IL FALSO E IL VERO DANTE.

CHIARIMENTI

Parte quarta




Dante, in ginocchio, e Beatrice davanti alla Croce con Cristo
Paradiso, canto quattordicesimo
Illustrazione di Gustave Doré


Smentita la calunniosa e più maligna voce di un Dante cataro, passiamo ad esaminare le altre di peso inferiore ma non per questo meno false e disoneste. Vediamo, allora, di far luce sulla leggenda in cui si racconta l’appartenenza del Poeta all’Ordine Templare.

Tutto ha origine dalla interpretazione di due luoghi in cui Dante parla 1) di una corda cinta attorno alla vita: “Io aveva una corda intorno cinta / e con essa pensai alcuna volta / prender la lonza alla pelle dipinta” e 2) della soppressione dell’Ordine: “Veggio il novo Pilato sì crudele / che ciò nol sazia ma, sanza decreto / porta nel tempio le cupide vele”, rispettivamente Inf. XVI, 106-111 e Pg. XX, 91-93, luoghi che hanno indotto studiosi e interpreti a conclusioni niente affatto probanti e, pertanto, responsabili di attribuirgli una ulteriore falsa connotazione.

Che Dante abbia tenuto in stima i Templari non significa che ne sia stato un affiliato anche se, così fosse, non sarebbe motivo di strologarci sopra in termini di occultismo.
Ma, poiché, sulla vicenda Templare s’è venuto a scavare in un filone di esoterismo, di magìa e di criptica sapienza, ecco saltar fuori un sillogismo del tipo sofistico: “L’Ordine Templare è di natura segreta - segreta è la scienza dantiana – ergo, egli è templare”.

Ma quali le prove, e di quale consistenza documentale?
Benché qualcuno asserisca con opinabile dottrina, come Franco Cardini (37), la corda, di cui sopra, essere senza dubbio una “fune templare” avvolta ai fianchi del poeta la quale, per il fatto che l’Ordine fu accusato di deriva catara, dévesi considerare come il ‘consolamentum’, sacramento che gli albigesi amministravano ai novizi “perfetti” praticando un digiuno di un anno, benché, dicevamo, questa escursione estrema nell’eresìa che, nella terza parte di questo nostro studio abbiamo confutato, niente ha da spartire con la vera e semplice realtà.

La corda, che Virgilio farà penzolare dal bordo dell’abisso di Malebolge, altro non significa che il cingolo dei Frati minori che Dante indica quale strumento penitenziale, atto a contenere l’impulso carnale – la lonza (Inf. I, 31-34) - ed esercitare la continenza, del cui successo ci sia lecito dubitare dal momento che egli stesso confessa di averci soltanto pensato. Che il poeta abbia abbracciato la vocazione religiosa facendosi terziario francescano non sappiamo con sicurezza, anche se taluno ne abbia scritto affermativamente (38), purtuttavìa sarebbe maggiormente probabile considerata la estesa e commossa lode dedicata al santo poverello di Assisi (Par. XI, 37-117) che la sua affiliazione all’Ordine della Milizia di Cristo di cui non fa cenno alcuno. Ci piace, a tal proposito, riportare quanto di meraviglioso e commosso Umberto Cosmo ebbe a scrivere sulla morte di Dante che, indossato il saio francescano e fattosi deporre sulla nuda terra, salì all’Empireo, accanto a Francesco e a Bernardo: “Al fratello di San Francesco che gli pregava accanto chiese volessero seppellire il suo corpo presso il Santo che più aveva amato. Quando lo rivestissero per le eterne nozze, gli potevano senza tema indossar l’abito di lui. Dopo tanto ruggir di tempeste fatto non nell’abito soltanto ma pur nell’animo veramente cristiano. Il mondo vaniva dinanzi a lui; tra lui e Dio non c’era più alcuno. E sentì che Egli giungeva. Era la notte fra il 14 e il 15 settembre del 1321. Mentre il grande mistero si compiva, Beatrice, levata con le altre sorelle per mattutino, pregava nella piccola cappella dell’Uliva. Il cielo cominciava ad imbianchire, e Beatrice sollevò gli occhi umidi di pianto verso quella luce: pareva il cielo si aprisse ad accogliere il padre suo. Mai anima più grande era tornata, mai alcuna eguale sarebbe più salita al suo Creatore” (39).
La Beatrice, di cui al brano, è la figlia Antonia che, chiusasi in convento, assunse il nome di colei che aveva informato la vita e la cultura del padre.

Un altro passo del poema, posto nel mirino dei templaristi, con il quale si rivela – finalmente! – Dante affiliato all’Ordine, così dice: “In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa” (Par. XXXI, 1-3). Ragionano, quindi, gli ermeneuti sottili: due sono gli elementi che affermano il templarismo di Dante, e cioè la rosa e la milizia. La prima, dicono, era il simbolo della purezza apposto sulla veste che il templare mostrava ad altezza del cuore mentre la seconda connota l’identità dell’Ordine, detto anche Militia Christi. Vediamo, allora, di fare chiarezza.

Quanto al termine ‘milizia’ non è consentito alludere a quella templare ché, definita essendone tutta la sterminata corte dell’Empireo, mal si adatta a riferirsi alla sola istituzione militare del Tempio. Il poeta intende, con siffatto vocabolo, la Chiesa cattolica terrena e militante che Cristo istituì, prima consegnandone la custodia a Pietro (Mt. 16, 19-20 / Gv. 21, 15-17), nell’Eucaristìa poi (Mt. 26, 6-28) e, infine, nel momento supremo della morte, nel Suo sangue, appunto, quando affidò sua Madre – simbolo della Chiesa nascente, a Giovanni il discepolo prediletto (Gv. 19, 25-27). ‘Sponsa Christi’ è detta la Chiesa, e ciò, giusta concordanza col verso 3, di cui sopra, vale smentita a qualsiasi allusione, ipotesi, teorìa di apparentamento templare.

Quanto al termine ‘rosa’, lungi dal significare emblema templare, esso indica, senza ombra di dubbio, la Vergine Maria, “il nome del bel fior ch’io sempre invoco” (Par. XXIII, 88), a cui l’intero Paradiso “è suddito e devoto” (Par. XXXI, 117) e alla quale il poeta dedica il vertiginoso, sublime, soprannaturale e commosso elogio, dal famoso incipit: “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio” del canto XXXIII, per ben 39 versi. Notevole è, poi, il verso 40: “Gli occhi da Dio diletti e venerati”, occhi di Maria e non certo della Milizia.  E siccome la Commedia va letta con attenzione, intelletto e passione, invitiamo i templaristi in questione a non fermarsi alle prime impressioni e, tanto meno, alla lusinga dell’occulto dacché la verità che il Poeta copre, talora con versi strani, è essoterica, chiara ed evidente (40). 

Alla Milizia di Cristo viene attribuito il possesso di una conoscenza eletta, sottile, ignota alla più parte degli uomini, ma della di cui fama si fa – guarda un po’ - largo scialo su bancarelle e nei mercatini, come ad esempio: faustiana teurgìa, tecnica della clonazione, custodia di segrete nozioni, scelta guardia milizia posta a proteggere, giorno e notte, l’Arca dell’Alleanza (41). Sulla scia di siffatte bubbole, è un fiorire di rievocazioni che niente hanno da spartire con l’identità vera dei Templari ma che tanto somigliano a un Circo Barnum. I Cavalieri del Tempio altro non furono che strenui difensori della Fede, di estrazione popolana e nobile (42) e se è documentalmente attestato il possesso di conoscenze matematiche (Euclide, Archimede), muratorie (Vitruvio), mediche (Dioscoride Pedanio), nautiche e finanziarie, riservate per lo più ai Rettori e ai balivi, ciò dimostra soltanto un grado di cultura corrispondente all’epoca, ma niente di più. Probabilmente deviarono dalla strada maestra – lo diciamo con il massimo dubbio – dando adito a sospetti di eresìa e di illecito arricchimento, ma si segnalarono come integri cristiani cattolici, fedeli al Papa e alla Chiesa per la quale combatterono sino all’estremo, dando la loro vita (43).

Poiché còmpito nostro era quello di dimostrare l’estraneità di Dante al Templarismo segreto, tralasceremo di narrare ulteriormente dell’Ordine per dedicarci a smontare altra fumosa congettura sul suo esoterismo e precisamente la buiacca dell’alchimia che tanto si agita nell’atanor, negli alambicchi, nei matraccî e nelle serpentine dei laboratorî investigativi gestiti dai ‘Superiori incogniti’    




NOTE

37
– Franco Cardini: I segreti del TempioEsoterismo e Templari, Serie Dossier, Ed. Giunti, 2000 pag. 29
38 – Ludovico da Fossombrone: Dante Alighieri. Terziario francescano, Ed. Unione Francescana, 1939
39 - Umberto Cosmo: Vita di Dante, Vol. I, Ed. La Nuova Italia, 1965, pag. 262
40 – Gianandrea De Antonellis: Dante essoterico- squarciando “il velame de li versi strani”, Ed. D’amico, 2020
41 – Enrico Palmi-Eugenio Bonvicini: Templari e Rosa Croce, Ed. Atanor, 1998, pag. 30
42 – Peter Partner: I Templari, Ed. Einaudi, 1991, pag. XIII-XIV
43 – Barbara Frale; I Templari e la Sindone di Cristo, Ed. Il Mulino, 2009, pag.35-36.










gennaio 2021
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