OMAGGIO  A  LINO  LIVIABELLA 

Nel centenario della nascita
 
 





Nel giugno di quest’anno, la rivista Feeria (n° 21), a firma di Carmelo Mezzasalma, ha ricordato il centenario della  nascita del compianto Prof. Lino Liviabella (1902-1964), 
«figura eccezionale della musica del ‘900 … che ha saputo unire mirabilmente una grande spiritualità alla piú rigorosa professionalità».

L’estensore ricorda come il compositore maceratese, pur vissuto in un tempo che ha visto montare un contesto culturale sempre piú portato verso «l’azzeramento della storia, della tradizione, del sapere musicale», fino a giungere all’esaltazione del “rumore” o delle “stecche” come presunte nuove frontiere musicali, abbia avuto la forza interiore di resistere all’onda modernista, rimanendo ancorato alle radici musicali che risalgono fino all’armonia dei cori celesti.

«Ma c’è soprattutto una domanda che non possiamo tralasciare di farci proprio nel momento attuale che viviamo, momento che ci appare come il luogo per eccellenza della superficialità e della pretesa musicale di un dilettantismo sempre più presuntuoso, tenuto conto di quella parabola che la musica ha subito nel Novecento e che lo stesso Liviabella ha vissuto nel suo drammatico confronto (oggi sappiamo pretestuoso) tra tradizione e innovazione. Dove, infatti, Lino Liviabella ha trovato la forza per credere, sì diciamo proprio credere, nella musica e proprio quando tutto sembrava avviarla verso una fatale decadenza? La risposta a questa domanda si trova ancora nei ricordi del figlio Lucio, nonché nei titoli più importanti delle sue composizioni dove la fede cristiana è celebrata senza nessuna paura e senza gli accomodamenti del caso. Lino Liviabella non ha avuto paura, insomma, di confessare Gesù Cristo anche in un ambiente, come quello musicale del Novecento, notoriamente alquanto scettico e protetto proprio, in questo suo scetticismo, dal decoro che conviene alla musica seria. Una fede, ci ricorda Lucio Liviabella, che proviene dai suoi genitori ma anche - ed è qui la sorpresa - dalla scuola dei salesiani di Macerata. Chi avrebbe mai pensato che il carisma di Don Bosco avrebbe anche prodotto la personalità di un grande compositore? Davvero le vie di Dio sono infinite. Ha ragione Lucio di annotare che quella fede cristiana unita alla musica si avvale di una continua ricerca “del palpito sincero dell’arte che, se autentica, sa essere preghiera, contemplazione e amore”. Di fatto, scrivendo al fratello don Leone, missionario in Giappone, Liviabella così scriveva, riempiendoci il cuore di meraviglia: “Tu converti in cristiani; io vorrei convertire in artisti. In paradiso si va anche senza essere artisti e allora hai ragione tu”. Che significa questo? Pare di sentire quella mentalità religiosa, prima del Concilio, che vedeva nel dedicarsi alle arti profane come la musica, fosse un tempo sottratto a Dio, se non addirittura un impedimento a un’autentica vita religiosa. Sappiamo di forzare un po’ le cose, ma tant’è. Come spiegare, allora, che le nostre chiese siano riempite di rumori ‘sentimentali’ o meno, mentre nessuno sembra più dedicarsi con studio e sacrificio a che la liturgia abbia una musica degna di questo nome? 

In realtà, Lino Liviabella aveva una chiara coscienza del dono ricevuto da Dio con la musica e ha fatto di questo dono, nel più puro stile evangelico, una missione nel senso alto della parola. E lo si capisce proprio dai suoi scritti in cui ritroviamo quella perla nascosta che il Vangelo indica anche agli artisti. Se la musica, come scriveva Bettina von Armin, la grande amica di Goethe, è il mezzo dello spirito grazie al quale la sensualità diviene spirituale, allora ha ragione Liviabella di dire, a proposito delle polemiche accese a suo tempo tra tradizionalisti e innovatori: “Noi con la nostra sana volontà di vincere con le forze del nostro cuore e del nostro spirito, tese al dolore e alla gioia del più intenso vivere nell’espressione, seguitiamo a sognare quello stato di grazia che coincide con la deprecata ispirazione. Noi aspettiamo con vera fede il ritorno dei veri tempi della vera musica che è dono di Dio e non ricetta degli uomini” (Dove va la musica? 1959). 

E a proposito dell’insegnamento del canto gregoriano nei Conservatori, scriveva ancora: “Saper far comprendere l’eterno di certe melodie gregoriane, la vastità senza confine delle sue inflessioni ritmiche, il significato e lo stupore delle sue modalità, è compito dei maestri di oggi che debbono insegnare come i più grandi artisti di ogni tempo, da Bach a Beethoven, da Palestrina a Wagner, si siano incontrati in questo altissimo cielo della musica sacra. Solo così la musica sacra è la rigeneratrice di qualsiasi musica. Come la religione per la vita, essa non può essere circoscritta fuori della vita stessa. Dio è prima fonte di ogni respiro sia vitale che artistico. Alla musica il compito di farci pregustare, nella nostra affannata vita terrena, il paradiso e l’eternità”.
«…
«Cari musicisti del futuro, non dimenticate, dunque, Lino Liviabella, non dimenticate soprattutto quanto la musica deve al dolore illuminato e redento, anche nel rumore di fondo contemporaneo.»

(novembre 2002)
 


Sull'opera e la figura di Lino Liviabella si veda anche il suo articolo: 
«L'insegnamento del canto gregoriano nei Conservatori»
da noi riprodotto nel numero di settembre 1995 del nostro Bollettino.


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