Francesco eretico?

di Don Jean-Michel Gleize, sacerdote della Fraternità San Pio X, 
professore di ecclesiologia al Seminario Internazionale San Pio X di Écône



Pubblicato su Courrier de Rome n° 595, gennaio 2017
Da noi ripreso dal sito francese della Fraternità La Porte Latine





1. Trattare il proprio avversario da “eretico” poteva essere accettabile in un certo contesto ecclesiale ormai superato. Più precisamente, gli uomini di Chiesa, fossero o no teologi, hanno conosciuto anch’essi il loro repertorio di ingiurie. L’invettiva è di tutti tempi e di tutte le professioni. Se ne trovano buone tracce già nel Vangelo, fin sulla bocca del Verbo Incarnato. Se ne può rimpiangere la rarefazione, a partire dall’ultimo concilio, e deplorare il tono confortevole e mielato che regna ormai nei dialoghi interconfessionali.
L’uso dell’ingiuria dovrebbe rimanere legittima, ma a condizione che non se ne fraintenda la portata, che sarà sempre limitata. Molto spesso, essa perde infatti il suo valore originario e rappresenta solo l’estrema risorsa di coloro che non hanno più argomenti e vogliono solo evitare di perdere la faccia. E non parliamo della demonizzazione, che è una forma di manipolazione in grande scala. In breve, saremmo in piena retorica e, se si vuole, al di fuori del terreno propriamente teologico. La retorica può eventualmente servire di sostegno alla teologia, ed è proprio su questo che si fonda la sua legittimità, ma non può rimpiazzarla e ancor meno mascherarne la vacuità.

2. Cosa diversa è la censura dottrinale: questa è un’espressione tecnica e fa parte di quelle a cui ricorrono gli specialisti per dare una valutazione per quanto possibile precisa.
La qualificazione di “eretico” corrisponde a questo linguaggio di precisione che usa il teologo; essa si applica in questo senso ad una persona i cui fatti e detti manifestano a sufficienza un rifiuto o una messa in dubbio di quanto proposto da un dato rivelato, espresso dal Magistero infallibile della Chiesa. Essa si applica anche, di conseguenza o per estensione, ad una proposizione che è in accertata contraddizione col dogma.

3. Applicare questo genere di qualificativo ad una persona o ad una proposizione, implica dunque che si sia preventivamente verificato il rifiuto o la contraddizione in questione. Non si tratta solo di sapere se vi è o no un rifiuto o una contraddizione, si tratta anche di verificare se questo rifiuto o questa contraddizione riguardano precisamente un dogma, cioè una verità, non solo rivelata, ma anche proposta come tale da un atto infallibile del Magistero ecclesiastico.
Questo per dire della complessità di ciò che sta dietro il termine “eretico”.

4. La domanda che qui ci poniamo è estremamente precisa: Papa Francesco merita tale qualificazione alla luce della semplice teologia, come essa può farlo in ragione delle sue competenze reali e riconosciute, chiunque sia il membro della Chiesa che l’insegna? Ed egli, la merita a causa di ciò che afferma nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia?
Quarantacinque teologi hanno creduto di poterlo affermare. Quattro cardinali lasciano chiaramente intendere che, in mancanza di una risposta soddisfacente ai loro dubia, il Sommo Pontefice potrebbe meritare l’attribuzione di una tale censura.
Che dire? Gettiamo semplicemente un colpo d’occhio sui cinque dubia presentati dai quattro cardinali e sui passi corrispondenti di Amoris laetitia, quelli il cui significato è oggetto del dubbio.
Per farla breve e per essere quanto più chiari è possibile, noi formuleremo l’idea sostanziale di ogni dubbio.

5. Il primo dubbio pone la domanda a proposito dei §§ 300-305 di Amoris laetitia: è possibile dare l’assoluzione e la comunione sacramentale a delle persone divorziate e risposate che vivono nell’adulterio impenitente?
Per quanto attiene alla dottrina cattolica, la risposta è no.
Che dice precisamente Amoris laetitia? Il passo seguente del n° 305 dice così:
«A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa
[Si legge in nota: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, “ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 44). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (ibid., 47)»].

Qui il dubbio sorge con la nota. E’ fuori dubbio che l’ignoranza non colpevole del peccato scusa dal peccato. Ma a coloro che sono vittime di questa ignoranza e che quindi beneficiano di questa scusa, la Chiesa offre innanzi tutto l’aiuto della sua predicazione e dei suoi avvertimenti, la Chiesa comincia a mettere fine all’ignoranza, aprendo gli occhi degli ignoranti sulla realtà del loro peccato. L’aiuto dei sacramenti può venire solo in seguito e solo se i detti ignoranti ormai istruiti sulla gravità del loro stato, sono decisi a mettere in essere la loro conversione e ne hanno ciò che si chiama fermo proposito. In mancanza di questo, l’aiuto dei sacramenti sarebbe inoperante e rappresenterebbe anch’esso un’oggettiva situazione di peccato.
Qui abbiamo quindi a che fare con un dubbio nel senso stretto del termine, cioè con un passo suscettibile di dubbia interpretazione. E questo dubbio sorge proprio sull’espressione indecisa della nota: “in certi casi”. Per dissipare questo dubbio è indispensabile indicare chiaramente quali sono i casi in cui l’aiuto sacramentale della Chiesa si ritiene possibile, e dire che si tratta di situazioni sulle quali i peccatori sufficientemente informati sono già decisi a uscire dall’oggettiva situazione di peccato.

6. Il secondo dubbio pone la questione a proposito del § 304: esistono degli atti intrinsecamente malvagi da un punto di vista morale, che la legge riprova senza alcuna possibile eccezione?
Per chi si attiene alla dottrina cattolica, la risposta è .
Che dice precisamente Amoris laetitia? Il n° 304, citando la Somma teologica di San Tommaso d’Aquino (1a2ae, questione 94, articolo 4), insiste sull’applicazione della legge, piuttosto che sulla legge stessa, e mette in evidenza la parte che riguarda il giudizio di prudenza, il quale potrebbe esercitarsi solo caso per caso, in stretta dipendenza di circostanze uniche e singolari.
«È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma
Questo passo, propriamente parlando, non introduce un’ambivalenza; esso insiste solo troppo su una parte della verità (l’applicazione prudente della legge), al punto da lasciare nell’ombra l’altra parte della verità (il valore necessario della legge), che è importante quanto la prima. Il testo pecca dunque per omissione, generando così una cattiva lettura.

7. Il terzo dubbio pone la questione a proposito del § 301: si può dire che le persone che vivono abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio (come per esempio quello che vieta l’adulterio) sono in un’oggettiva situazione di peccato grave abituale?
La risposta cattolica è .
Amoris laetitia qui dice: «Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante
Qui ci sono due punti da mettere in evidenza. Il primo punto è che la frase citata pone per principio l’impossibilità di un’affermazione universale. Essa non nega la possibilità di dire che i pubblici peccatori siano privati della grazia, nega solo la possibilità di dire che i pubblici peccatori lo siano tutti. Simile negazione è sempre stata insegnata dalla Chiesa. Infatti, nel concreto degli atti umani esiste ciò che si chiamano cause (o condizionamenti) scusanti. In ragione di esse il peccatore può non essere moralmente responsabile dell’oggettiva situazione di peccato. Queste cause sono, non solo l’ignoranza, ma anche le carenze di tipo emozionale, affettivo o psichico, e il § 302 ne fornisce i dettagli appoggiandosi all’insegnamento del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992.
Tuttavia, questi motivi discolpanti (quand’anche fossero frequenti, cosa che resta da provare) discolpano la persona, ma non per questo fanno cessare la situazione oggettiva di peccato: il peccatore discolpato soggettivamente non cessa di trovarvisi oggettivamente.
E’ nell’omettere questa capitale distinzione che il passo di Amoris laetitia introduce anche qui il dubbio.

8. Il quarto dubbio pone la questione a proposito del § 302: si può ancora dire, dal punto di vista morale, che un atto già intrinsecamente malvagio in ragione del suo oggetto, non può mai divenire buono in ragione delle circostanze o dell’intenzione di colui che l’ha compiuto?
La risposta cattolica è .
Amoris laetitia dice: «un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta».
Questo è vero, ma il reciproco non lo è, ed è per omettere di dirlo che questo passo introduce ancora il dubbio.
Se un divorziato risposato pecca, egli pecca in quanto tale, precisamente perché vive nella situazione oggettiva di divorziato risposato, che è la situazione oggettiva di peccato grave, che come tale richiama un giudizio negativo.
Se il divorziato risposato non pecca, non è in quanto tale, ma proprio per altre ragioni diverse dalla sua situazione oggettiva di divorziato risposato, che porta da sé al peccato. Qui la confusione si verifica tra la malizia intrinsecamente malvagia di un atto e l’imputabilità di questa malizia a colui che commette l’atto. Le circostanze dell’atto e l’intenzione di colui che commette l’atto possono avere l’effetto di annullare l’imputabilità della malizia dell’atto, ma non di annullare la malizia dell’atto.
Questo quarto dubbio deriva dalla stessa omissione presente nel terzo.

9. Il quinto dubbio pone la questione a proposito del § 303: si può dire che la coscienza deve rimanere sempre sottomessa, senza alcuna possibile eccezione, alla legge morale assoluta che interdice gli atti intrinsecamente malvagi in ragione del loro oggetto?
La risposta cattolica è .
Amoris laetitia ripete qui la falsa confusione già introdotta da Francesco nella sua intervista con il giornalista Eugenio Scalfari (1). Nessuno può agire contro la sua coscienza, anche erronea. Tuttavia, dire che la coscienza, anche erronea, obbliga, significa direttamente che è male trasgredirla; ma questo non implica affatto che sia bene seguirla. Se la coscienza è nell’errore, perché non è conforme alla legge di Dio, basta non seguirla perché la volontà sia cattiva, ma non basta seguirla perché la volontà sia buona. San Tommaso (2) fa notare che la volontà di coloro che uccisero gli Apostoli era cattiva. Tuttavia essa si accordava con la loro ragione erronea, secondo quanto dice Nostro Signore nel Vangelo (Gv. 16, 2): «verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio». Questa è la prova che una volontà conforme ad una coscienza erronea può essere cattiva.
Ed è proprio questo che Amoris laetitia non precisa, introducendo qui un quinto dubbio.

10. I cinque dubbi quindi sono perfettamente fondati. La radice è sempre la stessa, e cioè la confusione tra il valore morale dell’atto, valore strettamente oggettivo, e la sua imputabilità a colui che lo compie, imputabilità strettamente soggettiva.
Anche se può accadere che la malizia morale non sia imputabile soggettivamente, perché la persona che compie l’atto ne è scusato (il che resta da verificare, per quanto possibile, in ciascun caso), l’atto corrisponde sempre e dovunque ad una malizia oggettiva e pertanto si trova all’origine di una oggettiva situazione di peccato, che sia di fatto imputabile o no a colui che vi si trova.
La dottrina tradizionale della Chiesa dà il primato a quest’ordine oggettivo della moralità dell’atto, che deriva dal suo oggetto e dal suo fine. Amoris laetitia, capovolgendo quest’ordine, introduce il soggettivismo nella morale.

11. Simile soggettivismo, preso sia nel suo principio sia nelle cinque conclusioni che ne derivano qui, rappresenta la negazione di una verità divinamente rivelata e proposta come tale da un atto infallibile del Magistero ecclesiastico?
Per poter concludere che Amoris laetitia presenta tante eresie quanti i punti segnalati e che Francesco merita la qualificazione teologica equivalente, bisognerebbe rispondere sì.

12. E per stabilire questa conclusione, bisognerebbe verificare due cose.
Primariamente: le cinque verità minate da questi cinque dubbi, sono altrettanti dogmi?
Secondariamente: Amoris laetitia rappresenta la negazione o quanto meno la messa in dubbio formale e sufficientemente esplicita di questi dogmi?
La risposta a questi due interrogativi è lungi dall’essere evidente e certa. Poiché la nuova teologia di Francesco, che prolunga quella del Vaticano II, evita questo genere di opposizione formale nei confronti delle verità già proposte infallibilmente dal Magistero anteriore al Vaticano II. Essa pecca il più sovente per omissione o per ambivalenza. Dunque è dubbia nella sua stessa sostanza. E lo è nella misura stessa in cui è modernista o più precisamente neo-modernista.
Il capitolo VIII di Amoris laetitia si definisce, come gli altri, per l’intenzione fondamentale assegnata dal Papa a tutto il testo dell’Esortazione e che è di raccogliere i «contributi dei due recenti Sinodi sulla famiglia, unendo altre considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale» (3). Vi si trova dunque né più né meno che materia di riflessione, dialogo o prassi; che non è certo materia di negazione aperta o di messa in dubbio. O piuttosto, se Amoris laetitia si rivela essere un fattore di eresia, questo si ha in maniera assolutamente unica, sorniona e subdola come lo stesso modernismo, e cioè attraverso una pratica e un’abitudine, piuttosto che nel quadro di un insegnamento formale.

L’eresia (se c’è) di Papa Francesco è quella di una sovversione pratica, di una rivoluzione nei fatti, e noi diremmo volentieri che si tratta di quello che finora è rimasto nascosto dietro il nuovo concetto di «Magistero pastorale».
Ora, in questo dominio, le censure dottrinali difficilmente hanno presa. Le censure stabiliscono infatti un rapporto di contrarietà logica tra una data proposizione e il dogma precedentemente definito; e questo rapporto può aver luogo solo tra due verità speculative derivanti da uno stesso ordine di conoscenza. Mentre invece la sovversione consiste nel suscitare nei cattolici dei comportamenti derivanti da princípi opposti alla dottrina della Chiesa.
E’ in questa ottica che Amoris laetitia, mentre riafferma il principio dell’indissolubilità del matrimonio (ai nn° 52-53, 62, 77, 86, 123, 178), legittima un modo di vivere nella Chiesa che deriva dal principio opposto a quello dell’indissolubilità (243, 298-299, 301-303): il Magistero neomodernista riafferma il principio cattolico del matrimonio mentre autorizza che in pratica tutto si svolga come se fosse vero il principio opposto. Come censurare una cosa così? La nota d’eresia (intesa nel senso stretto di una valutazione dottrinale) conserverebbe ancora il suo senso?

13. In materia di censure è difficile trovare l’espressione meglio appropriata e non è raro che i teologi divergano nelle loro valutazioni.
Senza voler affermare che le loro intuizioni siano false, né che le valutazioni contrarie alle loro siano vere, noi vorremmo attirare l’attenzione dei cattolici perplessi su una difficoltà di cui forse non sempre si tiene conto a sufficienza. La difficoltà di questo neomodernismo proprio del Vaticano II che procede molto più a modo di una sovversione nei fatti che di un’eresia dottrinale nei testi. La prova di questa difficoltà ci viene peraltro fornita, quasi suo malgrado, dal Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede. Interrogato sabato 7 gennaio da un canale italiano d’informazione, il cardinale Müller ha dichiarato che l’Esortazione apostolica Amoris laetitia «è molto chiara nella sua dottrina» e che la si può interpretare in maniera da ritrovarvi «tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in duemila anni di storia». Secondo lui, Papa Francesco «chiede di discernere la situazione di queste persone che vivono un’unione irregolare, e cioè che non rispettano la dottrina della Chiesa sul matrimonio, e chiede che si venga in aiuto di queste persone perché possano trovare una strada in vista di una nuova integrazione nella Chiesa».
In conseguenza di ciò, il cardinale ritiene che non sarebbe possibile procedere alla correzione fraterna richiamata dal cardinale Burke, visto che in Amoris laetitia non vi è «alcun pericolo per la fede» (4).

In realtà, il pericolo è ben reale e il cardinale Burke ha giustamente reagito nei confronti di questa dichiarazione del cardinale Müller, confermando la necessità di una correzione pontificia.
Il dibattito è dunque lungi dall’essere vano, ma non si perda di vista il suo oggetto: qui non si tratta dello scandalo di un’eresia formulata dottrinalmente, bensì di quello di una prassi che spiana la via alla rimessa in questione della verità cattolica sull’indissolubilità del matrimonio.

Per riprendere gli stessi termini di San Pio X: i sostenitori della nuova teologia morale procedono con una tale raffinata abilità da abusare facilmente degli spiriti male informati (5). Essi favoriscono l’eresia pur avendo l’aria di restare cattolici.
Favorire l’eresia: esattamente ciò che corrisponde alla nota teologica che Mons. Lefebvre ritenne di dover utilizzare per caratterizzare la nocività del Novus ordo Missae (6).
Fatto salvo qualunque altro miglior parere, noi vi ricorriamo volentieri per qualificare la difficoltà maggiore posta oggi dall’Esortazione apostolica Amoris laetitia alla coscienza dei cattolici.

NOTE

1 - Dialogo di Francesco con Eugenio Scalfari, pubblicato su La Repubblica il 1 ottobre 2013 - http://www.repubblica.it/cultura/2013/10/01/news/papa_francesco_
a_scalfari_cos_cambier_la_chiesa-67630792/?ref=HRER3-1

[NDT - lo stesso testo riportato su L’Osservatore Romano del 2 ottobre 2013 non è più reperibile su Internet]
2 - Summa theologica, 1a2æ, questione 19, articolo 6, Sed contra.

3 - Amoris laetitia, n° 4.
4 - L’intera dichiarazione è contenuta nell’intervista rilasciata dal Cardinale Müller a tgcom24 l’8 gennaio 2017 - http://stanzevaticane.tgcom24.it/2017/01/08/non-ci-sara-alcuna-correzione-
al-papa-sui-divorziati-risposati-intervista-al-card-muller/

5 - San Pio X, Enciclica Pascendi.

6 - «Mgr Lefebvre et le Saint-Office», in Itinéraires n° 233 del maggio 1979, p. 146-147.



febbraio 2017

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