L’INFALLIBILITÀ, L’UNITÀ E L’ANTICHITÀ DELLA SINAGOGA  E DELLA CHIESA

(1a parte)


di Albertus


Prima parte
Seconda parte


Pubblicato su SISI NONO, n° di agosto 2017



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Tenete a memoria che la solita parola che usa
il demonio quando vuole spingerci al male è: Oh! Non è niente!

San Giovanni Bosco


Albert Pigge contro l’errore ecclesiologico luterano

Nella situazione ecclesiale attuale è interessante studiare la figura del grande teologo del Cinquecento, l’olandese Albert Pigge detto il Pighius di Kampen (donde l’appellativo Campensis), che studiò a Lovanio attorno al 1490 ove ebbe come maestro il futuro papa Adriano VI, l’allora Florisz Boeyens di Utrecht. Egli fu nominato baccelliere e poi dottore in teologia a Colonia, infine seguì a Roma papa Adriano VI (1522-1523). Papa Paolo III nel 1535 lo nominò prevosto di S. Giovanni in Utrecht ove morì nel 1542.
Il Pighius ha scritto vari saggi, dei quali il più noto e il più interessante per i nostri giorni è il Hierarchiae Ecclesiaticae assertio (Colonia, 1538), che ebbe altre due edizioni nel 1558 e nel 1572 ( Cfr. E. Amann, in Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. XII, col. 2094-2014)

Il Pighius ha studiato l’eresia luterana dal punto di vista ecclesiologico dell’ autorità della Chiesa gerarchica e specialmente del Papa più che da quello dogmatico della giustificazione. Quindi nel suo Hierarchiae Ecclesiasticae assertio ha affrontato e approfondito in maniera molto ampia la questione del compito della Chiesa e del Romano Pontefice.


Inizio della Chiesa nel paradiso terrestre

La Chiesa, secondo il Pigge che riprende la teoria contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, è “una e universale o cattolica” poiché non limitata né dal tempo né dallo spazio. Essa inizia dall’origine del mondo e arriverà sino alla sua fine. Nell’Antica Alleanza essa ha avuto origine con Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, sviluppandosi progressivamente, ma omogeneamente, come un bambino che diventa uomo e rimane lo stesso quanto alla natura umana mentre cambia quanto agli accidenti (quantità, tempo, qualità, figura accidentale), sino a diventare la Chiesa della Nuova ed Eterna Alleanza a partire dalla morte di Cristo sino alla sua Parusia.

Il Nostro Autore prova la sua tesi a partire dalla S. Scrittura. Infatti nella 1a Epistola ai Corinzi (capitolo X, versetto 4)  San Paolo, divinamente ispirato, scrive: «[i nostri padri] tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una pietra spirituale che li accompagnava, e questa pietra era Cristo». Cosa significa esattamente questo versetto? Sembrerebbe che Gesù accompagnasse, già nel 1300 a. C., gli Ebrei nel deserto verso la Terra Santa. Ma come è possibile una cosa del genere, se Gesù – come uomo – non era ancora nato? Il Pighius scruta cosa rispondono i Padri ecclesiastici, che sono (nella Tradizione apostolica) gli interpreti autentici del significato o “spirito” della S. Scrittura perché “la lettera uccide, lo spirito invece vivifica” (2a Cor., III, 6)

Padri ecclesiastici

1)    S.Giovanni Crisostomo

Secondo il maggiore dei Padri greci, San Giovanni Crisostomo (345-407), nel capitolo X della 1a Epistola ai Corinzi nei versetti 1-6: «Non voglio che voi ignoriate, fratelli di Corinto, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati o immersi in Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una ‘pietra’ spirituale che li accompagnava, e questa ‘pietra’ era Cristo. Ma nella maggior parte di essi Dio non si compiacque; perciò furono atterrati nel deserto. Queste cose però erano figure di noialtri, perché non fossimo cùpidi di cose cattive, come costoro invece ne furono cupidi» (Commento alle Epistole di San Paolo, 1a Cor., X), l’Apostolo delle Genti insegna che i “padri” sono coloro che lasciarono l’Egitto attorno al 1300 a. C. guidati da Mosè e di cui tratta l’Esodo. Infatti Dio mediante la “nube” insegnava agli Ebrei il cammino da percorrere (Ex., XIII, 21), il “mare” (1a Cor., X, 2) è il  Mar Rosso (Ex., XIV, 22), il “cibo” e la “bevanda” sono la manna (Ex., XVI, 4-35) e l’acqua scaturita dalla ‘roccia’ colpita da Mosè (Ex., XVII, 6). Cibo e bevanda “spirituali” (1a Cor., X, 3-4), sia perché ottenute miracolosamente sia per il loro valore pre-figurativo dell’Eucarestia, Corpo e Sangue di Gesù Cristo.

Egualmente l’antico Israele, che fu “battezzato nella nuvola e nel mare,  in Mosè” (1a Cor., X, 2) pre-figura il Battesimo in Cristo. Ossia, come i padri nel deserto furono immersi o battezzati nella nube e nel mare per appartenere a Mosè e formare un solo Corpo spirituale con lui o il “Popolo dell’Antica Alleanza”, che passa dalla schiavitù alla libertà (Ex., XIX, 5), così i cristiani vengono battezzati in Cristo per formare il Suo Corpo Mistico, che è la Chiesa della Nuova Alleanza. Infatti il “mare” simboleggia l’acqua del battesimo cristiano, mentre la “nube” la presenza di Dio, ossia lo Spirito Santo, poiché nella Nuova Alleanza si è battezzati “in acqua e Spirito Santo” (Mt., III, 11) e non solo nell’acqua come in Mosè o in S. Giovanni Battista (Mt., III, 6 e 11). San Giovanni Crisostomo commenta: “a quegli antichi Israeliti Dio dette la manna e l’acqua, a te che sei cristiano il Corpo e il Sangue di Cristo”. Quanto al versetto 4° (1a Cor., X), secondo il Crisostomo “la Pietra percossa da Mosè (Ex., XVII, 6) è Cristo e quindi si capisce come l’acqua scaturita dalla Roccia fosse spirituale” (Comm. Ep. di S. Paolo).

2) S. Agostino

Anche secondo il maggiore dei Padri ecclesiastici latini, S. Agostino d’Ippona (354-430), Israele all’uscita dall’Egitto, con tutti i miracoli che lo accompagnarono e sotto la guida di Mosè, era una pre-figurazione del Nuovo Testamento e della Chiesa di Cristo, fondata su una “Pietra principale”, che è Cristo o “Roccia spirituale” (1a Cor., X, 4), e su una “Pietra secondaria”, che è Pietro (‘tu sei Pietro e su questa pietra Io edificherò la Mia Chiesa’, Mt., XVI, 18), ossia Pietro è Cristo in terra: “Petrus petra, petra Ecclesia” (S. Aug., Enarr. in Ps. 103, 3, 2). «Non dictum est illi ‘Tu es petra’, sed ‘Tu es Petrus’. Petra autem erat Christus; quem confessus Simon dictus est Petrus. / Non gli fu detto ‘Tu sei la Pietra’, ma ‘Tu sei Pietro’. La Pietra era Cristo, confessato il quale, Simone fu chiamato Pietro» (S. Aug., In epist. Johann. Ad Parthos, 10, 1).

Nella 1a Epistola ai Corinzi il vero e nuovo “Israele di Dio” (Gal., VI, 16) viene pre-annunziato, nei minimi dettagli, dall’antico Israele del Vecchio Testamento. Per esempio, il Battesimo e l’Eucarestia sono preannunziati, nella traversata del deserto con Mosè, in “ombra” o in “figura” di realtà future, che verranno istituite da Gesù nel Nuovo ed Eterno Testamento. Tutto nell’Antica Alleanza è “ombra” della “realtà” futura della Nuova ed Eterna Alleanza, persino il castigo dei “nostri padri” nel deserto è una pre-figura, che ci ammonisce di non essere infedeli come la maggior parte degli antichi Israeliti, nella quale Dio non si compiacque. È Gesù che unifica, come “pietra d’angolo” (Mt., XXI, 42; Atti, IV, 11) i due Testamenti, dei quali uno è nascosto dietro l’ombra (Antico Testamento) di una realtà a venire (Nuovo Testamento). “Umbram fugat Veritas / l’ombra cede il posto alla Realtà”, fa cantare San Tommaso d’Aquino nell’Ufficio della Festa liturgica del Corpus Domini.
Ora, nella S. Scrittura Dio spesse volte è chiamato “Pietra” o “Roccia” (Deut., IV, 15-18; Sam., XXII, 32; Sal., XVII, 3; Is., LXIV, 8). Perciò non è un caso se Cristo è detto “Roccia” in San Paolo mentre San Pietro, che è Cristo in terra, è “Pietra” nel Vangelo secondo Matteo (XVI, 18). Inoltre la “Roccia spirituale”, alla quale bevevano gli antichi Israeliti e che “li accompagnava”, secondo il Crisostomo non era una pietra materiale e fisica che gli Ebrei si portavano appresso come una sorta di reliquia o di segno sacro, ma Cristo stesso o “Roccia principale”, che accompagnava, come Verbo non ancora Incarnato, l’Israele dell’Antico Patto, figura della sua assistenza “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20) alla Chiesa del Nuovo Patto, quale Verbo Incarnato. Perciò Mosè, Adamo e i Patriarchi erano cristiani, ossia credevano nel Messia venturo, Gesù, e vivevano nella Grazia santificante, meritataci dal Sangue sparso in Croce da Cristo.

La medesima dottrina troviamo nel primo storico della Chiesa e nel Dottore Comune o Angelico.

Eusebio da Cesarea: cristiani di fatto, anche se non di nome.

Secondo lo storico Eusebio da Cesarea (265-339) «se è certo che siamo di ieri, se il nome di cristiani, veramente nuovo, è noto da poco a tutte le genti, non così la nostra vita, i nostri costumi ispirati a principi religiosi: non sono una novità dovuta alla nostra fantasia, ma li troviamo, dirò così,  già nel primo apparire dell’umanità istintivamente adottati dagli uomini pii. Lo dimostriamo. Il popolo ebreo non è nuovo, ma stimato da tutti gli uomini per la sua antichità ed a tutti ben noto. I suoi libri e i suoi scritti riguardano uomini antichi, certamente pochi di numero, ma segnalati per la pietà, la giustizia e tutte le altre virtù; alcuni prima del diluvio, altri dopo, derivanti dai figli e dai discendenti di Noè; e poi Abramo, che i figli degli ebrei vantano come fondatore e padre della loro stirpe. Se qualcuno dicesse che tutti costoro, celebrati per la loro giustizia, da Abramo stesso fino al primo uomo, erano cristiani di fatto, se non di nome, non andrebbe lontano dalla verità. Infatti, se il nome di cristiano vuole significare che un uomo, per la conoscenza che ha del Cristo e della sua dottrina, si distingue per purezza e giustizia, per dominio di sé e virtù virile, per la pia confessione di un solo sommo Iddio, tutto questo essi attuarono non meno di noi. Come noi, essi non curavano di circoncidersi nel corpo, non osservavano il sabato, non si astenevano da particolari cibi, non osservavano le altre prescrizioni di valore simbolico che Mosè per primo introdusse a tramandò ai posteri, facevano appunto come oggi noi cristiani. Avevano una buona conoscenza del Cristo di Dio che, come abbiamo mostrato sopra, era apparso ad Abramo, aveva dato responsi ad Isacco, aveva parlato con Israele (cfr. Gen., XVIII, 1), si era intrattenuto con Mosè ed i profeti posteriori. Per questo motivo troverai che tali amici di Dio vengono onorati col nome di Cristo nel detto scritturistico che li riguarda: “Non toccate i miei cristi e non peccate contro i miei profeti!” (Sal., CIV, 15). Da ciò appare chiaro che la forma di religione più antica, anteriore a tutte le altre, è quella praticata da uomini pii al tempo di Abramo, ed ora annunciata a tutte le genti dagli insegnamenti di Cristo. Se mi si dice che in séguito Abramo ebbe pure il precetto della circoncisione, si rifletta che la sua giustificazione per la fede ebbe luogo prima, come testimonia la parola di Dio che dice: “Credette Abramo e Dio glielo contò a giustizia” (Gen., XV, 6). Essendo già giustificato prima della circoncisione, gli fu da Dio – cioè dal Cristo, Verbo di Dio – preannunciato un oracolo riguardante coloro che nel séguito del tempo avrebbero come lui ricevuto la giustificazione, con queste parole: “In te saranno benedette tutte le nazioni della terra” (Gen., XII, 3) e “Diverrai un popolo grande e numeroso e in te saranno benedette tutte le genti della terra” (Gen., XVIII, 18). È facile vedere che tutte queste parole si sono avverate in noi. Abramo fu giustificato per la sua fede nel Cristo, Verbo di Dio, che gli era apparso; abbandonate perciò le superstizioni degli avi e gli errori della vita precedente Lo riconobbe come unico, sommo Iddio e l’onorò con le opere virtuose, non con le cerimonie della Legge mosaica, a lui posteriore; tale era colui al quale fu detto che tutte le genti della terra, tutte le nazioni in lui sarebbero state benedette. Al giorno d’oggi questa religiosità di Abramo, esplicata nelle opere più efficaci delle parole, si riscontra solo tra i cristiani, diffusi su tutta la terra. Cosa ci può vietare, dunque, di affermare l’uguaglianza del tenore di vita e della religiosità dei seguaci di Cristo e di quegli antichi amici di Dio? Ecco dimostrato così che la religione a noi tramandata per l’insegnamento di Cristo, non è nuova e straniera, ma, se dobbiamo dire la verità, è la prima, l’unica, la vera» (Eusebio da Cesarea, Storia ecclesiastica, I, 4, 4-15).

S. Tommaso d’Aquino e la rivelazione adamitica

S. Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 47, a.6, ad 1um) si chiede «Se i Capi dei giudei sapevano che la Persona che crocifiggevano era Dio stesso incarnato, la seconda Persona della SS. Trinità». Egli risolve il dubbio con una distinzione: «Prima del peccato originale l’uomo ebbe fede esplicita dell’Incarnazione di Cristo… non in quanto era ordinata a liberare dal peccato con la Passione e la Risurrezione, perché l’uomo non prevedeva il suo peccato. Invece si arguisce che credeva nell’Incarnazione del Verbo (in quanto ordinata alla pienezza della gloria) dalle parole: «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si stringerà alla moglie» (Gen., II, 24). Parole che secondo S. Paolo stanno ad indicare il “gran mistero di Cristo e della Chiesa” (Ef., V, 32); mistero che non è credibile sia stato ignorato da Adamo» (S. Th., II-II, q. 2, a.7, in corpore).

In breve, quando Dio parlò ad Adamo del suo matrimonio con Eva gli spiegò che era una figura dell’unione di Cristo e della Chiesa; gli dovette spiegare allora il mistero della Trinità ed Unità di Dio e quello dell’Incarnazione del Verbo. «Dopo il peccato originale – prosegue San Tommaso – il mistero dell’Incarnazione fu creduto esplicitamente anche rispetto alla Passione e Resurrezione, con le quali l’umanità viene liberata dal peccato… altrimenti gli antichi non avrebbero prefigurato la Passione di Cristo con i sacrifici… e di questi sacrifici i maggiorenti (principes judaeorum) conoscevano esplicitamente il significato, mentre il popolo ne aveva soltanto una conoscenza confusa» (Ib., in corpore). Perciò i príncipi dei giudei avevano una conoscenza esplicita del mistero dell’Incarnazione, Passione e Morte del Verbo Incarnato.

Quanto poi al mistero della Trinità, S. Tommaso risponde: «fin dal principio fu necessario per salvarsi credere il mistero della Trinità… non è possibile credere esplicitamente il mistero di Cristo, senza la fede nella Trinità…, perciò prima di Cristo il mistero della Trinità fu creduto come il mistero dell’Incarnazione e cioè esplicitamente dai maggiorenti ed in maniera implicita e quasi velata dalle persone semplici» (S. Th., II-II, q.2, a 8, in corpore).

Lo stesso concetto è ripreso dall’Angelico nel Commento alle Sentenze: “Dopo il peccato originale, prima dell’Avvento di Cristo, avevano la fede esplicita nel Redentore alcuni ai quali era stata fatta una rivelazione speciale, ed essi erano i majores. Altri invece, come i minores, avevano una fede implicita [nel Redentore] nella fede dei majores (In III Sent., dist. 25, q.2, a. 2, qcq. 2). Ed ancora: “Sia prima che dopo il peccato originale fu necessario che i majores avessero una fede esplicita nella Trinità; non fu tuttavia necessario per i minores dopo il peccato… e similmente dopo il peccato originale fino al tempo della grazia i majores erano tenuti ad avere la fede esplicita nel Redentore, i minores invece soltanto implicita nella fede dei Patriarchi e dei Profeti” (De Verit., q. 14, a. 11, in corpore).
Ancora nel Commento alla Epistola agli Ebrei S. Tommaso afferma: “Alcuni più esplicitamente [credevano alla Trinità, ndr], ed erano i majores, ai quali fu fatta aliquando Revelatio specialis” (Ad Haebr., Cap. XI, lectio II, n. 576, Marietti, Torino, 1953).

Diversità e somiglianze tra Chiesa e Sinagoga

Secondo il Pinghius, la Chiesa di Cristo è distinta accidentalmente dall’antica Sinagoga o Chiesa del Vecchio Testamento poiché mentre la Sinagoga era l’ombra, la figura o il tipo della Chiesa cristiana, questa è la realtà. In breve, tra Sinagoga e Chiesa passa la stessa differenza che tra Antico e Nuovo Testamento: “in Vetere Novus latet, in Novo Vetus patet / nel Vecchio Testamento è racchiuso il Nuovo Testamento e nel Nuovo Testamento appare chiaro il significato del Vecchio Testamento” (Sant’Agostino).
Inoltre la Chiesa è stata fondata da Cristo su Pietro e gli Apostoli ed è diffusa nel mondo intero, mentre la Sinagoga era sita solo in Israele. Tuttavia, nonostante la Chiesa abbia un nuovo sacerdozio, un nuovo Sacrificio, nuovi Sacramenti, è “una” sostanzialmente, anche se cronologicamente e accidentalmente è divisa in due tempi: l’Antica e la Nuova Alleanza, che sono entrambe “sub uno Duce invisibili Deo, in Fidei et Religionis unitate / sotto un solo Capo, Iddio invisibile, nell’unità della Religione e della Fede” (1).
Quindi la Chiesa e l’antica Sinagoga – si badi bene! Non la nuova “sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9) che ha rifiutato Cristo, lo ha fatto crocifiggere e persiste ancora oggi nella cecità – sono una sola Chiesa di Dio e tutte e due sono come una grande città fondata sopra i Profeti e gli Apostoli.

Infatti gli antichi patriarchi e Profeti aspettavano e predicevano il Messia Gesù Cristo Nostro Signore, che gli Apostoli hanno predicato. Quindi una sola cosa fanno la Chiesa di Dio e di Cristo dell’Antico e del Nuovo Testamento, unite dalla Pietra d’Angolo che è Gesù medesimo, “Qui fecit ex utraque unum” (Mc., XII, 10-11; Lc., XX, 17; Mt., XXI, 42; 1 Pt., II, 7). Infatti se il Capo dell’antica Sinagoga è Dio invisibile, il Capo della nuova Chiesa è Cristo visibile dalla sua nascita alla sua morte in croce e Ascensione ed ora invisibile in Cielo, ma che ha in terra il suo Vicario visibile, il Papa. Tuttavia anche nell’Antico Testamento Dio si serviva di rappresentanti visibili (Patriarchi, Profeti, Sommi Sacerdoti sino ad Anna e Caifa). Per cui alla vecchia Sinagoga è succeduta la nuova Chiesa di Cristo, la quale l’ha perfezionata, realizzata e sublimata. Esse sono solo accidentalmente diverse, come un bambino che diventa uomo maturo e come il Vecchio Testamento che è stato sviluppato e accresciuto dal Nuovo Testamento.
Questa dottrina è ripresa e sviluppata dal Dottore Comune della Chiesa.

“La Legge Nuova è d’amore, l’Antica è di timore” (S. Th., I-II, q. 107, a. 1)

Due leggi si possono distinguere fra loro in due maniere: o come del tutto diverse, perché ordinate a fini diversi; o perché una è ordinata al fine in maniera più diretta e prossima dell’altra (ad es. in uno stesso Stato, la legge imposta alle persone mature, che sono già capaci di eseguire quanto richiesto dal bene comune, è diversa dalla legge per l’educazione dei bambini, che devono essere formati ad eseguire in futuro le azioni dei grandi). La Legge Nuova non differisce dall’Antica Legge nel primo modo o sostanzialmente, essendo unico il fine di entrambe: ordinare gli uomini a Dio; e d’altra parte unico è il Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento. La Legge Nuova è distinta dall’Antica Legge nel secondo modo, ossia accidentalmente, poiché la Legge Antica è come il pedagogo dei bambini, secondo S. Paolo, mentre la Legge Nuova è una Legge di perfezione perché è Legge di carità, che è “vincolo di perfezione” (Coloss., III, 14). La carità cioè è compendio o somma di tutte le perfezioni. Perciò tutte le differenze tra l’Antica e la Nuova Legge (ad 2um) sono concepite in base ai rapporti tra una cosa imperfetta e la sua perfezione. La Legge Antica, che fu data a uomini imperfetti (che non avevano ancora l’abito della virtù), è chiamata “Legge di timore”, poiché  induceva all’osservanza dei precetti con la minaccia di determinati castighi. Invece la Nuova Legge fu data ad uomini perfetti (che hanno l’abito della virtù), i quali sono perciò spinti a fare il bene con prontezza e facilità per amore del bene e non dal castigo o dal premio estrinseco al bene stesso. Ecco perché la Nuova Legge (che consiste principalmente nella grazia dello Spirito Santo) è chiamata ‘Legge di amore’. Perciò si diceva che la Legge Antica “tratteneva la mano e non l’animo”, perché quando uno si astiene dal peccato solo per paura del castigo (timore servilmente servile) la sua volontà non desiste dalla colpa in senso assoluto, ed ecco perché si dice, invece, che la Nuova Legge “trattiene anche l’animo”. Tuttavia, anche nell’Antico Testamento ci furono anime ripiene di carità (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, ecc.) e della grazia dello Spirito Santo, le quali guardavano principalmente alle promesse spirituali ed eterne e non alle temporali e materiali; sotto questo aspetto esse appartenevano già alla Nuova Legge. Così nel Nuovo Testamento vi sono degli uomini carnali che ancora non hanno raggiunto la perfezione (essendo privi dell’abito della virtù) e che bisogna indurre ad agire bene con la minaccia del castigo o con la promessa di beni temporali.
L’Antica Legge, anche se dava i precetti della Carità, non era in grado di offrire la grazia dello Spirito Santo. Coloro che nell’Antico Testamento furono accetti a Dio per la Fede (ad 3um), sotto questo aspetto erano cristiani o appartenevano al Nuovo Testamento: Abramo è nostro Padre nella Fede, nostro di noi cristiani e non degli attuali ebrei che ancora rifiutano il Cristo.
S. Paolo vede nelle due spose di Abramo la figura dei due Testamenti. Agar, la schiava, rappresenta la Sinagoga; Sara, la donna libera, è l’emblema della Chiesa. Agar partorisce secondo la carne un figlio schiavo come lei; Sara partorisce secondo lo spirito un figlio libero come lei. L’allegoria è trasparente: gli ebrei, come Ismaele, sono figli di Abramo secondo la carne e, come Ismaele, non sono veri eredi di Abramo. I cristiani, come Isacco, sono i discendenti di Abramo secondo lo spirito e, come Isacco, ereditano le promesse e le benedizioni spirituali.
Anche i Giusti del Vecchio Testamento venivano giustificati soltanto dalla Fede in Cristo (accompagnata poi dalle buone opere). Ecco perché S. Paolo dice di Mosè: “Stimò l’obbrobio di Cristo, come ricchezza maggiore dei tesori egiziani” (Ebr., XI, 26): Mosè già allora, nel 1300 a. C., soffriva per la causa e per la Fede di Cristo venturo.

“La Legge Nuova compie l’Antica” (S. Th., I-II, q. 107, a. 2)

Nostro Signore Gesù Cristo ha affermato: “Non sono venuto per abolire la legge, ma per completarla” (Mt., V, 17). San Tommaso spiega che per tale affermazione di Gesù Cristo la Nuova Legge sta all’Antica come il perfetto all’imperfetto. Ora, ciò che è perfetto completa ciò che manca all’imperfetto. Quindi la Legge Nuova compie l’Antica in quanto supplisce ciò che manca all’Antica.

Ora, nell’Antica Legge si possono considerare due cose: il fine e i precetti.
1°) Il fine era di rendere gli uomini giusti e virtuosi affinché potessero cogliere la Beatitudine (e questo è il fine di ogni legge). Dunque il fine della Legge Antica era la santificazione degli uomini, giustificazione che però superava la capacità della Legge mosaica e proprio sotto questo aspetto la Legge evangelica perfeziona e dà compimento alla Legge Antica. S. Paolo stesso, ispirato da Dio, ha scritto: “Quello che era impossibile alla Legge [Antica], Dio [lo rese possibile] mandando il Figlio suo… affinché la giustificazione della Legge [Nuova] si adempisse in noi” (Rm., VIII, 3). La Legge Nuova quindi dà ciò che la Legge Antica prometteva soltanto e non poteva ancora conferire: la grazia dello Spirito Santo per i meriti della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
2°) Quanto ai precetti della Legge Antica Cristo ha dato loro compimento con l’opera e l’insegnamento. Con l’opera, facendosi circoncidere ed osservando tutte le pratiche legali ancora in vigore. Coll’insegnamento completò la Legge Antica in tre modi:
a) spiegandone il vero significato (lo spirito che vivifica); ciò appare chiaro per fare un esempio quanto all’omicidio e all’adulterio; secondo gli scribi ed i farisei infatti bastava non commettere l’atto esterno per non fare peccato, ma non era questo il vero significato della Legge Antica e Gesù Cristo lo ricorda insegnando che anche il solo atto interno, il pensiero acconsentito, è peccato già per la Legge di Mosè, falsata dalla Legge talmudico-rabbinica;
b) indicandoci un modo più efficace e sicuro per osservare le regole dell’Antica Legge. Ad esempio la Legge Antica ordinava di non spergiurare e Nostro Signore ci insegna che se vogliamo essere più sicuri di osservare tale precetto (che Egli non è venuto ad abolire) dobbiamo astenerci del tutto dal giurare, eccetto casi di necessità (per es. in Tribunale);
c) aggiungendo alla Legge Antica alcuni consigli di perfezione che rendono più facile l’osservanza dei dieci comandamenti. Perciò la Nuova Legge abolisce l’osservanza dell’Antica Legge solo per i precetti cerimoniali, che prefigurano il Cristo venturo (ad 1um), e non per i precetti morali che sono completati nei tre modi sopra detti e non abrogati.

Inesistente contraddizione

All’obiezione che Nostro Signore nella Nuova Legge ha dato precetti contrari a quelli della Legge Antica, per es. “Fu detto agli antichi: chiunque rimanda la propria moglie le dia il libello di ripudio, invece io vi dico chiunque rimanda la propria moglie la rende adultera” (Mt., V, 27-31), l’Angelico risponde (ad 2um): codesti precetti del Signore non sono contrari a quelli della Legge Antica e cita S. Agostino: «Quando il Signore comanda di non rimandare la moglie, non è contrario a ciò che comanda la Legge Antica. Infatti la Legge mosaica non dice: “chi vuole, rimandi la moglie”, comandamento che sarebbe contrario al precetto di non rimandarla. Infatti ordinando di dare il libello di ripudio si imponeva un ritardo all’invio della moglie, e la Vecchia Legge ordinava tale ritardo non certo perché voleva che si rimandasse la moglie, ma, al contrario, voleva che, con tale ritardo, l’animo infiammato dal dissidio avesse il modo di calmarsi [e di non arrivare alla rottura] riflettendo nello scrivere il libello di ripudio» (1 De Serm. Dom. in Monte, c. 14).
Nostro Signore confermando questo precetto dell’Antica Legge, eccettuò il solo caso di adulterio, che rende lecita la separazione e mai il divorzio: “chi sposa la ripudiata commette adulterio” (Mt., V, 32), aggiunge, infatti, Nostro Signore Gesù Cristo per rendere chiaro il suo permesso di rinvio della moglie (“Salvo il caso di fornicazione”). Quindi non c’è opposizione di contrarietà tra il precetto dell’Antico Testamento e quello del Nuovo.

Per quanto riguarda la legge del taglione “occhio per occhio, dente per dente”, la Legge Antica ordinava di non esagerare nella difesa, vale a dire che, se il nemico ti rende cieco da un occhio, anche tu lo puoi accecare in un occhio ma non in entrambi o ucciderlo. Nostro Signore ci rende più facile e più sicuro evitare una reazione esagerata, esortandoci ad astenerci da qualsiasi vendetta ispirata da odio personale: “A proposito del comando del taglione, S. Matteo cap. V insegna che non era intenzione della Legge Antica esigere ed obbligare alla pena del taglione per sfogare il livore della vendetta che è proibito, ma solo per amore di giustizia. E ciò resta anche nella Nuova Legge” (ad 4um).

“Nostro Signore Gesù Cristo con tre casi paradossali, che non vanno presi alla lettera, insegna ai suoi discepoli e non rispondere al male col male, ma a vincere col bene il male” (F. Spadafora, Dizionario biblico, ed. Studium, Roma 1963, 3a ed., p. 583); “Anche i libri sapienziali e i Profeti dell’Antico Testamento invitano a trattare umanamente il nemico personale, raccomandano il perdono e, per imitare la misericordia divina, vogliono che si rende bene per il male” (J. Tonneau, Commentaire à la Somme Théologique, ed. du Cerf, Paris 1971, I-II, q. 105 a. 2 sol. 10, nota 69, p. 342). Quindi non c’è opposizione di contrarietà, quasi che l’Antico Testamento obbligasse a vendicarsi e non invitasse piuttosto ad un uso moderato della ‘iusta vindicatio’, che è riconosciuta anche nel Nuovo Testamento (“vim vi repellere licet” / è lecito respingere la violenza con la violenza) purché nella legittima difesa non vi sia odio personale. Quando un servo di Caifa schiaffeggia Gesù, Questi non porge l’altra guancia, prendendo alla lettera il consiglio che Lui stesso aveva dato (Mt., V, 39), ma gli risponde: “Se ho parlato bene, perché mi colpisci?” (Io., XVIII, 23). S. Tommaso così spiega l’apparente contraddizione tra questa scena e l’insegnamento del discorso della montagna: “La Sacra Scrittura si deve intendere secondo quanto Cristo stesso e i Santi hanno praticamente realizzato. Cristo però non ha offerto l’altra guancia a quel tale. Quindi una spiegazione letterale interpreta erroneamente l’insegnamento di offrire l’altra guancia. Tale insegnamento intende parlare piuttosto della prontezza d’animo a sopportare qualcosa di simile o di più duro di uno schiaffo in faccia, se è necessario, senza alcun eccessivo odio verso l’aggressore” (In Joh., XVIII, lect. 4,2).

Perciò la legittima difesa non è proibita e non ci è comandato di offrire sempre e ad ogni costo l’altra guancia, ma ci è comandato di non esagerare nella reazione e soprattutto di non portare odio e rancore al nemico che certe volte dobbiamo combattere. Anche Aristotele insegna che “l’ira aiuta i forti” (III Etica, c. 8, lect. 17). E S. Tommaso aggiunge che l’ira del virtuoso deve essere moderata dalla ragione. Infatti l’ira moderata è soggetta al comando della ragione e quindi l’uomo può servirsene come vuole, invece non è così per l’ira sregolata. L’ira perciò deve seguire la scelta della volontà e non precederla (S. Th., IIII, q. 123, a. 10). Nostro Signore Gesù Cristo nel Tempio, infiammato da santa collera, cacciò i mercanti a colpi di frusta.

Il venerabile Serafino Capponi da Porretta commentando il succitato articolo dell’Angelico scrive: « Giustamente fu insinuato dalla S. Scrittura, dalla Chiesa e da Aristotele che il forte si serve dell’ira nel proprio atto. Aristotele è già stato citato nel ‘sed contra’. La S. Scrittura, nell’Esodo XXXII, insegna che “Mosè nel tornare, quando vide il vitello d’oro e le danze, irato gettò le tavole e le spezzò alle radici del monte”. E subito la Scrittura narra il grande atto di fortezza compiuto da Mosè, che per vendicare l’offesa di Dio fece uccidere tante migliaia di persone. Inoltre nel primo libro dei Maccabei cap. II si narra: “Mattatia vide [il giudeo che accingeva a sacrificare agli idoli] e si accese il suo furore secondo il precetto della Legge. Si scagliò su quell’uomo e l’uccise sull’altare”…  La Chiesa insegna la stessa cosa, ponendo sulla bocca di S. Agata nell’ufficio della sua festa, le parole seguenti dette a Quinziano: “Empio, crudele e feroce tiranno, non ti vergogni di amputare in una donna come me ciò che tu stesso hai succhiato in tua madre?” (in hoc articulo).
Per quanto riguarda l’odio verso i nemici Nostro Signore ha voluto correggere la falsa interpretazione rabbinico-talmudica che lo riteneva lecito, esortandoci a non odiare di odio di malevolenza (l’uomo in quanto uomo), ma solo di inimicizia (l’uomo in quanto peccatore) vale a dire ad odiare il peccato dell’uomo e pregare per la conversione del peccatore.

Alla terza obiezione, secondo la quale chi agisce contro la Legge non la compie, e Gesù Cristo avrebbe agito contro la Legge Antica perché toccò un lebbroso, cosa proibita dalla Legge, e violò più volte il sabato, cosicché il Nuovo Testamento non è il compimento ma la profanazione della Legge Antica, l’Aquinate risponde che il contatto coi lebbrosi era proibito perché l’uomo contraeva con esso una specie di irregolarità (igienicosanitaria). Ma il Signore che era il guaritore dei lebbrosi non poteva contrarre la lebbra. Per quanto riguarda l’apparente violazione del sabato, non si può dire che Nostro Signore abbia realmente violato il sabato con le opere che compì in tale giorno, sia perché compiva miracoli con la potenza divina, la quale opera continuamente nel mondo anche di sabato, sia perché compiva opere necessarie alla salvezza degli uomini. Perciò solo apparentemente Gesù ha violato il sabato secondo la superstiziosa interpretazione dei farisei, i quali talmudicamente ritenevano che di sabato ci si dovesse astenere anche dalle opere richieste dalla salvezza eterna, ma non dal salvare il proprio asino dalla morte accidentale! Il che era contrario al vero significato (lo spirito) della Legge: “La lettera uccide, lo spirito vivifiva!”.

“La Nuova Legge era contenuta nell’Antica virtualmente” (S. Th., I-II, q. 107, a. 3)

Una cosa può essere contenuta in un’altra in due modi: o in modo attuale, come un corpo sta in un luogo; o in modo virtuale, come l’effetto è contenuto nella sua causa oppure come la perfezione in una cosa imperfetta (il seme contiene l’albero intero).
Ora, in questo secondo modo la Legge Nuova è contenuta in quella Antica come una cosa perfetta in quella imperfetta. Ecco perché S. Giovanni Crisostomo dice che “la terra produce prima l’erba (la Legge naturale); poi le spighe (la Legge di Mosè) quindi il grano perfetto (il Vangelo)” (In Mc., IV, 28). Perciò la Legge Nuova è contenuta nell’Antica come l’albero nel seme. Tutti i dogmi che il Nuovo Testamento propone a credere in modo chiaro ed esplicito sono insegnati anche nell’Antico Testamento, in maniera implicita e figurale. Anche dal punto di vista dogmatico la Legge del Nuovo Testamento è contenuta in quella dell’Antico Testamento.

(segue)

NOTA

1 – Pighius, Hierarchiae Ecclesiasticae assertio, Colonia, 1638, lib. I, cap. 1, folio 1 b.


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agosto 2017

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