DANTE E LE CAPRIOLE DI RENÉ GUÉNON


Parte seconda


di L. P.


vai alla Parte prima
vai alla Parte terza








nato a Blois, Francia, il 15 novembre1886
René Guénon




Morto a Il Cairo, Egitto, il 7 gennaio1951
col nome di Shaykh 'Abd al-Wahid Yahya




L’opera di Guénon – di cui ci stiamo occupando – tocca ogni tematica che afferisca all’occulto, al misterico, al senso nascosto adoperandosi a convalidare ogni sua ipotesi con il ricorso alle testimonianze di ordine storico, sapienziale, etimologico in cui evidente è, però, uno scorretto metodo d’indagine dacché – lo si noti – egli allega all’opera dantiana e allo stesso Dante, categorìe, concetti, eventi cronologicamente di gran lunga successivi all’epoca del poeta, come nella fattispecie della fantomatica società rosicruciana.    
   
Come abbiamo scritto nel primo intervento, Guénon utilizza fonti e testi altrui di cui accoglie le idealità facendole, così, sue o, quanto meno, del tutto aderenti al suo teorema. Nel caso in esame – la società rosicruciana e dintorni – si serve del pensiero dell’esoterista, e mago, Eliphas Levi, pseudonimo di Alphonse Louis Constant (1810-1875), noto nella galassia dell’occultismo e del satanismo per essere autore di un trattato sulla magìa e sulla storia del pensiero esoterico. Il risultato che Guénon ne trae è quello, naturalmente, di attribuire a Dante l’intera fisionomia rosicruciana tale da farne apparire il Poeta quale ispiratore, se non l’ideologo ante litteram. Ma vediamo cosa scrive Levi nella sua ‘Storia della magìa’:
Si sono moltiplicati i commenti e gli studi sull’opera di Dante, e nessuno, a nostra conoscenza, ne ha segnalato il vero carattere. L’opera del grande Ghibellino è una dichiarazione di guerra al Papato con la rivelazione ardita dei misteri. L’epopea di Dante è gioannita e gnostica; è un’applicazione ardita delle figure e dei numeri della Kabbala ai dogmi cristiani e una negazione segreta di tutto ciò che vi è di assoluto in questi dogmi”.

     
Tre sono le risposte che si dànno, a smentita di altrettante affermazioni contenute nel brano trascritto: Dante non è ghibellino né tanto meno antipapale o, addirittura negazionista del dogma cattolico. E non siamo noi a fornirle dal momento che è lo stesso Poeta a darcene contezza in determinati passi della Commedia. Vediamoli:

1 – Premesso che Dante fu, culturalmente e politicamente, guelfo di parte ‘bianca’, l’attestazione che lo esclude dalla storicizzata fazione ghibellina è palese nel seguente passo dove, per bocca di Giustiniano, severo lancia un monito: “Faccian li Ghibellin, faccian lor arte / sott’altro segno, ché mal segue quello / sempre chi la giustizia e lui diparte” (Par. VI, 103-105). Cioè: i Ghibellini facciano pure i loro loschi traffici perché si tratta di una scorretta sequela, nel segno dell’Impero – l’Aquila – da parte di chi lo separa dalla giustizia. Un monito che, chiaramente, non può essere attribuito a un Dante sfegatato ghibellino.

2 – In quanto all’essere, Dante, un occulto antipapista, Levi avrebbe dovuto tener conto della specchiata sequela al magistero papale che il poeta, per bocca di Beatrice, decisamente attesta laddove così scrive: “Avete il novo e vecchio Testamento / e il pastor della Chiesa che vi guida: / questo vi basti a vostro salvamento” (Par. V, 76/78). Levi, e con lui Guénon, prende per ribellismo antipapale le invettive del Poeta contro “l’uomo Papa” che, in verità, non sono mai contro l’istituzione divina, come dimostrato nell’episodio di Niccolò III Orsini dove stempera l’ardore del suo biasimo, diretto al papa simoniaco, col dire: “E se non fosse che ancor lo mi vieta / la reverenza delle somme chiavi / che tu tenesti nella vita lieta / io userei parole ancor più gravi”(Inf. XIX, 100/103).
Il Poeta poi, sempre per bocca di Beatrice, così si definisce: “La Chiesa militante alcun figliolo / non ha con più speranza. . .” (Par. XXV, 52/53), con che tutto l’argomentare di Levi/Guénon viene smentito. 

3 -  Riguardo alla tesi, secondo cui l’epopea di Dante altro non è che la segreta negazione di ciò che di assoluto risiede nei dogmi cristiani, sarebbe stato sufficiente, ai due sommozzatori dell’occulto cifrato, andarsi a leggere le professioni di assoluta ortodossìa cattolica che il poeta fa davanti al consesso dei tre Apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni, rispettivamente nei canti XXIV, XXV, XXVI – vera Commissione di laurea, e di cui eminente è quella che così si articola: «E credo in tre Persone etterne, e queste / credo una essenza sì una e sì trina / che soffera congiunto “sono” ed  “este”». Vi pare che questa sia la professione di fede d’uno gnostico negatore del dogma?
E poi: Dante, lui già digiuno di lingua greca e più ancora ignaro dell’ebraico, esperto kabbalista?

Per ciò che attiene al rapporto Dante-Rosacroce, Guénon, sempre sulle orme di Eliphas Levi, svolge un lungo, intricato ma debole racconto in cui mescola elementi templari, del ciclo del Graal, letterari con ampio riferimento al “Roman de la rose” e ad Apuleio col suo “Asino d’oro”, cavallereschi e politici nella corte di Filippo il Bello, arrivando a falsificare origini e date storiche relative alla consorteria rosicruciana con l’anticiparne al sec. XIV il certificato di nascita, allo scopo di potervi collegare il pensiero dantiano.
Nei primi anni del XIV secolo, e senza dubbio già durante il secolo precedente, vi era dunque, in Francia e in Italia, una tradizione segreta (‘occulta’se si vuole, ma non ‘occultista’), quella stessa che doveva più tardi portare il nome di tradizione rosicruciana”. Guénon ci mette poco ad adottare il metodo del “poni un’ipotesi e subito spàcciala per tesi”, così come appare nel brano citato dove il cauto “senza dubbio” evolve in “vi era dunque” dopo di che si arrotola in un racconto in cui dilaga una serqua di circostanze, date, leggende, simboli, romanzi, associazioni iniziatiche, ciclo graelico, magìa, Tempio di Salomone, architettura, località e poi: Michele Meier, Wolfram von Eschenbach, Titurel, mago Merlino, Giuseppe d’Arimatea. E in tutto questo, senza il benché minimo cenno a un coinvolto Dante e, soprattutto, senza che l’autore abbia svolto la lezione sull’annunciato tema “Dante e il Rosicrucianesimo”, capitolo IV, dato a pag. 31.
Il lettore che vorrà affrontare l’argomento, per quanto legga e per quanto tenti, non riuscirà, infatti, a trovare un rigo in cui si definisca il ruolo primario del Poeta nel contesto del tema proposto.

Ma nel mondo degli iniziati, Dante è un ‘rosacroce’. Parola di Eliphas Levi e di René Guénon.
Per debita informazione: Dante nasce a Firenze nel 1265 e muore a Ravenna nel 1321. La società Rosacroce appare a Kassel, nel 1614, con il manifesto Fama Fraternitatis Rosae Crucis e, con replica, nel 1616 con l’opuscolo Confessio Fraternitatis





luglio 2019

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI