A PROPOSITO DELLA COMUNIONE SULLA MANO 
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Chi oserebbe contestare che la preparazione culturale, e quindi la consapevolezza e la capacità di giudizio degli uomini moderni è decisamente migliorata rispetto ai tempi bui dell'antichità? Non è questo che ci insegnano in ogni occasione? Ed allora, nessuno certo si stupirà se noi, forti di questa nostra migliore capacità di giudizio, consideriamo che perfino gli opuscoli diffusi nelle parrocchie a cura dell'autorità ecclesiastica siano pari a qualunque altro documento ufficiale della Chiesa, soprattutto quando in essi si fa riferimento esplicito alle disposizioni della CEI (3 dicembre 1989).
È questo il caso di un opuscolo diffuso nelle parrocchie della Diocesi di Torino con il quale si spiega, in modo particolareggiato, come fare "a ricevere la Comunione sulla mano".
Ovviamente, vi è anche un lungo pistolotto che ha la pretesa di fornire delle giustificazioni per questa novità che certo non tocca una verità di fede, ma che ha molto a che fare col sacrilegio. Ma, andiamo con ordine.

Innanzi tutto, sul frontespizio, abbiamo ritrovato il testo, piú volte citato, di Cirillo di Gerusalemme. Per chi non lo sapesse, si tratta di un antico testo che unanimamente si riconosce non attribuibile a San Cirillo, bensí, con tutta probabilità, al vescovo pelagiano Giovanni. Ma, sulla questione rimandiamo ad un'altra parte di questo notiziario, ove viene riprodotto un articolo che chiarisce il problema a sufficienza.
Veniamo adesso al pistolotto. 

Questa fede della Chiesa riguardo all'Eucaristia non cambia nei secoli. Ma, la manifestazione esterna di questa profonda fede, può cambiare in relazione ai tempi e alla cultura dei fedeli.
Ci sembra proprio che qui stia scritto che una cosa è la fede della Chiesa e dei fedeli, altra cosa è la conduzione di vita che la Chiesa e i fedeli mantengono: la fede è qualcosa di "intellettuale" e di "concettuale" che mantiene un rapporto di dipendenza rispetto ai tempi e alle culture: cosí che sono la cultura e i tempi a dire alla fede come deve manifestarsi.
Se non andiamo errati, una volta la Chiesa insegnava che era la fede a dover informare la cultura e i tempi, e non viceversa: tanto che ci si doveva sforzare di diventare dei buoni cristiani, cioè di vivere in conformità alla fede. Il che non significava altro che era la fede a far sí che una data cultura fosse quella e non altra e un certo tempo fosse quello e non altro: cultura della fede, tempo della fede.
D'altronde, quando non è cosí, l'alternativa è qualcosa di contrario alla fede. Se per esempio la cultura e i tempi inducessero i fedeli a considerare piú idoneo l'uso delle motorette per spostarsi in chiesa, per cui si renderebbe necessaria la costruzione di nuove chiese ad hoc, come farebbe la gerarchia cattolica a dire che non è possibile dopo aver affermato che la "manifestazione della fede può cambiare in relazione alla cultura"? 
 

Ne è un esempio [dei cambiamenti in "relazione ai tempi e alla cultura dei fedeli"] il modo di ricevere la Comunione. Invece d'inginocchiarsi alla balàustra, come si faceva fino a pochi anni fa, oggi si va processionalmente all'altare e si riceve in piedi il pane eucaristico. 
Potenza della "comunicazione". Cioè come dire una bugia senza darlo a capire.
Di grazia, quando mai non ci si inginocchia piú alla balaustra in forza  dei tempi e della cultura? Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi! Ma se lo sanno tutti che questo nuovo modo di ricevere la Comunione è stato "imposto" dai soloni del modernismo clericale! Anzi, i fedeli, or sono parecchi anni (e non "pochi anni"), non riuscivano a comprenderne il perché. Oggi, dopo decenni di condizionamento palese e occulto, durante i quali i pulpiti (si fa per dire) hanno tuonato contro le resistenze superstiziose dei nostri padri, ci si viene a raccontare e ci si vorrebbe far credere che non ci si inginocchia piú perché cosí ha voluto la "cultura dei fedeli"!
Ci vuole una bella faccia tosta!
Si dice anche che oggi si va processionalmente all'altare.
Attenti, cari amici ingenui che ancora credete nella buona fede di questi preti che sono diventati peggio dei fustigatori di Nostro Signore. Quando mai oggi si va "processionalmente all'altare"? Al massimo si va processionalmente (anche questo un termine ad effetto del tutto gratuito e di fatto improprio) fin dove sta il "tipo" o la "tipa" che distribuisce le Ostie. Perché allora scrivere cosí? Semplice, perché qualcuno sta già pensando di costruire una nuova "modificazione culturale", in base alla quale si può andare e venire dall'altare a proprio piacimento, magari per dire la Messa.
Esagerazioni? Siamo noi che vediamo anche quello che non c'è? Attenti! Era proprio cosí che si diceva qualche decennio fa e guardate adesso come siamo ridotti! 

Per quasi mille anni i cristiani, durante la Messa, ricevevano la Comunione sulla mano e mettevano poi in bocca il pane consacrato. 
Era inevitabile il richiamo del "ritorno alle origini"; è questo un motivo che non manca mai nelle esposizioni dei modernisti: facciamo di nuovo come facevano i primi cristiani, ritorniamo alle usanze piú "semplici" di "un tempo", rigettiamo tutte le "sovrastrutture" sopraggiunte col tempo per volontà del potere clericale. Già Lutero parlava cosí, e poi gli atei, e oggi sono i modernisti che pensano e parlano in questo modo.
Certo, noi siamo un po' ignoranti, non abbiamo studiato come i modernisti, non siamo dei liturgisti, ma nella nostra semplicità ci si consentirà di fare qualche piccola considerazione storica.
Se ci si richiama alle forme liturgiche dei primi "mille anni", come mai allora non si parla anche di ripristinare il "velo" davanti all'altare, cosí da tornare a separare il celebrante dai fedeli, e da effettuare la consacrazione al coperto dagli sguardi di tutti? In Oriente è ancora in uso l'iconòstasi, come lo era un tempo anche in Occidente.
È solo un esempio, se ne potrebbero fare tanti altri. Ma è utile ricordare certe cose, perché cosí è piú facile comprendere come i richiami all'antico vengano fatti solo a senso unico, ad uso e consumo della concezione modernista della fede e della dottrina cristiana. 
Dall'esempio da noi proposto si può facilmente comprendere come un ritorno all'antica forma dell'altare, e all'antica modalità della consacrazione, sconvolgerebbe i piani "innovativi" dei modernisti, che mirano solo all'abolizione dell'altare (che ormai chiamano "mensa"), in contrasto con i duemila anni di liturgia della Chiesa universale, d'Oriente e d'Occidente, ma, per contro, in perfetta rispondenza con le personali "vedute" di Lutero e compagni.
Altro che "ritorno alle origini"!
Per ciò che riguarda, poi, la veridicità di questi richiami "a come facevano i cristiani di un tempo", rimandiamo all'articolo sull'Archeologia liturgica, in altra parte del presente notiziario, cosí che si possa valutare appieno il valore "scientifico" di certe pretese. 

Da questa data (3.12.89) i fedeli sono liberi di scegliere personalmente tra il ricevere la Comunione sulla lingua o il ricerverla in mano.
Potenza della libertà! 
Ci si chiede: in base a che cosa i fedeli sono liberi di scegliere questo o quel modo di ricevere la Comunione. Il testo non lo dice (come al solito!), ma par di capire che la scelta verrà fatta in base alla cultura del fedele. Ora, qualcuno ci dovrebbe spiegare in che cosa consista, praticamente e realmente, la cultura della lingua e la cultura della mano, e qual è la differenza tra le due culture.
In realtà, non di queste facezie assurde si tratta, bensí della necessità di instaurare un processo di personalizzazione dei comportamenti liturgici, di modo che ognuno, alla fine, possa fare come gli pare, in questa come in altre occasioni.
Esagerazioni? Noi che apparteniamo allo stuolo dei semplici fedeli siamo portati a pensare che vi debba essere un modo piú corretto e piú giusto di un altro per ricevere la Comunione, e, consapevoli della nostra limitatezza, chiediamo alla Chiesa quale sia questo modo piú giusto. E cosa ci risponde la Chiesa? Fate voi! Che bel modo di fare magistero!
E allora? Allora me la sbrigo io. "Secondo me" è piú giusto cosí!
E via, con l'esaltazione dell'individualità, con le divisioni e le diatribe, con le gare a chi è piú bravo. È cosí che fanno i Protestanti, che sono infatti spezzettati in miriadi di congrege, di chiesucole e di sette. 

Questa possibilità di ricevere la Comunione sulla mano può essere un'occasione per aumentare in tutti i fedeli la consapevolezza della loro dignità in quanto membri del Corpo mistico di Cristo…
Parole magiche: "aumentare la consapevolezza". Come dire che ricevendo la Comunione sulla lingua è inevitabile che si perda un'occasione di consapevolezza.
C'è proprio da chiedersi che razza di materia grigia alberghi in certi cervelli. Ma, di grazia, come si fa ad affermare insulsaggini del genere. O forse si è convinti che, in un prossimo futuro, per aumentare ulteriormente questa consapevolezza sarà magari opportuno portarsi a casa un "pezzo" del Santissimo Sacramento piuttosto che adorarlo in chiesa?
E non ci si venga a dire che a tutto c'è un limite, perché prima si è partiti affermando che l'unica misura valida è l'insieme dei tempi e della cultura dei fedeli. Delle due l'una. 

D'altra parte la lingua non è piú santa delle mani: l'intera persona è santa, nessuna parte di essa è piú santa di un'altra. 
Questa perla posta a conclusione del pistolotto è la riprova che quando ci si incammina "a corpo libero" lungo una strada accidentata si finisce sempre per inciampare e cadere.
A quando la Comunione in polvere aspirata con la cannuccia? O si vorrà forse un giorno impedire al santo naso di fare anch'esso la sua parte? 
Viene da chiedersi se cose del genere le scrivano proprio dei preti! 

Ciò che veramente importa è che la Comunione venga sempre ricevuta con grande fede, rispetto e impegno. 
Ed eccoci finalmente alla fine del pistolotto. Non importa assolutamente niente del modo in cui si riceve la Comunione, la cosa veramente importante è che la si riceva con "fede, rispetto e impegno".
Bene per la fede, senza la quale ricevere la Comunione sarebbe veramente una vera e propria blasfemia e condurrebbe diritto diritto all'inferno (dove vanno a finire anche coloro che non ci credono); ma davvero la Comunione non si riceve con atteggiamento di adorazione?
No, sembra proprio che l'estensore del pistolotto non ne sappia assolutamente niente. Per lui ciò che conta "veramente" e il rispetto e l'impegno. Cioè due di quelle categorie etiche buone per tutte le occasioni e delle quali oggigiorno si usa e si abusa talmente che non v'è niente di piú insignificante e di piú onnivalente del "rispetto" e dell'"impegno".
Per quanto ci riguarda, facciamo solo notare che l'assunsione dell'Ostia consacrata è l'atto rituale per eccellenza della partecipazione umana alla Persona ed alla Volontà di Dio. Atto che solo in via secondaria implica la consapevolezza umana, poiché esso è principalmente un atto divino, da Dio predisposto, da Lui espressamente voluto per la nostra salvezza, e in cui è Lui il solo ad agire.
Il credente è oggetto della volontà di Dio e docile strumento della Sua azione: è per questo che la Chiesa si è sempre preoccupata di esprimere nella maniera piú chiara e piú convincente, con i mezzi, con i gesti e con i comportamenti piú incisivi e coinvolgenti, che fra Dio e l'uomo vi è una distanza incommensurabile; che a fronte della infinità di Dio sta la infima piccolezza dell'uomo; che all'incontro della magnificenza della Sua Grazia unilaterale e gratuita va la miseria e la caducità dell'anima umana bisognosa del Suo Amore.
Diceva l'Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesú» (Filippesi, 2, 5); e S. S. Pio XII ricordava come da tutti i cristiani si esige di riprodurre in sé stessi: «…l'umile sottomissione dello spirito, cioé, l'adorazione, l'onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in sé stessi le condizioni della vittima; l'abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l'espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce col Cristo, in modo da poter dire con Paolo: sono confitto con Cristo in Croce (Galati, 2, 19)» (Mediator Dei, parte seconda, II, § 2).

Questo bisognerebbe re-insegnare ai fedeli, altro che i luoghi comuni del rispetto e dell'impegno, semmai questi ne deriveranno come automatica conseguenza di un sentire piú profondo, che non necessariamente (soprattutto per i piú) passa attraverso chissà quale consapevolezza intellettiva.
Abbiamo bisogno di vivere la fede, nella maniera piú rispondente possibile, non ci serve affatto raziocinare su ogni momento del nostro rivolgerci a Dio. Ma soprattutto abbiamo bisogno di mezzi, di gesti e di comportamenti che ci aiutino a rivolgerci a Dio nella maniera piœ corretta, secondo la Sua Volontˆ, non secondo la nostra. Mezzi, gesti e comportamenti che ci "lascino il segno", dentro: nella mente e nel cuore, nei nervi e nelle ossa; che ci richiamino prepotentemente al dovere ineludibile di guardare oltre questo mondo, di sperare con fede nella Carità divina, senza la quale non siamo nient'altro che pura presunzione ed illusione umana: un puro niente.

C. C.



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