LE SPECIE VIVENTI SONO NATE TUTTE INSIEME.

LO DIMOSTRA UNO STUDIO GENETICO.


di Maurizio Blondet


Pubblicato sul sito dell'Autore


Presentazione nostra

L'interesse di questo articolo informativo di Blondet sta in due fattori: il primo è che la “scienza”, lungi dall'essere una categoria univoca ed esatta, è qualcosa di mutevole e di opinabile; il secondo è che la “teoria” dell'evoluzione, non solo è una mera teoria, un falso mito, ma è soprattutto una gratuita invezione ideologica, mossa dalla viscerale avversione ottocentesca per la religione e Dio. A gradi e a spezzoni si constata, col disappunto degli “scienziati”, che l'unica cosa seria che rimane è il racconto della creazione riportato nella Bibbia. Ma gli uomini moderni sono tanto infatuati di loro stessi e delle loro supposte “certezze scientiche” da essere diventati ciechi e sordi anche di fronte all'evidenza. Una roba da matti, insomma!
Meditate, gente! Meditate!





Tutti contemporanei


Praticamente tutte le specie animali oggi esistenti, compreso l’uomo, sono apparse sulla Terra allo stesso tempo: fra i 100 mila e i 200 mila anni fa, in un periodo geologicamente breve.

E’ la stupefacente conclusione cui sono giunti due genetisti, David Thaler dell’università di Basilea, e Mark Stoekle della Rockefeller, analizzando il DNA mitocondriale di 100 mila specie viventi attualmente nei continenti e negli oceani del globo, dopo aver esaminato 5 milioni di “codici identificativi” delle suddette specie. Una messe enorme di dati, che rende il risultato indiscutibile.

Questa immensa campionatura è stata resa possibile da una recente metodologia d’indagine, che esamina il DNA mitocondriale, più facile a decodificare rispetto al DNA del nucleo della cellula, che è proprio di ogni individuo, coi suoi tre miliardi di paia di molecole organizzate in migliaia di geni. I mitocondri sono, nella cellula, i minuscoli “motori” che forniscono energia alla cellula e la fanno respirare: il loro DNA ha solo 37 geni. Uno di essi, detto COI (sigla per cytochrome oxidase I), è stato definito il “codice a barre DNA” perché esso identifica alla perfezione la specie cui appartiene, tanto che viene usato per scoprire frodi alimentari, se per esempio nell’hamburger di bue c’è carne di cavallo, o se nel kebab halal c’è la presenza di maiale.



Il gene  COI ha una sequenza genetica assolutamente simile in tutti gli animali, il che lo rende  facile da “vedere” e confrontare; d’altra parte, presenta differenze caratteristiche proprie di ciascuna specie. Insomma è davvero un “codice a barre” che identifica con semplicità e precisione ogni specie animale. Il metodo è anche economico, ciò che ha permesso ai due genetisti di passare in rassegna, in una decina d’anni, appunto 5 milioni di codici a barre di 100 mila specie attualmente viventi.

La prima, e per loro stupefacente, scoperta dei due genetisti è questa: che non si aspettavano una tale “uniformità” all’interno della stessa specie, e una totale assenza di quelle che loro definiscono “passerelle” fra una specie e l’altra. I loro dati smentiscono definitivamente il mito evoluzionista per cui una specie si sarebbe “evoluta” dall’altra, attraverso ipotetici “anelli di congiunzione” poi estinti. Ogni specie studiata è in modo impressionante “fissa”, una  specie “rana” è identica geneticamente sia che viva nei nostri stagni sia nel Mato Grosso, e la specie Homo sia che viva qui che in Cina; le differenze morfologiche, minime, sono indifferenti al loro codice a barre genetico.

L’altra cosa che hanno scoperto, è che la diversità genetica non varia con la numerosità e l’estensione sulla terra di una specie. I manuali evoluzionisti insegnano che più una specie è numerosa, antica e diffusa in zone climatiche differenti, più dovrebbe presentare variazioni genetiche, dovute all’accumularsi di variazioni nel DNA in funzione della sua moltiplicazione attraverso le epoche. Niente di più falso: i 7,5 miliardi di esseri umani, i 500 mila passeri, i centomila beccaccini, hanno all’incirca la stessa diversità genetica: limitatissima.

Da qui la terza e più inattesa scoperta: studiando le variazioni genetiche “neutrali”, le piccole variazioni genetiche del DNA, né dannose né utili, che si succedono e si trasmettono fra generazioni, i genetisti hanno dovuto ammettere che esse sono molto, ma molto meno frequenti di quanto “previsto” dagli evoluzionisti, e per quanto grande sia il numero degli individui che la compongono. Il che non è poi così strano: il DNA è  la materia vivente più costante, si “difende attivamente” contro le mutazioni, azzerandole.

Il punto è che gli evoluzionisti si basano su queste variazioni neutrali, che suppongono essere avvenute in cadenze regolari, per determinare l’età di una specie, il momento in cui è apparsa sulla Terra – un po’ come gli anelli dei vecchi alberi tagliati ne mostrano l’età.  Fatti e rifatti i calcoli, i due genetisti sono giunti alla conclusione più clamorosa: che il 90% delle specie oggi viventi sulla Terra, sono nate tutte insieme, 100-200 mila anni fa.

La massima parte delle specie, siano uccelli, pesci, falene o uomini, sono apparsi così recentemente da non aver avuto tempo di sviluppare molta diversità genetica. La diversità genetica dell’umanità d’oggi è in media dello 0,1%:  se prendiamo queste variazioni come la cadenza di un orologio genetico, ciò  farebbe risalire la divergenza di umani come specie distinta a 100-200 mila anni fa.   [Ovviamente il profano potrebbe sospettare che l’orologio genetico delle variazioni non ha la cadenza regolare che gli scienziati pretendono: ma questo è un argomento che gli scienziati non paiono disposti a discutere].

Dai “primitivi” rettili ai marsupiali, dagli ovipari ai vivipari, fino all’“evoluto” Homo Sapiens,  sono tutti contemporanei: ciò che noi pensiamo sia il risultato di una evoluzione, non lo è. Il rettile non è più primordiale di un mammifero, né un marsupiale più primitivo di un placentato, né gli anfibi ci hanno “preceduto” nel tempo perché meno complessi. Né noi, l’orgogliosa specie Homo, siamo venuti “dopo” il cardellino o  la trota. Saremmo nati tutti insieme. In un periodo oltretutto alquanto recente, 200 mila anni fa, o meno.

L’intero regno animale – almeno quello presente oggi –  sembra essere apparso insieme sulla Terra.  Lo stesso David Thaler, uno dei due autori della scoperta, ammette: “L’ho combattuta finché ho potuto”. Il  motivo è ovvio. Non è solo che i risultati della sua scoperta demoliscono ogni possibile teoria evoluzionista, per quanto “riformata” e “corretta” (lo è stata molte volte, dopo Darwin), ma anche la stessa ideologia dell’evoluzione, in quanto “fede” implicita in tutti gli studiosi del vivente, il pilastro a cui appendono le loro certezze.

Il vostro cronista intravvede una certa difficoltà a conciliare  questa scoperta con i dati della paleontologia e stratigrafia geologica, che retrodatano la vita di milioni di anni, non di 100-200 mila. Il Cenozoico, in cui appaiono i mammiferi, sarebbe iniziato 6,5 milioni di anni fa. Fino a che punto le datazioni stratigrafiche sono “sicure” e credibili? Fino a che punto la retrodatazione è il presupposto ideologico per dare alla evoluzione “il tempo” di evolversi?

Come avevo illustrato nel mio “L’uccellosauro ed altri animali” [editore Effedieffe, 2012],  le datazioni stratigrafiche o con radio-isotopi danno dati estremamente variabili e improbabili: un Proconsul (una scimmia estinta) è stato datato fra i 14 e 15 milioni di anni, benché le misurazioni con isotopi  abbiano dato una variazione fra 42 e 264 milioni di anni.  Alla fine, la datazione di 15 milioni è stata accettata, e le altre scartate, “perché si integra nella scala fanerozoica”, ossia nell’immaginaria cronologia asserita dai darwinisti. Ossia: il pregiudizio serve a “datare” dati discordanti.  Non a caso, nel 1974 è stata istituita una Commissione Internazionale di Stratigrafia, che  “definisce standard” delle “sezioni stratigrafiche” nella geologia terrestre per metter d’accordo paleontologia e geo-biologia e unificare in qualche modo dati discutibili: stabilendo una sorta di rigorosa convenzione sulle datazioni.

Certo anche la detta Commissione avrà qualcosa da dire se la vita animale esistente è apparsa, per i genetisti, in epoche così recenti.

C’è stata forse una estinzione di massa  centomila anni fa, che ha ridotto il numero  delle specie per lasciar sopravvivere solo quelle che condividono con noi il mondo odierno? O una catastrofe non meglio identificata che ha permesso il fiorire di tante specie in uno stesso e breve tempo?  Se lo sono chiesto i ricercatori. Ma  l’impatto di un asteroide, come quello che avrebbe distrutto i dinosauri (e spazzato via il 70% della vita) 65 milioni di anni fa, non sembra essersi riprodotto in epoca tanto più recente:  altrimenti avrebbe  lasciato tracce identificabili.

Stoeckle ha imbastito una mezza ipotesi che suona  così: “L’interpretazione più semplice è che la vita è in costante evoluzione , e che ad ogni epoca dell’evoluzione, gli animali viventi ad un momento dato sono apparsi più  o meno nello stesso periodo, con una durata di vita limitata, per poi trasformarsi in qualcos’altro”.  Insomma l’evoluzionismo vince sempre.

https://phe.rockefeller.edu/news/wp-content/uploads/2018/05/Stoeckle-Thaler-Final-reduced.pdf




giugno 2018
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