«Guai a voi, sepolcri imbiancati!»

“SULLA CATTEDRA DI MOSÈ SI SON SEDUTI SCRIBI E FARISEI”

Prima parte

di Don Curzio Nitoglia



Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/





Introduzione

Nel Vangelo di San Matteo (XXIII, 1-39), il giorno del Martedì Santo, Gesù tiene un lungo discorso, in cui attacca frontalmente gli Scribi e i Farisei, soprattutto quanto al loro comportamento morale, ma anche per alcune loro deviazioni dottrinali, che iniziavano (come vedremo meglio in séguito) a snaturare il Giudaismo veterotestamentario e ad aprire la strada al Giudaismo postbiblico.

Per capire bene il significato di questo discorso del Redentore, occorre innanzitutto dividerlo in varie sezioni e poi passare a vedere ciò che la Tradizione patristica, scolastica ed esegetica ci ha detto nei suoi commenti su di esso.


Premessa: “Dixit Dominus Domino Meo” (Mt., XXII, 44)


La fase antecedente e che scatena il Discorso di Gesù (Mt., XXIII, 1-39) la troviamo sempre nel Vangelo di San Matteo, alla fine del capitolo XXII (vv. 41-45); il Redentore ha appena messo con le spalle al muro i Farisei che si erano radunati per tendergli una trappola, chiedendo loro: “Che ne dite del Messia? Di chi è Figlio?” (Mt., XXII, 41); ossia, il Messia per voi è un semplice uomo, un Messia terreno oppure è Dio? I Farisei gli rispondono che è figlio di David, quindi è un semplice uomo, che ridarà la libertà a Israele, cacciando i Romani.

Allora, Gesù li incalza, citando il Salmo (109, versetto 1) di David: “Il Signore [Dio Padre, ndr] ha detto al Mio Signore [Dio Figlio, ndr], siedi alla Mia destra” e chiede loro: Come mai David, l’Autore ispirato dei Salmi, ha scritto che il Messia è suo Signore. Perciò, “se David lo chiama Signore, come può essere suo figlio?”. I Farisei non seppero cosa rispondergli e “da quel giorno in poi non vi fu più nessuno che ardisse interrogarlo” (v. 46), ma, invece di convertirsi decisero di arrestarlo e consegnarlo ai Romani per farlo giustiziare, come avvenne tre giorni dopo. Fu allora che Gesù riprese la parola e, contrattaccando, disse loro: “Sulla cattedra di Mosè si son seduti gli Scribi e i Farisei …” (XXIII, 1).

San Girolamo commenta: “Il veleno della gelosia può essere sconfitto, ma difficilmente si placa” (Commento a Matteo XXII, 41, libro IV). Tuttavia, nonostante la malvagità dei Farisei nei Suoi confronti, il Redentore “esorta i fedeli a obbedire loro, per rispetto verso la dignità del loro sacerdozio e magistero, accettandone la dottrina e il culto, ma non imitandone le opere” (S. GIROLAMO, Commento a Matteo XXIII, 1-3, libro IV).

Ecco da dove nasce la rampogna che Gesù rivolge agli Scribi e ai Farisei su cui ci intratteniamo nel presente articolo.   


Panoramica generale: “Fate quel che dicono non fate ciò che fanno” (vv. 1-12)

Dai versetti 1° al 12° del capitolo XXIII, il Messia insegna al popolo dei fedeli che, innanzitutto, bisogna ascoltare l’autorità dell’insegnamento teorico degli Scribi e dei Farisei (il quale ancora non è stato sostanzialmente guastato, come avverrà sùbito dopo l’uccisione del Messia, tramite la dottrina talmudica, che rimpiazzerà quella mosaica).

Poi spiega soprattutto che esso non deve assolutamente imitare la loro condotta pratica, la quale già ai tempi di Gesù era in discordanza con la divina Rivelazione e la Legge mosaica, totalmente corrotta e ipocritamente falsa.

Il Redentore inizia il suo discorso, mettendo in luce le ombre del malcostume della vita degli Scribi e Farisei, non senza mostrare le prime crepe dottrinali che si erano infiltrate nel Giudaismo rabbinico sin dall’era post/maccabica (160 a. C.) e che erano divenute abbastanza evidenti già durante la Sua vita pubblica; mentre esse esploderanno in maniera evidentemente anti/veterotestamentaria sin dal Deicidio, giungendo, infine, in Palestina al martirio di Santo Stefano (35 c.ca) e degli Apostoli Giacomo il Maggiore (42 c.ca) e il Minore (62 c.ca) e, quindi, al castigo della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Dio, che si servì dell’esercito romano come del Suo strumento di punizione (cfr. Mt., XXII, 8: la parabola del banchetto nuziale: “Il re manderà il Suo esercito e distruggerà la loro città”).

Si noti innanzitutto che, San Matteo impiega un capitolo intero (il XXIII) di ben 39 versetti per riportare tutto l’atto di accusa del Salvatore contro quella parte del Giudaismo, che stava per rompere formalmente con l’Antico Testamento, rifiutando e crocifiggendo il Verbo Incarnato, unica vera perfezione e compimento della Vecchia Alleanza. Mentre, San Marco (XII, 38-40) e San Luca (XX, 45-47) si limitano a riportare, in due soli versetti ciascuno, qualche battuta di Gesù contro gli Scribi e i Farisei. Anche partendo da ciò, erroneamente, Jules Isaac diceva che i quattro Vangeli erano “antisemiti”, ma tra di essi quelli più ferocemente antisemiti erano quello di Matteo e quello di Giovanni.

Padre Marco Sales osserva che “Gesù fece questo magnifico discorso alle turbe dei Giudei per tenerle lontane dall’imitazione della perversità dei Farisei, i quali facevano consistere la santità in un formalismo tutto esteriore” (Commento al Vangelo secondo Matteo, XXIII, 1, II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2015, nota n. 1, p. 120).


Scribi e Farisei sulla cattedra di Mosè

Secondo i Padri ecclesiastici, i Dottori scolastici e gli Esegeti approvati Gesù ha di mira qui al versetto 1° (“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli Scribi e i Farisei”) tutti i membri del Sinedrio, cui apparteneva la somma autorità religiosa e politica in Israele e non solo i Dottori della Legge; ossia, gli Scribi appartenenti alla setta dei Farisei, ma anche i Sacerdoti appartenenti alla setta dei Sadducei, che esercitavano il culto divino nel sacerdozio di Aronne.

San Tommaso d’Aquino spiega che “siede su una cattedra di pestilenza chi riceve il compito dell’insegnamento, ma lo tradisce con una vita malvagia e scandalosa o lo adultera con sue perverse opinioni” (Commento al Vangelo secondo Matteo, n. 1858), sviando così anche i suoi discepoli e non solo rovinando se stesso; ora, è proprio questo l’errore che Egli poi condanna, l’aver adulterato la Legge soprattutto con la loro vita che era contraria ad essa. 

I Farisei, alla cui setta si rifacevano la maggior parte degli Scribi, che studiavano, interpretavano e insegnavano la Legge di Mosè (aggiungendo a essa molti, 613 per la precisione, precetti cerimoniali, detti anche “tradizioni o cabale”) erano il partito più forte e avente il maggior séguito tra i Giudei; mentre i Sadducei, che si erano schierati con l’invasore partendo dal 63 avanti Cristo (quando Gneo Pompeo invase la Palestina), erano poco amati e seguiti dal popolo dei fedeli, pur essendo favoriti e promossi da Roma ai posti più importanti e retribuiti. Essi erano in maggior parte Sacerdoti del Tempio, erano apertamente materialisti e negavano l’esistenza dell’anima immortale e l’aldilà. Perciò, teologicamente, erano piuttosto “progressisti”, mentre i Farisei erano soprattutto “tradizionalisti”. Come si vede vi erano già delle crepe e degli scricchiolii dottrinali (false “tradizioni” o “cabale” morali farisaiche e materialismo sacerdotale) che iniziavano a inquinare il Giudaismo ancora apparentemente mosaico, ma già inizialmente rabbinico/talmudico.

Gli Scribi e i Farisei erano i discendenti di Mosè (di cui, però, non avevano più lo spirito), mentre i Sadducei erano i successori di Aronne nel ministero sacerdotale (avendo anche loro smarrita la fede del loro fondatore). Tutti essi, poiché aventi l’autorità di giurisperiti e sacerdoti, avevano in teoria il diritto di essere ascoltati e obbediti nel loro ufficio di dirigere e santificare i Giudei. Gesù riconosce la loro autorità di maestri e santificatori, ma condanna le interpretazioni dottrinali e le “tradizioni” morali aggiunte dai Farisei alla Legge di Mosè come pure il materialismo dogmatico dei Sadducei che si era infiltrato nel Sacerdozio aronitico. Soprattutto, poi, i costumi e la condotta pratica dei Farisei erano in contrasto con la purezza della dottrina che predicavano, anche se in alcuni punti (come abbiamo accennato sopra e come vedremo meglio in appresso) essi avevano adulterato pure la dottrina mosaica. È dunque soprattutto contro di essi che Gesù pronuncia questa rampogna.


Il Discorso di Gesù punto per punto:

“Scribi e Farisei sulla cattedra di Mosè”

“Gli Scribi e i Farisei si sono seduti sulla cattedra di Mosè. Fate e osservate tutte le cose che vi dicono, ma non fate quello che fanno, perché dicono ma, non fanno” (v. 2-3).

Sedersi sulla cattedra di qualcuno è un’espressione rabbinica, che significa succedere a qualcuno nell’insegnamento. Perciò, gli Scribi e i Farisei sono i successori di Mosè nell’insegnare e interpretare la Legge (M. SALES, Commento al Vangelo secondo Matteo, cit., p. 120, nota n. 2), come i Sadducei sono i successori di Aronne nell’esercizio del Sacerdozio.

San Tommaso d’Aquino nota:
“Sulla cattedra di Mosè, siedono - malamente - sia gli Scribi sia i Farisei. Tuttavia, vi siedono - correttamente - anche i discepoli di Cristo. Infatti, gli Scribi considerano solo la lettera della Legge mosaica e non lo spirito o il significato. I Farisei arrivano pure a discernere qualcosa del significato interiore di essa. Invece, i discepoli di Gesù conoscono sia la lettera sia lo spirito alla luce del Vangelo” (Commento al Vangelo secondo Matteo, n. 1833).

S. Agostino insegnava: “In Vetere Novus latet, in Novo Vetus patet / Nel Vecchio Testamento sta nascosto potenzialmente il Nuovo e nel Nuovo Testamento appare chiaro il significato del Vecchio”.

In primo luogo, Gesù condanna l’eccessivo rigore dottrinale delle norme morali che i Farisei impongono ai fedeli. Quindi, nell’insegnamento del Fariseismo ai tempi di Gesù vi è anche un errore dottrinale e non solo di comportamento pratico, per eccesso di rigorismo, in questioni di morale, che è condannato dal Signore. Infatti, spiega il Vangelo di Matteo, “legano carichi pesanti e insopportabili e li impongono sulle spalle degli uomini, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” (v. 4).
In breve, Scribi e Farisei, non solo vivono malamente, ma appesantiscono dottrinalmente col loro falso insegnamento rigorista la coscienza dei fedeli mediante le loro cavillose false “tradizioni” puramente umane, quasi essi fossero asini da soma; mentre loro stessi nella loro vita pratica e privata - ecco l’errore pratico e non dottrinale dei Farisei - non se ne curano affatto, e “non le muovono neppure con un dito”, ossia non fanno il minimo sforzo per osservarle.

Su questo problema, San Tommaso d’Aquino, specifica che “il  legislatore insegna alcune cose come da osservarsi per sempre e queste vanno fatte sempre; invece, altri precetti cerimoniali di Mosè invece erano prefigurativi della realtà come ombre di essa, ossia di Cristo. Per esempio i Comandamenti morali vanno osservati sempre prima e dopo Cristo; mentre quelli legali o cerimoniali solo per un certo tempo, ossia nel Vecchio Testamento e solo prima dell’Avvento di Cristo. Perciò chi li osservasse dopo Cristo, farebbe ingiuria a Cristo, come se non fosse già venuto. Per esempio, se uno dicesse: Mangerò domani, direbbe bene ma, se dopo aver mangiato dicesse che mangerà domani, allora direbbe male poiché ha già mangiato. Così; essendo i precetti cerimoniali dei segni, delle ombre o delle figure di Cristo venturo, chi li osservasse dopo la Venuta di Cristo, non li osserverebbe correttamente” (Commento al Vangelo secondo Matteo, n. 1835).

Quindi, Gesù invita a non imitarli quanto alle loro azioni, che sono malvage, insegnando loro la cautela e la prudenza.
Ora, prosegue San Tommaso:

“Il Prelato è il capo della Chiesa, sia perché insegna con la dottrina, sia perché sprona con la pratica delle buone opere. Perciò, noi dobbiamo concordare con lui sia quanto alla dottrina che alla vita. Tuttavia, i Farisei erano in dissonanza tra vita pratica e dottrina. Per questo motivo Gesù invitava i fedeli ad ascoltare ciò che insegnavano, ma soprattutto a non imitare il loro modo di vivere. Infatti, bisogna fare il bene, ma i Farisei non lo facevano. Quindi i fedeli non dovevano agire secondo le loro opere, che erano ipocritamente malvage. Infine, il Signore mostra la loro malizia, poiché dicono ma, non fanno ciò che dicono. Ora se, dicessero e non facessero, sarebbe grave ma essi vanno ben oltre dacché aggiungono ai Comandamenti di Dio dei precetti o tradizioni umane pesantissime da osservarsi. Qui Gesù mette in mostra la loro presunzione, poiché aggiungono ai Comandamenti di Dio altri loro precetti, come se essi fossero eguali a Dio. In secondo luogo mostra anche la loro indiscrezione o imprudenza, poiché impongono sconsideratamente pesi che non sono sostenibili, non accontentandosi di imporre pesi ragionevoli. Infine, essi son talmente infingardi che non solo si rifiutano di fare bene tutto il loro dovere e anche ciò che è difficile, ma non hanno nessuna volontà di far nulla, ossia non vogliono spostare nemmeno una pagliuzza con un sol dito. Per questo motivo, ove insegnano secondo la Legge di Mosè bisogna ascoltarli e fare ciò che dicono, ma non vanno imitati quanto alle loro opere malvage” (Commento al Vangelo secondo Matteo, nn. 1837-1840).

Padre Marco Sales scrive: “Come rappresentanti dell’autorità religiosa d’Israele, le decisioni degli Scribi e dei Farisei, per ciò che riguarda la Legge e il culto di Dio, hanno forza di legge e devono essere osservate, ma se la loro autorità di successori di Mosè deve muovere a osservare le loro decisioni, la loro vita difforme dalla loro dottrina non deve muovere a imitazione” (Commento al Vangelo secondo Matteo, cit., p. 120, nota n. 3).


Gesù condanna l’ostentazione farisaica

Poi Gesù condanna l’ostentazione con cui essi facevano ogni cosa solo per essere lodati dagli uomini e non per amor di Dio: “Fanno tutte le loro opere per essere ammirati dagli uomini; allargano [eccessivamente, ndr] i loro filatteri (1), ingrandiscono [sproporzionatamente, ndr] le loro frange (2)” (v. 5). Inoltre, sono ambiziosi e orgogliosi. Infatti “amano i primi posti nei banchetti e nelle sinagoghe” (v. 6), considerandosi migliori di tutti gli altri.

L’Angelico mostra la causa dei loro errori, il motivo della loro ostinazione e incorreggibilità e la loro vanagloria orgogliosa, osservando: “Siccome cercano solo la loro gloria sono incorreggibili. Infatti, fanno ogni cosa per essere visti dagli uomini. Essi non fanno le cose gravose, ma compiono tutto ciò che ha una certa apparenza esteriore, portando - ad esempio - vesti religiose, il che non costa loro nessuna fatica, ma lo vogliono dare a vedere aggiungendo a esse enormi filatteri e frange per sembrare zelanti della gloria di Dio ed essere meglio visti dagli uomini” (S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo secondo Matteo, nn. 1842-1844).


Parentesi esplicativa contro la vanagloria

Qui - dal versetto 8° sino al versetto 12° - nel bel mezzo del discorso accusatorio verso i Farisei, Gesù apre quasi una specie di parentesi illustrativa ed esortativa, per allontanare sempre più i fedeli israeliti dall’orgoglio, dicendo: “Amano essere chiamati rabbi [guida morale, religiosa o spirituale] dagli uomini. Voi però non fatevi chiamare rabbi ossia maestro mio dagli uomini, poiché uno solo è il vostro Maestro e tutti voi siete fratelli. Non chiamate col nome di padre nessuno su questa terra, poiché uno solo è il vostro Padre, quello celeste. Non vi fate chiamare neppure precettori; poiché il vostro Precettore [guida intellettuale, ndr] è uno solo, il Cristo” (v. 8).  

Insomma, il Salvatore esorta i fedeli dell’Antico e ben presto del Nuovo Testamento a fuggire ogni vanagloria, abbracciando uno stile di vita diametralmente opposto a quello dei Farisei. In quest’ottica bisogna saper distinguere la portata delle parole dette ora da Gesù; infatti, Egli non intende proibire assolutamente, come intrinsecamente perversi, tutti questi atti (portare i filatteri e le frange, essere maestro, padre, precettore, superiore). Perciò, soprattutto in questi ultimi quattro versetti bisogna porre attenzione più all’intenzione pedagogica del Redentore curativa della vanagloria che al senso letterale ed etimologico delle singole espressioni e parole. Gesù vuol correggere i suoi fedeli dalla vanità, dalla quale i Farisei erano dominati e incitarli alla modestia e all’umiltà di cuore.

Ogni società è gerarchica e, dunque, ha bisogno necessariamente di maestri/allievi, padri/figli, precettori/discepoli, superiori/subordinati. La famiglia, lo Stato, la Chiesa sono società ed hanno bisogno di queste figure e di questi ruoli. Inoltre anche Gesù portava i filatteri, come prescriveva il libro dell’Esodo (XIII, 16), del Deuteronomio (XI, 18) e dei Numeri (XV, 38), aveva le frange nel mantello (Mt., IX, 20; XIV, 36); si trattava solo di una questione di misura, di modalità, Gesù invitava solo a non esagerare nel riempirsi di filatteri e di frange né quanto alla quantità né quanto alle dimensioni. Infatti, Egli aveva la Legge di Dio sempre nel Suo spirito e non la portava solo nel Suo corpo, inoltre si distingueva dai Pagani per la Sua vita immacolata e non solo per i fiocchi azzurri ai bordi del mantello. Così è per la funzione di padre, maestro, precettore, superiore; in breve il Salvatore vuol far capire che si può essere maestro/padre/superiore/precettore, ma senza prendersi per il “Padreterno” … Infatti lo stesso Gesù veniva chiamato rabbi dai suoi discepoli (Mt., XVI, 25 e 49). 

Insomma, non sono condannati i titoli, ma l’ambizione e la vanità che essi possono fomentare nei cuori degli uomini insigniti di essi, desiderandoli disordinatamente per essere maggiormente stimati dagli uomini. Dunque essi possono essere utilizzati, ma senza prescindere da Dio, né li si deve utilizzare allo scopo di sorpassare e schiacciare gli altri. Certamente solo Dio è il Padre, il Maestro, il Precettore, il Superiore per essenza o assolutamente e infinitamente, noi uomini lo possiamo divenire per imitazione, per partecipazione, ossia in maniera limitata e finita. 

Continua


NOTE

1 -
Sono “striscette” di pergamena su cui erano scritti i versetti dell’Antico Testamento, che venivano rinchiusi in delle scatolette, le quali erano poi legate in fronte o sul braccio sinistro, per ricordare e rendere sempre presente al fedele israelita la Fede e la Legge di Mosè. Cosa lodevole in sé, ma in cui i Farisei abusavano quanto al modo, limitandosi a portarle nel corpo e non ad averle anche nella mente. 
2 - Ornamenti delle falde inferiori del mantello, propri specialmente dei Giudei, la cui funzione era di ricordare i precetti di Jaweh, essi erano dei fiocchi con un cordone azzurro. 






 
maggio 2023
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI