L’INFALLIBILITÀ, L’UNITÀ E L’ANTICHITÀ DELLA SINAGOGA  E DELLA CHIESA

(2a parte)


di Albertus


Prima parte
Seconda parte


Pubblicato su SISI NONO, n° di settembre 2017



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Tenete a memoria che la solita parola che usa
il demonio quando vuole spingerci al male è: Oh! Non è niente!

San Giovanni Bosco


La Tradizione cattolica e la Tradizione gnostico-giudaica pervertita (o Cabala)

Julio Meinvielle

Scomparso nel 1973, l’argentino don Julio Meinvielle riprende e approfondisce, studiando la Cabala ebraica, la tesi sostenuta nella Controriforma dal Pighius alla luce della S. Scrittura e della Tradizione, sostenendo che Dio, tramite la Rivelazione, ha trasmesso all’umanità, fin dal primo uomo, la Verità sui misteri della sua vita intima (cfr. S. Th., II-II, q. 2, a. 7).
Però, la Rivelazione orale primordiale comunicata da Dio ad Adamo fu deformata e falsificata dalla ribellione e dalla malizia dell’uomo: «Purtroppo dalla Tradizione orale giudaica (…), sotto l’istigazione dello spirito del male, prese origine una Tradizione spuria, quella gnostico/cabalistica (…). Si parte da un “dio” indeterminato… contenente in sé i contrari (…male e bene…) che diviene mondo ed uomo.
L’uomo, nella concezione gnostico-cabalistica, sarebbe il culmine del processo emanativo dell’universo» (J. MEINVIELLE, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma, 1988, p. 14).

Per la Tradizione vera, la Tradizione cattolica, l’uomo, con un atto di Fede o di sicuro assenso dell’intelletto all’insegnamento di Dio, può conoscere i misteri che Dio ha voluto rivelare, mentre, per la falsa Tradizione gnostico-cabalistica, l’uomo non si conforma e non aderisce alla realtà ma la elabora e la costruisce, mediante un sistema soggettivo e fantasioso, in cui il mondo e “dio” sono la stessa cosa (Panteismo).

Julio Meinvielle così spiega il pervertimento della primitiva Tradizione (Cabala) giudaica: «La schiavitù del popolo eletto in Egitto (1300 a. C.) e la schiavitù a Babilonia (586 a. C. circa) provocarono, nel seno di Israele, un’immensa perturbazione e la Tradizione cabalistica ortodossa finì col cadere in oblio. Più tardi, quando i tempi si compirono, la colpevolezza dei dottori della Sinagoga consistette… nella gelosa cura che si presero… di nascondere al popolo la chiave della scienza o l’esposizione tradizionale dei Libri santi, per la quale Israele avrebbe conosciuto il Messia.
Verso gli ultimi tempi di Gerusalemme (150-100 a. C.) il culto fu invaso… dal Fariseismo. L’attenzione dei dottori si rivolse, pertanto, alla teologia talmudica… La Tradizione talmudica allora… snaturata nella sua parte essenziale, ricevette l’impuro miscuglio delle fantasie rabbiniche…» (J. MEINVIELLE, op. cit., Roma, 1988, pp. 21-22).

Secondo la Tradizione cattolica, Adamo riceve la Rivelazione dei misteri divini da Dio stesso, come afferma San Tommaso: «… in principio Dio parlava coi primi uomini allo stesso modo con cui parla con gli Angeli… (S. Th., II-II, q. 2, a. 7).

Prima del peccato originale, perciò, Adamo ebbe conoscenza esplicita dell’Incarnazione del Verbo e della SS. Trinità (cfr. S. Th., II-II, q. 2, a. 7) e con lui inizia la vera Tradizione, che propone all’uomo le verità naturali e soprannaturali necessarie per la salvezza.

Questa Tradizione fu comunicata all’uomo in tre diverse “economie”: 1a) Tradizione primordiale (Adamo); 2a) Tradizione orale scritta, o Legge mosaica (1280 a. C.); 3a) Tradizione evangelica o Legge Nuova.

Il popolo eletto, perciò, prima ancora della Legge scritta di Mosè (1280 a. C.), possedeva una Tradizione primordiale orale (Cabala ortodossa), che fu poi affidata ad un corpo speciale di 70 dottori, posti sotto l’autorità suprema di Mosè e dei suoi successori (i Sommi Sacerdoti).

Paul Drach

Alle tre economie della Tradizione cattolica corrispondono tre “contro-economie”: a) la Cabala prima o luciferina e la Cabala primordiale o adamitica post peccatum; b) la Cabala orale farisaica (175 a. C.); c) la tradizione scritta anti mosaico.cristiana (Talmud, III e V secolo d. C.).
Nell’Ottocento un ex rabbino convertito, Paul Louis Bertrand Drach, ha approfondito in maniera ammirevole la questione dei rapporti tra la Chiesa di Cristo e la Sinagoga dell’Antico Testamento alla luce della Cabala.

Secondo il Drach, la Cabala non ancora pervertita dell’antica Sinagoga mosaica non ripudiata da Dio [fino al Giovedì Santo] trattava della natura di Dio, dei suoi attributi, «dell’Incarnazione e della Trinità; ciò è attestato… anche da molti Rabbini che si sono convertiti al cristianesimo leggendo la Cabala [verace]. (…) Questa è la Cabala antica e vera, che distinguiamo… dalla Cabala moderna, falsa, condannabile e condannata dalla S. Sede, opera di Rabbini che hanno egualmente falsificato e snaturato la Tradizione talmudica. I dottori della Sinagoga la fanno risalire a Mosè, ammettendo nel tempo stesso che le principali verità che conteneva erano conosciute, tramite Rivelazione orale di Dio, dai primi Patriarchi» (P. L. B. DRACH, De l’harmonie entre l’Eglise et la Sinagogue, Paul Mellier edit., Paris 1844, tomo I, pp. XIII, XXVII).

E’ utile a questo punto leggere quanto scrive il Rabbino convertito Drach sull’affermarsi accanto a quella vera di una Cabala nuova e falsata dai Rabbini e dai Farisei: «[vi è] una Cabala vera e senza miscugli, che si insegnava oralmente [ed in privato tra i dottori soltanto] nella Sinagoga antica, il cui carattere è francamente cristiano [annunziava cioè Cristo come seconda Persona della SS. Trinità e come Verbo Incarnato e Redentore crocifisso]. Vi è una seconda Cabala, falsa, piena di superstizioni ridicole e che si occupa anche di magia e di medicina… qual è diventata nelle mani dei rabbini [farisei e sadducei] della Sinagoga infedele [dopo il Giovedì santo]… Una parte notevole della Tradizione, il cui deposito era stato confidato alla Sinagoga antica consisteva nelle spiegazioni mistiche, allegoriche e anagogiche del Testo sacro; in breve tutto ciò che la Tradizione insegnava sul … mondo spirituale (…). Questa dottrina orale, che è la Cabala, aveva per oggetto le più sublimi verità di Fede, e riconduceva incessantemente al Redentore promesso» (cfr. anche R. Gougenot des Mousseaux, Le judaisme et la judaisation des peuples chrétiens, Paris 1869, Henry Plon editeur, pp 509-525).

Indegni ma sempre Sacerdoti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento

Nel Vangelo secondo Giovanni (XI, 45-53) si legge che Gesù aveva risuscitato Lazzaro morto da quattro giorni ed allora «molti giudei credettero» (v. 45). Tuttavia altri andarono a denunziarlo ai farisei e ai Sommi Sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio» (v. 47) per decretare giuridicamente la condanna a morte di Gesù che già avevano stabilito in cuor loro (1).

L’Angelico nel suo In Evangelium Joannis expositio (Lezione VII, par. II, n. 1567) spiega: «a proposito di quella riunione del sinedrio emerge la malvagità dei Sommi Sacerdoti che volevano far perire Gesù […] specialmente dalla condizione delle loro persone, poiché non si trattava di semplici fedeli o popolani, bensì di sacerdoti e farisei. Ora i Sommi Sacerdoti erano a capo delle cose sacre». Si badi che la “malvagità” dei sacerdoti dell’Antica Alleanza non è dovuta alla loro vita privata, ma all’incredulità nei confronti del Messia promesso dalla Rivelazione divina e alla volontà perversa e addirittura deicida di farlo morire, eppure essi son chiamati da tutti e quattro i Vangeli sempre “Sommi sacerdoti”, come Giuda è chiamato “diavolo” dal Vangelo (Giov., VI, 70-71; XIII, 2) ma nessuno tra gli Apostoli, i Padri, i teologi e gli esegeti ha ritenuto Giuda non-Apostolo o Apostolo solo in potenza e materialmente e non in atto o formalmente, ma Apostolo tout court.

Inoltre la malizia dei membri del sinedrio è estrema proprio perché sacerdoti, che, posti a capo delle cose sacre, invece le violano, mentre la colpevolezza dei fedeli è molto meno grave in quanto li seguono proprio perché sacerdoti. I capi sapevano chiaramente, come insegna San Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 47, a. 5, 6; S. Th., II-II, q. 2, a. 7, 8), che Gesù era il Messia e volevano ignorare o non ammettere che era Dio (ignoranza affettata, che aggrava la colpevolezza).

San Giovanni scrive: «ma uno di loro di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno» (v. 49). L’Angelico (lez. VII, par. V, n. 1574) commenta: «la persona che pronunciò la sentenza [di morte contro Gesù] viene indicata mediate il suo nome: “Caifa” e la sua dignità: “era sommo sacerdote”. In proposito va notato che il Signore aveva istituito (Levitico, VIII) un unico Sommo Sacerdote (2), alla cui morte soltanto doveva subentrare un successore che avrebbe esercitato l’ufficio di Sommo Pontefice a vita. Ma in seguito, col crescere dell’ambizione e dei litigi tra i giudei, fu permesso che vi fossero più Sommi Sacerdoti, che esercitassero a turno tale dignità, uno ogni anno. Essi talora acquistavano la carica,  come narra Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, lib. XXX, cap, 10)».

La simonia dunque esisteva già nell’Antica Alleanza, prima di Simon mago (Atti, VIII, 18) e non era un impedimento alla legittima detenzione dell’autorità da parte di chi l’avesse sacrilegamente comprata col denaro: i Sommi Sacerdoti simoniaci non erano considerati Pontefici solo materialmente o virtualmente e non formalmente o in atto, ma Sommi Sacerdoti e basta. Il “simoniaco”, nonostante sia un infedele, incredulo o ateo, che non crede a nulla, neppure a Dio, giacché compra col denaro cose spirituali come fossero materiali (cfr. S. Th., II-II, q. 100, a. 1), ha l’autorità spirituale che ha comprato anche nella Nuova ed Eterna Alleanza, benché abbia commesso un peccato mortale di sacrilegio (SAN PIO X, Costituzione dogmatica Vacante Sede Apostolica, 25 dicembre 1904; PIO XI, Motu proprio Cum proxime, 1° marzo 1922; PIO XII, Costituzione dogmatica Vacantis Apostolicae Sedis, 8 dicembre 1945) (3).

La simonia è un peccato contro la Fede, anzi è il rinnegamento totale di essa (incredulità, infedeltà o irreligiosità) e non di uno o più articoli di Fede (eresia), ma non fa perdere l’autorità a chi l’ha usurpata comprandola sacrilegamente. San Girolamo nel suo Commento su Matteo IV (XXVI, 57) scrive: «narra Giuseppe Flavio che Caifa aveva acquistato per denaro da Erode il sommo pontificato per un solo anno. Non c’è quindi da stupirsi se questo malvagio pontefice giudica ingiustamente».
Il Vangelo prosegue e narra che Caifa disse allora: «E’ meglio che uno solo muoia per tutto il popolo» (v. 50) e San Giovanni aggiunge: «questo non lo disse da sé, ma, essendo Sommo Sacerdote, profetizzò» (v. 51). Il Dottore Comune della Chiesa commenta (lez. VII, par. VII, n. 1576): «quando un uomo parla usando la propria ragione, parla de se stesso, ma, quando parla mosso da una causa superiore e per ispirazione esterna, non parla da sé»; poi (n. 1577) l’Angelico specifica: «avendo Giovanni aggiunto: “essendo Caifa Sommo Sacerdote in quell’anno”, Giovanni fa riferimento alla dignità pontificale di Caifa per dedurne che parlò in quel momento sotto la mozione dello Spirito Santo. Ciò ci fa capire che il Paraclito muove anche i malvagi (4) costituiti in autorità ad esprimere certe cose future per l’utilità dei loro sudditi». Infine (n. 1579) l’Aquinate spiega che «lo Spirito Santo non rese buona la sua [di Caifa ndr] mente e volontà, le quali rimasero intenzionate al male, ma solo la sua lingua affinché dichiarasse che si sarebbe compiuta la salvezza e la redenzione del popolo».

S. Agostino nel suo Commento su Giovanni (XI, 49-51, Discorso XLIX) spiega: «San Giovanni evangelista attribuisce ad un disegno divino il fatto che Caifa fosse Pontefice, cioè Sommo Sacerdote». Dio ha voluto che Caifa fosse Sommo Sacerdote perché decretasse con la bocca la morte di Gesù dovuta alla sua cattiva volontà. Tuttavia Dio mosse solo la sua lingua a profetizzare la Redenzione del genere umano mediante la morte di Cristo, ma la volontà di Caifa rimase malvagia ed egli, nonostante tutto ciò, restò Sommo Sacerdote.

Inconsistenza del sedevacantismo anche mitigato

Il Vangelo secondo Matteo (XXVI, 65) narra che, quando Gesù confessò, interrogato da Caifa, la sua divinità, «il Sommo Sacerdote si stracciò le vesti». L’Aquinate nella sua Catena Aurea riporta il commento di diversi Padri della Chiesa su questo passaggio, tra cui quello di San Girolamo che è molto forte e che va letto nel contesto della sua ‘Omelia 85 sul Vangelo di Matteo’ per essere capito bene: «Caifa per il fatto che si strappa le vesti mostra o vaticina che gli ebrei hanno perduto la gloria sacerdotale e che è vuoto il trono del pontefice» (Catena aurea, Expositio in Matthaeum, cap. XXVI, lez. 16, Torino, Marietti, 1953). Ora, nel contesto dell’Omelia 85 di Girolamo in Matthaeum, si legge che «lo zelo rabbioso con cui Caifa straccia la sua veste, fu un vaticinio o una profezia della fine del sacerdozio dell’Antico Testamento, il quale sarebbe stato rimpiazzato, dopo il deicidio e la scissione del velo del Tempio, da quello del Nuovo ed Eterno Testamento sino alla fine del mondo» (Homilia in Matth., 85). Per cui il gesto di Caifa, come lo scindersi del velo del Tempio, mostra, profetizza o vaticina la fine dell’Antica Alleanza, ma ciò non significa che, secondo San Girolamo, Caifa non era Sommo Pontefice; infatti nel corso dell’Omelia 85 e del Commento IV a Matteo Girolamo continua a chiamare Caifa Sommo Pontefice come fanno tutti i Vangeli e gli altri Padri della Chiesa.

Melchior Cano (Libri XII de locis theologicis, Roma, Cucchi, 4 voll., 1990) ha posto tra i “Luoghi Teologici” la S. Scrittura, la Tradizione apostolica e patristica, i Dottori scolastici, la Liturgia, le quali sono tutte concordi nel ritenere Caifa Sommo Sacerdote e Giuda Apostolo benché deicidi e diavoli, per cui la tesi del sedevacantismo anche mitigato (Papa materiale e non formale) non è teologicamente fondata.

San Gregorio Magno nel suo Sermone XLIV, 2 scrive: «Caifa strappando tutta la sua veste si privò del suo decoro di Sommo Pontefice; infatti il Levitico (XXI, 10) insegna: “non stracciate le vostre vesti”. Lo stesso strappo che fa a pezzi il suo abito e decoro sacerdotale presto straccerà a metà il velo del Tempio». Sempre San Tommaso nella Catena aurea In Marcus (XIV, 63) cita San Leone Magno: «stracciandosi la veste Caifa, il Sommo Sacerdote, ignorando il significato profetico di questo gesto, si spoglia dell’onore sacerdotale (5), contravvenendo al Levitico capitolo VIII: “non rompere i tuoi vestiti”. […] Come per dimostrare che la Vecchia Legge sarebbe finita, quello strappo del suo ornamento sacerdotale è lo stesso che tra poco avrebbe stracciato il velo del Tempio». Infine l’Angelico cita San Beda: «Caifa si straccia la veste, la tunica di Gesù non fu rotta neppure dai soldati che se la giocarono a sorte. Ciò è figura del sacerdozio dell’Antico patto, che sarebbe finito per colpa del deicidio, invece la saldezza della Chiesa, simboleggiata dalla veste inconsutile di Cristo, non finirà mai».
Inoltre, tutti i versetti dei quattro Vangeli chiamano Caifa “Sommo Sacerdote” e nessuno dei Padri che li hanno commentati afferma che Caifa non fosse Sommo Sacerdote oppure lo fosse solo virtualmente o materialmente.

Giuseppe Ricciotti

L’abate Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (Milano, Mondadori, 5° ed., 1974, 2° vol., par. 562.568, “Il Processo di Gesù davanti al Sinedrio”, pp. 642-648) chiama Caifa per ben sei volte “Sommo Sacerdote”; inoltre (p. 647, par. 567) scrive in maniera specifica: “Chi interrogava [Gesù] era rivestito dell’Autorità Somma e Ufficiale in Israele. […] Pericoloso che fosse, era ben giunto [per Gesù] il momento di dichiarare apertamente la propria qualità davanti all’intero Israele, rappresentato dal Sommo Sacerdote e dal Sinedrio”. Quindi si deve concludere con gli Evangelisti, i Padri della Chiesa, il Dottore Camune e gli esegeti approvati, che Caifa era Sommo Sacerdote come Giuda era Apostolo.

Antonino Romeo /Francesco Spadafora

Monsignor Antonino Romeo nel Dizionario biblico diretto da monsignor Francesco Spadafora (Roma, Studium, 3° ed., 1963, voce “Caifas”, pp. 94-95) scrive: «Caifa, Sommo Sacerdote ebraico […] per 18 anni consecutivi (dal 18 al 36 d. C.). […] il consiglio di Caifa di sacrificare Cristo per salvare il popolo contiene due significati, l’uno voluto dall’empio Sommo Sacerdote e l’altro dallo Spirito Santo ed espresso da San Giovanni nel Vangelo». L’empietà di cui parla mons. Romeo riguarda la mancanza di pietas (S. Th., II-II, q. 80 e 101), che è una parte potenziale della virtù di giustizia (II-II, qq. 58-79), la quale ci fa dare ad ognuno ciò che gli è dovuto. Quindi la pietà riguardo Dio è la virtù di religione (ivi, q. 81) ed esige l’adorazione (ivi, q. 84). La simonia (II-II, q. 100) è un peccato di empietà o irreligiosità, che consiste nell’irriverenza verso Dio e le cose sacre volendole acquistare col denaro.
Come si vede Caifa e i Pontefici irreligiosi, empi, atei o simoniaci peccano gravemente contro la Fede intera, ma restano ugualmente – giuridicamente o canonicamente – Pontefici, anche se moralmente sono gravemente peccatori.

Il Pighius contro Lutero: il Luteranesimo è essenzialmente un errore ecclesiologico

Ma, si chiede il Pighius contro Lutero (6), cosa unisce e fa partecipare gli uomini dell’Antica e Nuova Alleanza all’unica Chiesa di Dio e di Cristo? Non è la santità, la grazia santificante o la virtù soprannaturale di Carità (come volevano i Donatisti e poi gli Hussiti e i Luterani); altrimenti i peccatori non apparterrebbero al corpo della Chiesa, la quale, invece, è rappresentata dal Vangelo come una grande rete da pesca, che raccoglie ogni genere di pesci buoni e cattivi, e dal Pentateuco come l’Arca di Noè in cui vi era ogni specie di animali. Ora già nel Trecento papa Giovanni XXII (Costituzione Gloriosam Ecclesiam, DB 484 ss.) ha condannato la teoria escogitata dai Fraticelli di “Due Chiese” (7), una spirituale, povera, pura e santa, di cui facevano parte solo i Fraticelli con i loro “puri” seguaci, e l’altra carnale, ricca, corrotta, gerarchica, petrina con a capo il Papa e tutti gli altri cristiani “normali”. Eresia codesta derivata dall’errore del Montanismo del II secolo, condannato da papa San Zefirino (199-217) e dall’eresia del Donatismo del V secolo contro cui combatterono Ottato vescovo di Milevi nell’Africa mediterranea corrispondente all’odierna Algeria nel 365 scrivendo 6 libri intitolati De schismate Donatistarum o Contra Parmenianum Donatistam (8) (PL XI, 883-1104, CSEL 26) e S. Agostino (Bapt, IV, 17, 24; C. ep. Parm., II, 11, 25; Sermo IV, 30, 33; Ep., XLIII, 1).

Ottato da Milevi nel 365 (De schismate Donatistarum, II, 2-3) insegna contro i Donatisti che non si può fare della sola Santità (e per di più personale) la nota essenziale e unica della vera Chiesa di Cristo. Egli spiega bene anticipando la confutazione fatta dal Pighius del Luteranesimo che le note della Chiesa sono anche la Cattolicità, l’Unità e l’Apostolicità. Quindi la discendenza dagli Apostoli da sola non basta (Apostolicità materiale), ma è necessaria anche la dipendenza da Pietro e dei Vescovi dal Papa (Apostolicità formale). Infatti Pietro fu il Capo del Collegio apostolico e il Papa è il Capo del Corpo dei Vescovi, per cui l’unica vera Apostolicità (che è quella formale, mentre l’Apostolicità materiale da sola non basta) la si trova nella Prima Sede, che è legittima erede della Cattedra di Pietro, cui Cristo unicamente concesse le “Chiavi del Regno dei Cieli” (9).

La dottrina insegnata da Ottato di Milevi la si ritrova nella comune Tradizione patristica, la quale insegna: «Nel passo del Vangelo di Marco (VI, 47-56) è scritto giustamente che la Nave (ossia la Chiesa) si trovava nel mezzo del mare, mentre Gesù stava da solo sulla terra ferma: poiché la Chiesa non solo è tormentata ed oppressa da tante persecuzioni da parte del mondo, ma talvolta è anche sporcata e contaminata di modo che, se fosse possibile, il suo Redentore in queste circostanze, sembrerebbe averla abbandonata completamente» (SAN BEDA, In Marcum, cap. VI, lib. II, cap. XXVIII, tomo 4). E ancora: «La Chiesa è simile a una nave che viene continuamente agitata dalle onde e dalle tempeste, ma non potrà mai naufragare perché il suo albero maestro è la Croce di Gesù, il suo timoniere è Dio Padre, il custode della sua prua lo Spirito Santo, i suoi rematori gli Apostoli» (SANT’AMBROGIO, Liber de Salomone, c. 4).

Anche S. Agostino contro gli stessi Donatisti confutati da Ottato insegna che “appartengono alla Chiesa non soltanto quelli che esistono oggi, ma addirittura quanti sono esistiti e esisteranno da Adamo ed Abele sino alla fine del mondo” (Serm., 341); “La Chiesa non è una comunità fatta esclusivamente di Santi, bensì una comunione mista (corpus permixtum) poiché l’intenzione di Gesù fu quella di istituire una comunità mista in cui si trovassero mescolati assieme buoni e cattivi” (De civitate Dei, XVIII, 49; cfr. De doctrina christiana, III, 45 e l’intero De Baptismo contra Donatistas, in Migne, PL, voll. 32-47, Parigi, 1841).

Conclusione

La vera Chiesa in cui occorre trovarsi per salvarsi è come una città posta sopra un monte affinché possa essere vista e riconosciuta facilmente da tutti e non solo dai filosofi, dai teologi e dagli “illuminati”. Quindi l’elemento che costituisce l’essenza della società spirituale o ecclesiale non può e non deve essere invisibile come la carità, la grazia santificante, la predestinazione, il Papato solo materiale o virtuale. Occorre un elemento visibile e sensibile, che cade sotto i sensi e può essere constatato da tutti. L’elemento visibile e sensibile, che unisce la moltitudine dei fedeli in un solo “Corpo Mistico, che è la Chiesa” (Ef., I, 23), consiste nell’ordine e sottomissione di tutti ad uno che ha il primato (10). Infatti non esiste e non può sussistere nessuna moltitudine ben riunita e strutturata (“ratio unitatis”) senza l’ordine interno e l’ordinazione ad un certo primo principio (“ordinatio ad unum”). Quest’ordine “ad unum” esiste e lo si constata tra i corpi celesti, tra gli angeli che sono una gerarchia di Cori, tra le membra del corpo umano che dipendono dagli ordini del cervello, ed anche tra le api che sono sottomesse all’ape regina.
Ora, se senza l’ordinazione “ad unum” non sussiste lo Stato civile, la città, la famiglia, a maggior ragione non può sussistere la Chiesa universale composta da popoli di tutta la terra, di lingue, culture e mentalità assai diverse. Quindi occorre un vincolo sensibile e visibile che mantiene l’unità della Chiesa e a partire dal quale si capisce facilmente chi ne fa parte o no.

L’ordine e la subordinazione di tutti i membri al Capo Supremo e la natura della Società civile e spirituale esige tale ordine “ad unum”, tanto più che Gesù lo ha istituito nella persona fisica, reale, visibile, concreta e non astratta o virtuale del Sommo Pontefice.

Ora, secondo il Pighius, se la Chiesa deve essere una, per natura e per divina istituzione, è necessaria l’autorità e la gerarchia, ossia il Papa e l’Episcopato sparso per tutto il mondo, poiché la Chiesa di Cristo è universale o cattolica e non nazionale o particolare, né tantomeno è una conventicola. Quindi, contro Lutero, vi deve essere una distinzione gerarchica tra clero e laici, tra consacrati e fedeli e anche tra gli stessi consacrati vi è una serie di gradini per cui si accede all’unico Ordine sacro. Gesù, dunque, ha istituito la Prima Sede in una persona fisica, reale e viva che è il Sommo Pontefice, alla quale i fedeli, i sacerdoti e i vescovi debbono essere subordinati, altrimenti vi sarebbero tanti scismi e “religioni” quanti sono i pastori o addirittura i fedeli (11), come è successo ai Luterani.

Siccome tra i fedeli e tra gli stessi pastori possono sorgere delle dispute è necessario che il Capo della Chiesa abbia tanta autorità da poterle dirimere tutte con un giudizio definitivo, definitorio e obbligante mantenendo così l’ordine tra i vari gradi e l’unità tra tutti i cristiani. Le controversie non si possono dirimere ricorrendo alla sola Scrittura o alla sola Tradizione poiché la Bibbia e il Denzinger sono libri e giudici muti, che non possono rispondere alle questioni poste loro e che ognuno può interpretare a suo piacimento. Quindi è necessario che le questioni vengano sottomesse e riferite al magistero del Papa vivente in atto e non in potenza o virtualmente nella mente di qualche teologo. Il Papa non può essere un ente di ragione ma deve essere un ente reale.
Quindi il Sommo Pontefice deve avere il potere di definire, obbligare e insegnare infallibilmente quale sia la vera dottrina da tenersi da tutti e quale da rigettarsi. Il Signore aveva dato il medesimo potere al giudice e al sacerdote della Sinagoga mosaica: “Andrai ai sacerdoti della stirpe di Levi ed al giudice che allora sarà in carica; chiederai a loro un giusto giudizio ed essi te lo daranno. Tu eseguirai tutto quello che i capi della “ecclesia” del Signore ti avranno insegnato e secondo la Legge di Dio ti atterrai alla loro definizione e non te ne allontanerai né a destra né a sinistra. Se poi uno non vorrà obbedire al comando e alla sentenza del sacerdote che sarà allora il ministro del Signore, costui verrà messo a morte” (Deut., XVIII, 9-12).
A maggior ragione Dio doveva provvedere anche e specialmente alla Chiesa della Nuova Alleanza, che è destinata a durare sino alla fine del mondo e che non è circoscritta ad un solo popolo come la Sinagoga della Vecchia Alleanza, ma si estende a tutti i popoli del mondo intero per cui le dispute dottrinali potrebbero essere più frequenti e accese rendendo ancor più necessaria l’autorità che conservi l’unità di fede e di costumi.

Ecco perché quando nella Chiesa regna un Papa non buono il principio di unità viene destabilizzato più o meno intensamente ed oggi si può parlare, in senso largo o non strettamente teologico, di uomini di una “contro-chiesa”, che cercano di erodere modernisticamente la Chiesa cattolica dal di dentro (cfr. SAN PIO X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907).

E’ il piano che la “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) ha sempre avuto in mente a partire da Giuda sin dalla fondazione della Chiesa di Cristo ed ha cercato di attuare nel corso dei secoli, perseguitando la Chiesa o “Cristo continuato nella storia”, con qualche successo parziale (cfr. la crisi ariana del IV secolo, il X secolo detto “periodo bronzeo” della Chiesa, il Grande Scisma d’Occidente, il Concilio Vaticano II e il post-concilio da Paolo VI a Francesco I), ma, nonostante tutti gli sforzi dell’inferno e dei suoi accoliti, “le porte dell’Inferno non prevarranno contro di Essa”. La fede ci assicura che anche quest’ultimo tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo (Vaticano II) è destinato a fallire come tutti gli altri che lo hanno preceduto e come la persecuzione dell’Anticristo finale, la quale concluderà la storia dell’umanità e della Chiesa con la vittoria definitiva di Cristo (12).

“Dio salvi la Chiesa dalle colpe degli uomini di Chiesa!” (d. Francesco Putti).

(fine)

NOTE

1 – Mons. Antonino Romeo scrive: “In Israele il sacerdote (kohén, colui che sta in piedi o assiste) appare al tempo di Mosè. Il Pentateuco parla di un sacerdozio pre-mosaico, che si innesta nella storia generale delle religioni, quando nei tempi più remoti ognuno offriva a Dio sacrifici privati. […] Dopo, Mosè unificò le funzioni cultuali nella tribù di Levi, i leviti erano assistenti o accoliti dei sacerdoti, e il sacerdozio nella famiglia di suo fratello Aronne, che assieme a Mosè facevano parte della tribù di Levi. […] Mosè consacrò Aronne sommo sacerdote con l’unzione del capo, questa unica consacrazione di Aronne sarebbe passata ai suoi discendenti diretti e il sommo sacerdozio al primogenito della famiglia di Aronne, mentre gli altri membri della tribù di Levi rimanevano addetti solamente al culto come ‘associati’, aiutanti o servienti dei sacerdoti. […] I requisiti per il sacerdozio erano soprattutto la discendenza, dimostrabile mediate le tavole genealogiche, da Aronne. […] I sacerdoti offrivano i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme, istruivano il popolo nella fede e lo guidavano nella legge col potere di chiarire ed applicare le prescrizioni, inoltre amministravano la giustizia con potere coercitivo. ]…] I sacerdoti di Israele furono spesso indegni, sin dall’inizio (i due figli di Aronne Nadab e Abiù). […] La fine del mosaismo e la distruzione del Tempio nel 70 d. C. tolse al sacerdozio israelitico ogni ragion d’essere. Il giudaismo non ebbe più sacerdoti, né sacrificio che poteva essere offerto solo nell’unico Tempio di Gerusalemme e soltanto dai discendenti di Aronne, mentre le tavole genealogiche andarono smarrite con la distruzione del Tempio” (in Dizionario biblico, diretto da F. SPADAFORA, Roma, Studium, 3° ed., 1963, pp. 531-533; cfr. A. ROMEO, Enciclopedia del Sacerdozio, voce “Il Sacerdozio d’Israele”, Firenze, 1953, pp. 393.498).
2 – Levi era figlio di Giacobbe, vissuto nel 1700 a. C. circa, mentre Mosè visse nel 1300 a. C., ossia 400 anni dopo Levi, ed apparteneva alla tribù di Levi assieme ad Aronne suo fratello (cfr. ANTONINO ROMEO, voce “Levi”, in Dizionario biblico, a cura di FRANCESCO SPADAFORA, Roma, Studium, 3° ed., 1963, p 369; cfr. A. ROMEO, Enciclopedia del Sacerdozio, voce “I Leviti”, Firenze, 1953, pp. 423-435, 438 ss.).
3 – Per l’analogia che intercorre tra la costituzione divina e le proprietà della Chiesa di Cristo e della Sinagoga o Chiesa dell’Antico Testamento (prima del deicidio) si veda D. P. L. B. DRACH, De l’harmonie entre l’Eglise et la Synagogue, Paris, Mellier, 1844, tr. It., Roma, 1864; cfr. Eugenio Zolli, voce “Drach David Paul”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol IV, coll. 1919-1920.
4 – Non malvagi per vita privata moralmente peccaminosa, ma per incredulità pubblica e manifesta, in quanto avevano comprato il sacerdozio e volevano usarlo per crocifiggere Gesù.
5 – Compie un atto moralmente disonorevole, ma resta giuridicamente Sommo Sacerdote.
6 – Definito da S. Lorenzo di Brindisi (Dottore della Chiesa): “Luogotenente e strumento di satana per il suo secolo” (Lutero, Siena, Cantagalli, 3 voll., 1932-1933).
7 – Bisogna, quindi, fare attenzione oggi a non impiegare in senso strettamente teologico i termini “Chiesa conciliare” e “Chiesa tradizionale” ritenendo che la Chiesa gerarchica e romana abbia cessato di esistere con il Vaticano II e che la vera Chiesa di Cristo sussista solo nei Pastori e nei fedeli legati alla Tradizione.
8 – Traduzione in italiano a cura di L. DATTRINO, col titolo La vera Chiesa, Roma, Città Nuova, 1988.
9 – Cfr. L. DATTRINO, La Tradizione di Ottato di Milevi, in AA. VV., La Tradizione, forme e modi, Roma, Città Nuova, 1990, pp. 389-405.
10 – PIGHIUS, Hierch. Eccles. Assertio, cit. lib. II, cap. 2, folio 47 a.
11- PIGHIUS, Hierch. Eccles. Assertio, cit. lib. III, cap. 1.
12 – Cfr. A. LÉMANN, L’Anticristo, Proceno di Viterbo, FDF, II ed., 2013; H. DELASSUS, Il problema dell’ora presente, Proceno, FDF, 2 voll., II ed. 2014-2015; M. PINAY, Complotto contro la Chiesa, Proceno, FDF, II ed. 2015.


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settembre 2017

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