Ai più sembrerà che io lasci la Diocesi,
in realtà, come cattolico, sto tornando a casa



Don Massimo Sbicego,
parroco di Pedemonte, Casotto e Lastebasse,
nella Diocesi di Vicenza,
lascia la sua Diocesi per entrare a far parte della
Fraternità Sacerdotale San Pio X



Notizia

Don Massimo Sbicego, nato a Montecchio Maggiore (VI) 38 anni fa, è stato ordinato sacerdote nel giugno del 2000, all'età di 28 anni.
Dopo essere stato a Vicenza come vicario, nel settembre del 2009 è stato inviato come parroco a Pedemonte (VI), da dove ha curato anche i fedeli di Casotto, di Lastebasse e dei centri vicini. Portato a vivere la sua vita sacerdotale in totale aderenza con i comandamenti di Nostro Signore, avendo in vista la santificazione dei fedeli affidati alla sua cura, è stato apprezzato dai suoi parrocchiani per la dedizione alla sua missione e per la sua cura per la catechesi.
Dopo un lungo periodo di riflessione, accompagnato con la consultazione dei suoi superiori, il 30 dicembre scorso,

rispondendo alla chiamata di una vita sacerdotale più intensa e più vicina alla
millenaria Tradizione della Santa Chiesa, ha lasciato la sua Diocesi per entrare a far parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
La sua decisione, maturata e attuata senza il minimo clamore, ha stupito i fedeli, ai quali Don Massimo Sbicego, l'undici gennaio scorso, ha indirizzato una lettera semplice e  concisa per prendere commiato da loro.

Per presentare questo giovane sacerdote riportiamo:
L'intervista rilasciata a Marco Bongi e riportata sul sito del Distretto italiano della Fraternità San Pio X
La lettera di commiato ai fedeli dell'11 gennaio 2011
La lettera di congedo dalla Diocesi indirizzata all'Amministratore diocesano Mons. Ludovico Furian, del 14 dicembre 2010


Intervista a don Massimo Sbicego

a cura di Marco Bongi

Come ha conosciuto la FSSPX? Ne aveva sentito parlare prima della conoscenza diretta?
Nel 1992 trovai un vecchio numero di “La Tradizione cattolica” era interessante: “chissà se lo pubblicavano ancora”; provai a contattare la redazione e mi abbonai. Nel frattempo conclusi l’itinerario del seminario, fui ordinato nel giugno 2000 e iniziai il ministero; solo del maggio 2007 visitai il priorato di Rimini ed incontrai don Luigi.

Quando era seminarista le avevano mai parlato di mons. Lefebvre e della S. Messa antica?
No. La Tradizione nella sua dimensione positiva è assente dal moderno insegnamento in Seminario. Se si cita la Messa “pre-conciliare” lo si fa solo per sottolineare com’era inadeguata quella liturgia e quella teologia. Anche recentemente, in occasione del “motu proprio”, so che qualche “liturgista” ha usato il DVD della santa Messa pubblicato dalla Fraternità per deriderne con i seminaristi rito e gesti.

Cosa ha provato la prima volta che si è avvicinato alla celebrazione della S. Messa di sempre?
Di trovarmi alla Presenza di Dio, un po’ come Mosè sul Sinai; per la prima volta tutta la celebrazione era “davanti a Lui” ed Egli stesso era lì. Nel rito copto le rubriche prescrivono che il sacerdote entri scalzo nel santuario, del resto il nostro rituale Pontificale prescrive particolari calzari per il vescovo; la prima volta che ho celebrato la Santa Messa ho intuito improvvisamente il perché: Mosè di fronte al roveto. Ogni volta che entro nel santuario è così: il roveto brucia della Sua presenza.

Com’è la vita nella FSSPX?
È anzitutto una vita semplice e fraterna. Monsignore la pensò sulla scorta della sua esperienza in terra di missione: intuì l’importanza non solo dell’apostolato ma anche di un luogo nel quale “ricaricarsi” spiritualmente ed intellettualmente, ove vivere assieme ad altri sacerdoti, fraternamente; pensò ad un luogo che anche proteggesse i sacerdoti dal mondo; questo luogo è il “priorato”. È bello perché c’è sempre una buona parola, una battuta piuttosto che una discussione dottrinale, qualcosa da sistemare, un’ospite che viene da lontano, una preghiera nell’unica liturgia pur nella diversità delle lingue nazionali di ciascuno. Poi ci sono le suore, un esempio in tutto: di preghiera, laboriosità, attenzione, modestia, riservatezza ... ed i fratelli, dei consacrati non sacerdoti, che si prendono cura con generosità di noi tutti: della casa, degli ospiti, di noi sacerdoti.

I priorati ospitano anche persone esterne?
Direi che il priorato è aperto all’accoglienza di quanti ne rispettano ritmi e finalità: per una parola, un incoraggiamento, un tempo di ritiro o di discernimento un sacerdote è sempre disponibile. Si organizzano poi specifici incontri per sacerdoti e fedeli; vi si predicano più volte all’anno gli esercizi ignaziani secondo il metodi di p. Francesco da Paola Vallet e diffuso da p. Ludovico Maria Barielle.

Come si svolge la giornata, l’apostolato ... ?
Ci sono sostanzialmente due ritmi di vita diversi: quando siamo in casa (al priorato, durante la settimana o la feria) e nell’apostolato (al fine settimana o nelle feste). Al priorato la sveglia ufficiale è alle 6.00 ma molti sacerdoti si svegliano prima per recitare il Mattutino e le Lodi; alla 6.30 c’è la recita comune di Prima, quindi la meditazione e l’Angelus; alle 7.15 la Santa Messa ed il ringraziamento; alle 8.10 la colazione. C’è quindi il tempo da dedicare allo studio, alla preparazione di incontri, catechesi, convegni, agli articoli; per vari lavori manuali ed incombenze, oppure per un ulteriore momento di preghiera, per il breviario (Terza e Nona), la Sacra Scrittura etc. Alle 12.15 c’è la recita comune di Sesta e l’Angelus quindi il pranzo alle 12.30. Nel pomeriggio un ulteriore tempo di studio, lavoro o preghiera (la recita in privato del Vespro) sino alle 18.50 con la recita comune del Santo Rosario e dell’Angelus (il giovedì c’è la Benedizione Eucaristica). Alle 19.20 la cena e alle 20.45 la Compieta cui segue il Grande Silenzio sino alle 8.00 del giorno dopo. Nell’apostolato, il fine settimana, nelle feste, in altre occasioni, stanti gli obblighi clericali (Breviario e Santa Messa) e della Fraternità (Rosario quotidiano), gli orari sono flessibili in relazione alle diverse situazioni e necessità.
Io non sono ancora inserito in questa importante missione, vedo tuttavia i confratelli percorrere centinaia di chilometri per assistere ed incontrare i fedeli, celebrare loro la Santa Messa, risolvere innumerevoli problemi per la collocazione delle cappelle, la celebrazione, l’alloggio, per l’ostilità di parroci e vescovi, in questo senso non molto caritatevole con noi.

Pensa che ci saranno altri sacerdoti che seguiranno il suo esempio?
Sinceramente penso che altri preti e seminaristi si pongano la questione. Come conseguenza della propria scelta di consacrazione al Signore, si rivela necessario un serio ripensamento delle dimensioni sacerdotale del “presbiterato” e sacrificale della Santa Messa. L’ondata ideologica post-conciliare si sta esaurendo in un sistema sostanzialmente agnostico, nei giovani sacerdoti e nei ragazzi si risveglia invece la ricerca dell’autenticità della nostra fede: di qui l’avvicinamento alla Tradizione Cattolica. Il sacerdote moderno, prima vittima del nuovo corso ecclesiale, vive spesso una profonda crisi d’identità; da essa egli può uscire unicamente riappropriandosi dei mezzi che gli fornisce la viva Tradizione della Chiesa: in primo luogo la Messa di sempre, quindi il Breviario, una vita sacerdotale Fraterna, dunque l’Apostolato.

Grazie mille don Massimo.
Grazie a Lei.


Lettera di don Massimo ai suoi fedeli

11 gennaio 2011

Carissimi fedeli,
mi sembra opportuno, a distanza di qualche giorno, uscire dal riserbo che ha caratterizzato la mia partenza: sappiate anzitutto che anche a me è dispiaciuto non averVi salutato personalmente testimoniando la stima che ho per Voi.
La decisione di entrare nella Fraternità Sacerdotale San Pio X, unitamente alle motivazioni che la determinano, non è di oggi: già due anni fà ne parlai con mons. Nosiglia, allora Arcivescovo Vescovo di Vicenza, per ottenere il permesso di trascorrere un anno “sabbatico” presso una casa di tale istituto.
 
A metà dicembre u.s. mi sono aperto nuovamente e con franchezza circa la mia decisione con mons. Furian; l’Amministratore Diocesano mi ha accolto e ascoltato con la massima benevolenza manifestandomi il desiderio che io lasciassi gestire all’autorità diocesana il compito di dare spiegazioni. Tale intenzione mi è stata successivamente manifestata anche dal Vicario foraneo. La richiesta mi è sembrata ragionevole e l’accoglierla mi è sembrato un segno di buona volontà verso i miei superiori che ho inteso lasciare liberi nel gestire al meglio la situazione che si sarebbe creata: me ne sono così andato senza clamore onde peraltro evitare di coinvolgerVi direttamente in questa delicata questione di coscienza. Tutto qui.

Quella che troverete di seguito è la stessa lettera e lo stesso biglietto d’accompagnamento, che inviai a mons. Furian, dopo il nostro colloquio personale di metà dicembre; sono testi che esprimono non solo la consapevolezza di una situazione ecclesiale, ma anche l’interiorità della mia persona.

Ringrazio tutti coloro che in questi giorni mi hanno espresso la loro vicinanza; Vi saluto con affetto e chiedo al Signore di benedirVi.

don Massimo


Lettera di don Massimo Sbicego all'Amministratore Diocesano



A Mons. Ludovico Furian,
Amministratore Diocesano

Mi accingo a scrivere queste poche righe per rendere ragione di una scelta che è scelta di coscienza, di fede, e soprattutto di coerenza con la chiamata di Nostro Signore al Sacerdozio e con l’ideale sacerdotale.
Spesso a noi Sacerdoti viene chiesto se abbiamo incontrato Gesù; io oggi posso dire: “Sì! Io l’ho incontrato”. L’ho incontrato ai piedi di una croce che sovrastava un vecchio altare, mentre offrivo la Vittima Santa ed Immacolata, per i miei peccati, per coloro che assistevano a quella S. Messa, per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti. L’ho incontrato attraverso un rito liturgico, quello di sempre, quello che il Santo Padre vuole rivalorizzare malgrado mille ostacoli, che significa molto di più di una cerimonia esteriore: esso rende presente realmente il Calvario e il Sacrificio della Croce tra le mie mani, in modo misterioso ma chiaro mi fa essere e sentire unito a Cristo, soprattutto attraverso il desiderio di imitarlo come sacerdote, pastore e in qualche modo anche come vittima, offrendo le mie croci quotidiane in unione con Lui.

Celebrando il Santo Sacrificio il Signore stesso ha risvegliato in me un seme sopito, quasi soffocato da inconcludenti pastorali e da pindariche “svolte antropologiche”, il seme della chiamata Sua al Sacerdozio: “ti voglio per Me per la salvezza delle anime” è l’idea che scaturisce dal Santo Sacrificio della Messa, l’unico, la S. Messa di sempre.
Per me oggi è incredibile ed insopportabile che la S. Messa, il cuore vivo e pulsante della Grazia nella Chiesa, venga sottoposta al vaglio di chi la giudica “noiosa”, che si senta l’esigenza di “riflettere su come valorizzarne i segni” in modo creativo, con chi della vita e del Sacrificio di Nostro Signore ha capito poco o nulla. D’altra parte mi rendo conto che questo problema è legato alla natura conviviale del Novus Ordo: la cena se non è coinvolgente, viva, emozionante, è invito sgradito; penso che il rischio concreto sia di costruire una celebrazione ed una Chiesa adolescenziali, mirate a “coinvolgere” più che a “santificare”.
Una voce autorevole ha parlato di “apostasia silenziosa”: la stessa che ho sperimentato diffondersi tra i nostri ragazzi e giovani insegnando alle medie e alle superiori, incontrandoli in parrocchia piuttosto che per strada; penso che essa derivi dall’assumere inconsapevolmente la mentalità del mondo contemporaneo con il suo egoismo, l’assenza dello spirito di sacrificio, della mortificazione, la negazione o l’ignoranza del soprannaturale, il relativismo religioso ed etico etc.

Il punto dolens tuttavia è che i nostri percorsi di catechismo, i gruppi, l’IRC, favoriscono tutto ciò, laddove la dottrina cattolica è dimenticata, non insegnata, a volte persino ridicolizzata a favore di “dimensioni umane” che non giungono mai al dunque: maturare una scelta consapevole e incondizionata di fede e di vita Cattolica.
In questo la Santa Messa Tridentina impone, con la forza della Grazia e della Tradizione, una messa in discussione della nostra tiepidezza, una riforma personale di vita, unitamente ad un’ecclesiologia sensata dove i fedeli portano avanti la loro battaglia nel mondo, nel lavoro, in famiglia, nello sport, scoprendo che il mondo non li ama perché sono di Cristo e della Chiesa Cattolica; i Sacerdoti si dedicano a Dio, nell’orazione e nell’apostolato, per sostenere, esortare, far maturare, donare la Grazia sacramentale che è Cristo stesso.
Una battaglia pacifica, non irenica, certamente non di “basso profilo”; sento improrogabile una Chiesa che abbia il coraggio della Verità, di ridirla oggi, perché la Dottrina non è sua proprietà ma rappresenta il Buon Deposito che Cristo le ha dato: l’Unicità della Salvezza di Nostro Signore; il senso della vita orientata ai Novissimi; il senso del Sacrificio di Cristo dal quale ciascuno può ricevere la Grazia che salva; il senso di un impegno serio, fatto di ascesi e di caritas che il Signore retribuirà al momento opportuno; il senso della Presenza Vera, Reale di Cristo nell’Ostia; il senso della Speranza per tutti i crocifissi della storia perché Cristo è stato il primo di loro e continua ad esserlo quotidianamente sull’altare; il senso di una Chiesa capace ancora di insegnare ai giovani ad inginocchiarsi per recitare il Santo Rosario; il senso di una Parola al servizio del Santo Sacrificio; una Parola illuminata dalla Tradizione costante piuttosto che abbandonata ad interpretazioni estemporanee, effimere, al “magistero” soggettivo della Cesira, piuttosto che dell’improbabile esegeta di turno, in contrasto con il Magistero della Chiesa.
Quanto mi fa riflettere quel passo di San Paolo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” … e quanta confusione sento, quante banalità, quante sparate, quante “teologie” à la page.

Oggi sono pronto per scegliere Nostro Signore forse più di quando fui ordinato, dieci anni fa, perché vedo la storia che Egli ha fatto con me; pur rattristato per tanti confratelli che, anche recentemente, hanno abbandonato il ministero, con un po’ di nostalgia per la Diocesi che continuo ad amare ed alla quale rimango profondamente legato, oggi scelgo di continuare la mia vita di consacrazione lì dove Egli è presente con Verità, Fede, Dottrina, Speranza, per un futuro di ricostruzione della Chiesa: la Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Umilmente chiedo ad un uomo semplice, dal sorriso sincero, ad un Vescovo dalla statura enorme, mons. Bernard Fellay, di accogliermi nella lotta contro l’autodemolizione della Chiesa, affinché Cristo risorga nei cuori e nelle società. Con la presente dò quindi le dimissioni da parroco dell’Unità Pastorale Alta Valdastico dal mezzogiorno del 30 dicembre, pregando per Lei, mons. Vicario, e chiedendole di provvedere alla cura pastorale di quegli amati parrocchiani.

Finché sono rimasto vi ho dato il mio cuore e ho cercato di trasmettere un po’ della Fede Cattolica tuttavia, senza la Santa Messa di sempre, quella Tridentina, il cielo resta chiuso e la deriva è inevitabile (M. Davies, “La riforma liturgica anglicana”).

Certo del reciproco rispetto per una scelta di coscienza tanto travagliata e della vicendevole preghiera che ci unisce all’Unica Chiesa Cattolica, supplico il Signore affinché: “Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam nostram in vitam æternam”.

Pedemonte, 14 dicembre 2010

con fiducia
don Massimo Sbicego





gennaio 2011

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