PERCHÉ DANTE


di L. P.






Già, perché consideriamo necessario lo studio delle opere dantiane, massime della sua Commedia non a caso definita ‘divina’ dal suo primo interprete, Giovanni Boccaccio che, verso la fine del 1323, ne tenne lettura ed esegesi nella chiesa di Santo Stefano in Badìa lasciandoci incompleto commento per avvenuta sua morte. Un perché dichiarativo di cui è garanzia la fortuna stessa del poema che non ha mai conosciuto momenti di oscuramento, di stasi o di ibernazione ad onta di pur agguerrite ed ostili campagne condotte tanto sul versante dottrinario, filosofico e teologico, quanto su quello poetologico e stilistico.

Non staremo a buttar giù un’aria del catalogo di quanti, nel corso di questi otto secoli di storia, hanno tentato di dimostrare l’inutilità di una fantasìa poetica sull’aldilà scritta in volgar lingua piuttosto che nell’idioma dotto del latino. Pur tuttavìa anche le accese polemiche di Cecco D’Ascoli, del Bettinelli, del Castravilla o del Bulgarini, o la discussa teorìa crociana ‘struttura e poesìa’, condotte con spirito fiero corredato di soggettivi elementi di fondo, concorsero a tener in alto prestigio il messaggio letterario, morale, teologico della Commedia, e nessuno mai si pensò di infliggere il decreto di una ‘damnatio memoriae’ all’opera dantiana.
Ciò che, invece, già dagli anni ’90 del secolo passato, sta con frequenza sempre più ravvicinata, profilandosi come obiettivo politico di una società che follemente, dopo aver tentato di cancellare Dio, si avvia a decolorare i fondamenti naturali dell’umanità e annullare le differenze oggettive di cultura in nome di un mai estinto egalitarismo giacobino/marxista con cui tutto diventa livellato, uniforme e prono alla dittatura del Nuovo Ordine Mondiale (NOM).

Vietati segni e simboli religiosi cattolici in nome del rispetto per l’altrui confessione; vietato il diritto alla vita; vietata una lingua che dica Sì Sì, No No e che esprima i significati autentici; vietata la critica al pensiero storico ufficiale; vietato credere nell’unicità della famiglia naturale; vietato credere nella differenza culturale; vietato il dissenso politico; vietata la difesa della famiglia naturale.    

Ed ecco, allora, in nome del ‘politicamente corretto’, incombere, sulla Commedia, l’accusa di: fondamentalismo teologico, e vilipendio delle altre confessioni (Par. XXIV, 130/139 – Inf. I, 71/72); cultura contraria al concetto di unità nelle differenze (Inf. X, canto degli eresiarchi); proterva chiarezza espressiva (Par. XVII, 31/34); antisemitismo, di cui sarebbero prova evidente la figura di Caifa confitto a terra, nella bolgia VI degli ipocriti (Inf. XXIII, 109/126) e la riflessione che Beatrice svolge sulla vendetta che Dio, permettendo la distruzione di Gerusalemme, compie per la morte del Figlio (Par. VI, 91/93 - VII, 49/51); islamofobìa, per aver, il sommo poeta, collocato Maometto (Inf. XXVIII, 28/63), il fondatore dell’Islam, e Alì, nella bolgia IX dei seminatori di discordie e di scismi; omofobìa, per aver confinato i sodomiti – bollati come violenti contro Dio - nel III girone del VII cerchio, cotti da una pioggia di fuoco (Inf. XV); revisionismo storico e dissenso politico (Purg. VI, 124/151 – Par. VI, 103/108).

Pesa, in questa già considerevole mole, l’inversione – o perversione - dottrinaria che la Gerarchìa cattolica ha iniziato a  compiere allorché, con il CV2, intese aprire alla cultura e allo spirito del tempo le porte della Chiesa di Cristo onde, si disse, permettere alla stessa di uscire per le strade del mondo per accompagnarsi, e non per convertirlo, al fratello non cristiano. Spalancati i portoni, sono entrati, con i documenti conciliari Nostra Aetate Lumen GentiumDignitatis Humanae, tutti i miasmi del modernismo e dell’eresìa: l’accredito riconosciuto a tutte le confessioni di eguale valenza soteriologica; il primato della coscienza individuale sulla morale con l’automatico oscuramento della legge di Dio; il relativismo culturale e il dubbio cartesiano; lo stravolgimento della Liturgìa con la Santa Messa, memoriale del sacrificio della Croce, deformata in ‘sinassi del popolo’, vale a dire, semplice assemblea; la nuova teorìa bergogliana della “consustanziazione eucaristica” secondo cui Cristo “si fa pane” (23 giugno 2019, omelìa per la festa del Corpus Domini); l’amministrazione, de facto, dei sacramenti ai pubblici e pertinaci peccatori; il linguaggio circiteristico e pendolare del ‘sì … ma – no … però – certamente … tuttavia’ la cui accezione è delegata alla singola coscienza.    

Contro siffatta decadenza, in atto sia nella società laica, o paradossalmente detta ‘civile’, che nella comunità cattolica, abbiamo osato presentare, con i nostri saggi sulla Commedia (1), la figura di Dante quale poeta-profeta, uomo la cui vita si pone come modello di sano e limpido impegno civile e di inconcussa, indefettibile e ferma fede cattolica, mónito a una Gerarchìa ecclesiale vagabonda che ritorna ‘all’ovil di latte vòta’ (Par. XI, 129), che, svenduto il tesoro aureo della Tradizione Apostolica, della Patristica greca e latina, di Sant’Agostino, della Scolastica e di san Tommaso Aquinate, s’è adornata della bigiotteria bancarellara dei varî Buonaiuti, Loisy, De Chardin, Guardini, De Lubac, Rahner, Balthasar, Milani, falsarî e barattieri rientrati nel tempio ‘là dove Cristo tutto dì si merca’ (Par. XVII, 51).

A fronte, quindi, di una società molle e proterva, di una Gerarchìa superba e mondana, sta Dante, costruttore della lingua ‘del paese là dove ‘l sì suona’ (Inf. XXXIII, 80), avversario di ogni ambiguità, defensor fidei intriso di splendido Tomismo, cattolico tanto irremovibile nella testimonianza della Verità ‘come torre ferma che non crolla/già mai la cima per soffiar de’ venti’ (Purg. V, 14/15) quanto umile ed ossequioso della volontà di Dio, giunco che flèttesi al transito della tempesta per ergersi nuovamente (Purg. I,133/136).

A conclusione di sì breve intervento ci piace, quale sintesi, citare quanto scrivemmo nella ‘nota dell’autore’ premessa al saggio sull’Inferno, nota che vale per gli altri due, Purgatorio – Paradiso, che riassume quanto abbiamo sopra scritto e che recupera quanto potremmo aver dimenticato di sottolineare:
Il fine principale, e lo diremo nell’introduzione con più ampio spiegamento di argomenti, è quello di presentare Dante paladino ed assertore dell’ortodossìa cattolica, poeta sacro e nostra maggior Musa. Con siffatta motivazione intendiamo contrapporre la forte, assoluta ed incrollabile fede dantiana nelle sue coordinate cattoliche, al moderno ed attuale scetticismo, al relativismo dogmatico e pastorale con cui la Gerachìa ecclesiale ha piegato la Chiesa, divina e trascendente realtà, in una società di solo significato umano, immanentistico, in cui non vale più la certezza della Verità ma domina il dubbio metodico”. (2)



 NOTE

1 – Dante: la Divina Commedia tra Sacra Scrittura, Patristica, Scolastica.
       Vol. I Inferno - Ed. CIC 2016
       Vol. II Purgatorio – Ed. CIC 2016
       Vol. III Paradiso – Ed. Cic 2017

2 –  Inferno, op. cit. pag IX-X.






luglio 2019

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