CALEPINO DEL DIRITTO CANONICO - I Parte
(9/95)

Molti di quelli che amano e quindi combattono per la Santa Messa di Rito Tradizionale, detta anche tridentina, 
e per la Tradizione, da intendersi nel senso piú alto, nobile e vero che questo termine assume all'interno 
della teologia e della dogmatica cattolica, si ritrovano spesso a imbattersi in norme e precetti del 
diritto canonico: motu proprio Ecclesia Dei e canone 844, ne rappresentano gli esempi piú ricorrenti. 
Tutto questo avviene senza che la pubblicistica usuale si dedichi ad analizzare l'origine, il valore di tali 
disposizioni, che vengono citate come giustificatrici delle nostre posizioni in campo liturgico. 
Scopo del presente scritto sarà proprio quello di illustrare i fondamenti e la specificità del diritto canonico, 
il suo valore, le sue fonti, le sue regole. A questo ne seguiranno altri dedicati al diritto liturgico ed al valore giuridico-canonico dei documenti del Concilio Vaticano II. 


Cos'è il diritto canonico 
Il diritto canonico può essere definito come l'insieme delle norme giuridiche poste o fatte valere dall'autorità della Chiesa cattolica, che regolano l'attività dei fedeli, di ogni ordine e grado, in relazione ai fini propri della Chiesa. 
Tutti i battezzati, quindi, in quanto battezzati sono sottoposti alle leggi canoniche. Mentre gli altri codici "profani" regolano l'attività relativamente ad un solo territorio ben preciso, il diritto canonico ha una valenza universale, estendendosi a tutti indistintamente gli uomini e le donne, e ripromettendosi di offrire loro i mezzi soprannaturali necessari per conseguire l'eterna beatitudine celeste. A questo proposito è bene ricordare da súbito che il diritto di ottenere tali strumenti di salvezza (recipere quæ necessaria sint ad salutem æternam) è l'unico diritto soggettivo ed assoluto riconosciuto dalla Chiesa ai fedeli. 
L'universalità delle disposizioni canoniche vale per le norme di diritto divino, mentre quelle puramente ecclesiastiche riguardano solo i battezzati nella Chiesa cattolica che godano di sufficiente uso di ragione ed abbiano compiuto il settimo anno di età. La norma canonica, però, per essere obbligatoria deve godere dei caratteri della certezza e della mancanza di dubbio di diritto. A questo settore fanno riferimento le norme che regolano la promulgazione delle leggi ecclesiastiche universali, attraverso la pubblicazione negli Atti della Sede Apostolica (can. 8), e l'abrogazione delle stesse, per impossibilità sopravvenuta, per inutilità o dannosità verso i fini che si vogliono raggiungere, o, infine, per contrasto con una legge posteriore. Quest'ultima espressamente o tacitamente (per incompatibilità) abroga in tutto od in parte la previgente normativa (can. 20); la legge universale, invece, salvo esplicita dichiarazione, non modifica le leggi particolari o speciali. Nel dubbio, però, la legge preesistente non si presume abrogata, ma si deve cercare di armonizzare, per quanto possibile, la vecchia con la nuova legge (can. 2l).
Proprio perché persegue fini ultramondani, il diritto canonico è per sua natura incompleto, ossia non si occupa che di quegli aspetti che sono propri alla salvezza, ed è, per cosí dire, "elastico". A quest'ultimo proposito occorre ricordare che se i principi basilari dogmatici della Chiesa rivestono i caratteri della rigidità ed immutabilità, l'insieme dei diritti dei fedeli riveste, invece, i caratteri della "elasticità", ossia dell'estrema possibilità di deroga e discrezionalità nell'applicazione od esercizio degli stessi. Questo carattere, giustificato con la salus animarum, primo fine della Chiesa, con l'utilitas Ecclesiæ e con l'epikea o "equità canonica", può finire naturalmente per avere come corollario una sua ripercussione negativa sul principio della certezza e della stabilità del diritto canonico, con possibile affievolimento delle garanzie giuridiche assicurate dal criterio, ormai accolto nella dottrina giuridica moderna, della "certezza del diritto": in sintesi, l'exercitium iurium (l'esercizio dei diritti) è apertamente subordinato al bonum commune Ecclesiæ (bene comune della Chiesa) (can. 223). Proprio questa mancanza di diritti fondamentali assoluti dei fedeli, ha rappresentato uno dei principali motivi di critica alla codificazione canonica, tanto che da piú parti si richiede l'adozione di una Lex Fundamentalis Ecclesiæ, di cui si parla in altra parte del presente scritto,che codifichi in maniera esplicita ed univoca i diritti fondamentali del cristiano, la collegialità episcopale, l'autonomia delle Chiese locali, l'ecumenismo. A proposito di questi problemi, se è innegabile che le costituzioni degli Stati moderni abbiano esercitato un certo influsso nell'idea di stilare una carta dei diritti del fedele, è del pari evidente come tali diritti abbiano un fondamento ed una natura ben diversi dai dirittiri riconosciuti ai cittadini dalle legislazioni degli Stati. Ben diversa è, infatti, la concezione del rapporto tra persone e comunità a cui si ispirano le società politiche, da un lato e la Chiesa, dall'altro: quest'ultima non separa né contrappone il bene pubblico a quello privato, in quanto tutto si deve orientare verso la salvezza. La Chiesa, poi, ha un concetto di libertà ben diverso da quello sostenuto dalla cultura laica e razionalistica: per il cristiano, l'uomo deve sempre riconoscere e rispettare la sua originaria dipendenza da Dio. Per quanto una tale concezione possa suonare stonata alle nostre orecchie, i diritti specifici dei cristiani (da non confondere con i diritti umani universali, che derivano dalla lex naturæ) non sono preesistenti alla Chiesa, ma sono da essa conferiti e da essa amministrati. I fedeli sono obbligati (can. 209) "a conservare sempre la comunione con la Chiesa": vivere nella comunione non è uno tra i tanti diritti e doveri che spettano ai battezzati, ma costituisce l'indissolubile corollario del diritto a ricevere i mezzi di salvezza, che abbiamo visto essere l'unico diritto-dovere veramente fondamentale, in quanto riassume, sintetizza e qualifica tutti gli altri. 
«La Chiesa non ha come scopo primario di garantire la realizzazione dei diritti dei singoli, ma di assicurare la permanenza del mistero di Cristo nella storia» (cfr. Giorgio Feliciani, I diritti e i doveri dei fedeli in genere e dei laici in specie, Bologna, 1983, p.258). Per questo con estrema chiarezza il can. 223, § 2, ricorda come "all'autorità ecclesiastica compete moderare, in funzione del bene comune, l'esercizio dei diritti propri ai fedeli": vale a dire che il riconoscimento e l'esercizio per i fedeli anche di quei diritti e, contestualmente, di quei doveri che la Chiesa riconosce positivamente nel Codex iuris canonici (in particolare contenuti nel libro II, parte I del nuovo codice), potrà esercitarsi solo dietro placet delle legittime autorità. E questo non già per atto di imperio unilaterale, ma per legittimo esercizio delle norme del diritto e per mandato divino. 
L'ordinamento canonico, proseguendo nell'elencazione dei suoi caratteri, prevede una ben distinta capacità giuridica dei soggeti ad esso sottoposti: 
1) i chierici, che in virtú dell'ordine sacro sono in grado di assumere gradi e poteri nelle gerarchie di ordine (potestà di amministrare i sacramenti, che spetta a vescovi, presbiteri e ministri sacri) e di giurisdizione (Potestà di govemo, che è essenzialmente territoriale e riguarda di solito i fedeli, e spetta al Pontefice e ai vescovi); 
2) i laici, che sono invece intrinsecamente incapaci di partecipare alle gerachie di ordine e di giurisdizione, anche se sono resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo (can. 24). 

Fatte queste prime distinzioni generali sul diritto canonico, passiamo ad analizzarne i contenuti. 
Come la Chiesa costituisce un'unica realtà composta da un elemento divino e da un elemento umano, cosí anche il diritto canonico si compone di norme di origine divina e norme di provenienza umana. 
Fanno parte delle norme di diritto divino: quelle che appartengono alla rivelazione precristiana e agli insegnamenti di Cristo e degli Apostoli; le norme della Tradizione; le norme del diritto divino naturale, ossia quelle che sono inerenti alla vita sociale umana e che obbligano i singoli per l'assicurazione dell'ordine e della giustizia. 
Fanno parte delle norme di diritto umano: quelle scaturenti dal volere delle autorità costituite, contenute nei documenti della legislazione ecclesiastica, e quelle formatesi per consuetudine (quest'ultima, definita "coscienza della collettività", acquista carattere giuridico con il ripetersi nel tempo di atti, solo però dopo aver ricevuto l'approvazione dell'autorità competente). 

Le fonti del diritto canonico
Il diritto canonico, come tutti i sistemi giuridici, riconosce delle fonti in grado di fornire tali norme. Queste fonti si differenziano per l'autorità, universale o meramente locale, che esse rivestono. 
Sono fonti universali, in stretto ordine discendente: Dio, il Sommo Pontefice direttamente o indirettamente (Sacre Congregazioni, Segretariati), il Concilio Ecumenico (se i deliberati sono approvati dal Santo Padre) e il Sinodo dei Vescovi. 
Sono fonti locali: i Concilii particolari, le Conferenze Episcopali, i Vescovi diocesani. 

Le fonti di cognizione
Le fonti di cognizione del diritto canonico sono le raccolte e i documenti nei quali si trovano contenute le norme canoniche che permettono la conoscenza dello stesso. Tali fonti si distinguono: in fonti di diritto divino e fonti di diritto umano. Il diritto divino, di diretta derivazione da Dio, si presenta nella duplice veste di: diritto divino naturale (di cui fa parte anche il diritto naturale, che San Tommaso definisce: "il complesso dei principi impressi da Dio nella coscienza dell'uomo", avente valore universale) e diritto divino positivo, le cui norme sono contenute nella S. Bibbia (composta da 72 Libri come stabilito con il decreto De canonicis scripturis del Concilio di Trento dell'8 aprile 1546) e nella Tradizione, ossia nell'insieme delle verità rivelate che gli Apostoli raccolsero dalle stesse labbra di Cristo o ricevettero dallo Spirito Santo e da quelle derivate dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa o delle Autorità ecclesiatiche (cosí che si distingue in divina, divino-apostolica e umana). 
L'insieme della S. Bibbia e della Tradizione costituisce la Rivelazione. 
Sono fonti di cognizione del diritto umano tutte quelle raccolte, comunque denominate (Costitutiones, Collectiones, Decreta, Codices, ecc.) in cui sono contenute le norme giuridiche emanate dagli organi legislativi della Chiesa. Attualmente il codice di diritto canonico in vigore è stato promulgato da S. S. Giovanni Paolo II, con la Costituzione Apostolica Sacræ Disciplinæ Leges del 25 febbraio 1983, ed è entrato in vigore il 27 novembre dello stesso anno. Esso sostituisce ed àbroga il codice di diritto canonico precedente, promulgato nel 1917 da Benedetto XIV con la Costituzione Provvidentissima Matered entrato in vigore il 19 maggio l918. Sono ugualmente abrogate tutte le altre leggi, sia particolari che universali, contrarie alle disposizioni in esso contenute: ogni legge penale non richiamata nel codice, le leggi disciplinari universali riordinate dal codice, le consuetudini contra legem (eccetto quelle che dato il loro carattere ab immemorabili siano tollerate discrezionalmente dall'ordinario). Sono, viceversa, fatte salve le consuetudini præter legem (cioè quelle che non riguardano casi esplicitamente previsti dalle leggi canoniche), i diritti acquisiti ed i privilegi concessi dalla S. Sede e non espressamente revocati. 
Il nuovo codice di diritto canonico, che il Pontefice Giovanni Paolo II definí "Codice del Concilio, …in questo senso è l'ultimo documento conciliare, il che indubbiamente costituirà la sua forza, il suo valore, la sua unità e il suo irraggiamento" (cfr. Osservatore Romano, 21-22 novembre 1983, p. 4), composto di l752 canoni, non costituisce affatto una semplice revisione di quello precedente, ma una vera e propria riforma: una legislazione nuova che si propone "di rivedere le norme, confrontandole con il nuovo spirito del Concilio, e di provvedere a tutti gli istituti nuovi che traggono origine dal dettato conciliare" (cosí la prolusione del Card. Felici al Congresso internazionale di diritto canonico del 1965). 
Questo codice, come il precedente, non riguarda la materia liturgica, le cui leggi mantengono il loro vigore, eccetto quelle contrarie ai canoni del codice stesso; come anche non riguarda le Chiese cattoliche di rito orientale, il cui codice specifico è stato emanato nel l990. 
Per finire questa prima parte del nostro intervento, occorre ancora fare un cenno al progetto, vagliato fin dal maggio l965 in seno alla Commissione cardinalizia per la Codificazione, di premettere ai due codici, orientale e latino, una parte comune contenente i principi costituzionali della Chiesa, una Lex Fundamentalis
Un primo schema di questa legge fu approvato il 24.5.l969 pur con molte riserve. Anche il successivo textus emendatus del 1970 fu molto criticato, data la difficoltà di trasfondere in norme giuridiche dei principi teologici. Una successiva rielaborazione, disposta nel 1974 da S. S. Paolo VI, ha portato alla redazione di un nuovo testo che è ancora all'esame del Pontefice. Comunque alcuni canoni di questa progettata legge fondamentale sono stati parzialmente inseriti nel Codice vigente e riguardano i diritti e i doveri del fedele, il Pontefice e il Concilio Ecumenico. 
Da piú parti sono giunte severe critiche a tale progetto, tali da frenarne fino ad ora l'emanazione, proprio perché il sancire solennemente una dichiarazione sui principi fondamentali potrebbe finire per rappresentare quasi un "secondo Vangelo", in grado di sostituire le fonti fino ad ora vigenti. Secondo tale corrente di pensiero, infatti, la costituzione essenziale della Chiesa si ritrova solo nei Vangeli e, dal punto di vista teologico, la Chiesa non ha potere costituente: essa riceve da Cristo la sua costituzione, interpretandola con comprensione sempre maggiore in forza dell'assistenza dello Spirito Santo. Specularmente ed antiteticamente si sostiene, invece, che sia perfettamente legittimo avere nella società che Cristo ha costituito "una legge elevata su tutte le altre leggi nell'ordine giuridico della Chiesa". 
Forse la cesura tra i due opposti schieramenti dottrinari potrebbe sanarsi qualora si arrivasse a condividere l'idea secondo cui la Lex Fundamentalis dovrebbe avere come presupposto essenziale i principi teologici, e questi ultimi dovrebbero filtrare nella formulazione giuridica, ma non identificarsi con essa: in sintesi, la Lex Fundamentalis non dovrebbe trasformarsi in un diritto teologico, assolutamente inaccettabile per la dottrina cattolica, "Deorum iura sancta sunt" (siano rispettati i diritti degli dei) ammonivano già gli antichi. Si tratterebbe, quindi, anche alla luce di quanto sopra esposto, di fare una buona legge per fornire maggiori e piú sicuri paletti delimitativi all'esercizio dei poteri discrezionali dell'autorità ecclesiastica (moderamen) e nel contempo esplicitare meglio la sfera dei diritti dei christifideles. Da parte loro i fedeli, consapevoli delle precipue caratteristiche del diritto canonico, dovrebbero abbandonare ogni velleità rivendicazionista e riconoscere a tale legge fondamentale esclusivamente un maggiore grado di resistenza di fronte alle altre leggi canoniche, rimanendo immutato e intangibile, con buona pace di tutti, il depositum fidei

(SEGUE)

Luc de Pollien



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