DANTE E LE CAPRIOLE DI RENÉ GUÉNON


Parte prima


di L. P.

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nato a Blois, Francia, il 15 novembre1886
René Guénon




Morto a Il Cairo, Egitto, il 7 gennaio1951
col nome di Shaykh 'Abd al-Wahid Yahya




Fra i numerosi testi e studî di marca esoterica, riferiti a rivelare e a dimostrare un Dante versato interamente nella prospettiva dell’occultismo magico/cabalistico/massonico, sta in prima linea quello di René Guénon, il fascinosamente fumoso “L’esoterismo di Dante” pubblicato, in versione italiana, dall’editrice Atanòr - Roma, il 21 marzo 1951, giorno dell’equinozio primaverile.
   
Tràttasi di un saggio, composto da 9 capitoletti, per complessive 78 pagine, denso di osservazioni, dati, riferimenti, riporti d’opere altrui che, per la sempre più progressiva e massiccia dose, stordiscono il cerebro del lettore sballottato dalla Kabbalà all’ordine Templare, dai Rosa-Croce alla massoneria, dall’alchimìa alla politica, dal catarismo alla gnosi spuria, dall’iperuranio agli inferi con il pimento di sigle, acronimi, cifre, enigmi, indovinelli, anagrammi. Il tutto, naturalmente, squadernato per asseverare la tesi di un Dante “irregolare”, ben altro da quello venerato e trasmesso dalla canonica tradizione accademica.
     
Si tratta, come bene potrà osservarsi nel corso della presente disamina e dalle successive, di un coacervo di ipotesi date per tesi accertate, di suggestive induzioni paralogiche, di acrobatici funambolismi ermeneutici, di definizioni confezionate col supporto di lessico raffinato e seducente, di dati storici manipolati e funzionali allo scopo, il tutto caratterizzato da “frenetiche elucubrazioni tramandate da scritture cariche di simbologie e plasmate nel linguaggio dell’oscurità” (Piero Vassallo: Ritratto di una cultura di morte - I pensatori neognostici. D’Auria Editore in Napoli, 1994, pag.13).
   
Noi abbiamo prodotto un triplice studio [si veda qui e qui] riferito alle corrispondenze dantiane con i luoghi biblici, patristici e scolastici, presenti nella Divina Commedia dimostrando la completa ed assoluta aderenza del Poeta con l’ortodossìa cattolica e, naturalmente, escludendo qualsiasi contiguità dello stesso con il pur minimo contatto e contagio di segno eterodosso sia teologico che esoterico.
   
Nel presente intervento – il primo di tre – prendiamo in esame una sigla, peraltro non deducibile da alcun passo della Commedia, su cui il Guénon, spacciandola per linguaggio cifrato, noto, pertanto, ai soli iniziati, si dispiega in voli di ardita quanto inutile fatica incartandosi in ipotesi e conclusioni le quali, messe a confronto col testo dantiano, si smontano da sé medesime rivelando una fragilità d’indagine, un livello di capacità ermeneutica superficiale assai e, soprattutto, un capzioso procedimento teso a confermare disegni precostituiti. Ma è questo lo smacco che si ottiene quando si vogliono forzatamente asservire a una precostituita teorìa astratta i dati di segno opposto.
 
La sigla, che prenderemo in esame, è la seguente: F.S.K.I.P.F.T.

1 – F.S.K.I.P.F.T. è una sequenza di lettere di cui Guénon scrive: “Nel museo di Vienna si trovano due medaglie di cui l’una rappresenta Dante e l’altra il pittore Pietro da Pisa; entrambe portano sul rovescio le lettere F. S. K. I. P. F. T. che Aroux  interpreta nel modo seguente: Frater Sacrae Kadosh, Imperialis Principatus, Frater Templarius. Per le prime tre lettere, questa interpretazione è palesemente scorretta e non dà un senso intellegibile; pensiamo che bisogna leggere Fidei Sanctae Kadosch. L’associazione della Fede Santa, di cui Dante sembra sia stato uno dei capi, era un Terz’Ordine di filiazione templare, il che giustificava l’appellativo di Frater Templarius; ed i suoi dignitari portavano il titolo di Kadosch, termine ebraico che significa “santo” o “consacrato” e che si è conservato sino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria.”
   
Prima di confutare l’articolazione della sigla, è bene evidenziare come il Guénon – non diversamente da altri autori – proceda, nell’esporre i dati del suo discorso, secondo un modo astuto, premettendo, cioè, in  forma ipotetica un fatto per darlo poi, nel prosieguo, come nozione fondata e certa, così che il “pensiamo che bisogna leggere” diventa, nel successivo sviluppo, elemento di ancoraggio per ulteriori ipotesi destinate, a loro volta, a trasformarsi, per il solo fatto d’essere formulate, in altri punti asseverativi. Sofisma sillogistico che va denominato “contraffermazione eccessiva”.
 
La qual cosa è dimostrata dal successivo “di cui Dante sembra sia stato uno dei capi” che, nelle pagine seguenti si codifica, da mera ipotesi (sembra), in ferrea certezza, senza i canonici passaggî  prescritti dalla scienza logica.
 
Lasciando, ora, da parte l’aspetto linguistico – formale, interessiamoci della sigla di cui Guénon ha fornito due interpretazioni, l’una di Eugène Aroux e l’altra quale sua correzione.
   
La smania di voler esibire, per pura polemica anticattolica, porta gli autori a qualificarsi come pervicaci sprovveduti esperti dantiani dal momento che, per quanto riferito alla sigla, dimostrano di non conoscere, per non averlo letto, il tratto Pg. XXIX 121/132, dove il Poeta illustra il segmento di una mirabile, e simbolica processione, così come descritto:
Tre donne, in giro, da la destra rota / venìan danzando; l’una tutta rossa, / ch’a pena fora dentro al foco nota; / l’altr’era come se le carni e l’ossa / fossero state di smeraldo fatte: / la terza parea neve testé mossa; / ed or parevan da la bianca tratte, / or dalla rossa; e dal canto di questa / l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. / Dalla sinistra, quattro facean festa, / in porpora vestite, dietro al modo / d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
   
Sarebbe stato sufficiente a Guénon, e al suo ispiratore Aroux, aver scorso, seppur superficialmente, il brano citato per apprendere che il Poeta parla delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali, sicché avrebbero evitato di caricarsi di serioso ridicolo, stante che la sigla, riportata nella medaglia, si svela quale sequenza in accordo al passo riportato, dovendosi leggere semplicemente in questo modo:
F = Fides (bianca)
S = Spes (verde)
K = Caritas (rossa)
= Justitia (vestito di porpora)
P = Prudentia (vestito di porpora e tre occhi)
F = Fortitudo (vestito di porpora )
T = Temperantia (vestito di porpora).
    
I fantasiosi sterratori dell’esoterico ne avrebbero saputo il vero significato “se, in vece di cercar lontano si fosse scavato vicino” (Promessi sposi, cap. X, 545) risparmiando alle meningi l’affannoso distillar di vane e sterili semantiche templari, massoniche, imperiali, carabattole e farandole di abbondante spaccio nelle bancarelle del ‘mistero’.



giugno 2019

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