LA CANOSSA DI PAPA BERGOGLIO

Ovvero:
la rivincita di Pietro Valdo

Parte seconda
  
di L. P.

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Continuiamo con l’esame del saluto di Papa Bergoglio, inviato alla comunità valdese e letto nel loro tempio di Torino in occasione della visita che il Pontefice ha effettuato lunedì, 22 giugno scorso 2015.
Riportiamo, perciò, in questa seconda parte, il séguito di tale umiliante professione, a forte caratura di piaggería, con cui, da parte del sommo rappresentante cattolico, si è data, della sètta valdese una splendida e ammirata immagine e, per converso, della Chiesa – ma sarebbe meglio dire: della Gerarchía - come una svilita, debole e tremebonda realtà che, purtroppo, dopo le rivelazioni sui vescovi cileni partecipanti a un sabba pagano  di adorazione del feticcio Inti, l’incaico dio sole - ultima di altre precedenti blasfeme esercitazioni sincretiste -  va ulteriormente liquefacendosi come branca in quella fetida, appiccicosa melassa neognostica che è la cultura New Age.

Così, Papa Bergoglio, ormai sulle ali di un parossistico entusiasmo e di un’istería ecumenistica, parla:
«Uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Cristo e sono stati battezzati nel suo nome. Questo legame non è basato su criterî semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita. La riscoperta di tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze. Si tratta di una comunione ancora in cammino – e l’unità si fa camminando – una comunione che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile comunione nella verità e nella carità».





I lettori già possono farsi un’idea della farraginosa e mielosa prosa con cui Papa Bergoglio tenta di nascondere la misera realtà ontologica di una confessione eretica che, in quanto tale, è ramo secco e, pertanto infecondo, fuori della Comunione dei Santi, automaticamente excommunicata.
La prima consapevole falsità che egli marca in questo periodo è l’affermazione di una “riscoperta fraternità” verificatasi per merito del movimento ecumenico. Diciamo consapevole, perché a un papa non sfugge, e non dovrebbe sfuggire, che la Chiesa cattolica ha, da sempre, ritenuto “fratelli” anche gli scismatici e gli scomunicati cristiani, convinzione che scaturisce limpidamente dalla parabola del figlio spendaccione, cioè, prodigo che, seppur lontano dal Padre, è da Lui atteso in quanto figlio. Insomma, “riscoperta” starebbe a dire che la Chiesa, prima di lui, prima del Concilio, ha tenuto le porte chiuse e sbarrate al ritorno dei separati. Balle, nient’altro che balle!
C’è tutta una storia che parla e predica di porte aperte – si vedano i frequenti inviti fraterni, le ampie garanzie per libertà di intervento e di parola e, ad esempio, i salvacondotti offerti dai Padri del Concilio di Trento ai protestanti tedeschi – di porte aperte dicevamo ma, contemporaneamente, di chiare regole e procedure con cui poter rientrare nella Comunione Ecclesiale senza equivoci o retropensieri.
(Piccola riflessione: sarebbe opportuno che, da parte del Magistero, si adottasse un lessico più esatto, corrispondente allo spirito del Vangelo, che la Chiesa, cioè, in quanto Santa Madre  consideri i separati non solo come fratelli separati ma soprattutto come figli ribelli e lontani che debbono tornare. Semmai sono i fedeli a considerare fratelli, seppur non in comunione, coloro che per scelta propria confessano una fede erronea anticristiana.)

Già questa “fraternità separata”, che pretende di innestarsi nel Corpo vivo di Cristo così come essa si trova, diminuisce l’ontologìa e la trascendenza della Chiesa e smentisce quella “comunione dei Santi” che fa, della Chiesa visibile, un Corpo unico con la trionfante e con la purgante, nel segno di una geneticità unica che è quella dei battezzati nella grazia di Dio e con domicilio nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Il movimento ecumenico, in tal senso, ha prodotto soltanto confusione e seminato equivoci che han determinato, nella compagine cattolica, una dissolvenza dei confini tra verità ed errore ed anche uno sbilanciamento teologico teso all’eresía facendo del dogma una pezza di gomma dilatabile a piacere.
Vogliamo dire che il movimento ecumenico ha contestato e, quindi, depotenziato l’affermazione de fide secondo cui “L’appartenenza alla Chiesa (cattolica) è necessaria a tutti per essere salvi”.
Contro i Catari del Medio Evo, il Concilio Lateranense IV ha definito che: “Una sola è la Chiesa universale dei fedeli fuori della quale assolutamente nessuno si salva” (Nuovo Denz. 802 – ed. EDB 2012 pag. 454). Il Concilio Vaticano II, che del movimento ecumenico è stato l’ufficio notarile, pur dichiarandosi “pastorale” ha invece emesso illeciti, illegali ed eretici documenti di contenuto dogmatico e di forza docente che dicono esistere, nelle confessioni acattoliche comprese quelle pagane, i semi e i presupposti per una salvezza, qual che sia, perché vivificate dallo Spirito Santo.

E sulla monodía di questo sconcio basso continuo che da allora risuona, apparve, qualche anno fa, un equivoco ed ibrido libro in cui l’autore, messo in dubbio - già nel titolo come si dirà - la definizione “Extra Ecclesiam nulla salus”, ne conclude con la certezza che la Chiesa non debba affatto ritenersi depositaria unica ed esclusiva della salvezza. Diciamo del teologo Giacomo Canobbio autore dell’edizione “Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teologico – Ed. Queriniana 2009”.
Indiziario è, intanto, quel punto interrogativo che appartiene alla stessa cultura scettica con cui, nel marzo del 2010, a cura delle Diocesi del Lazio, venne indetto, e tenuto, senza l’avvertenza di un minimo segno di vergogna, un convegno interreligioso sul tema “Dopo la Morte: resurrezione o reincarnazione?” e, quindi, quel “controverso” che, in una retta intelligenza cattolica non avrebbe dovuto comparire, così come non avrebbe dovuto aver luogo il libro stesso dacché, posta la questione su termini di fede, la si accetta e basta, senza fronzoli ed interrogativi.
Ma questa è la moderna “ricerca” teologica che ha fatto del dubbio cartesiano l’asse portante e la garanzía di una fede  “adulta” e aliena da sensi di sempliciotterìa da donnicciole. Quella, ad esempio, che viene insegnata negli Istituti Superiori diocesani di Istruzione Religiosa secondo cui, fatta propria la versione del protestante Werner Keller, autore de LA BIBBIA AVEVA RAGIONE, il passaggio del Mar Rosso, che Mosè rese possibile mercé la potenza di Dio, non è così miracoloso come si dice dacché può dirsi senza dubbio una metafora di quel fenomeno meteorologico per cui, nei tratti di bassissimo fondale, un vento estivo produce  quasi un prosciugamento delle acque. Capito?
Il fedele moderno non abbocca al mito di un miracolo ma semplifica razionalizzando scientificamente.






Dopo 396 pagine snodantisi nell’ormai affermato stile conciliare dell’avanzare di un metro e di un arretrare di due, costui conclude col dire che “parlare di via ordinaria significa ammettere che la chiesa (minuscolo) non è mediazione per tutti allo stesso modo, e quindi che l’affermazione secondo la quale la chiesa è sacramento universale di salvezza va ricompresa” (pag. 392).
Ricompresa come e perché? Forse perché quanto inteso in precedenza è decaduto in termini di validità e di verità? Se così fosse vuol dire che Gesù, quando fondò la Sua Chiesa, quella che nel testo originale suona come “mou tèn ekklesìan” (Mt. 16,18) – la Mia Chiesa, la Chiesa di Me -  intendeva essa come una porzione di un condominio o di una multiproprietà.

Ma vediamo cosa dice la vera dottrina che ebbe chiara la natura della Chiesa e più chiara ancora la Parola di Cristo. Di fronte allo sforzo attuale di tanti fratelli separati in cerca di unità (movimento ecumenico) il cattolico, che sente cum Ecclesia, fa suoi l’augurio, la preghiera e l’atteggiamento espressi da Pio XII nella enciclica Mystici Corporis:
«Rientrino nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore. Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi l’aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei ma quali figli che entrano nella loro stessa casa paterna” (A. A. S. 1943, pag. 243). Il che significa che, secondo la concezione della Chiesa Cattolica, la sola unione possibile, la sola unione legittima è quella del ritorno dei dissidenti alla Chiesa Romana. Per questo ritorno occorre pregare (si ricordi l’Ottava per l’unità) e lavorare» (cit. in Bernardo Bartman: Teologia dogmatica – ed. Paoline 1953, pag  1048)

In maniera disinvolta, passando sopra la verità, papa Bergoglio afferma che questa fraternità, malgrado le differenze intercorrenti tra cattolici e valdesi, consente di cogliere il profondo legame.
Altro che malgrado! La storia della Chiesa e della sètta valdese dice ben altro, dice che le differenze non sono cosucce marginali, come abbiamo dimostrato ed elencato nella parte prima di questa nostra ricognizione, e dice che il legame non esiste anche e, soprattutto, in forza del monito di Gesù secondo Cui “Chi non è con me è contro di Me e chi non raccoglie con Me disperde” (Mt. 12, 30).
Dove síano questi succosi frutti è cosa che soltanto Papa Bergoglio, e con lui la Gerarchía attuale, riesce a scorgere se è vero che continua inarrestabile l’emorragía dei cattolici sudamericani verso le varie sètte protestanti: pentecostali, evangelici, testimoni di geova e se è vero che in Germania, dal 2013 ad oggi, oltre 300 mila, tra “sbattezzati”, relativisti, indifferenti sono quelli che hanno abbandonato il Credo cattolico.



Poiché una delle parole totem della moderna teologìa neoterica è “condivisione”, è quanto mai naturale che essa appaia anche in questo contesto laddove il Pontefice parla di “radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio… e l’azione dello Spirito Santo”.
Non è difficile fargli notare che soltanto i fedeli che si stringono al Sommo Pastore possono dire di condividere, come maldestramente e banalmente dice il Papa, un’esperienza – ché la fede non è mera esperienza ma alta categoría di vita – e che il valdese, pur proclamandosi cristiano respinge la regola che certifica la sequela di Gesù, quella secondo cui si accettano i dettami che Cristo stesso indica. O con lui o contro di lui, o nel suo ovile o per le discoteche del mondo, o con la Sua Croce o con Epicuro/Belial.
Altro che et-et, qui si tratta di aut-aut, di si-si, no-no. E di radicale, nella sètta valdese, c’è il rifiuto di accettare l’unità ecclesiale composta nella unicità di Roma per cui, parlare di radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana è un falso smaccato e non saranno il radicale o il fondante a conferire al pensiero bergogliano, con la loro dotta, oracolare, adulatoria e lusinghevole semantica, il segno della verità.
Un tralcio, un ramo, un arto staccato rimangono senza radici e, come tale, son privi di fondamenta; perciò non speri, Santità, che lo Spirito Santo apponga il suo divin sigillo di “unità ”a questa palese disonesta operazione di assemblaggio alla frankenstein.

Colpito, tuttavía, da un senso di riacquisito realismo, egli riconosce le differenze che intercorrono tra le due confessioni ma diluisce questo suo cenno con un “malgrado” che, al postutto serve ad esaltare, invece, il profondo legame che, dice “ci unisce”.
Se così fosse non ci sarebbe frattura alcuna mentre il fatto che codesta comunità si chiami “valdese” di dottrina eterodossa e, perciò, eretica chiaramente dimostra che il “malgrado”, con cui papa Bergoglio tenta di offuscare le differenze sostanziali, è una litote, un’attenuazione, un espediente dialettico con cui, alla fine, si arriverà a concludere che le differenze non esistono.

Lo affermò anche il Delegato Apostolico in Bulgaria, Angelo Roncalli, futuro papa quando, ad un seminarista ortodosso che chiedeva di poter entrare nella Cattolicità, ne dissuase il desiderio rispondendogli: “Cattolici ed ortodossi hanno la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti. . Ci separano alcuni malintesi (!). . .Lasciamo le antiche controversie. Più tardi, benché partiti da vie diverse, ci si incontrerà nella unione delle Chiese per formare, tutti insieme, la vera ed unica Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo” (lettera del 27 luglio 1926 a C. Morcetki, in : Francesca della Salda, “Obbedienza e pace / il vescovo A. G. Roncalli tra Sofia e Roma – 1925/1934” ed.Marietti 1989, pp. 48/49 – cit. in: 1962 Rivoluzione nella Chiesa - Sac. Andrea Mancinella – editrice Civiltà – Brescia 2010 pag. 78).
Come si può notare, il “benché” di Roncalli, che parla di malintesi - come se la questione del “Filioque” sia un trascurabile malinteso tra moglie e marito -  fa il paio con il “malgrado” di Bergoglio, entrambi avverbi che aprono proposizioni concessive lette le quali, il fedele si convincerà che quelle differenze che prima apparivano nette, ora, con siffatto lavaggio e risciacquo dialettico innescato dai predetti avverbî, sono scomparse o, quanto meno, sottostimate nella loro gravità.
Relativismo puro, chiara apostasía, non c’è che dire.

Certamente, noi concordiamo con quanti intendono portare avanti un lavoro di conversione, cioè una vera e profonda opera evangelizzatrice con cui far tornare nel seno della santa Madre Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana coloro che, per processi e moti di ribellione, si sono staccati da essa dichiarandosi, de jure e de facto, nemici. Ma attenzione. «Un vasto e delicato campo di lavoro si apre qui, per aiutare i dissidenti, tanto individualmente quanto collettivamente, a trovare la via del ritorno, della reintegrazione nella pienezza cattolica. L’Istruzione del Sant’Uffizio Ecclesia Catholica sul “movimento ecumenico” (20 dicembre 1949), trattando del “metodo da seguirsi in questo lavoro” segnala gli errori da evitare. Tra i principali ricordiamo i seguenti: minimizzare il dogma cattolico, insistendo in modo esclusivo ed esagerato sugli elementi dottrinali comuni; rigettare sui soli cattolici la causa della separazione; far credere ai non cattolici che essi, ritornando, apporteranno elementi essenziali, soprattutto  di vita religiosa. La santa Sede vuole che la verità cattolica venga proposta ed esposta totalmente ed integralmente, con sincerità e lealtà” (Bernardo Bartman: op. cit –  pag. 1048).

Se accostiamo questo monito alla lettera di Papa Bergoglio o all’osservazione di Giovanni XXIII, non v’ha chi non veda quanto di contrario si è, invece, operato in questi 50 anni postconciliari e, soprattutto, come si sia dato corso alla metodologìa del dialogo senza aver preventivamente abolito o il Concilio di Trento, o le disposizioni dei pontefici – Pio IX, Leone XIII, Pio X -  o il succitato monito del Sant’Uffizio. Il dogma cattolico è stato limato, ridotto all’osso e, talora, stravolto e rinnegato: il rito della Santa Messa che la riforma di Paolo VI, condotta con l’apporto di 6 rappresentanti protestanti, ha ritenuto denominare “sinassi”, cioè assemblea e non più “Sacrificio della Croce” pretendendo che Gesù, nell’istituire il Sacramento Eucaristico, abbia proferito “ Questo è il mio Sangue sparso per voi e per tutti” stravolgendo, con tale lezione, e falsificando il vero costrutto dell’originale periodo greco che, invece, afferma “sarà sparso per molti” (Mt. 26,28); le confessioni eretiche e pagane che hanno acquisito, con il Vaticano II, diritto, dignità e legittimità di “religioni” permeate dalla presenza dello Spirito Santo; la morte di Gesù che ha prodotto automatica salvezza di tutti, a prescindere dalla colpa o dal merito personale; l’insensata affermazione secondo cui non esiste un Dio cattolico ma un’entità vaga, che è padre e madre di tutti, cripticamente annunciata la sera del 13 marzo 2013 in cui, appena eletto 266° Papa, Bergoglio salutò la cattolicità festante con un “buonasera”; il proselitismo, cioè l’evangelizzazione, che è da considerarsi una sciocchezza; la consistenza di una morale fondata non più sull’oggettività positiva/rivelata dei 10 Comandamenti ma sul foro della sola coscienza individuale; la Vergine Maria che, sotto la Croce, con sentimenti ribelli, ha fortemente dubitato delle promesse a lei fatte dall’angelo al momento dell’annuncio; il Vangelo definito quale semplice teoría; la massonería non è più condannata dal CDC; le coppie omosessuali depositarie di  valori pedagogici ed affettivi. E questo tanto per dare un succinto e parziale catalogo delle aberrazioni.

Se si pensa, poi, alla nefasta, pasticciata e vergognosa Costituzione Apostolica “Anglicanorum coetibus” (4 novembre 2009) di Benedetto XVI – il Papa, ricordatevi lettori, della fumosa e vacua “ermeneutica della continuità” - con cui, concedendo ai “vescovi” anglicani, sposati e con figli, di rientrare nell’unità cattolica pur mantenendo lo stato coniugale, si deduce che il secolare e affermato celibato del clero – quella eunucità volontaria che il sacerdote cattolico pratica e mantiene per il regno di Dio - sarà una prossima barriera da abbattere, così come si augurava Ursus von Balthasar. 
Insomma, questo moto ecumenistico sta riducendo la Chiesa di Cristo in una delle tante variopinte iridate associazioni, compresa quella a tinta ecologista, di tipo ONU/ONLUS, al cui interno ogni elemento ed ogni aspetto trascendente sta diventando funtivo di un processo rivoluzionario, immanente ed orizzontale. “Non donna di provincie, ma bordello” verrebbe da pensare, parafrasando Dante (Purg. VI, 78)



Papa Bergoglio parla di “unità che si fa in cammino”, figura retorica a lui cara e frequentemente citata insieme a quella dell’incontro e delle periferíe, ma non specifica quale, se su un’unica strada - ed in tal caso ci sarebbe da chiedere se sia quella valdese o quella cattolica - o su una strada neutra così come si usa per gli incontri politici la cui delicatezza dei temi esclude che si parli in casa di uno dei partecipanti, e come parimenti si usa nei condominî.
Camminare, camminare, ma poi? Alle strette: a che cosa porta questo camminare? Quando mai ci potrà essere una sosta per fare il punto? E quali sono i mezzi per rendere tale camminata un proficuo momento di unità? Ma soprattutto: quale la meta? Una generica unità nella diversità – e allora la si smetta finalmente con questa farsa del dialogo – una unità a prevalente caratura valdese o una unità, quella vera, nel recinto di Cristo?
Per il conseguimento di questa “non mèta” Bergoglio propone, quali strumenti, la preghiera e la continua conversione personale.
Ma se il valdese non crede alla Presenza Reale di Cristo Eucaristico, se nega il Purgatorio, se nega la validità della Messa di suffragio, se ammette il sacerdozio femminile, se nega il valore dell’intervento della Vergine Maria e dei santi, se ammette l’unione omosessuale sodomita, mi sa dire il Papa che tipo di preghiera comune potrebbe mai venir fuori, e di quale efficacia? E in che consisterebbe questa “continua conversione” – che tanto somiglia, non è vero Santità?, a quel “cammino di conversione” predicato dalla esoterica sètta neocatecumenale - visto che il termine indica un cambio di direzione di ben 180 gradi, cioè un procedere diametralmente opposto, ossía una retromarcia?

Ci capite qualcosa, cari lettori? E  sapete rispondervi in qual modo siffatta conversione potrà realizzarsi anche con l’aiuto dei teologi che, specialmente quelli valdesi, si rifiuteranno di avviarla a meno che tutto il procedimento non consista in una reciproca rinuncia al proprio “depositum fidei” per dar luogo a un ibrido dottrinale, a un ircocervo in cui si incarnino elucubrazioni valdesi e sbianchettamenti cattolici? e per poter dire, come si è soliti in questi frangenti con formule stereotipate a ricalco, che l’incontro “è stato cordiale, proficuo e soddisfacente per entrambi le parti”? 
Bisogna vedere che cosa ne penserà il Padrone il quale non sempre paga i suoi operai al sabato. Lo stesso Padrone che avverte, con la nota parabola del “figlio spendaccione o prodigo”, come la “fraternità”, così come la “filialità” si riconquisti o la si realizzi solo tornando alla casa del Padre il Quale ha aspettato che il moto di conversione si avviasse nel figlio perduto. E quel figlio è tornato, da solo, camminando da solo, sulla strada del dolore, del pentimento e della speranza, senza patteggiamenti o baratti.

Nel séguito del nostro excursus critico avremo modo di affrontare altri temi ed anche quel complesso di colpa che i cattolici, a cominciare da GP II, si portano dietro, quello che il Sant’Uffizio indicava come errore da evitare, e con più approfondita indagine su cosa vogliano dire unità e uniformità.


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agosto 2015

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