A PROPOSITO DELLA COMUNIONE SULLA MANO
(6/96)
Chi oserebbe contestare che la preparazione culturale, e quindi la consapevolezza
e la capacità di giudizio degli uomini moderni è decisamente
migliorata rispetto ai tempi bui dell'antichità? Non è questo
che ci insegnano in ogni occasione? Ed allora, nessuno certo si stupirà
se noi, forti di questa nostra migliore capacità di giudizio, consideriamo
che perfino gli opuscoli diffusi nelle parrocchie a cura dell'autorità
ecclesiastica siano pari a qualunque altro documento ufficiale della Chiesa,
soprattutto quando in essi si fa riferimento esplicito alle disposizioni
della CEI (3 dicembre 1989).
È questo il caso di un opuscolo diffuso nelle parrocchie della
Diocesi di Torino con il quale si spiega, in modo particolareggiato, come
fare "a ricevere la Comunione sulla mano".
Ovviamente, vi è anche un lungo pistolotto che ha la pretesa
di fornire delle giustificazioni per questa novità che certo non
tocca una verità di fede, ma che ha molto a che fare col sacrilegio.
Ma, andiamo con ordine.
Innanzi tutto, sul frontespizio, abbiamo ritrovato il testo, piú
volte citato, di Cirillo di Gerusalemme. Per chi non lo sapesse, si tratta
di un antico testo che unanimamente si riconosce non attribuibile a San
Cirillo, bensí, con tutta probabilità, al vescovo pelagiano
Giovanni. Ma, sulla questione rimandiamo ad un'altra parte di questo notiziario,
ove viene riprodotto un articolo che chiarisce il problema a sufficienza.
Veniamo adesso al pistolotto.
Questa fede della Chiesa riguardo all'Eucaristia non cambia nei
secoli. Ma, la manifestazione esterna di questa profonda fede, può
cambiare in relazione ai tempi e alla cultura dei fedeli.
Ci sembra proprio che qui stia scritto che una cosa è la fede
della Chiesa e dei fedeli, altra cosa è la conduzione di vita che
la Chiesa e i fedeli mantengono: la fede è qualcosa di "intellettuale"
e di "concettuale" che mantiene un rapporto di dipendenza rispetto ai tempi
e alle culture: cosí che sono la cultura e i tempi a dire alla fede
come deve manifestarsi.
Se non andiamo errati, una volta la Chiesa insegnava che era la fede
a dover informare la cultura e i tempi, e non viceversa: tanto che ci si
doveva sforzare di diventare dei buoni cristiani, cioè di vivere
in conformità alla fede. Il che non significava altro che era la
fede a far sí che una data cultura fosse quella e non altra e un
certo tempo fosse quello e non altro: cultura della fede, tempo della fede.
D'altronde, quando non è cosí, l'alternativa è
qualcosa di contrario alla fede. Se per esempio la cultura e i tempi inducessero
i fedeli a considerare piú idoneo l'uso delle motorette per spostarsi
in chiesa, per cui si renderebbe necessaria la costruzione di nuove chiese
ad
hoc, come farebbe la gerarchia cattolica a dire che non è possibile
dopo aver affermato che la "manifestazione della fede può cambiare
in relazione alla cultura"?
Ne è un esempio [dei cambiamenti in "relazione
ai tempi e alla cultura dei fedeli"] il modo di ricevere la Comunione.
Invece d'inginocchiarsi alla balàustra, come si faceva fino a pochi
anni fa, oggi si va processionalmente all'altare e si riceve in piedi il
pane eucaristico.
Potenza della "comunicazione". Cioè come dire una bugia senza
darlo a capire.
Di grazia, quando mai non ci si inginocchia piú alla balaustra
in forza dei tempi e della cultura? Il diavolo fa le pentole, ma
non i coperchi! Ma se lo sanno tutti che questo nuovo modo di ricevere
la Comunione è stato "imposto" dai soloni del modernismo clericale!
Anzi, i fedeli, or sono parecchi anni (e non "pochi anni"), non riuscivano
a comprenderne il perché. Oggi, dopo decenni di condizionamento
palese e occulto, durante i quali i pulpiti (si fa per dire) hanno tuonato
contro le resistenze superstiziose dei nostri padri, ci si viene a raccontare
e ci si vorrebbe far credere che non ci si inginocchia piú perché
cosí ha voluto la "cultura dei fedeli"!
Ci vuole una bella faccia tosta!
Si dice anche che oggi si va processionalmente all'altare.
Attenti, cari amici ingenui che ancora credete nella buona fede di
questi preti che sono diventati peggio dei fustigatori di Nostro Signore.
Quando mai oggi si va "processionalmente all'altare"? Al massimo si va
processionalmente (anche questo un termine ad effetto del tutto gratuito
e di fatto improprio) fin dove sta il "tipo" o la "tipa" che distribuisce
le Ostie. Perché allora scrivere cosí? Semplice, perché
qualcuno sta già pensando di costruire una nuova "modificazione
culturale", in base alla quale si può andare e venire dall'altare
a proprio piacimento, magari per dire la Messa.
Esagerazioni? Siamo noi che vediamo anche quello che non c'è?
Attenti! Era proprio cosí che si diceva qualche decennio fa e guardate
adesso come siamo ridotti!
Per quasi mille anni i cristiani, durante la Messa, ricevevano
la Comunione sulla mano e mettevano poi in bocca il pane consacrato.
Era inevitabile il richiamo del "ritorno alle origini"; è questo
un motivo che non manca mai nelle esposizioni dei modernisti: facciamo
di nuovo come facevano i primi cristiani, ritorniamo alle usanze piú
"semplici" di "un tempo", rigettiamo tutte le "sovrastrutture" sopraggiunte
col tempo per volontà del potere clericale. Già Lutero parlava
cosí, e poi gli atei, e oggi sono i modernisti che pensano e parlano
in questo modo.
Certo, noi siamo un po' ignoranti, non abbiamo studiato come i modernisti,
non siamo dei liturgisti, ma nella nostra semplicità ci si consentirà
di fare qualche piccola considerazione storica.
Se ci si richiama alle forme liturgiche dei primi "mille anni", come
mai allora non si parla anche di ripristinare il "velo" davanti all'altare,
cosí da tornare a separare il celebrante dai fedeli, e da effettuare
la consacrazione al coperto dagli sguardi di tutti? In Oriente è
ancora in uso l'iconòstasi, come lo era un tempo anche in Occidente.
È solo un esempio, se ne potrebbero fare tanti altri. Ma è
utile ricordare certe cose, perché cosí è piú
facile comprendere come i richiami all'antico vengano fatti solo a senso
unico, ad uso e consumo della concezione modernista della fede e della
dottrina cristiana.
Dall'esempio da noi proposto si può facilmente comprendere come
un ritorno all'antica forma dell'altare, e all'antica modalità della
consacrazione, sconvolgerebbe i piani "innovativi" dei modernisti, che
mirano solo all'abolizione dell'altare (che ormai chiamano "mensa"), in
contrasto con i duemila anni di liturgia della Chiesa universale, d'Oriente
e d'Occidente, ma, per contro, in perfetta rispondenza con le personali
"vedute" di Lutero e compagni.
Altro che "ritorno alle origini"!
Per ciò che riguarda, poi, la veridicità di questi richiami
"a come facevano i cristiani di un tempo", rimandiamo all'articolo sull'Archeologia
liturgica, in altra parte del presente notiziario, cosí
che si possa valutare appieno il valore "scientifico" di certe pretese.
Da questa data (3.12.89) i fedeli sono liberi di
scegliere personalmente tra il ricevere la Comunione sulla lingua o il
ricerverla in mano.
Potenza della libertà!
Ci si chiede: in base a che cosa i fedeli sono liberi di scegliere
questo o quel modo di ricevere la Comunione. Il testo non lo dice (come
al solito!), ma par di capire che la scelta verrà fatta in base
alla cultura del fedele. Ora, qualcuno ci dovrebbe spiegare in che cosa
consista, praticamente e realmente, la cultura della lingua e la cultura
della mano, e qual è la differenza tra le due culture.
In realtà, non di queste facezie assurde si tratta, bensí
della necessità di instaurare un processo di personalizzazione dei
comportamenti liturgici, di modo che ognuno, alla fine, possa fare come
gli pare, in questa come in altre occasioni.
Esagerazioni? Noi che apparteniamo allo stuolo dei semplici fedeli
siamo portati a pensare che vi debba essere un modo piú corretto
e piú giusto di un altro per ricevere la Comunione, e, consapevoli
della nostra limitatezza, chiediamo alla Chiesa quale sia questo modo piú
giusto. E cosa ci risponde la Chiesa? Fate voi! Che bel modo di fare magistero!
E allora? Allora me la sbrigo io. "Secondo me" è piú
giusto cosí!
E via, con l'esaltazione dell'individualità, con le divisioni
e le diatribe, con le gare a chi è piú bravo. È cosí
che fanno i Protestanti, che sono infatti spezzettati in miriadi di congrege,
di chiesucole e di sette.
Questa possibilità di ricevere la Comunione sulla mano
può essere un'occasione per aumentare in tutti i fedeli la consapevolezza
della loro dignità in quanto membri del Corpo mistico di Cristo…
Parole magiche: "aumentare la consapevolezza". Come dire che ricevendo
la Comunione sulla lingua è inevitabile che si perda un'occasione
di consapevolezza.
C'è proprio da chiedersi che razza di materia grigia alberghi
in certi cervelli. Ma, di grazia, come si fa ad affermare insulsaggini
del genere. O forse si è convinti che, in un prossimo futuro, per
aumentare ulteriormente questa consapevolezza sarà magari opportuno
portarsi a casa un "pezzo" del Santissimo Sacramento piuttosto che adorarlo
in chiesa?
E non ci si venga a dire che a tutto c'è un limite, perché
prima si è partiti affermando che l'unica misura valida è
l'insieme dei tempi e della cultura dei fedeli. Delle due l'una.
D'altra parte la lingua non è piú santa delle mani:
l'intera persona è santa, nessuna parte di essa è piú
santa di un'altra.
Questa perla posta a conclusione del pistolotto è la riprova
che quando ci si incammina "a corpo libero" lungo una strada accidentata
si finisce sempre per inciampare e cadere.
A quando la Comunione in polvere aspirata con la cannuccia? O si vorrà
forse un giorno impedire al santo naso di fare anch'esso la sua parte?
Viene da chiedersi se cose del genere le scrivano proprio dei preti!
Ciò che veramente importa è che la Comunione venga
sempre ricevuta con grande fede, rispetto e impegno.
Ed eccoci finalmente alla fine del pistolotto. Non importa assolutamente
niente del modo in cui si riceve la Comunione, la cosa veramente importante
è che la si riceva con "fede, rispetto e impegno".
Bene per la fede, senza la quale ricevere la Comunione sarebbe veramente
una vera e propria blasfemia e condurrebbe diritto diritto all'inferno
(dove vanno a finire anche coloro che non ci credono); ma davvero la Comunione
non si riceve con atteggiamento di adorazione?
No, sembra proprio che l'estensore del pistolotto non ne sappia assolutamente
niente. Per lui ciò che conta "veramente" e il rispetto e l'impegno.
Cioè due di quelle categorie etiche buone per tutte le occasioni
e delle quali oggigiorno si usa e si abusa talmente che non v'è
niente di piú insignificante e di piú onnivalente del "rispetto"
e dell'"impegno".
Per quanto ci riguarda, facciamo solo notare che l'assunsione dell'Ostia
consacrata è l'atto rituale per eccellenza della partecipazione
umana alla Persona ed alla Volontà di Dio. Atto che solo in via
secondaria implica la consapevolezza umana, poiché esso è
principalmente un atto divino, da Dio predisposto, da Lui espressamente
voluto per la nostra salvezza, e in cui è Lui il solo ad agire.
Il credente è oggetto della volontà di Dio e docile strumento
della Sua azione: è per questo che la Chiesa si è sempre
preoccupata di esprimere nella maniera piú chiara e piú convincente,
con i mezzi, con i gesti e con i comportamenti piú incisivi e coinvolgenti,
che fra Dio e l'uomo vi è una distanza incommensurabile; che a fronte
della infinità di Dio sta la infima piccolezza dell'uomo; che all'incontro
della magnificenza della Sua Grazia unilaterale e gratuita va la miseria
e la caducità dell'anima umana bisognosa del Suo Amore.
Diceva l'Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesú» (Filippesi, 2, 5);
e S. S. Pio XII ricordava come da tutti i cristiani si esige di riprodurre
in sé stessi: «…l'umile sottomissione dello spirito,
cioé, l'adorazione, l'onore, la lode e il ringraziamento alla somma
Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in sé stessi
le condizioni della vittima; l'abnegazione di sé secondo i precetti
del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore
e l'espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica
morte in Croce col Cristo, in modo da poter dire con Paolo: sono confitto
con Cristo in Croce (Galati, 2, 19)» (Mediator
Dei, parte seconda, II, § 2).
Questo bisognerebbe re-insegnare ai fedeli, altro che i luoghi comuni
del rispetto e dell'impegno, semmai questi ne deriveranno come automatica
conseguenza di un sentire piú profondo, che non necessariamente
(soprattutto per i piú) passa attraverso chissà quale consapevolezza
intellettiva.
Abbiamo bisogno di vivere la fede, nella maniera piú rispondente
possibile, non ci serve affatto raziocinare su ogni momento del nostro
rivolgerci a Dio. Ma soprattutto abbiamo bisogno di mezzi, di gesti e di
comportamenti che ci aiutino a rivolgerci a Dio nella maniera piœ corretta,
secondo la Sua Volontˆ, non secondo la nostra. Mezzi, gesti e comportamenti
che ci "lascino il segno", dentro: nella mente e nel cuore, nei nervi e
nelle ossa; che ci richiamino prepotentemente al dovere ineludibile di
guardare oltre questo mondo, di sperare con fede nella Carità divina,
senza la quale non siamo nient'altro che pura presunzione ed illusione
umana: un puro niente.
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