San Pio X: Motu Proprio
Sacrorum Antistitum
(1 settembre 1910)






Ripreso da SI SI NO NO, anno XLII, nn. 13 e 14, di luglio e agosto 2016

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La storia della Chiesa ci insegna che non pochi vescovi, durante il pontificato di papa Sarto, hanno ingenuamente  sottovalutato la gravità del pericolo modernista e ne hanno permesso la sopravvivenza. Esso, così, ha continuato a serpeggiare segretamente; poi cautamente è rinato pian piano sotto forma di nouvelle théologie o neomodernismo negli anni Trenta/Quaranta ed è stato condannato energicamente nel 1950 da Pio XII (Enciclica Humani generis); ma, dopo la morte di papa Pacelli, “il modernismo redivivo” ha sfondato senza remore ogni argine con “l’aggiornamento” di Giovanni XXIII e con il Concilio Vaticano II. Infine ha raggiunto, in maniera ostentata, il vertice dell’ultra modernismo con Francesco I, con il quale ci si trova praticamente già nello spirito del “Vaticano III”, auspicato da Rahner, Küng e  Schillebeeckx, secondo i quali il Vaticano II si sarebbe fermato a metà strada nella “rivoluzione” della Chiesa.

Nel Motu proprio “Sacrorum Antistitum” San Pio X mette in luce la malizia dei modernisti da lui qualificati “una perniciosissima [‘dannosissima’, N. Zingarelli] genìa [‘accolta di gente malvagia’, N. Zingarelli] di uomini”, che, nonostante siano stati smascherati nel 1907 con l’Enciclica Pascendi dalle sembianze di una presunta scienza ecclesiastica moderna, sono rimasti nella Chiesa per sovvertirla dall’interno sin dalle sue fondamenta, e perciò Pio X si augura che “nessun vescovo ignori che [...] non hanno abbandonato i loro propositi di turbare la pace della Chiesa” (1).

Papa Sarto sottolinea che essi sono “avversari tanto più temibili in quanto più vicini” (2) ribadendo ancora una volta il pericolo tipico del modernismo: il voler restare dentro la Chiesa per corroderne la sostanza lasciando solo l’apparenza così come un tarlo rode il mobile nel quale si annida.

Leggendo i Documenti di San Pio X ci si accorge che il Papa insiste molto sul pericolo dei “falsi fratelli” (San Paolo II Cor., XI, 26), il quale è una delle insidie più perniciose poiché li si reputa fratelli e invece sono nemici e lottano contro la Chiesa e i veri fedeli colpendoli alle spalle.

A questo punto San Pio X affronta il problema dei modernisti ecclesiastici, i quali, data la loro posizione di comando nella Chiesa, sono i più temibili. Costoro, “abusando del loro ministero, inseriscono negli animi un’esca avvelenata per sorprendere gli incauti, diffondendo una parvenza di dottrina in cui si racchiude la somma degli errori” (3).

È triste, ma è la realtà: i modernisti ecclesiastici approfittano del loro stato e invece di servire la Chiesa se ne servono per avvelenare le anime dei fedeli incauti e ingenui mediante una dottrina apparentemente cattolica ma sostanzialmente erronea, anzi il sistema modernista riunisce in se stesso tutti gli errori teologici, essendo il modernismo  “il collettore di tutte le eresie”.

Questa peste si diffonde in una parte del campo del Signore da cui sarebbero da aspettarsi i frutti più consolanti” (4), deplora San Pio X. Ed infatti il modernismo è penetrato massimamente nelle fila del giovane clero e anche nell’animo di alcuni ecclesiastici, che avrebbero dovuto lavorare all’edificazione della Chiesa e invece hanno lavorato per mutare il Cristianesimo in una vaga forma di esperienza religiosa sentimentalistica, senza dogmi, morale oggettiva, gerarchia e disciplina.

Per questo motivo il Papa dà una serie di ordini, racchiusi in brevi proposizioni, affinché i vescovi possano più facilmente estirpare la mala pianta modernista e rimuovere gli ecclesiastici modernisti dai posti di comando nella Chiesa.

Vediamone i principali.

Lo studio del Tomismo

Per quanto riguarda gli studi ecclesiastici essi debbono essere fatti sulle orme della filosofia scolastica e specialmente tomistica: «L’allontanarsi da San Tommaso d’Aquino, specialmente in metafisica, non avviene senza grave danno. Come diceva l’Aquinate stesso: “parvus error in principio fit magnus in fine / un piccolo errore iniziale e riguardo ai princìpi diventa grande alla fine”» (De ente et essentia, proemio) (5). Allontanarsi dalla metafisica dell’essere comporta il grave pericolo di conclusioni disastrose.

Se “i problemi del momento [la nouvelle théologie, ndr] si vanno facendo sempre più gravi, questa è una ragione – scriveva il padre Garrigou-Lagrange – per ritornare a studiare e capire la vera dottrina di S. Tommaso intorno all’essere, alla verità, al valore dei primi princìpi dai quali si risale con certezza all’esistenza di Dio. […]. Si tratta dei princìpi direttivi del pensiero e della vita morale, tanto più necessari quanto più le condizioni dell’esistenza umana si fanno maggiormente difficili e richiedono certezze più ferme” (6).

Già Leone XIII nella Lettera al Generale dei Francescani del 13 dicembre del 1885, aveva scritto: «L’allontanarsi dalla dottrina del Dottore Angelico è cosa contraria alla Nostra volontà, e, assieme, è cosa piena di pericoli. […]. Coloro i quali desiderano di essere veramente filosofi, e i religiosi sopra tutti ne hanno il dovere, debbono collocare le basi e i fondamenti della loro dottrina in S. Tommaso d’Aquino».

San Pio X con la promulgazione del Motu proprio “Doctoris Angelici” del 29 giugno del 1914, imponeva come testo scolastico la Summa Theologiae di San Tommaso alle facoltà teologiche, sotto pena d’invalidarne i gradi accademici. Papa Sarto richiamava l’obbligo di insegnare i princìpi fondamentali e le tesi più salienti del tomismo (“principia et pronuntiata majora”) (7) e a tal fine incaricò nell’inverno del 1914 il padre gesuita Guido Mattiussi di “precisare il pensiero di S. Tommaso sulle questioni più gravi in materia filosofica, e di condensarle in pochi enunciati chiari ed inequivocabili” (8). Nell’estate del 1914 il card. Lorenzelli, Prefetto della ‘S. Congregazione degli Studi’, presentò le XXIV Tesi compilate da Mattiussi a San Pio X, che le approvò il 27 luglio del 1914 (9).

Il 7 marzo 1916 la ‘S. Congregazione degli Studi’ a nome del papa Benedetto XV stabilì che “Tutte le XXIV Tesi filosofiche esprimono la genuina dottrina di San Tommaso e sono proposte come sicure (tutae) norme direttive” (10).

Successivamente il Magistero ecclesiastico, sempre con papa Benedetto XV, il 7 marzo 1917, decise che «le XXIV Tesi dovevano essere proposte come regole sicure di direzione intellettuale. […] Nel 1917 il ‘CIC’ nel canone 1366 § 2 diceva: “Il metodo, i princìpi e la dottrina di S. Tommaso devono esser seguiti santamente o con rispetto religioso”. Tra le fonti indicate il ‘Codice’ addita il ‘Decreto di approvazione delle XXIV Tesi’» (11).

Sempre papa Giacomo Della Chiesa nell’Enciclica Fausto appetente die (29 giugno 1921) insegnava: «La Chiesa ha stabilito che la dottrina di S. Tommaso è anche la sua propria dottrina (“Thomae doctrinam Ecclesia suam propriam esse edixit”)» e Pio XI nell’enciclica Studiorum ducem (1923) ha ribadito l’insegnamento delle Encicliche di Leone XIII, S. Pio X e Benedetto XV per cui è certo che la dottrina della Chiesa è quella di S. Tommaso: “Ecclesia edixit doctrinam Thomae esse suam” (Benedetto XV, Fausto appetente die, 1921).

Papa Sarto nel Motu proprio “Sacrorum Antistitum” vuole che si studi la patristica e la teologia positiva, ma senza detrimento della filosofia scolastica, spregiata sommamente dai modernisti. Infatti il “ritorno alle fonti”, l’amore della sola patristica, cui viene contrapposta “l’arida scolastica”, sono l’arma dei modernisti per generare la confusione nelle menti del clero, che, senza una seria preparazione tomistica, non riesce a mettere ordine nella bella e vasta, ma non sistematizzata materia della patristica.
San Tommaso è colui che ha ricondotto ad una sintesi organica e precisa l’elaborazione dottrinale, ancora in stato di fermentazione, della patristica ed ha portato all’apice della massima perfezione la teologia sistematica basandosi e perfezionando la patristica. In breve la teologia nata con la patristica raggiunge i sommi vertici della speculazione filosofico/teologica specialmente con San Tommaso d’Aquino.

Allontanare gli insegnanti modernisti

San Pio X ordina di allontanare senza alcun riguardo i direttori e gli insegnanti dei seminari e delle università pontificie imbevuti di modernismo. Con il suo buon senso papa Sarto ricorda che non si può insegnare la verità senza condannare l’errore ed anche l’errante senza il quale non esisterebbero errori. Infatti “Actiones sunt suppositorum / le azioni sono prodotte dalle persone”, per cui se si condannano solo gli errori, ma non gli erranti, si lasciano sopravvivere gli errori e ciò equivarrebbe a combattere il furto senza arrestare i ladri.

In avvenire non sia conferita, continua il Papa, la laurea in teologia e in diritto canonico a chi non avrà prima compiuto il corso di filosofia scolastica (12). San Pio X dà moltissima importanza allo studio della filosofia sistematica tomistica. Purtroppo, spesso, nei seminari si è data poca importanza alla filosofia sistematica e, quindi, alle prime obiezioni e contestazioni dei modernisti non si è saputo rispondere con precisione e con cognizione di causa andando al perché della questione. Infatti solo la conoscenza della filosofia scolastica ci fa capire il perché delle soluzioni teologiche e se manca la base filosofica non sussiste la vera teologia. Inoltre si tenga presente che ogni errore teologico, politico, economico ha una radice filosofica.

I “libri proibiti”

I vescovi, ricorda il Motu proprio,  hanno il dovere di impedire che siano letti o pubblicati gli scritti dei modernisti o che odorano di modernismo: “Infatti essi non sono meno dannosi dei libri pornografici; anzi sono ancora peggiori, perché viziano le radici stesse della vita cristiana” (13).

Spessissimo il vizio morale ha come fonte una deviazione dottrinale: si vive come si pensa. L’Aquinate (II Sent., dist. 39, q. 3, a. 2, ad 5) insegna che la radice dell’errore è la cattiva volontà, la quale spinge l’intelletto ad aderire a ciò che fa comodo e non a ciò che è vero.

Vi sono pure uomini di non cattive intenzioni, che, digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede. “Il buon nome e la buona fama degli autori fa sì che le loro pubblicazioni siano lette senza alcun timore; quindi sono più pericolosi perché a poco a poco portano al modernismo” (14).

Il Papa ricorda che la filosofia moderna è inconciliabile con la fede e la retta ragione poiché fa dipendere la realtà dal pensiero soggettivo dell’uomo. La filosofia moderna è iniziata con Cartesio e il suo Cogito ergo sum ed ha proseguito il suo corso con Kant ed Hegel, ossia con l’idealismo totalmente soggettivista e relativista.

L’Imprimatur

Per la pubblicazione i libri debbono prima essere esaminati da un censore, che darà per primo la sua sentenza. Se questa sarà favorevole il vescovo concederà la facoltà di stampa o l’Imprimatur, la quale sarà preceduta dalla formula Nihil obstat e dal nome del censore (15).

Un cattivo libro può rovinare le menti e i cuori, mentre un libro buono può aiutare a conoscere il vero e ad amare il bene.

Fatti concreti

Il Papa viene al sodo e si domanda senza giri di parole: “a che cosa gioveranno questi Nostri comandi se non verranno osservati a dovere e con fermezza?” (16).

In breve “fatti e non parole”, come insegna Sant’Ignazio da Loyola nell’aureo libro dei suoi Esercizi spirituali. Non basta condannare il modernismo a parole, ma bisogna prendere misure pratiche contro i modernisti.

Pietà e dottrina

Per la buona formazione del clero papa Sarto ricorda che sono assolutamente necessarie due cose: la dottrina e la virtù. Se il giovane seminarista manca di queste due disposizioni, dopo un anno di prova deve essere rinviato e non più ripreso in nessun altro seminario. Occorre che il seminarista abbia vita innocente assieme alla integrità di dottrina, la quale deve essere superiore alla media perché occorre lottare contro i modernisti che sono nemici per nulla sprovveduti, i quali associano alla raffinatezza degli studi una scienza intessuta di inganni. Quindi i buoni sacerdoti debbono essere forniti di armi efficaci (17).

Doctus cum pietate et pius cum doctrina / dotto con pietà e pio con dottrina” è il motto degli scolastici: la sola dottrina senza pietà gonfia di orgoglio e la sola pietà senza dottrina è cieca e non sa rispondere alle obiezioni dei novatori.

Segue il giuramento antimodernista che i chierici debbono prestare a partire dal suddiaconato e che rappresenta un compendio della dottrina cattolica e degli errori modernisti in esso condannati.
Lo esponiamo qui per sommi capi con un nostro commento.

Il giuramento antimodernista

1°) Accetto le verità dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa.

È interessante che  San Pio X abbia fatto dichiarare espressamente di accettare  le “verità definite dal magistero infallibile”. Infatti il magistero pontificio autentico ma non infallibile o il magistero puramente pastorale possono eccezionalmente contenere degli errori, ai quali non si può e non si deve obbedire sotto pretesto di sottomissione al magistero. Oggi con il pretesto che il Concilio Vaticano II è magistero (18) si vorrebbe obbligare i fedeli ad obbedire a certi suoi insegnamenti pastorali non infallibili (19), i quali sono in rottura con la Tradizione apostolica della Chiesa e col magistero infallibile che hanno definito ed obbligato a credere o hanno ripetuto costantemente per un lungo periodo di tempo la medesima verità.

Il Papa è infallibile se parla, come Pastore supremo, alla Chiesa universale, definisce ed obbliga a credere o anche se ripete una Verità di Fede o di Morale costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa.

Pio IX nella sua lettera Tuas libenter del 1863 al vescovo di Monaco aggiunge che l’assenso di fede divina non va limitato solo alle cose definite dai Papi o dai Concili ecumenici, ma va esteso anche a quelle che “dal magistero ordinario della Chiesa universale sparsa nel mondo sono proposte come divinamente rivelate e che sono ritenute pertinenti alla fede dal consenso universale e costante dei teologi cattolici”.

Si badi, però, che se il magistero pontificio ordinario può definire infallibilmente un dogma formale, non significa che sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna, oppure se la verità insegnata in maniera non solenne è stata costantemente ritenuta nella Chiesa (“quod semper, ubique, ab omnibus creditum est”, S. Vincenzo da Lerino).

Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro magistero ‘in modo ordinario e universale’, oppure esercitino il loro magistero ‘in modo solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio» (20). Ossia per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale o sostanziale è la volontà di definire ed obbligare a credere una verità di Fede e Morale.

L’infallibilità presuppone, dunque, da parte del magistero la volontà di obbligare a credere come dogma una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il magistero è la regola prossima della fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la regola remota.

L’esistenza di Dio è dimostrabile con certezza

2°) Professo anzitutto che l’esistenza di Dio può essere conosciuta con certezza e perciò dimostrata col lume naturale della ragione. Inoltre ammetto e riconosco gli argomenti esterni della Rivelazione, anzitutto i miracoli e le profezie come segni certissimi dell’origine divina della Religione cristiana e li ritengo consoni all’intelligenza di tutti i tempi e di tutti gli uomini, anche di questo tempo.

Il Concilio Vaticano I (sess. III, can. 2, DB 1806)  ha definito come dogma  che l’esistenza di Dio si può dimostrare con certezza con la ragione umana a partire dai  suoi effetti (le creature) risalendo alla Causa prima incausata (Creatore). Tale verità la si trova nella S. Scrittura: Sapienza, XIII, 1-5 e I Rom., I, 20. San Tommaso d’Aquino (S. Th., I, q. 2, a. 3) con cinque prove ha dimostrato meglio di tutti i Padri e gli scolastici l’esistenza di Dio a partire dalle creature e risalendo al Creatore. Il Vaticano I ha fatto sua la dimostrazione dell’Angelico.

La Chiesa fondata da Cristo

3°) Credo che la Chiesa è stata fondata direttamente da Cristo stesso (Mt., IV, 18; Mc., III, 14; Mt., XVIII, 17; Gv., XX, 23) e che fu edificata sopra Pietro (Mt., XVI, 18-19), capo della gerarchia apostolica, e sopra i suoi successori nel tempo.

Cristo, e non le prime comunità dei cristiani, ha fondato la Chiesa. Egli l’ha fondata su Pietro che ne è il capo visibile e il Suo vicario (Mt., XVI, 18-19) e che, come tale, non ha su questa terra nessun potere superiore essendo il suo potere limitato solo da quello di Dio. Per esempio il Papa non può abrogare i 10 Comandamenti o un dogma di fede rivelata e definita. Pietro è il capo della gerarchia ossia dei Vescovi che ricevono la loro giurisdizione tramite il Papa e non direttamente da Dio come, invece, la riceve il Papa. I Papi sono i successori di Pietro sino alla fine del tempo o del mondo.

La Tradizione apostolica

4°) Accetto la fede trasmessa sino a noi dagli Apostoli attraverso i Padri della Chiesa; quindi respingo l’eretica teoria dell’evoluzione del dogma da un significato ad un altro, diverso da quello che ricevette inizialmente la Chiesa.

La fede è stata rivelata da Cristo agli Apostoli e tramandata (Tradizione) da questi ai Padri ecclesiastici. Le fonti della Rivelazione sono due: la Tradizione e la S. Scrittura. La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione attiva e soggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva) della Parola divinamente rivelata. Il magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione, mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di fede, gli scritti dei Padri, la liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri e i monumenti archeologici.

I modernisti snaturano il concetto del dogma e ne fanno un simbolo del sentimento religioso in perenne sviluppo, e quindi in evoluzione intrinseca e sostanziale. Esso quindi cambia in sé essenzialmente o assolutamente, passando da un significato ad un altro totalmente diverso (21).

San Pio X (Pascendi, 2026; Lamentabili, DB 2079) e Pio XII (Humani generis, EB, 564/565) hanno precisato che il dogma non può subire mutamenti intrinseci, eterogenei e sostanziali, ma può soltanto essere conosciuto ed espresso  meglio dai teologi e dai fedeli sotto la direzione del magistero; vi è quindi solo una evoluzione estrinseca del dogma: “Cresca la penetrazione, la conoscenza dei singoli ma solo nello stesso senso e nello stesso contenuto” (S. Vincenzo da Lerino). Il dogma, pur essendo vero e sostanzialmente immutabile, non può esprimere tutte le ricchezze della Rivelazione. Quindi è perfettibile, ossia può essere conosciuto ed espresso meglio, ma la verità resta la stessa.
La definizione dogmatica è la dichiarazione della Chiesa su una verità rivelata proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli.

Il sentimento religioso

5°) La fede non è un cieco sentimento religioso che erompe dal profondo del subcosciente, ma è una adesione dell’intelletto, mosso dalla volontà e dalla grazia attuale, ad una verità soprannaturalmente rivelata da un Dio personale e trascendente.

Il modernismo ascetico (22) riduce la religione a sentimento soggettivo erompente dalla subcoscienza, sprofondando così sempre più nell’immanentismo e spalancando le porte alla psicoanalisi freudiana. Infatti il modernismo non si ferma alla pura conoscenza sensibile, ma va oltre parlando di subconscio che confina con il subliminale e addirittura con il preternaturale.

Il caposcuola della subcoscienza come radice del sentimento religioso è Frederic William Henry Myers (1843 - 1901), un parapsicologo che studiò il paranormale, l’occulto, la metapsichica, la telepatia e soprattutto la magia. Il suo “capolavoro” è il libro pubblicato postumo in due volumi  Human Personality and its survival of bodily death, (London, Longmans, 1903). Il filosofo pragmatista statunitense William James è stato un grande estimatore di Myers e di questo suo libro, che ha esercitato un notevole influsso sul pragmatismo e l’americanismo modernista (23). Myers ha studiato l’io subliminale e il subconscio (24) dal quale emanerebbe il sentimento o l’esperienza religiosa.

Come si vede, le radici del modernismo americanista classico e del neo-modernismo sono addirittura infere. Anche Antonio Fogazzaro come Myers «fu tra i primi in Europa ad interessarsi della psiche umana e dei fenomeni legati alla vita dello spirito [o meglio dello spiritismo], aprendo la strada a Bergson, a Freud e alla cosiddetta letteratura dell’interiorità […] allo scandagliamento delle profondità più oscure […] dell’anima» (25).

La vera esegesi si fonda sui Padri ecclesiastici

Ancora

5°) Respingo il metodo di interpretare la S. Scrittura, che accetta i testi critici come unica e suprema regola trascurando la Tradizione della Chiesa.

Monsignor Pier Carlo Landucci in Miti e realtà (Roma, ed. La Roccia, 1968) commentando la Divino afflante Spiritu di PIO XII lamentava che «i Padri, vengono sempre meno considerati nella moderna esegesi, o perché – si dice – raramente unanimi, o perché non hanno voluto affrontare il problema critico-dogmatico, o perché non intendono farsi eco del pensiero propriamente della Chiesa. Generalizzando troppo, però, questi concetti, si può snervare praticamente il principio del Magistero della Chiesa nell’interpretazione biblica. Per rispettare questo principio […] bisogna tener conto delle sue preferenze […], di cui i Padri costituiscono un’eco particolare e qualificata. Più che guardare se i Padri intendevano esprimere il pensiero della Chiesa, si deve guardare se la Chiesa ha riconosciuto nei Padri se stessa. È la Chiesa che ha riconosciuto nei Padri i suoi figli particolarmente santi e illuminati e fedeli, il che costituisce il titolo della loro autorità, che in certi casi è decisiva. Non è giusto passare senz’altro dal caso della loro autorità decisiva alla noncuranza, quando manchino alcune condizioni. Vi è qualcosa di analogo in questo […] con l’obbedienza dottrinale alla Chiesa, che è proporzionatamente doverosa anche negli insegnamenti non strettamente infallibili» (pp. 189-190). Il consenso unanime dei Padri dai teologi è equiparato al magistero ecclesiastico anche non strettamente infallibile; ad esempio Pietro Parente, (Theologia fundamentalis, Roma-Torino, Marietti, 1946, p. 215) equipara i Padri come Testimoni e Dottori al Magistero ordinario.

Mons. Antonino Romeo aggiunge che la Chiesa con papa Leone XIII (Enciclica Providentissimus, 18 novembre 1893), Benedetto XV (Spiritus Paraclitus, 15 settembre 1920) e Pio XII (Divino afflante Spiritu, 30 settembre 1943) ha formalmente disapprovato e condannato la teoria secondo la quale basterebbe studiare i soli ‘caratteri interni’ di un Libro ispirato, prescindendo dalla Tradizione, per poterne capire il significato, o anche la semplice preferenza accordata ai ‘criteri interni’ rispetto alla Tradizione patristica; ciò è «incompatibile con la Fede cattolica, poiché il consenso dei Padri richiede un'adesione di Fede» (26).
Secondo Leone XIII, Benedetto XV e Pio XII nelle tre Encicliche succitate, che sono fondamentali riguardo agli studi biblici, le quali vanno lette tutte e tre assieme e ciascuna interamente, senza staccare una frase dal contesto e interpretarla in maniera contraria al pensiero dei Pontefici, si può utilizzare anche lo strumento dei ‘criteri interni’, ossia l’apporto filologico nello studio del Libro sacro, ma subordinatamente e secondariamente all’interpretazione della Tradizione (ossia dei Padri), però non è mai lecito dare la precedenza alla filologia, o addirittura contraddire l’interpretazione unanime dei Padri basandosi sui ‘criteri interni’. Ciò equivarrebbe a preferire un commento esclusivamente umano-scientifico alla Tradizione divina, quod repugnat sia perché si contraddirebbe una verità di Fede, sia per il buon senso, il quale ci dice che il divino è superiore all’umano.

Mons. Francesco Spadafora ricorda che San Pio X ha ribadito tale condanna della ‘critica interna’ nei suoi ‘Motu proprio’ Praestantia Scripturae Sacrae, Sacrorum Antistitum e nell’Enciclica Pascendi. In particolar modo Pio XII nell’Enciclica Divino afflante Spiritu (30 settembre 1943) ribadisce la dottrina di Leone XIII e di Benedetto XV, raccomandando l’interpretazione «data dai santi Padri» (EB, 551). La stessa cosa insegna in Humani Generis (12 agosto 1950, EB, 564/ 565). Il compito dell’esegeta cattolico è quello di «assicurarsi se c’è un senso già dato con morale unanimità dei Padri» e quindi di seguirlo. Si può ricorrere anche all’aiuto della filologia e dei ‘criteri interni’, per approfondire l’insegnamento patristico, ma non è mai lecito contraddire i Padri unanimemente concordi e neppure invertire i ruoli, dando la preminenza alla filologia e ai ‘criteri interni’ sul consenso unanime dei Padri (27).

Il panteismo modernista

Ancora

5°) Infine respingo l’errore modernista il quale ritiene che nella Tradizione non vi sia nulla di divino; oppure fa confluire il sentimento del divino nel panteismo.

Infatti “ogni specie di panteismo porta in seno una contraddizione insanabile, che dà nell’assurdo: l’identificazione dell’Infinito col finito. […]. Identificare questi due esseri è assurdo” (P. Parente, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, 4a ed., 1957, p. 299).

San Tommaso d’Aquino nel Commento alle Sentenze (I, d. 8, q. 1, a. 2) si pone la questione “se Dio sia l’essere di tutte le cose” e risponde che “Dio è l’essere di tutte le cose non essenzialmente ma causativamente”. Ossia Dio non è coessenziale al mondo, ma ne è la causa efficiente e realmente distinta. Poi lo dimostra, distinguendo tre tipi di causalità efficiente: a) causa univoca: causa ed effetto sono identiche o della stessa specie (padre e figlio); b) causa equivoca: non vi è nessuna identità reale ma solo una certa vaga somiglianza qualitativa nominale (il sole che scalda e le pietre scaldate si somigliano quanto alla qualità del calore, ma non sono della stessa specie); c) causa analoga: vi è una certa somiglianza tra causa ed effetto (quanto al fatto di esistere) mista ad una dissomiglianza (sostanziale) più marcata; per esempio tra Dio e l’uomo, vi è una certa somiglianza relativa quanto al fatto che esistono, ma sono sostanzialmente diversi poiché Dio è ‘a Se’ (cioè sussiste indipendentemente da altro), le creature ‘ab Alio’ (cioè sussistono in virtù di un Altro, che è Dio). Da ciò risulta che Dio produce l’essere del mondo secondo una debole ed imperfetta somiglianza in rapporto alla sostanziale diversità tra loro due. Quindi “l’Essere divino produce l’essere del mondo in quanto dall’Essere infinito procede o è causato efficientemente l’essere di tutte le creature” (I Sent., d. 8, q. 1, a. 2).

Nella Summa contra Gentiles (Lib. III, cap. 68) l’Angelico precisa che Dio è onnipresente, ma “non si trova mescolato al mondo: Egli non è né forma né tanto meno materia di alcuna cosa, ma si trova nelle sue creature come causa agente efficiente”.

L’Aquinate elimina così anche ogni possibile equivoco panteistico, distinguendo presenza, inerenza o immanenza da immanentismo: Dio non solo è l’“Ens a Se”, ma è anche “Ens a quo omnia alia”.

La sacra predicazione

San Pio X nel Motu proprio prosegue insegnando che se i risultati della sacra predicazione non sono fruttuosi lo si deve spesso alla “vanagloria degli oratori, che devono esser muniti non solo di eloquenza, ma anche di pietà e di buona condotta di vita nonché di solida dottrina, in particolare di dottrina sacra: “nemo dat quod non habet/ nessuno dà quel che non ha” (28).

Prédichino non se stessi, ma il Vangelo e Cristo crocifisso, la dottrina e la morale. Qui il Papa riporta, tradotto in italiano, il documento emanato, per ordine di Leone XIII dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari il 31 luglio 1894, di cui diamo alcuni passi di scottante attualità.

Vi si mette in guardia dai predicatori che “ostentano la parola umana piuttosto che quella divina e in particolare da quelli che esaltano soltanto la carità di Cristo Salvatore, ma non parlano della Sua giustizia. Scarsi frutti derivano da codesta predicazione, udita la quale l’uomo di mondo si convince di poter essere cristiano anche senza mutare condotta morale, purché dica: Credo in Gesù Cristo”, e si cita San Girolamo: “Quando predichi non suscitare gli applausi, ma i lamenti del popolo e le lacrime degli ascoltatori” (Ad Nepotian.), altrimenti si ottiene l’ammirazione ma non la conversione.

Parole quest’ultime attualissime, che ci fanno capire la gravità del morbo modernista nella sua odierna estensione, profondità e bassezza…

Conclusione

San Pio X conclude così, il suo Giuramento antimodernista:

«Perciò conservo la fede dei Padri […] con riferimento al “certo carisma della verità” che risiede ora e sempre “nella successione dell’Episcopato trasmesso dagli Apostoli”; non una fede che può sembrare migliore e più adatta in rapporto alla cultura di ciascuna età, ma tale per cui “mai ad altro si creda, mai altro si comprenda” se non la immutabile e assoluta verità predicata dagli Apostoli fin dalle origini».

Gli stessi concetti ripete con maggior forza nella conclusione del Motu proprio: «Indotti dalla gravità del male ogni giorno crescente ed al quale non si può tardare ad opporsi senza un estremo danno, Noi abbiamo ritenuto opportuno prescrivere o ricordare queste norme, con l’obbligo che vengano religiosamente osservate. Infatti, ora non si tratta di lottare, come all’inizio, con dei contraddittori che si presentano in veste di agnelli, ma con amici aperti e dichiarati, e per giunta domestici, i quali, stretta alleanza con acerrimi nemici della Chiesa, si propongono la distruzione della fede. Essi infatti sono persone la cui audacia insorge ogni giorno contro la sapienza che viene dal cielo e che essi si arrogano il diritto di correggere, come se fosse corrotta; di rinnovarla come se fosse consumata dal tempo; di ingrandirla ed adattarla ai gusti, ai progressi, ai comodi del secolo, come se essa fosse contraria non alla leggerezza dei pochi, ma al bene della società».

Il punto più grave e angosciante del neo-modernismo conciliare e post-conciliare è quello di aver invaso il vertice della Chiesa e di aver reso vago se non il concetto almeno l’esercizio del magistero, di modo che, essendo oramai nella maggior parte dei documenti soltanto “pastorale” o addirittura non più magistero pastorale, ma semplice “esortazione” (29) (‘approssimativo’ e ‘simbolico’, come dicevano i modernisti), lascia il fedele nell’incertezza e, data la sua oggettiva non corrispondenza col magistero tradizionale dogmatico e definitivo, lo mette in condizione di dover paragonare i due insegnamenti e di correre il rischio di scivolare in un soggettivismo in cui è il singolo a giudicare se si trova in accordo coll’autorità esterna.
Tale confusione creata ad arte, vero “cavallo di Troia nella Chiesa di Dio”, è riuscita a mettere anche i cattolici anti-modernisti “l’un contro l’altro armati” quanto alle motivazioni della loro resistenza comune al neo-modernismo, il quale così “dividit et imperat”. Se si riuscisse a mantenere una certa obiettività in campo anti-modernista ammettendo una lecita diversità accidentale di motivi o interpretazioni nell’unione sostanziale di resistenza al neo-modernismo, si eviterebbe la frantumazione dell’atomo, ma sperare che in “questo tsunami limaccioso” dell’epoca post-conciliare si mantenga lucidità, obiettività e ci si veda chiaro è una chimera.
Una macchia nera, in una notte nera, su una pietra nera Dio la vede, il prete no.

S. Pio X non definì il modernismo come una eresia ma come “compendio di tutte le eresie”; lo si può qualificare, dunque, come l’eresia essenziale, in quanto capovolge e nega la garanzia stessa dell’ ortodossia, cioè il supremo magistero.

Il “colpo da maestro di satana” è stato quello di aver insegnato in maniera talmente approssimativa, simbolica, “pastorale”, che ha confuso le idee anche a chi ha cercato di non soccombere all’antropolatria o culto dell’uomo, che dal 1959 ha invaso l’ambiente cattolico ed ha portato confusione e tenebre dappertutto.
Solo Dio nella sua Onniscienza ed Onnipotenza può mettervi riparo. Noi poveri uomini non possiamo che continuare a credere a quello che è stato sempre insegnato prima di tale periodo di confusione (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III) e di continuare a fare ciò che i cristiani hanno sempre fatto. Pretendere di risolvere noi, con una teoria o un’altra, tale ‘mysteriun iniquitatis’ è antropolatria narcisistica.

Thomas



NOTE

1 - U. Bellocchi (a cura di), Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, Città del Vaticano, LEV, vol. VII, Pio X, 1999, p. 425.
2 - Ivi.
3 - Ivi.
4 - Ivi.
5 - Ivi.
6 - R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 411.
7 - Acta Apostolicae Sedis, 1914, p. 338.
8 - Tito Sante Centi, Introduzione generale alla Somma Teologica, Firenze, Salani, 1949, vol. I, Le XXIV Tesi, p. 269.
9 - Cfr. C. Nitoglia, Le XXIV Tesi del Tomismo, Proceno (VT), FDF, 2015
10 - AAS, 1916, p. 157.
11 - R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 400.
12 - U. Bellocchi (a cura di), Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, Città del Vaticano, LEV, vol. VII, Pio X, 1999, p. 425.
13 - Ivi.
14 - Ivi., p. 428.
15 - Ivi., p. 429.
16 - Ivi., p. 430.
17 - Ivi., p. 433.
18 - Cfr.Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; ID., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; ID., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; ID., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; ID., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.
19 - «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale» (card. J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988).
20 - A. Lang, Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
21 - Aristotele, circa 300 anni prima di Cristo, scriveva a proposito di coloro che negano l’evidenza: “Eraclito dice di negare il principio di non contraddizione, ma allora perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b). Onde “lo scettico coerente dovrebbe chiudersi nel mutismo assoluto, perché parlare vuol dire avere ed esprimere certezze. Quindi Cratilo finì col tacere e muoveva solamente il dito” (Aristotele, Metafisica, IV, 5, 1010 a). In breve ogni uomo fuori della discussione filosofica è immancabilmente realista e per l’idealista nell’atto di filosofare vale sempre ciò che scriveva Aristotele riguardo ai sofisti del suo tempo: “non si crede a tutto ciò che si dice” (Metafisica, IV, 3, 1005 b). Infatti lo scettico Pirrone “per coerenza si sforzava di non badare ai precipizi, ma, assalito da un cane, si impaurì, ben distinguendo un cane da un agnello” (Diogene Laerzio, Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, IX, 2). Poi Aristotele concludeva: “È ridicolo andare in cerca di ragioni contro chi, rifiutando il valore della ragione, non vuol ragionare” (Aristotele, Metafisica, IV, 4).
22 - Cfr. Leone XIII, Lettera Testem benevolentiae del 1895.
23 - Cfr. W. James, Frederic Myers’s Service to Psychology, in The Works of Williams James: Essays in Psychical Research, Harvard University Press, 1986; Id., Etudes et réflections d’un psychiste, Parigi, 1924.
24 - F. W. H. Myers,  Human Personality and its survival of bodily death, London, Longmans, 1903, 2 voll.; cfr. C. Fabro, voce Subconscio, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. XI, 1953, coll. 1458-1459; cfr. P. Parente, voce Subcoscienza, in Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 400-401; Id., L’Io di Cristo, Brescia, Queriniana, 1955; F. Roberti – P. Palazzini, voce Metapsichica, in Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, 2° vol., pp. 1141-1143.; Id., voce Subcoscienza, ibid., pp. 1627-1628; Id., voce Spiritismo, ibid., pp. 1593-1594.
25 - G. Sale, La Civiltà Cattolica, 2 aprile 2001, Antonio Fogazzaro.Un cattolico liberale e modernista, p. 9.
26 - J. de Monléon, Commentaire sur le prophète Jonas, 2a ed., Québec, Scivias, 2000, p. 28. Di tale libro si legga Préface au livre de Jonas ou critique de la Critique, pp. 5-22 e Postface sur les critères internes, pp. 83-119.
27 - Cfr. A. Romeo, L’enciclica ‘Divino afflante Spiritu’ e le ‘Opiniones Novae’, in “Divinitas”, III, 1960, p. 387 ss. ; F. Spadafora, La “Nuova Esegesi”. Il trionfo del modernismo sull’Esegesi Cattolica, Sion, (Svizzera), Editions Les Amis de Saint François de Sales, 1996, pp. 231, 233 e 234.
28 - Bellocchi (a cura di), Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, Città del Vaticano, LEV, vol. VII, Pio X, 1999, p. 436.
29 - Si veda l’Esortazione apostolica di Francesco I, Amoris letitia del 19 marzo  2016.




settembre 2016

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