I MESSAGGI DEL PAPA
La pace, la democrazia e la libertà religiosa
(10/99)
L’ultimo messaggio “per la pace”, pubblicato dal Papa all’inizio di
quest’anno, ha suscitato delle reazioni soprattutto per la strana affermazione
che “ognuno è libero di cambiare religione, se la coscienza lo domanda”.
Certo, è molto difficile cercare di entrare appieno nello spirito
delle dichiarazioni “pastorali” della gerarchia che si sono prodotte a
partire dal Vaticano II, poiché è invalso l’uso di dire tutto
e pure il suo contrario. Vedremo dunque di capirci qualcosa esaminando
qualche paragrafo di questo messaggio.
§ 3 - La difesa dell’universalità e dell’indivisibilità
dei diritti umani è essenziale per la costruzione di una società
pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e nazioni. L’affermazione
di questa universalità e indivisibilità non esclude, di fatto,
legittime differenze di ordine culturale e politico nell’attuazione dei
singoli diritti, purché risultino rispettati in ogni caso i livelli
fissati dalla Dichiarazione Universale per l’intera umanità.
Questa affermazione del S. Padre, che appare cosí “bella”, ci
sembra che pecchi di un difetto d’origine: del pregiudizio tutto occidentale
di una superiorità che viene data per scontata, ma che è
ancora, ancorché dimostrabile, tutta da dimostrare.
Sembra proprio che il Papa non ricordi piú da cosa siano state
originate le “Dichiarazioni” come quella da lui tanto decantata. Certamente
non dall’insegnamento della Chiesa; tutt’altro: la Chiesa ha sempre condannato
e gli autori e le produzioni intellettuali che sono alla base di tali “dichiarazioni”,
almeno fino al Vaticano II.
Si dice che la “Dichiarazione Universale” abbia fissato certi livelli
“per l’intera l’umanità”.
Una cosa siffatta, detta da un Papa, sembrerebbe avere in vista la
sacra Scrittura, mentre invece si tratta di una qualsiasi “carta” promulgata
in un tempo determinato da un gruppo umano determinato sulla base di determinate
concezioni e in vista di determinati intendimenti, il tutto a prescindere
dai bisogni spirituali dell’uomo e dell’umanità, dai doveri della
creatura nei confronti del Creatore e, in particolare, dagli obblighi del
cristiano di sottomettersi all’insegnamento di Cristo e alla giurisdizione
della Sua Chiesa.
Il Papa sa bene che la “Dichiarazione” è figlia della Rivoluzione;
ma siccome sa anche che è stata partorita in àmbito cristiano,
sia pure da cristiani solo nominali e in maggioranza contrari alla Chiesa,
non riesce a fare a meno di abbracciarla e a farla sua: illudendosi che,
cosí facendo, si finisca con lo stabilire quella “comunione” tra
la Chiesa e la società civile che è ormai andata perduta
da qualche tempo.
L’uso dei termini “universalità” e “indivisibilità”,
in riferimento a tale “Dichiarazione” ci sembra alquanto retorico: il Papa
sa bene, per dirne solo una, che tra gli autori della “Dichiarazione” non
si può annoverare alcun teologo, alcun prelato, alcun cardinale,
alcun Papa. Si tratterebbe quindi di una “universalità” alquanto
parziale, se ci si permette il bisticcio di parole: dove solo alcuni “fissano
livelli” per tutti gli altri in nome della libertà e della dignità
di tutti.
Certo, molti uomini di chiesa hanno poi plaudito ai prodotti della
Rivoluzione e dei Lumi, ma a posteriori, per il timore di rimanere isolati:
e lo hanno fatto con quello spirito servile che sa ammantarsi, quasi d’istinto,
di forbite e complicate giustificazioni intellettuali; e nonostante gli
anatemi dei Papi e le disastrose conseguenze di tante sperimentazioni.
Se la Chiesa moderna non se la sente piú di essere Magistra,
dovrebbe avere almeno il buonsenso di evitare di presentare il suo discepolato
come un Magistero.
… e la mia parola e il mio messaggio non
si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione
dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse
fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
I Corinti, 2, 4-5
|
§ 4 - Dai recenti sviluppi nel campo dell’ingegneria genetica
emerge una sfida che suscita profonde inquietudini. Perché la ricerca
scientifica in questo ambito sia al servizio della persona, occorre che
l’accompagni ad ogni stadio l’attenta riflessione etica, che ispiri adeguate
norme giuridiche a salvaguardia dell’integrità della vita umana.
Mai la vita può essere degradata ad oggetto.
Non scegliamo un paragrafo “a caso” per far comodo alla nostra vis
polemica, ma il fatto è che in nessun paragrafo si parla dei principi
religiosi e degli insegnamenti di Nostro Signore e della Chiesa.
Qui si parla solo di “etica”: la ricerca scientifica “occorre” che
si accompagni alla “riflessione etica”, dice il Papa. Forse non sa che
una cosa del genere è costume corrente nel mondo scientifico; si
potrebbe dire: piú che scontato! Non v’è àmbito scientifico
che per la pratica della sua “ricerca” non faccia capo all’“etica”: cioè
a quella cosa molto strana di cui tutti parlano, ma nessuno sa dov’è
e cos’è; se non altro perché non vige un’ “etica” unica.
Da un Papa ci si aspetta che parli di Religione e di Morale, non di
etica.
D’altronde, il Papa non usa a caso i termini e non si sbaglia di certo.
Il suo è un “messaggio” al mondo, e il Papa sa bene che questo mondo
è popolato in maggioranza da individui che si riempiono la bocca
di “etica” e che non conoscono o non tengono in alcun conto la Religione
e la Morale. In tal modo egli cerca di parlare la lingua dell’ “altro”,
e sembrerebbe che faccia bene; solo che finisce col ritagliarsi lo spazio
di “un altro” qualsiasi, per di piú molto spesso incompetente in
materia: com’è qui il caso della ricerca scientifica.
Se cosí non stessero le cose si vedrebbero certamente i frutti
delle migliaia di pronunciamenti dei Papi e dei Vescovi in questi ultimi
trent’anni.
§ 5.1 - La religione esprime le aspirazioni più profonde
della persona umana, ne determina la visione del mondo, ne guida il rapporto
con gli altri: offre, in fondo, la risposta alla questione del vero significato
dell’esistenza nell’ambito sia personale che sociale. La libertà
religiosa costituisce, pertanto, il cuore stesso dei diritti umani. Essa
è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta
la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo
domanda. Ciascuno, infatti, è tenuto a seguire la propria coscienza
in ogni circostanza e non può essere costretto ad agire in contrasto
con essa. Proprio per questo, nessuno può essere obbligato ad accettare
per forza una determinata religione, quali che siano le circostanze o le
motivazioni.
Se i presupposti da cui si parte sono l’“universalità” e l’“etica”,
questo paragrafo è perfettamente coerente e conseguenziale. Se l’uomo
ha dignità per il semplice fatto di esistere e se è libero
di soddisfare la sua umanità e di seguire la sua coscienza, non
v’è dubbio che ha anche il diritto di scegliersi la religione che
vuole. Il Papa ha ragione, se non fosse per il piccolo particolare che
egli è il Papa e cioè, si pensa, il vicario di Cristo, e
non un funzionario dell’ONU.
Affermare che alla persona dev’essere “riconosciuta la libertà
persino di cambiare religione” è cosa del tutto nuova per la dottrina
cattolica, e, oseremmo dire, per la dottrina cristiana tout court.
Se è possibile cambiare religione, significa che vi sono piú
religioni: tutte equivalenti, tutte parimenti valide, tutte apportatrici
di verità e di salvezza, tutte derivate dall’unico Dio e dall’azione
salvifica del Suo Figlio. Ora, è anche possibile che il Papa sia
veramente convinto di tale impossibilità, ma ci sembra parecchio
dubbio e del tutto improbabile che la stessa convinzione alberghi nella
mente degli Ebrei, dei Sunniti, degli Sciiti, degli Indú, dei Buddisti,
degli Shintoisti, dei Confuciani, e, perché no, dei cultori del
New Age, senza parlare dei Protestanti di tutte le sétte, degli
Ortodossi e dei cristiani d’Oriente in genere.
Su cosa si basa un tale convincimento che, per piú aspetti,
è certamente unilaterale?
Non potendosi trovare riscontro alcuno nei Vangeli, nell’intera sacra
Scrittura e nella Tradizione dei Padri, ne consegue che il Papa abbia fatto
sue le concezioni atee e antireligiose del mondo moderno. Il che sarebbe
come dire che il mondo moderno, con le sue chimere e le sue falsità,
ha conquistato il capo della Chiesa Cattolica Apostolica Romana: cosí
che sulla Cattedra di Pietro siede un cultore di Rousseau e di Nietzsche
che è andato a scuola dai preti.
Ci perdoni il Santo Padre una tale irriverenza, ma è che non
siamo riusciti a convincerci che sia nel “nostro diritto” diventare musulmani,
anche se dobbiamo confessare che, in quanto uomini, “con la nostra libertà
e la nostra propria dignità”, la cosa non ci dispiacerebbe affatto,
visto che tutti i cristiani ligi alle raccomandazioni della gerarchia sarebbero
indotti a “dialogare” con noi, ad aiutarci, ad assisterci, a comprenderci,
a condividere la nostra diversità. Cosa che non accade affatto,
anzi, per noi poveri “integralisti” cattolici irriducibili.
Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza
di me non potete far nulla.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca,
e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Giovanni, 15, 5-6
|
Piú religioni, quindi, tutte valide, tutte intercambiabili: in
base ai dettami della nostra coscienza.
Quale coscienza, Santo Padre?
Quale potrebbe essere il motivo per cui un uomo dovrebbe cambiare religione
“se la sua coscienza lo domanda”? Pensiamo che il motivo piú semplice
e, al tempo stesso fondante, sia quello che il dettame della sua coscienza
lo abbia convinto che la sua religione è manchevole, è meno
valida e meno vera di quella che si sente di abbracciare in alternativa.
La sua coscienza, quindi, lo ha posto di fronte all’alternativa di rimanere
nell’errore o di abbracciare la verità. La sua coscienza così
gli comanda: e alla coscienza non ci si può opporre, e nessuno può
e deve produrre opposizione alcuna.
Come dire che se un cattolico decidesse di farsi shintoista, potrebbe
benissimo andare dal Papa a chiedere, ed ottenere, la sua santa benedizione.
Veramente ci sembra un po’ troppo.
Certo, il cattolico in questione non lo farebbe, per il semplice motivo
che, a quel punto, del Papa e della Chiesa non gliene importerebbe niente
(come prima d’altronde); ma dobbiamo dedurne che il Papa sarebbe compiaciuto
della cosa, e vedrebbe realizzato il suo sogno di trionfo della coscienza,
della dignità e della libertà dell’uomo. Con buona pace di
Nostro Signore, degli Apostoli, dei Padri apostolici, dei Martiri, dei
Santi e del Magistero della Chiesa, compreso quello del Papa Giovanni Paolo
II.
Strano modo di “evangelizzare”!
Ma, a questo punto, è bene esaminare la questione anche da altri
punti di vista.
La coscienza. Delle due l’una: o essa è infallibile, perché,
per esempio, presenta alla ragione e all’intelletto la verità della
Legge scritta nei cuori da Dio stesso, e fa questo in maniera indefettibile
sulla sola base della esistenza dell’individuo: ed allora è stata
inutile la venuta del Figlio di Dio ed è inutile la Chiesa; o la
coscienza ha la possibilità di fornire corretti orientamenti solo
in seguito all’intervento divino che si attua con la Grazia: ed allora
il discorrere del Papa è senza alcun fondamento e, come tale, è
un discorso di menzogna e non di verità.
In questo secondo caso, poi, non è possibile che la coscienza
“domandi” di abbandonare la vera religione per un’altra che, non essendo
quella vera, non potrà essere che una falsa. Ragion per cui il Papa
esprime una contraddizione quando si permette di esaltare la legittimità
del cambio di religione sulla base dei comandi della coscienza. Solo in
un caso il Papa sarebbe nel giusto: nel caso in cui fosse convinto della
erranza della coscienza cattolicamente formata, perché allenata
da una religione falsa. E questo non possiamo neanche pensarlo.
C’è un altro aspetto, però, che ci preme sottolineare:
si può pensare che il Papa abbia in vista, quasi esclusivamente,
la possibile conversione al cattolicesimo di tutti gli altri individui
non cattolici; anzi la doverosa conversione all’unica vera religione, la
cattolica, di tutti gli altri individui che vivono nell’errore di una falsa
religione.
In questo caso, e in un mondo come il nostro, il pressante richiamo
alla libertà di coscienza e alla dignità dell’uomo sarebbero,
da parte del Papa, del tutto strumentali. Egli si servirebbe delle armi
del nemico per indurre alla salvezza le anime dei poveri peccatori del
mondo.
Lodevole intenzione, rispettabilissima azione tattica, in vista dell’adempimento
della volontà di Dio.
In pratica si potrebbe pensare che il Papa usi pro domo sua (o per
meglio dire: pro vertitate) gli stessi strumenti illeciti usati dai demolitori
della religione e dai negatori di Dio; utilizzando lo stesso loro linguaggio
per indurre inavvertitamente gli infedeli a convertirsi. Insomma un sottile
mezzo coercitivo, un’azione di violenza nascosta, che dimostrerebbe che
il Papa non crede ad una parola di quello che scrive e che dice in “comunicazioni”
come queste.
Si tratta di questo? Ce lo chiediamo con apprensione, poiché
ci sopravviene il timore e il terrore che la Chiesa di Cristo sia retta
da pastori adusi alla menzogna: quando mentono allora, e quando parlano
secondo il dettato di Nostro Signore: si, si, no, no? (Mt, 5, 37).
Si potrebbe anche pensare che le tanto decantate “dichiarazioni” di
principi discendano pari pari dalla “cultura” cattolica o cristiana, e
che, quindi, non vi sarebbe contraddizione nell’appellarsi del Papa ad
una loro autorità, ammesso che ne abbiano alcuna. Lo stesso dicasi
per la coscienza. Ma se cosí fosse, le cose del mondo andrebbero
diversamente e il Papa non avrebbe alcun bisogno di scrivere e di predicare
in questi termini e in questo modo.
D’altronde, pur ammettendo che le concezioni moderne, per il semplice
fatto che siano nate e cresciute in àmbito cristiano, derivino dalla
predicazione evangelica e dall’insegnamento della Chiesa, resterebbe da
spiegare come la Chiesa abbia mai potuto predicare per duemila anni contro
sé stessa, al punto da dover riconoscere oggi che occorre porre
mano ad una “nuova evangelizzazione”.
Proprio il Papa Giovanni Paolo II ha usato e usa l’espressione “nuova
evangelizzazione”; il che ci induce ad una ulteriore riflessione.
La convinzione del Papa che occorra “ri-evangelizzare” questo mondo,
e in particolare l’Europa, un tempo culla della Cristianità, può
solo significare che i prodotti di questo mondo non sono riconducibili
al Vangelo, poiché questo mondo moderno ha perduto la precedente
vocazione evangelica. Come fa allora il Papa ad appellarsi alla supposta
autorità di uno di questi prodotti: alla “Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo”?
Può farlo solo a condizione che egli ritenga che tale dichiarazione
sia del tutto conforme al dettato evangelico, ragione per cui gli attribuisce
l’autorità alla quale poi si appella.
Certo, la Provvidenza percorre vie imperscrutabili, ma c’è da
stupirsi alquanto nel dover supporre che invece di servirsi “anche” del
Magistero della Chiesa, Essa si sia servita “in primis” e “di preferenza”
delle predicazioni dei “liberi pensatori”, delle guerre socio-politiche
dell’Inghilterra e dell’America, delle coercizioni economiche del capitale
anonimo occidentale-americano, e dei loro parti pseudo-umanitari del tipo
dell’ONU e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, senza contare le
centinaia di altre “Dichiarazioni di Diritti” che riguardano i cani e gli
omosessuali, i bambini e i pedofili, i pazzi e i delinquenti, le piante
e i sassi, e via discorrendo. Basterebbe solo l’elenco di tali “carte”
per comprendere della serietà, della portata, del valore e della
realtà della tanto decantata “Dichiarazione” a cui si appella il
Papa.
§ 5 .2 - La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo riconosce
che il diritto alla libertà religiosa include quello di manifestare
le proprie credenze sia individualmente sia con altri, in pubblico o in
privato. Nonostante questo, esistono tutt’oggi luoghi in cui il diritto
di riunirsi per motivi di culto o non è riconosciuto o è
limitato ai membri di una sola religione.
Questa grave violazione di uno dei fondamentali diritti della persona
è causa di enormi sofferenze per i credenti. Quando uno Stato concede
uno statuto speciale ad una religione, ciò non può avvenire
a detrimento delle altre. È noto invece che vi sono nazioni in cui
individui, famiglie ed interi gruppi continuano ad essere discriminati
e marginalizzati a causa del loro credo religioso.
Questo paragrafo fa seguito al precedente, ed introduce la questione
della distinzione tra “libertà in foro interno” e “libertà
in foro esterno”; e la introduce soprattutto perché il Papa
afferma chiaramente, appoggiandosi e facendo sua la “Dichiarazione”, che
tra i due tipi di libertà non v’è piú differenza per
la Chiesa, o almeno per lui, poiché ognuno è libero di professare
la religione che vuole: “in pubblico o in privato”.
Forse è il caso di ricordare che il principio su cui si basa
la “libertà in foro interno” è quello del “libero
arbitrio”: intimamente connesso al dettato evangelico che ognuno è
libero, in cuor suo, di scavarsi la fossa che vuole, mentre ai seguaci
di Cristo spetta solo “scuotere la polvere dai propri piedi”.
La “libertà in foro esterno”, invece, non fa parte della
dottrina cattolica se non in negativo (almeno fino al Concilio Vaticano
II), sia perché è una palese contraddizione e una impossibilità
di fatto, sia, e soprattutto, perché non è dato ad alcuno
dare scandalo impunemente. A questo proposito è bene ricordare che
il termine greco skandalon (impedimento, ostacolo, trabocchetto) ha una
accezione molto piú generale di quella che ha il termine scandalo
nella nostra lingua attuale: Nostro Signore condanna chiunque e qualunque
cosa possa essere di intralcio alla fede dei suoi fedeli; questo può
aiutare a comprendere l’apparente durezza della dottrina cattolica nel
rifiutare categoricamente la libertà in foro esterno.
Qui diventa piú semplice porsi la domanda se il Papa, nello
scrivere queste cose, abbia in mente i cristiani impediti ad esserlo in
molti paesi non cristiani; oppure i musulmani, per esempio, che in Occidente
non possono far festa il venerdí piuttosto che la domenica.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace
a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà
su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. …
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno,
uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città
che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi;
sappiate però che il regno di Dio è vicino.
Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata
meno duramente di quella città.
Luca 10, 5-6 e 10-12.
Cfr. Mt 10, 11-14 e Lc 9, 5. |
Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono
in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina
girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.
Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano
scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo.
Matteo 18, 6-7
Cfr Mc 9, 42 e Lc 17, 1-2 |
Ma si arriva al paradosso quando il Papa ricorda, lamentandosene, che
vi sono ancora dei paesi in cui viene riconosciuta una sola religione,
con la semplice tolleranza delle altre.
C’è da chiedersi se il compito della gerarchia e, in primis,
del Papa sia quello di essere testimoni di Cristo “fino agli estremi confini
della terra” (At., 1,8), oppure quello di fare propaganda a Sai
Baba e compagni.
Con quale coerenza il Papa parla contro il New Age o predica una “nuova
evangelizzazione”? Quando qui si comprende benissimo che il suo ideale
è un mondo pieno zeppo di “religioni” che possono e debbono essere
praticate a piacimento da chiunque?
Per quanto possa apparire forzata la nostra lettura: non v’è
dubbio che in questo paragrafo non vi sia nulla che la contraddica. Anzi.
Manca solo che il Papa affermi che tale diritto alla plurireligiosità,
al libero mercato delle religioni e al libero consumo di esse, derivi sí
dalla “Dichiarazione”, ma ancor piú scarurisca dal “diritto naturale”
e dall’insegnamento divino.
Non esageriamo affatto, poiché non v’è alcun dubbio,
per noi cattolici, che se il Papa parla non può parlare convinto
di contraddire la volontà di Dio.
Se poi si volesse obiettare che, in questi casi, il Papa non si esprime
in termini “infallibili”, perché non parla “ex càthedra”:
facciamo rilevare che una obiezione del genere sarebbe una chiara dichiarazione
della erranza del Papa. Come dire che avrebbe il dovere di starsene zitto.
§ 6.3 - Nell’ambito della comunità internazionale, nazioni
e popoli hanno il diritto di partecipare alle decisioni che spesso modificano
profondamente il loro modo di vivere. La specificità tecnica di
certi problemi economici provoca la tendenza a limitarne la discussione
a circoli ristretti, con il conseguente pericolo di concentrazioni del
potere politico e finanziario in un numero limitato di governi o di gruppi
di interesse. La ricerca del bene comune nazionale e internazionale esige
una fattiva attuazione, anche in campo economico, del diritto di tutti
a partecipare alle decisioni che li concernono.
Dicevamo prima che a volte il Papa corre il rischio di parlare da incompetente,
soprattutto dal punto di vista dei “competenti”.
Qui ci vorrebbe far credere che “tutti” debbono partecipare “alle decisioni
che li concernono” circa il bene comune, “anche in campo economico”.
Per quanto ci riguarda potremmo anche convenirne. Ma saremmo ben felici
di sapere come si possa mai realizzare una cosa del genere dal punto di
vista pratico. Come cioè una tale dichiarazione non sia solo un
flatus vocis, ma una cosa realmente possibile.
Se ognuno di noi, ammesso che ne abbia la voglia e la capacità,
dovesse intervenire, sia pure indirettamente, in qualsivoglia decisione
che lo concerne, non basterebbe una vita intera per decidere sull’aumento
del prezzo della benzina, per esempio.
In questo caso non si tratterebbe di cosa che concerne i singoli: ci
si potrebbe obiettare!
Ma, di grazia, chi è che stabilisce queste limitazioni, soprattutto
riguardo al bene di ognuno singolarmente, se non lo stesso singolo: per
la sua libertà e in base alla sua coscienza? Di che democrazia si
va cianciando allora?
La verità è che il Papa ha finito col trascrivere con
parole sue i piú banali luoghi comuni con cui i tanti pennivendoli
riempiono gli spazi cartacei, visivi ed uditivi della novella “comunicazione
di massa”, che per “far piú fine” oggi si chiama “mass-media”.
Verrà giorno, infatti, in cui non
si sopporterà piú la sana dottrina, ma, per il prurito di
udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie
voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle
favole.
II Timoteo 4, 3-4 |
Purtroppo, però, dobbiamo rilevare, con nostro profondo rincrescimento,
che a furia di esercitare un tale discepolato, la gerarchia cattolica ha
finito col far suoi certi luoghi comuni e a praticarli con entusiasmo anche
all’interno della Chiesa
È sotto gli occhi di tutti il caos in cui versa la condotta
dei preti e dei religiosi; a tutti è dato assistere “bellamente”
alla quasi totale autonomia di cui godono i singoli che, a vario titolo,
hanno assunto i “voti”; senza contare la confusione tra laici e chierici,
a cui viene indifferentemente devoluto lo svolgimento di questa o di quella
funzione: fino a toccare la stessa amministrazione dei Sacramenti.
Certo, se il Papa è convinto che, alla fin fine, tutti in maniera
indiscri-minata hanno il diritto di “partecipare alle decisioni che li
concernono”, avrà dei dubbi per primo lui se non sia il caso di
far partecipare i fedeli alle decisioni che concernono l’apparecchio dei
mezzi idonei alla salvezza della loro anima!
In un mondo in cui non esiste paese che pratichi sul serio l’utopia
della democrazia, proprio per la sua impossibilità, il Papa sembra
essere rimasto l’unico a prenderla sul serio.
Resta solo da capire se lo fa in maniera convinta o ancora in maniera
strumentale. Cioè se si esprime “apertamente” o subdolamente: se
è mosso dallo spirito evangelico o dallo spirito di questo mondo.
[Sul problema della "libertà religiosa" si veda anche
altro articolo]
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