Una conferenza di Mons. Pozzo,
del 2 luglio 2010

Commento di Don Paul Aulagnier
dell'Istituto del Buon Pastore


pubblicato su “Regards du monde” del 24 luglio 2010





Pubblichiamo il commento di Don Paul Aulagnier
 alla conferenza di Mons. Pozzo.


Don Paul Aulagnier, già Assistente del Superiore Generale e Superiore del Distretto di Francia della Fraternità San Pio X, è uno dei fondatori dell'Istituto del Buon Pastore, insieme ad altri sacerdoti anch'essi provenienti dalla FSSPX.



In questa foto del 2006 si vede Don Paul Aulagnier alla sinistra del Card. Castrillon, che alla sua destra ha Don Philippe Laguérie, Superiore del nuovo Istituto

Per completezza d'informazione ricordiamo che ultimamente (7 giugno 2010) Don Paul Aulagnier ha rilasciato un'intervista in cui precisa che egli, in effetti, si considera sempre facente parte della Fraternità San Pio X.

In questa intervista egli ha dichiarato: «Non rimpiango di aver contribuito alla fondazione dell'Istituto [del Buon Pastore]. Ma, canonicamente parlando, io non ne sono membro. Io voglio rimanere nel quadro della mia situazione anteriore: facente parte del clero della Diocesi di Clermont, messo a disposizione della FSSPX. Non sono una banderuola. Ma il mio “ritorno” alla FSSPX mi sembra oggi ancora molto problematico. È una gran pena per me».

(i neretti sono nostri)

Sul sito della Fraternità Sacerdotale San Pietro si legge quest’importante conferenza che Mons. Pozzo ha tenuto a Wigratzbad il 2 luglio 2010.

Bisogna assolutamente leggerla.

Io ho appena finito di leggerla.
La si può riassumere così: Bisogna interpretare il Concilio come un’opera di «riforma» della Chiesa, riforma certo, ma nella «continuità» del Magistero e per niente in «rottura» col Magistero. Di quest’opera conciliare si avrebbero due interpretazioni possibili, «due ermeneutiche» possibili, che, del resto, sono note: «quella della rottura e quella della riforma nella continuità».

Nella fedeltà al Papa Benedetto XVI, bisogna chiaramente scegliere quest’ultima. Egli lo dice chiaramente nella sua conclusione: «Occorre imboccare quest’ultimo indirizzo nell’affrontare i punti controversi, liberando, per così dire, il Concilio dal para-concilio che si è mescolato ad esso, e conservando il principio dell’integrità della dottrina cattolica e della piena fedeltà al deposito della fede trasmesso dalla Tradizione e interpretato dal Magistero della Chiesa».

Prima considerazione:

Per Mons. Pozzo, una cosa sono il Concilio e i suoi testi, fedeli alla Tradizione e al Magistero di sempre, altra cosa è l’interpretazione del Concilio.

Una cosa è il Concilio, un’altra il «para-concilio».

È la tesi che si continuò a presentare a Mons. Lefebvre e che egli ha sempre rifiutato di accettare. No, no, diceva: «l’origine del male è il Concilio e «tutte le riforme uscite dal Concilio». Ed è per questo, per esempio, che egli aveva l’audacia di dire di «essere nell’impossibilità di formare dei giovani al sacerdozio con la nuova Messa». Ma chi, della Gerarchia attuale, può comprendere questo? Si avrà un aumento del numero dei sacerdoti solo il giorno in cui si abbandonerà la «nuova Messa». Essa non è la Messa «ordinaria» del Rito Romano, essa è la «messa di Lutero» o, se si preferisce, «una messa bastarda», una «messa avvelenata». Di questa verità ne hanno prova le comunità «Ecclesia Dei», giorno dopo giorno, anno dopo anno… E la Gerarchia si arrabbia e non vede mai niente. Verrà il giorno in cui Roma sarà obbligata a prendere dei vescovi dal seno di queste comunità e a nominarli a capo delle diocesi. Forse inizialmente si tratterà di piccole diocesi dove sono rimasti solo pochi preti. Questi preti potranno opporsi a queste nomine vescovili. Con un po’ di fermezza il nuovo vescovo potrà appellarsi a questi nuovi sacerdoti, senza andarli a cercare in Africa. E d’un colpo la Messa tradizionale ritornerà… il popolo ne sarà sorpreso… ma si abituerà presto… Io sogno! Solo questo.

Una cosa è il Concilio, altra cosa il «para-concilio», ci dice Mons. Pozzo.

Si batte sempre là. È la boa di salvataggio dei «conciliaristi». Bisogna salvare il Concilio, costi quel che costi.

Lo capisco…

Ma allora, che ne fate delle dichiarazioni del Cardinale Congar, che diceva che il Concilio fu «una vera rivoluzione nella Chiesa» o del Cardinale Suenens, che diceva che il Concilio è l’«’89 nella Chiesa». O queste due personalità non furono, anch’essi, tra le «anime» del Concilio Vaticano II?

Che ne fate della dichiarazione di Mons. Lefebvre del 21 novembre 1974, che diceva che il Concilio ha subito una reale influenza del modernismo e del liberalismo? Che ne fate del suo libro «Accuso il Concilio»? E Mons. Lefebvre faceva parte delle personalità qualificate del Concilio. All’epoca egli era tra i «Superiori Generali» delle grandi congregazioni della Chiesa e per di più arcivescovo e presidente del «Coetus Internationalis Patrum», che rappresentava 250 Padri conciliari.

Che ne fate allora delle critiche del Cardinale Ottaviani, che criticava severamente la riforma liturgica di Mons. Bugnini, riforma liturgica realizzata, ci si dice, in applicazione della Sacrosanctum Concilium.

Etc., etc. …

Un’altra considerazione:

Nelle parole di Mons. Pozzo, vi è una novità. Egli parla di «questioni controverse» del Concilio. Ecco, è una novità. Queste «questioni controverse» devono essere oggetto dei colloqui con la FSSPX.

Prendiamo brevemente la questione dell’ecumenismo.

Quando egli riassume la dottrina conciliare sull’ecumenismo, nella seconda parte della sua conferenza, non utilizza mai la parola «ritorno» alla Chiesa cattolica delle diverse confessioni. Questo termine è bandito dal suo pensiero. Ed è proprio questo che si intende oggi su questo argomento: bisogna evitare ogni espressione che faccia allusione al ritorno dei fratelli separati. Ecco l’assioma dottrinale e la direttiva pratica del movimento ecumenico. Come dice Romano Amerio, nel suo «Iota unum», al § 248 «Si abbandona il principio del ritorno dei separati per quello della conversione di tutti al Cristo totale immanente a tutte le confessioni. Come professa apertamente il patriarca Atenagora, “in questo movimento d’unione non è questione del cammino di una Chiesa verso l’altra, ma del cammino di tutte le Chiese verso il Cristo comune (ICI [Informations Catholiques Internationales], n. 311, p. 18, 1 maggio 1968)».

Ma se si fa notare che non si tratta dell’insegnamento che ci ha dato Pio XI nella sua enciclica «Mortalium animos» - dove in effetti il Papa afferma che la vera unione delle Chiese non può farsi che col ritorno (per reditum) dei fratelli separati alla vera Chiesa di Dio -, Mons. Pozzo risponde: No! No! «il Concilio rimane sul terreno della Tradizione per ciò che concerne la dottrina sulla Chiesa. Ciò tuttavia non esclude che il Concilio abbia prodotto nuovi orientamenti ed esplicitato alcuni determinati aspetti. La novità rispetto alle dichiarazioni precedenti il Concilio è già nel fatto che il rapporto della Chiesa cattolica verso le chiese ortodosse e le comunità evangeliche nate dalla Riforma luterana è trattato come tema a se stante e in modo formalmente positivo, mentre nell’Enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), ad esempio, lo scopo era quello di delimitare e distinguere nettamente la Chiesa cattolica dalle confessioni cristiane non cattoliche».

Se è così che Mons. Pozzo pensa di regolare il problema della continuità del pensiero conciliare sull’ecumenismo rispetto alla Tradizione, io penso che i colloqui dottrinali con la FSSPX rischiano di arenarsi… È quello che ho sempre pensato. Non è con dei «colloqui dottrinali» che si porrà fine alla crisi della Chiesa. Quando Mons. Lefebvre, dopo lo scacco delle conversazioni «pratiche» col Cardinale Ratzinger nel 1988, diceva «la prossima volta sarò io a porre le mie condizioni; “Siete d’accordo con il Sillabo?”, “Siete d’accordo con il giuramento antimodernista?”, “Siete d’accordo con l’enciclica Libertas?” … ecc.», egli voleva semplicemente dire che per prima cosa bisognava fare una professione di fede, prima si sedersi di nuovo al tavolo dei colloqui, professione di fede che doveva essere condivisa da tutti i presenti

«Signori, preparatevi per una battaglia di lunga durata», ci diceva Mons. Lefebvre. Essa è dottrinale, certo, ma non si discute col modernismo, lo si combatte concretamente con una dottrina integra e un apostolato energico e valoroso.




agosto 2010

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