde a macchia d’olio: Don Pinaud, al termine di otto mesi di procedura (otto mesi!), è stato sospeso dall’esercizio di ogni potere di ordine e di giurisdizione, e questo senza limiti di tempo. “Chi tace acconsente”, si dice, e io non vorrei avallare col mio silenzio una tale condanna.

In questa sentenza, ad una prima lettura, il ridicolo fa a gara col grottesco.

Ci si ricordi che Mons. Lefebvre è stato dichiarato sospeso a divinis – senza dubbio ingiustamente – per un atto che, quantomeno, aveva il suo peso sul piano canonico, poiché si trattava di ordinazioni sacerdotali fatte contro il parere espresso dalle autorità romane. Qui noi vediamo la stessa sentenza brandita per aver corretto qualche errore d’ortografia e approvato in privato la redazione di un documento giudicato sovversivo.

Ma è soprattutto la lettura del precetto penale che manifesta che il fondo del problema non è stato affrontato.
Il caso di Don Pinaud è stato collegato a quello di Don Rioult, come un vagone alla locomotiva, ed è stato giudicato analizzando le azioni compiute, senza mai prendere in considerazione le ragioni di tali azioni. È così che, a suo tempo, gli ufficiali romani giudicarono Mons. Lefebvre, giudicando gli atti e omettendo scientemente le circostanze che l’avevano portato ad agire.
Com’è possibile che si sia inflitta ad un confratello la sentenza più pesante che ci sia per un sacerdote – visto che gli è stata interdetta anche la Messa – senza aver voluto considerare le ragioni della sua azione? Da quanto in qua si giudica un atto senza esaminare le circostanze che lo accompagnano e in particolare le ragioni che l’hanno motivato?

Tuttavia, alla fine, al numero sei, è richiamata la ragione di fondo, ma solo come indice di pertinacia:
«Non solo – si legge in sostanza – Don Pinaud ha approvato una lettera che fomenta la divisione, ma per di più persiste nelle ragioni che l’hanno condotto ad agire», ragioni che sono semplicemente menzionate, ma non sono mai state esaminate.
Si considerano al microscopio gli articoli del codice e si evita il fondo del problema, come quelli che scansato il moscerino inghiottono il cammello.
Come può la nostra Fraternità legittimare un tal modo di procedere?
Io protesto contro questo giudizio che è un’offesa alla giustizia, e supplico Vostra Eccellenza di agire per annullare questa sentenza.

Ma al di là di una protesta che era mio dovere formulare, io voglio risalire alla causa e testimoniare il mio dolore nel vedere la nostra Fraternità così lacerata.
Alla riunione dei Priori di Francia che si è tenuta a Saint-Nicolas du Chardonnet venerdì 8 novembre scorso, Don Nély ci ha detto che bisogna ripristinare l’unità. In effetti c’è del lavoro da fare su questo punto ed è di una vera resurrezione che bisognerebbe parlare, perché, che si tratti dell’unità dottrinale o del legame di carità, in un caso come nell’altro non si può che constatare la loro sparizione.

In effetti, come si potrebbe avere un’unità dottrinale quando si vede sussistere in capo a tutto una divisione tra due discorsi contraddittorii: quello dell’aprile 2012 e degli altri testi dello stesso periodo, da un lato, e quello dell’aprile 2013 e delle altre dichiarazioni simili, dall’altro.
Questa frattura si propaga, ben inteso, fino alla base e lascia la nostra Fraternità divisa in due campi: di quelli che si oppongono risolutamente alla dichiarazione di aprile 2012, e di quelli che l’approvano silenziosi ed entusiasti.
Questa dichiarazione, infatti, non è morta, essa è stata ritirata per dei motivi estrinseci: perché ci ha divisi o è stata mal compresa. Quindi, è solo il testo che è stato ritirato, non il pensiero che la sostiene e che è sempre vivo, pensiero che peraltro è espresso in altri testi che invece non sono stati ritirati affatto.
È questo pensiero che ci divide e continuerà a dividerci fintanto che non verrà rivisto.
È questa peraltro la causa profonda dell’attitudine di Don Rioult, del processo di Don Pinaud e dell’abbandono di una certa quantità di confratelli zelanti, quantunque a volte eccessivi.
 
Quanti ne dovremo perdere ancora e di quanti sacerdoti dovrà rendere conto a Dio?

Questa dichiarazione di aprile 2012 è stata voluta senza dubbio come solamente abile, ma di fatto è divenuta realmente ambigua, al punto che è stato necessario prescrivere un paio di occhiali particolari per comprenderne bene il pensiero. Queste ambiguità, che non sono state ritrattate, ma solo messe da parte, continuano a dividerci molto più di tutti i siti internet messi insieme.
Se ne ha la prova nel fatto che vi sono sempre stati dei siti che hanno formulato delle critiche più o meno fantasiose, tipo Virgomaria o il Forum cattolico… ma essi avevano potuto inquietare solo alcuni fedeli tormentati e mai erano riusciti a dividerci profondamente. È dunque chiaro che la causa dei nostri mali non è da cercare su internet, che tutt’al più è stato solo un catalizzatore.

Quanto al legame della carità, io posso solo constatare che esso, per così dire, non esiste più.
Noi siamo entrati in una logica di guerra, e di guerra civile. Non poche piaghe erano ancora sanguinanti e il processo di Don Pinaud, lungi dall’apportare dei lenimenti, rischia fortemente di essere l’occasione per nuove ferite.
Fraternità senza carità fraterna, né unità dottrinale, noi saremo ben presto solo un corpo senz’anima, una raccolta di sacerdoti uniti da una tavola comune, ma senza più cuore.
Una tale unità non può durare a lungo, come ha già mostrato l’esempio dell’Istituto del Buon Pastore.

Eccellenza, di fronte a tanti mali, il suo episcopato le dà i mezzi per agire. La sentenza iniqua che colpisce Don Pinaud è solo una conseguenza di un male più profondo che finirà col rovinare la battaglia per la fede, se lei non vi porterà rimedio.
Sacerdoti e fedeli hanno gli occhi puntati sulla Chiesa docente. Continueremo a lacerarci ancora a lungo?

Da lettera di protesta, questa si fa supplica per implorare Vostra Eccellenza di ricondurci alla pace, alla tranquillità dell’ordine. Non è con delle sanzioni che tornerà questa pace, ma ponendo riparo alle violazioni, sanando le piaghe che queste hanno causato e restaurando una linea dottrinale coerente e chiara, intorno alla quale si raccoglieranno i sacerdoti e i fedeli.
Qui non è solo della Fraternità che si tratta, ma della battaglia per la fede, della difesa della Tradizione, per la quale, colui a cui noi dobbiamo tutto il nostro sacerdozio, Mons. Lefebvre, ha dato più che la sua vita.

Eccellenza, voglia perdonare la forma un po’ vivace di questa lettera. Non è più l’ora delle espressioni ripulite e asettiche, quando si vedono dei confratelli trattati come oggi Don Pinaud, quando si vede la Fraternità così divisa, quando si vede la battaglia per la fede così indebolita.

La prego di gradire, Eccellenza…



marzo  2014

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