Riflessioni sulla Amoris Laetitia
con tanto amore e poca gioia

Parte prima:
una prima analisi

di Alessandro Gnocchi


Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  13 aprile 2016

Titolo, immagine, impaginazione e neretti sono nostri



Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


mercoledì 13 aprile 2016

Sono molte le lettere arrivate in redazione dopo la pubblicazione dell’Amoris Laetitia. Le pagine che pubblichiamo oggi sono l’inizio della risposta a tutte queste lettere. L’argomento è troppo importante per poter essere esaurito in poche cartelle: oggi iniziamo a parlarne, e proseguiremo nelle prossime settimane.

Paolo Deotto - Direttore di Riscossa Cristiana

Parte seconda: la questione Benedetto XVI
Parte terza: fedeli abbandonati dai pastori
Parte quarta: la questione della Fraternità San Pio X






I buoni credono sempre nelle fiabe: è un bene ed è una consolazione perché, per la parte che spetta agli uomini, è proprio questa fiducia bambina nel soprannaturale che salverà il mondo. Credono in quella che Tolkien chiamava eucatastrofe, il repentino e misterioso mutamento in bene di una situazione che pareva perduta. Vedono la storia attraverso autentici veli apocalittici, i soli attraverso i quali, del resto, abbia un senso guardare anche il più piccolo accadimento umano. Altro che segni dei tempi.

Per questo, molte lettere scandalizzate da quella specie di telenovela argentina che si intitola Amoris Laetitia sono arrivate in redazione portando in calce una domanda riassumibile così: quanto attenderà ancora Dio prima di fulminare un mondo e una Chiesa compiaciuti dalle gesta di quel tizzone d’inferno chiamato Francesco? Stessa domanda che conclude tante mail private e tante telefonate, angosciate e smarrite, in cui si invoca un giusto castigo di Dio che finalmente ponga termine allo scempio del Corpo Mistico di Cristo compiuto dal Vicario di Cristo e goduto dalle sue membra impazzite.

Al cospetto di tali avvenimenti, diventa fatale esercitarsi nell’esegesi di visioni mistiche, di rivelazioni private e anche dei testi della Sacra Scrittura. Ed è comprensibile divinare, prevedere, sperare in un segno soprannaturale terribile e risolutivo. Ma non servono mancamenti mistici, non urgono sguardi ultraterreni per indovinare l’approssimarsi del castigo di Dio. È già tra noi, lo stiamo vivendo sulla nostra pelle, nei nostri cervelli, dentro i nostri cuori, al centro delle nostre anime. Il castigo è questo senso di abbandono con cui il Signore dell’universo ripaga un mondo e una Chiesa che hanno preteso e continuano a pretendere di fare senza di Lui. Bergoglio è castigo a se stesso, a quella gran parte di Chiesa e a quella gran parte di mondo che si rispecchiano in lui.
Ma il senso di abbandono che ne deriva è una sanzione così radicale e così violenta da non poter essere percepita e sofferta da chi l’ha meritata e non ha più un briciolo di fede per comprenderla.
Questo martirio, l’espiazione di tanta malvagità accumulata nel corso dei secoli, e con foga sempre più vorticosa e demoniaca durante gli ultimi decenni, sono chiesti al piccolo resto, ai cuori cattolici che sono in grado di rendersene conto e, se ne hanno la forza, il coraggio e la fede, di offrirli in sacrificio a Dio. Se, nel disegno del demonio, il sequel dei “Cesaroni” firmato Bergoglio è un passo ulteriore nella distruzione della Chiesa cattolica, della sua dottrina e della sua morale, nei piani della Provvidenza diventa la prova su cui Dio misura la fede dei suoi figli.

E non si può negare che sia una prova tremenda e straziante, anche se qualche ingenuo, pur riconoscendo l’esistenza di passaggi incresciosi, vi ha comunque scorto molte “cose belle”. Ma le “cose belle”, quando sono prostituite al servizio delle “cose brutte”, finiscono per assumere il significato deciso dalle maitresse che le tiranneggiano.

Cose brutte come queste:

301. Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»[339]o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione».[340]Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù,[341] in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».[342]

304. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».[347]È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.[348]

305. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».[349]In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongonoa priorial soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione».[350] A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.[351] Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà».[352] La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.

A cui si aggiunge, e poi ci si ferma per decenza, la tristemente celebre nota 351, che dice così:

[351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44:AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039).

Gli estensori e il firmatario di simili pagine se la vedranno con San Tommaso per la truffaldina citazione delle sue opere, mutilate all’uopo con diabolica abilità. D’altra parte, non potevano fare altrimenti, dopo aver annunciato l’abolizione del peccato tramite delle malefiche virgolette appese in testa alle parole “irregolari” e “irregolare” come corna di caprone sulfureo:
Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”.

Il segno della svolta, oltre che in quelle virgolette infernali, sta nel violento “non è più possibile dire”, la cui traduzione significa: “Tutto è cambiato e ve lo stiamo dicendo nero su bianco”.

A proposito dell’abolizione del peccato, un lettore ha citato l’apocatastasi di Origene, la teoria condannata nel 553 al Concilio di Costantinopoli secondo cui, con il giudizio finale, tutte le creature razionali, compreso il demonio, si salveranno. Un insegnamento così velenoso da far scrivere a San Giovanni Climaco nella Scala del Paradiso: “Facciamo tutti attenzione, e soprattutto quelli che sono caduti, a non contrarre nel cuore la malattia dell’ateo Origene; infatti la malattia impura, tirando in ballo la misericordia di Dio, è gradita a coloro che sono inclini ai piaceri”.

Ma un tempo, anche gli eretici erano convinti di lavorare per il bene delle anime, e lo stesso Origene riteneva che la dottrina dell’apocastatasi fosse riservata agli “uomini spirituali” e proibiva di ammannirla ai neofiti e agli “uomini carnali”, che ne sarebbero stati traviati. Oggi, invece, i pastori di anime morte non nutrono più neanche tale riserva poiché il loro vero disegno, contrariamente a quanto annunciano, è altro da quello della salvezza eterna.

Qui non c’è più desiderio, sia pure mal riposto e mal compreso, di salvare le creature dal peccato, ma si erge prepotente e solitaria la trama della superbia dell’uomo che pretende di fare solo, oscurando anche il più lontano pensiero di Dio. Ogni voltare di pagina dell’esortazione postsinodale evoca la raccolta dei cattivi pensieri ispirati dal demonio che Evagrio Pontico elenca nel suo Antirrhetikos per contrapporre a ciascuno un passo delle Sacre Scritture. Pensieri e rimedi come questi:

Contro il pensiero superbo che ritiene di aver superato l’osservanza dei comandamenti di Dio: Siamo servi inutili abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc, 17, 10).

Al Signore, a causa del demone della superbia che si avvicina a noi e appare molte volte nelle sembianze di un angelo della luce, portando con sé un grande esercito di demoni: Non venga su di me il piede della superbia e la mano dei peccatori non mi faccia vacillare (Salmo 35).

Contro il demone che ci permette di interpretare per noi le Scritture occorre che noi ci esprimiamo come faceva il nostro beato padre Macario: Al peccatore disse Dio: “Perché esponi i miei decreti e vai ripetendo la mia alleanza con la tua bocca? Tu che hai disprezzato la disciplina e hai gettato alle spalle le mie parole?” (Salmo 49).

Se in proposito vi fossero dubbi, è il gesuita padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, a evocare certi cattivi pensieri nell’intervista con cui spiega a Radio Vaticana il senso profondo di Amoris Laetitia:

«Il Papa afferma che c’è una dottrina cristiana il cui significato deve essere radicalmente pastorale. Questo in fondo mi sembra il cuore, il motore dell’Esortazione Apostolica, cioè la dottrina è radicalmente pastorale, serve – come dice il Diritto Canonico – per la “salus animarum”, cioè la salvezza delle anime, delle persone. Se non c’è questo la dottrina diventa un insieme di pietre inutili. (…)

«Il discernimento significa – nella prospettiva ignaziana – soprattutto cercare e trovare Dio nella propria vita. Quindi è chiaro che c’è un riferimento forte alla dottrina evangelica che però poi si incarna nella mia vita concreta, quindi nella mia libertà, nella mia coscienza, nei miei limiti. Quindi il Papa concentra la sua attenzione su questo dialogo profondo tra l’uomo e Dio e su come la verità evangelica possa prendere forma all’interno di una vita umana. (…)

«Una volta il Papa disse, scandalizzando un po’, che la verità è relativa. Che cosa voleva dire? Non che la verità non sia assoluta, ma che è relativa alle persone, cioè se non c’è l’essere umano, la verità evangelica rimane sola, isolata, inutile. Quindi il discernimento consiste nel comprendere come la verità evangelica si incarna concretamente nella mia esistenza, nella mia persona. (…)

«Probabilmente la domanda se i divorziati e risposati possono accedere ai Sacramenti o meno non ha più senso, perché fa riferimento all’idea di una norma generale applicabile a tutti i casi, quindi positiva o negativa. Il Papa smonta questa logica e afferma l’importanza del discernimento davanti a situazioni che sono molto differenti

Di rinforzo, il cardinale Christoph Schönborn, durante la presentazione del parto postsinodale ha detto:
La mia grande gioia per questo Documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra ‘regolare’ e ‘irregolare’ e ponga tutti sotto l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!”.
Ma il senso ultimo dell’operazione viene dichiarato scopertamente dal cardinale austriaco quando dichiara che Amoris laetitia è “soprattutto, e in primo luogo, un ‘avvenimento linguistico’, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale”.

Un avvenimento linguistico è sempre intimamente legato a un sistema di principii, alla loro affermazione o al loro mutamento. E che cosa sia accaduto in questo frangente viene detto esplicitamente: “Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale”. Ergo, sono cambiati i principi su cui si regge la Chiesa, ergo, nei piani di chi la guida attualmente, è cambiata la Chiesa, che ora si palesa sotto le spoglie nichiliste del nulla che penetra inesorabilmente la realtà.



Da questo punto di vista, Amoris Laetitia non è un unicum nella storia recente della Chiesa, ma solo la fase più avanzata del processo di autodissoluzione. Tanto più evidente perché tocca la vita morale e tanto più efficace perché istituisce l’uso di un linguaggio debole e snervato dalla deriva nichilista. La svolta linguistica annunciata trionfalmente da Schönborn segna il superamento del punto di non ritorno per chi la faccia propria consegnandosi in tal modo all’impossibilità di pronunciare una sola proposizione e una sola parola che abbiano senso compiuto. Ne è un esempio lampante quanto dice padre Spadaro: “Una volta il Papa disse, scandalizzando un po’, che la verità è relativa. Che cosa voleva dire? Non che la verità non sia assoluta, ma che è relativa alle persone”.

Si palesa così il dramma paventato da Martin Heidegger in un breve scritto a Ernst Jünger: “La lingua che condividiamo, che entrambi usiamo per intenderci sul fenomeno del nichilismo è essa stessa nichilista”.
A questo punto, solo Dio può salvare l’uomo dalla discesa agli inferi in cui la parola e il pensiero non dicono più nulla. Solo la Grazia può trattenere le creature dall’ingresso nel luogo di cui Thomas Mann, nel Doctor Fausts, dice che “là tutto finisce, ogni pietà, ogni grazia, ogni riguardo, ogni comprensione” e dove tutto “avviene senza il controllo della parola, in cantine afone, laggiù in fondo dove Dio non ode, e per tutta l’eternità”.

Teologicamente non perfetta, ma letterariamente efficace, la descrizione di Mann mostra quanta letizia possa esservi nell’amore che Bergoglio consegna come prede innocenti in sacrificio al dominio del nulla. Nel suo linguaggio e nel suo pensiero, è il dettaglio a dare misura e senso al tutto, è la parte a dare misura e senso all’organismo, è la devianza a dare misura e senso alla salute, è il peccato a dare misura e senso alla Grazia, è la perdizione a dare misura e senso alla salvezza.

Nella sua parte del saggio Oltre la linea, firmato con Heidegger, Jünger descrive nel 1949 gli effetti terrificanti dell’avanzare del nichilismo in pagine che paiono il ritratto della Chiesa di oggi. Quando Dio viene inteso solo come misericordioso dice lo scrittore tedesco:

Nascono religioni sostitutive in numero incalcolabile. Si può anzi dire che con lo spodestamento dei valori supremi qualsiasi cosa può acquisire un’illuminazione e un significato liturgici. Non solo le scienze della natura assumono questo ruolo; prosperano le visioni del mondo e le sette; è un’epoca di apostoli senza missione. (…)

Ciò genera l’impressione di un eremo disseminato di mulini deputati alla preghiera e che ruota sotto il cielo stellato. Ininterrottamente, diventa più importante la quantificabilità di tutti i rapporti. Si continua a consacrare, benché non si creda più nell’eucarestia. Allora, per renderla più comprensibile, la si interpreta diversamente.

Ma tutto questo risulta evidente a un numero sempre più piccolo di anime e di cervelli che, per grazia di Dio, sono preservati dal contagio del nulla. Un piccolo resto che non può neppure contare sull’approvazione e il sostegno della Chiesa.
Ed è ancora Jünger a spiegarne il motivo:

Il nichilismo può effettivamente armonizzarsi con sistemi d’ordine di estese dimensioni, e (…) per diventare attivo su larga scala, deve addirittura ricorrere a essi. Il caos diventa visibile solo nel momento in cui il nichilismo comincia a venire meno in una delle sue combinazioni. È istruttivo vedere che perfino nelle catastrofi le componenti d’ordine sono presenti, addirittura sino alla fine o quasi. È chiaro perciò che l’ordine non solo è ben accetto al nichilismo, ma fa parte del suo stile. (…) Perfino nei luoghi nei quali il nichilismo mostra i suoi tratti più inquietanti, come nei grandi luoghi di sterminio fisico, regnano sovrani la sobrietà, l’igiene, l’ordine rigoroso.

Un’analisi inquietante che mostra come, nella sua componente umana, la Mater et Magistra possa insegnare istituzionalmente e magistralmente ai suoi figli le vie della perdizione. E spiega anche perché, nella corsa verso il nulla, con la sua formalistica difesa dell’ordine, sia in grado di sedurre i cristiani dediti alla conservazione intesa come metodo, sganciata dal contenuto. Per il fariseo, non vi è niente di più irresistibile di una forma riempita di nulla. Davanti a questo concetto, qualcuno griderà all’ossimoro, ma, ai tempi della svolta linguistica nichilista, è triste realtà.


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