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San Paolo VI ? Antoine Martin, laureato alla
Scuola Nazionale Superiore di Lione e aggregato di Lettere Classiche,
autore de La Chute des astres
e Le Chant dans la fornaise, ritorna
sulle implicazioni della canonizzazione di Paolo VI e sui problemi che
essa ha causato.
Una miniera di informazioni. E una conclusione: questa “canonizzazione” conciliare è una colossale presa in giro! «Il prossimo 14 ottobre, papa Francesco intende canonizzare il suo predecessore paolo VI» «Anche noi, noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo», dichiarò Paolo VI alla chiusura del Vaticano II (7 dicembre 1965), con un’espressione che sintetizzava perfettamente il Concilio. Dopo aver inteso tali espressioni dalla bocca di un Vicario di Cristo, ci si trova in diritto di porsi un po’ di domande sulla sua santità. Certo, ci sono i dubbi sollevati da Don Philippe Toulza su certi episodi della vita di Paolo VI, ma, attenzione, Don Philippe Toulza è un feroce tradizionalista, membro della sulfurea Fraternità Sacerdotale San Pio X; niente di sorprendente quindi che abbia voluto la pelle di papa Montini. Sorvoliamo, dunque. Visto su KTO ! Guardiamo piuttosto ad una televisione al di sopra di ogni sospetto di integralismo: KTO. Il 19 ottobre 2014, lo stesso giorno della beatificazione, il canale religioso ha trasmesso un numero de “La foi prise au mot”, dedicato al Papa del Concilio. Régis Burnet ha ricevuto due invitati: Christophe Henning, giornalista del Pèlerin Magazine, e Philippe Chenaux, che insegna storia della Chiesa moderna e contemporanea alla Pontificia Università del Laterano, «l’Università del Papa», come precisa il presentatore da subito. Questa volta, quindi, siamo in buona compagnia. Perbacco! I primi ventiquattro minuti della trasmissione scorrono senza incidenti notevoli, quando d’improvviso, per alcuni momenti, il dibattito assume delle connotazioni del tutto surreali: Philippe Chenaux: [Paolo VI] ha
avuto una grande influenza su Pio XII in quegli anni (alla fine della
guerra, all’inizio degli anni ‘50)…
Régis Burnet : E allora… ? Philippe Chenaux: … cosa che dispiaceva a certuni in seno alla Curia. Vi era quanto meno un partito (lo si chiama così: Partito Romano) che era ostile a Montini, e che cercò l’occasione della sua disgrazia, allontanarlo dalla Curia, e finalmente… Régis Burnet: Allora, dunque: che accadde nel 1954? Philippe Chenaux: Bene, gli archivi su questo periodo non sono aperti. Sono state avanzate tutta una serie di ipotesi, che si possono discutere, qualcuna non è assolutamente convincente. Sembra che – io credo – cosa che è più o meno sicura, che ad un certo momento egli perse la fiducia di Pio XII. Perse la fiducia di Pio XII. Régis Burnet: E si sa il perché? Philippe Chenaux: Non si sa il perché. E comunque Pio XII prese la decisione di allontanarlo dalla Curia… Fermiamoci un momento e rileggiamo con calma quello che precede. In meno di un minuto, come se niente fosse, anche se un po’ imbarazzato, lo storico dell’“Università del Papa” fornisce due informazioni sorprendenti: Nel 1954, Giovani Battista
Montini perde la fiducia di Pio XII, al punto che questi lo allontana
dal Vaticano.
Non si sa per quale motivo,
perché gli archivi della Santa Sede su questo periodo non sono
aperti!
Leggiamo dalle Éditions du Cerf! Nel maggio 2015, Philippe Chenaux ha pubblicato presso le prestigiose Éditions du Cerf un’opera di 432 pagine: Paul VI. Le Souverain éclairé [Paolo VI. Il Sovrano illuminato]. Con un tale titolo, nessun pericolo che l’autore del libro si riveli ostile al Papa del Concilio! Fermiamoci dunque su questo studio. Fin dalle prime pagine si viene a sapere che lo storico ha avuto accesso al dossier del processo di beatificazione (la Positio): «Il postulatore della causa di beatificazione di Paolo VI, Padre Antonio Marasso, ha amabilmente accettato di mettere a mia disposizione i cinque grossi volumi della Positio, con le deposizioni di più di duecento testimoni». Nessuna speranza però di apprendere la ragione per la quale Pio XII allontanò il futuro Paolo VI dal Vaticano. Su questo punto, Philippe Chenaux confessa la sua ignoranza: «Nell’autunno del 1954, a seguito di una serie di episodi ancora poco chiari per lo storico che manca dell’accesso diretto agli archivi del Vaticano e mentre si apre una nuova fase della politica italiana ed europea, i sostenitori del “partito romano”, da sempre ostili alla sua persona e alla sua azione, finirono con l’ottenere il suo allontanamento dalla Curia.» Certo, Philippe Chenaux non manca occasione per insistere sull’opposizione incontrata in Curia da Giovanni Battista Montini: è evidente che su di lui saranno stati presentati dei rapporti sfavorevoli che lo hanno danneggiato nella considerazione di Pio XII. La situazione è tale da ricordare il recente documento di Mons. Viganò contro Papa Francesco, di cui certi mezzi di comunicazione ci ripetono fino alla nausea che sarebbe stato dettato da un vero rancore nei confronti del papa argentino. Ma nell’un caso e nell’altro si dimentica il fondo del problema, riassumibile in una breve domanda: questi rapporti, sono veri? E nel caso di Montini si può aggiungere quest’altra domanda: che contenevano quei rapporti? Sulla causa decisiva dell’allontanamento del futuro papa da parte di Pio XII, Philippe Chenaux si attiene a delle congetture. Ora, visto che l’universitario ha avuto tra le mani i documenti del processo di beatificazione, una tale ignoranza non rassicura certo i fedeli… Le osservazioni complementari di Monsignor Mazzotta Un articolo di Stefania Falasca, pubblicato il 12 maggio 2014 sul sito del giornale italiano Avvenire, ci fa sapere un po’ di più sulla procedura di beatificazione di Papa Montini. La fine di questo testo rivela in particolare la presenza di «Osservazioni complementari» (chiamate “Questiones selectae”) studiate sotto la direzione di Monsignor Mazzotta. Esse trattano delle «obiezioni avanzate da testimoni o relative a momenti problematici della vita del Servo di Dio». E tra questi momenti problematici è giustamente menzionata la «sua nomina ad arcivescovo di Milano», in altre parole il suo allontanamento dalla Curia romana. Dunque, la questione è stata affrontata dagli inquisitori. Avranno potuto accedere agli archivi vaticani del 1954? Quali sono stare le loro conclusioni? In un’intervista (Le tre passioni di Paolo VI) con Andrea Acali, pubblicata il 19 maggio 2018 sul sito In Terris, Monsignor Guido Mazzotta, relatore della causa per Paolo VI, ci dice qualcosa di più sulle ragioni dell’esilio milanese: « Cosa successe? Bisogna
tenere presente la dinamica degli ultimi anni della guerra, la
situazione italiana, l’organizzazione dell’apostolato. Montini veniva
dalla Fuci, quella che si può definire l’area più
‘liberal’, dall’altra parte c’era Gedda, il cosiddetto partito romano,
il cosiddetto pentagono vaticano. Si ipotizzava per l’Italia post
bellica una soluzione conservatrice di tipo portoghese o salazariano,
mentre Montini voleva saldare compiutamente la Chiesa e il laicato
cattolico alla democrazia. Si trovava così ad essere del tutto
naturalmente l’interfaccia di De Gasperi. Non si incontrarono spesso ma
si scambiavano messaggi. La destra curiale era contro De Gasperi
(parliamo degli anni tra il ‘44 e il ‘46). Addirittura si mostrava a
favore di una duplice rappresentanza politica dei cattolici, tra cui i
cattocomunisti di Franco Rodano, consigliere di Togliatti. Ma alla fine
Pio XII dava ascolto a Montini. Dopo la vittoria delle elezioni della
Dc e di Gedda alle elezioni del 1948, in Pio XII crebbe il timore che
il Comune di Roma finisse in mano ai comunisti. L’idea era quella di
fare una lista, capeggiata da Sturzo, che comprendesse tutte le forze
anticomuniste, dalla Dc al Msi. E qui va detto che Montini si
adoperò per far fallire il progetto. Sturzo si ritirò il
giorno in cui scadevano le candidature e la cosa cadde. Quindi c’era
tensione. Su questo sfondo occorre ripensare la destinazione milanese
di Montini. Tre personalità particolarmente significative
convergono in un punto: il cardinale Siri, così dice un suo
biografo, a proposito dell’“esilio” di Montini disse che aveva sentito
parlare di motivi politici, perché aveva incontrato leaders del
comunismo internazionale all’insaputa del Pontefice. Cosa analoga
afferma il card. Casaroli, che riferisce di voci sentite in Segreteria
di Stato. La stessa cosa dice l’archeologa Margherita Guarducci, figlia
spirituale di Montini. Così mi è venuto in mente di
controllare la corrispondenza con don De Luca, che è stata
pubblicata. Ho iniziato da giugno del ‘54 (Montini fu nominato
arcivescovo di Milano il 3 novembre 1954) e a metà agosto noto
qualcosa di strano. Muore il card. Schuster. Monsignor Montini lascia
Roma nella seconda metà del mese. De Luca gli scrive: ”Quando torni? Qui ci sono cose serie che
bollono in pentola. Ti devo informare. Ma, - aggiunge -, qualunque cosa tu sentirai di me,
interroga prima me”. Cosa significa? Voleva informarlo delle
voci sul suo “esilio” a Milano. Ma c’è l’aspetto personale. L’ho
fatta leggere ad esperti di De Luca e tutti hanno confermato la mia
idea.»
E cioè? «De Luca ha invitato a cena
Montini e gli ha fatto trovare Togliatti. Montini il giorno dopo
avrebbe dovuto informare il Papa e invece non lo fece. Per fortuna,
aggiungo, perché altrimenti non sarebbe andato a Milano e
probabilmente non sarebbe diventato Papa. Gli avversari di Montini
hanno saputo questa cosa direttamente da De Luca, se l’era fatta
sfuggire. Per questo gli scrive “se senti qualcosa su di me, interroga
prima me”. I nemici di Montini informano Pio XII e lì si spezza
la piena fiducia del Pontefice, anche se tra i due poi ci fu un
chiarimento.»
Tre osservazioni su questa dichiarazione ricca di informazioni: 1) Secondo Monsignor Mazzotta, il futuro Paolo VI perdette nel 1954 la fiducia di Papa Pio XII perché coltivava alle sue spalle delle relazioni con i comunisti. Il comunismo era stato oggetto di una condanna solenne una quindicina di anni prima, nell’enciclica Divini Redemptoris (1937). In tali condizioni non c’è da stupirsi che il Vaticano II non abbia ricordato questa condanna, tuttavia prevista inizialmente. 2) Monsignor Mazzotta, che si ritiene abbia studiato questo episodio della vita di Paolo VI allo scopo di verificare se esso rappresentasse o no un ostacolo alla sua beatificazione e poi alla sua canonizzazione, non fornisce alcuna giustificazione valida di questo comportamento inqualificabile. Egli si accontenta di dichiarare che fortunatamente Montini disobbedì, altrimenti probabilmente non sarebbe diventato Papa. Machiavelli non avrebbe detto meglio. Con questo tipo di ragionamento si possono scusare molti comportamenti discutibili. 3) La sua dichiarazione ci informa anche sulle fonti del relatore della causa: testimonianze di terzi, biografie edite (per esempio quella del cardinale Siri), corrispondenze pubblicate (quella con De Luca). E’ chiaro che è a partire da questi documenti e consultando degli specialisti su Don De Luca, che Monsignor Mazzotta si è fatto un’opinione. Nessuna traccia di accesso agli archivi vaticani. Chiaramente questi ultimi gli sono rimasti inaccessibili per quel periodo… Un vizio di procedura? Tutti abbiamo sentito parlare dello svolgimento del processo di beatificazione. Ci è stato sempre detto che c’era del certo, che niente era stato lasciato al caso. E soprattutto abbiamo tutti presente il lavoro del promotore della fede (o promotore di giustizia), più conosciuto come avvocato del diavolo, ritenuto addetto ad «argomentare contro la canonizzazione del candidato», come si può leggere bene su Wikipedia. Con tale procedura, nessun rischio: i cattolici possono stare sicuri sul conto della persona a cui rivolgeranno le loro preghiere. Ma tutto d’un colpo: patatrac! Si viene a sapere che i chilometri di archivi relativi alla maggior parte dell’attività di Giovanni Battista Montini in Vaticano, a partire dalla Segreteria di Stato di Pio XII, restano inaccessibili! E tuttavia, ecco in quali termini l’Istruzione Sanctorum Mater, per lo svolgimento delle inchieste diocesane o eparchiali nelle cause dei santi, pubblicata nel 2007 dalla Congregazione per la Causa dei Santi, definisce il dovere dei periti: «Il compito dei periti è ricercare e
raccogliere tutti gli scritti del Servo di Dio non ancora editi, come
pure tutti e singoli i documenti storici sia manoscritti sia stampati,
riguardanti in qualunque modo la causa» (Art. 68, §
2).
Il meno che si possa dire è che tale clausola non sia stata rispettata nel caso di Paolo VI (fu rispettata nel caso di Giovanni Paolo II? Si ricordi il «Santo subito!»). E’ evidente che sarebbe stato meglio attendere l’apertura degli archivi vaticani. E malgrado tutto questo, dopo un processo di beatificazione supposto svolto secondo la buona e dovuta forma, il Papa del Concilio si è visto dichiarato beato nel 2014. Ci si dica se tutto questo è serio! Ma a cosa pensava dunque l’avvocato del diavolo durante il processo, dal momento che la fonte principale della documentazione restava inaccessibile agli inquisitori? Un processo di beatificazione, che senso può avere in queste condizioni? La piccola burla rivelatrice di Papa Francesco Il 15 febbraio 2018, giorno in cui ha annunciato la canonizzazione di Paolo VI, Francesco non ha mancato di aggiungere una battuta: «Io e Benedetto siamo in lista d’attesa» (https://www.famillechretienne.fr/filinfo/paul-vi-sera-canonise- cette-annee-a-annonce-le-pape-francois-232580). Dopo le recenti rivelazioni di Mons. Viganò, confermate dal suo confratello Mons. Lantheaume, alle quali Francesco si rifiuta ostinatamente di rispondere, si vocifera che la causa di beatificazione di Jorge Mario Bergoglio rischia di essere quanto meno un tantino complicata. Ma tralasciamo questo. La battuta del Pontefice si basa su un presupposto sempre più radicato: quello secondo il quale il Santo Padre sarebbe automaticamente un santo, per il fatto stesso della sua funzione. Il che apparirebbe vero soprattutto dopo il Vaticano II: San Giovanni XXIII, San Paolo VI, San Giovanni Paolo II e ben presto il beato Giovanni Paolo I… In realtà, il progetto di canonizzare ad ogni costo Paolo VI ne nasconde (o ne rivela) un altro: quello di canonizzare, per quanto possibile, l’ultimo Concilio, quello della cosiddetta primavera della Chiesa. Le cifre sono tuttavia là a testimoniare che la tornata conciliare ha letteralmente vuotato le chiese… Canonizzazione e infallibilità pontificia. Alla lettura di questo articolo, vi saranno sicuramente dei cattolici pronti ad obiettare che dal momento che le canonizzazioni sono infallibili, ipso facto diventa illegittimo rimettere in discussione quella di Paolo VI. Ma per l’esattezza, l’infallibilità pontificia copre anche le canonizzazioni? E’ di fede che un santo canonizzato si trovi in Cielo? In questo senso esiste, non lo neghiamo, una corrente teologica molto legata a tali opinioni. Si legga per esempio l’articolo «Canonizzazioni» nel Dictionnaire de Théologie Catholique, colonne 1639-1642. In esso si sostengono queste proposizioni, senza tuttavia osare nettamente di dichiararle di fede. «Esse non sono direttamente
o esplicitamente di fede, non
immediate de fide. Salmaticenses, loc. cit. Anche dopo il
concilio Vaticano non vi sono definizioni espresse dalla Chiesa a
riguardo, di modo che colui che le negasse non sarebbe formalmente
eretico. Ma queste verità toccano la fede con la quale sono in
stretta connessione. La prima è implicitamente rivelata come
tutto ciò che è dedotto con evidenza dai princípi
della fede. Colui che non l’ammettesse sarebbe dunque virtualiter et aurguitive eretico
secondo l’espressione di San Tommaso (S. Th. IIa, IIae, q. XI, a. 2).
Dunque, è implicitamente
di fede divina che il Papa è infallibile nella canonizzazione
dei santi. Non è ugualmente di fede divina che una persona
canonizzata sia realmente in Cielo, è solo di fede
ecclesiastica. Noi dobbiamo necessariamente credere che essa goda della
beatitudine eterna. Tuttavia, noi basiamo la nostra credenza in questa
verità, non sulla testimonianza di Dio, che niente ha detto
né nella Scrittura, né nella Tradizione, ma sulla
testimonianza della Chiesa e del suo capo visibile a cui Dio ha
promesso l’infallibilità» (colonna 1642).
Il passo che abbiamo citato assomiglia stranamente ala filastrocca: «Tre passi avanti, tre passi indietro»! In esso si sostiene che l’infallibilità delle canonizzazioni non è «direttamente o esplicitamente di fede», ma «implicitamente»; del pari, colui che la rigetta non è «formalmente eretico», ma «virtualiter et arguitive»; il che non ha niente di molto chiaro, soprattutto quando si va a leggere il testo di San Tommaso in cui si trovano tali termini, e ci si accorge che non tratta assolutamente di canonizzazione! Infine, ci dice il Dictionnaire de Théologie Catholique, che il fatto che la persona canonizzata sia in Cielo non è di «fede divina», ma «ecclesiastica»: si basa non sulla «testimonianza di Dio», ma «sulla testimonianza della Chiesa e del suo capo visibile». Dunque, il meno che si possa dire è che la proposizione: «l’infallibilità pontificia copre anche le canonizzazioni» non è di per sé garanzia dell’infallibilità pontificia! Nessun papa ha mai coperto tale proposizione con la sua infallibilità. Coloro che affermano che Benedetto XIV l’abbia fatto nel suo De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, si sbagliano di grosso: tale opera venne pubblicata nel 1734, e cioè molti anni prima che il cardinale Prospero Lambertini divenne papa (1740). Il De servorum, quindi, non è un testo magisteriale. Per chiudere provvisoriamente questo dibattito (fino a quando l’insegnamento della Chiesa diverrà esplicito sull’argomento), si può leggere l’opinione dello storico Roberto de Mattei sull’infallibilità delle canonizzazioni, espressa in un’intervista al Catholic Family News, e quella molto documentata del teologo Monsignor Brunero Gherardini, che servono a controbilanciare quanto indicato dal Dictionnaire de Théologie catholique… Conclusione Di fronte a tale situazione, ecco quello che si può prospettare: Prima di tutto, pregare da subito perché un intervento provvidenziale impedisca che abbia luogo tale canonizzazione. Ma una volta che Papa Francesco avesse proclamato la santità di Paolo VI, non resterebbe che una delle quattro seguenti possibilità: 1) ritenere che si possa essere santi pur facendo combutta con i comunisti all’insaputa del proprio Superiore, in questo caso il Papa; provocando così un disastro senza precedenti per la Chiesa… per rifarsi solo ad alcuni dei fatti problematici della vita di Paolo VI; 2) affermare che il Papa non è papa, così da spiegare la ragione per la quale questa canonizzazione è inesistente (argomento sedevacantista); 3) sostenere, contro gran parte della tradizione teologica, che le canonizzazioni non sono infallibili… tutti sembrano concordare nel riconoscere che l’infallibilità delle canonizzazioni non è esplicitamente o direttamente di fede (opzione meno rischiosa?) 4) far finta di non vedere il problema, rinunciare a ragionare e applaudire beatamente ogni nuovo atto problematico del Papa. A quelli che sceglieranno quest’ultima opzione possiamo solo consigliare di andarsi a vedere il documentario agiografico su Papa Francesco uscito nelle sale a ottobre: Papa Francesco – Un uomo di parola. Documentario incentrato sulle interviste a papa Bergoglio e commissionato dallo stesso Vaticano. Nell’attesa si può consultare l’articolo promozionale pubblicato dall’agenzia cattolica SIR – Servizio di Informazione Religiosa: https://agensir.it/mondo/2018/10/01/papa-francesco-un-uomo-di-parola-di-wim-wenders- il-dietro-le-quinte-di-mons-dario-e-vigano-un-racconto-intenso-e-avvolgente/ (torna
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ottobre 2018 |