LA CANOSSA DI PAPA BERGOGLIO

Ovvero:
la rivincita di Pietro Valdo

Parte prima
  
di L. P.

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Nel nostro intervento – La torre di Babele: la confusione ecclesiale a colpi di follìa, parte terza “Le perle della Domenica” – promettemmo di parlare di quell’incontro avvenuto, il 22 giugno 2015, nel tempio valdese di Torino, tra il papa “cattolico” (?) e quel clero eretico/scismatico.  Ebbene, eccoci pronti a commentarlo.

Intanto è da dire che, in questo cinquantennio postconciliare, sono innumeri gli eventi di tal fatta ché la Gerarchía s’è calata completamente nella smania dell’incontro con il mondo sicché tutti i pontefici, santi e non santi, han fatto a gara nel superarsi in questo ludo. Visite in sinagoghe, preghiere in moschee, meditazioni in pagode, mistiche escursioni in luoghi magici – i boschi voodoo del Benin, i templi di Shiva, il monte sacro giapponese Hiei (Kyoto), i cerchi pagani dell’incas Patcha Mama con il cardinal Ravasi in veste di Gran Ierofante – intronizzazioni di idoli sui tabernacoli, abbracci con luterani, anglicani, ortodossi, sciamani, delegazioni massoniche accolte con fraterno ed amicale sentimento, centri sociali ed esponenti della LGBT ricevuti in gran sfoggio di deferenza,  sono oramai negli annali della storia di questa Gerarchìa cattolica postconciliare che, talora e timidamente, parlano anche di visite pastorali in qualche santuario.
Qualcuno vorrà indicarci, quale iniziale spinta alla discesa, gli incontri incestuosi di Assisi ‘86/2011. Certamente, senza dimenticare, però, che il tutto fu preparato e “legalizzato” dai documenti di quel Concilio Vaticano II che, analogamente alla definizione che fu data a quel lontano sinodo locale di Efeso del 449 come Lestriké Ephèsu –  “latrocinium ephesinum”, possiamo titolare “Latrocinium vaticanum secundum”. 

Il prof. Roberto de Mattei (Il Concilio Vaticano – una storia mai scritta, ed. Lindau 2010) ha magistralmente descritto le losche, segrete  e settarie manovre che la compagine dei vescovi modernisti della sponda del Reno, e del nordeuropa, mise in atto per sovvertire l’ordine dei lavori, per imporre – complice il pontefice di turno – odg in deroga e contro a quanto programmato, non rifuggendo da manifestazioni di ostilità e di astio, diciamo pure di odio, che taluni di questi “padri” sinodali palesarono nei confronti della Curia romana. Valga l’esempio dell’ignobile, vergognoso gesto volutamente scortese, con cui il cardinal Alfrink tolse, umiliandolo, la parola al cardinale Ottaviani staccandogli letteralmente il microfono (op. cit. pag. 245).  E, giustappunto, dalle indicazioni “pastorali” – capziosamente trasformatesi in “dogmatiche” - ha preso il via una serie di illeciti rapporti di simpatía tra la Katholika e le confessioni scismatiche, tra la Katholika e i culti pagani.



Per cui non dèsta sorpresa l’andata a Canossa di Papa Bergoglio nel tempio, dicevamo, valdese perché è oramai diventata consuetudine “fraterna” andare incontro in casa altrui e dialogare da vecchi camerati. E ciò non sarebbe biasimevole se, negli scopi di queste circostanze ci fosse lo spirito di evangelizzazione (Mt. 28,19) e l’intenzione di riportare le pecore smarrite nell’unico ovile di Cristo (Gv. 10,16). Ma siccome in questi tempi fa aggio dichiarare, per spirito irenistico, ma soprattutto per l’autorità del documento conciliare “Lumen Gentium – 8/16”, che ogni confessione ed ogni culto possiede l’impronta dello Spirito Santo – blasfema e scandalosa affermazione a perenne vergogna di quanti, vescovi e periti, ne furono gli ispiratori e gli autori – che ogni cultura quand’anche disumana possiede una sua rispettabile dignità, ne deriva che l’unità, che nel Vangelo e nei dizionarî è indicata come categoría di un insieme nel quale ogni singola realtà ivi esistente è caratterizzata dalla stessa connotazione genetica, omogenea e solidale, per i conciliaristi, dicevamo, consiste nell’accolta massiva ed incoerente di ogni diversità priva di un comune phylum. Come a dire: l’unità che si presume essere quella presente in un magazzino in cui sìano ammassati  materassi, biciclette, lavatrici, scarpe, pantaloni, giocattoli ecc. Un concetto, questo, rappresentato ed esposto il 29/1/1993 dall’allora Prefetto SCDF, cardinal J. Ratzinger – già perito conciliare del rahneriano cardinal Frings – al dottor Paolo Ricca valdese al quale il “defensor fidei” dichiarò:
La finalità dell’ecumenismo è, ovviamente, l’unità delle chiese nella Chiesa unica, ma questa ultima finalità non implica uniformità. Unità nella pluriformità” (Andrea Tornielli - La Stampa 23/2/2015)).
Sarà ripetuto – guarda la vichiana teorìa dei corsi e dei ricorsi storici! – da Papa Bergoglio proprio in occasione dell’incontro di cui abbiamo cominciato a parlare.

Poiché siamo sempre stati convinti che il papa emerito ex B. XVI ed attuale cardinal J. Ratzinger, fine teologo come la stampa lo ha sempre definito, altro non sia stato che un megafono di Rahner, riveliamo ai lettori un particolare del cursus studiorum dello stesso, un particolare che i massmedia conoscono ma si ostinano a tenerlo nei cassetti. Però si sa: “Naturam expellas  furca, tamen usque recurret” – puoi cacciare l’indole naturale col forcone, ma tornerà sempre di nuovo (massima medievale derivata da Orazio Ep. 1,10, 24) – indole naturale che, adattata e trasferita per ciò che ci torna a proposito, dice che la verità la puoi mettere sotto chiave ma, alla fine riuscirà a farsi sentire perché, come parimenti afferma Catone: “tempore si peccata latent et tempore adparent” (Dist. II, 8) -  se i peccati col tempo stanno nascosti col tempo, però, appaiono. “Nihil inultum remanebit” recita il Dies irae di Tommaso da Celano - Niente rimarrà invendicato. Ma su tutta questa precaria sapienza umana sta quella stabile di Cristo che afferma: “Non c’è nulla di nascosto che non sarà rivelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (Lc. 12,2).

I registri e i verbali dell’epoca, infatti, dicono che quando il giovane J. Ratzinger, dottore in teologìa, presentò, nel 1953, un suo studio per il conseguimento dell’abilitazione alla docenza, l’insigne teologo Schmaus lo respinse in quanto “non rispondente a criterî di rigore scientifico”. Ripresentato, lo studio fu di nuovo rinviato perché “fosse corretto” ed emendato dal sottile ma reale puzzo di modernismo ivi annidato. Fatto si è che soltanto nel 1957, e ridotto di molte pagine, lo studio del teologo Ratzinger fu accettato (Si Si No No, 30/9/2008). Ma ciò non evitò che il nostro, futuro Papa, portasse seco vantandosene, come patrimonio culturale, i varî Heidegger, Rahner, Husserl, Jonas, Neusner, Scheler, Buber,Teilhard de Chardin del qual ultimo, darwinista e massone, frequenti sono gli elogi e gli apprezzamenti che, da cardinal Prefetto SCDF, sparge qua e là nel suo “Introduzione al Cristianesimo – Ed. Queriniana 1969 -2005) immemore o incurante, sempre il cardinal Prefetto della SCDF, del “Monitum” del 30 giugno 1962 con cui il Sant’Uffizio condannava le opere del gesuita, teologo eretico e paleontologo armeggione e falsario.

Questi erano gli autori che l’emerito B. XVI aveva posto a fondamento della propria preparazione dopo che aveva eliminato, con buona dose di sarcasmo e di povertà intellettuale, la potente e luminosa sapienza tomistica col dire che
non ero riuscito ad entrare nel pensiero di San Tommaso la cui logica cristallina mi pareva troppo chiusa in se stessa, troppo impersonale e preconfezionata” (Si Si No No  - idem).
La porta del tomismo è come quella del Paradiso, è stretta, angusta, spigolosa e perciò impossibile a varcarsi da coloro che sono pingui di superbia intellettuale. Come l’emerito.
Lutero, infatti, il porcus saxonicus non riuscì ad entrare nella logica del Doctor Angelicus.

E, poi, una ulteriore spia del suo pensiero debole sta in quella subdola quanto vacua definizione di “ermeneutica della continuità” che, in modo disinvolto, e superficiale, lo stesso rinnegò nel discorso che tenne al clero romano all’indomani delle sue dimissioni, in cui non ebbe remore a svelare, fregandosi le mani con l’aria di chi ha fatto un colpo senza essere acciuffato, quali fossero stati, al Concilio, gli scopi del fronte di rottura nordeuropeo – altro che continuità! - gloriandosene come partecipe (14 febbraio 2013 – Aula Paolo VI). Come dire: io c’ero! Dio saprà come ricompensarlo anche per la disattesa volontà di “di non fuggire davanti ai lupi”.

Ricordato, infine, che fu lo stesso perito conciliare J. Ratzinger, futuro Benedetto XVI, a dichiarare, con un moto di entusiasmo, che la costituzione “Lumen gentium” si poteva qualificare come un “Antisyllabus”, si comprende bene perché costui abbia sempre ostacolato i processi di canonizzazione tanto del beato Pio IX che del Venerabile servo di Dio, Pio XII.



Ciò premesso, torniamo al tema: Papa Bergoglio e la sua Canossa di Torino.
Non parleremo dell’incontro in quanto cerimoniale, degli abbracci o della scenografía. No: vogliamo, in questo nostro intervento, analizzare la lettera che il 22 giugno 2015, nel tempio valdese di Torino, Corso Vittorio Emanuele II, il Papa della Cattolicità ha indirizzato e letto alla comunità scismatica ed eretica di Pietro Valdo.
Il lettore ci segua in questa peregrinazione durante la quale avremo modo di mettere in luce gli scantonamenti dall’ortodossìa e le ambiguità lessicali e semantiche che caratterizzano il pensiero di Papa Bergoglio e quello della Gerarchìa, almeno la sua maggior componente ché pochi “son di quelli che temono ‘l danno” (Par. XI,130) e che, purtroppo, preferiscono starsene buoni e in silenzio.

1 -  «Cari fratelli e sorelle, con grande gioia mi trovo tra voi. Vi saluto con le parole dell’apostolo Paolo. “A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi auguriamo grazia e pace» (I Ts 1,1) – traduzione interconfessionale in lingua corrente (sic)… La cordiale accoglienza che oggi mi riservate mi fa pensare agli incontri con gli amici della Chiesa Evangelica Valdese del Rio della Plata, di cui ho potuto apprezzare la spiritualità e la fede, e imparare tante cose buone».

L’esordio con cui il Papa avvía la sua lettera già segnala uno scantonamento dal Vangelo. Tenendo, infatti, per certo essere, la sètta valdese, eretica e scismatica e pervicacemente ostile alla Chiesa Cattolica, se ne deduce che in quanto tale è, storicamente e canonicamente, fuori dalla Comunione con Cristo. Il discorso di Gesù, sulla vite e i tralci (Gv. 15, 1/5), scandisce bene e perentoriamente afferma che l’appartenenza al Suo Corpo è segnata dall’essere in sintonìa con la sua parola e con la volontà del Padre.

Fratelli e sorelle”: come, perché, quando? Non è forse Gesù colui che certifica la natura e i caratteri dei suoi famigliari, vale a dire il DNA del cattolico quando spiega “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” ? (Mt. 12,48/50).

La sètta valdese, non essendo in comunione con la Chiesa Cattolica, Apostolica, “di quella Roma onde  Cristo è romano” (Purg. XXXII,102), non lo è tantomeno con Cristo e, pertanto, non facendone parte, essa sètta non fa la volontà del Padre che vuole, appunto, tutti uniti nell’unico ovile e sotto l’unico pastore (Gv. 10,16). Niente fratelli e sorelle nella grazia di Dio ma solo pecore smarrite che il pastore romano deve ricondurre all’ovile del Gran Pastore, l’unico e solo. Ma Papa Bergoglio, con l’ammettere la presenza della grazia di Dio negli scismatici, contraddice il Simbolo della Fede – il Credo –  riducendo così la Santa Chiesa di Cristo, vale a dire la Comunione dei Santi, a un maxifestino, a una sagra paesana ove estranei, sconosciuti e indegni, possono entrare, uscire, o accomodarsi  perché, stando alla teologìa neoterica conciliare, la veste nuziale (Mt. 22, 1/14), la grazia cioè, non è più richiesta quale segno distintivo di unità.

La citazione, poi, dell’epistola paolina  con cui introduce il saluto – I Tess. 1,1 – è una scorrettezza tanto linguistica che teologica. Intanto l’apostolo si rivolge alla chiesa di Tessalonica – odierna Salonicco - che appartiene a Dio e a Cristo, non a una comunità pagana e, quindi, ad essa egli rivolge il saluto di grazia e di pace. La sètta valdese invece, eretica e scismatica, che il Papa astutamente sostituisce a quella canonica e legittima di Tessalonica, non è di Dio perché a Dio non appartengono  il peccato e il tradimento e, di conseguenza, nemmeno coloro che vivono nel peccato e perpetrano il tradimento.
Come il figlio prodigo, lontano dal Padre, così il valdese lontano dalla Chiesa Cattolica di Cristo - ma non per questo da Lui rinnegato come figlio, anzi più che mai atteso - non è, in quanto ribelle, nella grazia e nella pace come invece presume, in modo disinvolto e incauto, il Papa. Solo tornando alla casa paterna potrà riacquistare la dignità di figlio e di erede. (Rom. 8, 14/17). Segnaliamo, poi, come dichiara la strana precisazione in corpo 10, che la traduzione di questo passo è stata condotta secondo accordi e compromessi, e né la giustifica o la rende canonica l’essere “interconfessionale” perché l’esito è lo stesso:  un tradimento, un tradimento a più voci.

Quanto all’apprezzamento che Papa Bergoglio manifesta per la spiritualità e la fede valdese accertata in quel di Rio de la Plata, e in Torino di nuovo lodata, va detto che la cosa non desta sorpresa nelle coscienze omologate dacché egli è riuscito a conferire carattere soteriologico anche al digiuno pagano dell’Islam allorquando, nel 2013, quasi fresco di elezione, inviato, per l’occasione del ramadan, il suo caldo messaggio alla comunità mondiale musulmana, ebbe ad auspicare “abbondanti frutti spirituali” (O.R. - L.E.V. – 10 luglio 2013). Il che si configura come uno stolido augurare ad un albero secco o inaridito la produzione di fiori e di frutti. Un albero secco, Santità, è buono solo ad essere bruciato o lasciato marcire.
E quali sono i valori di fede e di spiritualità che tanto esalta e che ha apprezzato durante gli incontri sudamericani , ed ora torinesi, con la sètta valdese? Li vogliamo finalmente dire? Forse la negazione della Transustanziazione? forse la libertà individuale di interpretare le sacre Scritture? forse la negazione del Purgatorio? forse la negazione della Santa Messa pro defunctis e delle indulgenze? forse la negazione del primato petrino? o l’ammissione del sacerdozio femminile? o la realtà di un sacerdozio ministeriale universale fondato sul merito personale? o l’inutilità del matrimonio quale fondamento della famiglia? o la liceità delle coppie di fatto ed omosessuali e la sodomía? o il diritto individuale di amministrare? o forse la glorificazione di Pietro Valdo “vescovo” in proprio?
E proprio per questi “alti ” valori ha, forse, voluto baciare la loro Bibbia protestante, replicando quel bacio sacrilego con cui GP II –14  maggio 1999 -  venerò il Corano? Sono questi i valori per i quali si è immedesimato con l’eretico valdese, così come si immedesimò con l’Islam GP II  quando benedisse il Sudan nel nome di Allah? (O.R. 15/2/1993).



Perché se tali sono i valori che, di questa sètta, Papa Bergoglio ha apprezzato, se da queste aberranti dottrine egli ha imparato “tante cose buone”, vuol dire che di fatto ha gettato alle ortiche e rinnegato tutto il Vangelo, tutta la Tradizione e tutta la Storia della Chiesa quale ciarpame di cose cattive. Detto semplicemente: non ha capito nulla della sua altissima missione. Una confessione, la sua, che sa di palese menzogna, di untuosa arte adulatoria e di viltà, di fuga dall’obbligo di evangelizzare, di tradimento, di sterile politica: tetre macchie che i massmedia, specialmente quelli cattolici omologati al sistema, hanno ricoperto con la patina della “misericordia” e in nome del nefasto dialogo.
Perché se questi sono i valori che, di questa sètta, Papa Bergoglio ha apprezzato, vuol dire che si sta viaggiando, e da tempo, sull’autostrada dell’eresía, né più né meno. E ciò che rende ancor più avvilente e sconfortante il quadro, e pesante la responsabilità, è il silenzio di chi, come sopra dicemmo, potendo autorevolmente intervenire, se ne sta invece rintanato nella comoda posizione del “vivi e lascia vivere”, che è la resa chiara e popolare della più letteraria e bizantina riflessione dell’emerito B XVI secondo la quale
Oggi più che mai il Signore ci ha resi consapevoli che Lui soltanto può salvare la sua Chiesa. Essa è di Cristo, tocca a Lui provvedere. A noi è chiesto di lavorare al massimo delle forze, senza angosce, con la serenità di chi è consapevole di essere servo inutile pur dopo aver fatto tutto il suo dovere” (Rapporto sulla Fede – Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger - ed. San Paolo 2005, pag.10).

Si è visto con quanta coerenza l’emerito abbia portato a termine la sua missione. Al massimo, allo stremo delle forze?  No, perché al primo guaire di botoli, al primo apparire del sintomo della “ingravescente aetate”, Papa Benedetto XVI, fattosi scudo di una cultura sindacale che prevede la messa in soffitta dello Spirito Santo e il conseguente diritto al pensionamento anche per i Papi, è sceso dalla navicella di Pietro e, spenti i lumi e pagate le spese, ha salutato l’equipaggio e si è messo a riposo. Tanto, ha detto, tocca a Cristo provvedere. Noi siamo certi che Egli provvederà, eccome! Ne sia certo anche lui…

2 – Commenta Johannes Dörmann: «Per un Papa prima del Concilio Vaticano II sarebbe stato impensabile, nella capitale di un paese islamico (Sudan) dove i cristiani vengono perseguitati sanguinosamente in nome di Allah e sottoposti alla legge islamica, chiudere il proprio discorso in inglese rivolgendosi al capo dello Stato responsabile con la preghiera di benedizione “Baraka Allah as-Sudan” (Allah = Dio benedica il Sudan) invocando la benedizione di Allah su questo paese. Per il musulmano, Allah è il dio del Corano. Un musulmano non poteva non intendere la preghiera di intercessione del Papa recitata in arabo che come una conferma della legittima espansione dell’islam nel nome di Allah».
Tanto per precisare: dal maggio 1983 al febbraio 1993 sarebbero stati uccisi più di 1,3 milioni di sudanesi del sud nella maggioranza cristiani (Johannes Dörmann: La teologia di GP II e lo spirito di Assisi – vol. III pag.6/7 – Ed. Ichthys 2002).


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luglio 2015

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