«Guai a voi, sepolcri imbiancati!»

“SULLA CATTEDRA DI MOSÈ SI SON SEDUTI SCRIBI E FARISEI”

Seconda parte

di Don Curzio Nitoglia



Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/


Prima parte
Seconda parte
Terza parte






Le sette maledizioni di Gesù contro il Fariseismo (vv. 13-29)

Col versetto 13 inizia la serie delle maledizioni o “Guai a voi”, rivolta direttamente contro i Farisei, che Gesù ripete per ben sette volte, sino al versetto 29.


Primo “Guai a voi”: Non entrate e non fate entrare gli altri in Cielo


“Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, perché chiudete in faccia agli uomini la porta del Regno dei Cieli. Infatti, voi non vi entrate e non permettete che vi entrino coloro che vorrebbero entrarvi” (v. 13).

L’Aquinate osserva: “Si chiude solo ciò che era aperto. Ora gli insegnamenti di Cristo erano aperti e chiarissimi, ma i Farisei li chiudevano, rendendoli oscuri e difficili. Per esempio, quando il Redentore compiva miracoli i quali provavano la sua messianicità, essi dicevano che li compiva per mezzo di Belzebub, il principe dei demoni. Inoltre, con la loro cattiva vita chiudevano l’accesso al Cielo, poiché - mediante il cattivo esempio - inducevano il popolo dei semplici fedeli a peccare” (SAN TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo secondo Matteo, n. 1858).

San Giovanni Crisostomo osserva: “I Farisei e gli Scribi, non solo  si sottraggono ai loro doveri, ma peggio ancora corrompono pure gli altri. Uomini siffatti sono chiamati pestilenziali perché loro scopo è la perdizione degli uomini e sono diametralmente opposti ai veri e buoni maestri, che insegnano per salvare gli altri. Essi sono inutili e incapaci a salvare gli uomini. Infatti, non sono soltanto negligenti in ciò ma, addirittura traditori, poiché corrompono e pervertono i loro discepoli con l’esempio della loro vita malvagia” (Commento al Vangelo di San Matteo, Discorso LXXIII, n. 1).

I Farisei con le loro calunnie, le loro bestemmie e le false idee che avevano sparso sul Messia conquistatore terreno e liberatore dei Giudei dal giogo romano, avevano allontanato il popolo da Gesù (cfr. M. SALES, Commento al Vangelo secondo Matteo, cit., p. 121, nota n. 13).


Il Vangelo di Matteo è confermato da San Paolo

È da notare che pure San Paolo (I Tess., II, 15-16) affermava: “I quali [Giudei] hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i Profeti ed hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai Pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma oramai, l’ira di Dio è arrivata al colmo sul loro capo”.

S. Tommaso d’Aquino commenta: «Non importa se furono i Romani ad ucciderlo, perché furono gli stessi Giudei  che con le loro grida chiesero a Pilato di crocifiggerlo. […]. Perciò essi non piacciono a Dio perché non operano con una fede retta e “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr., XI, 6). Infine S. Paolo mostra che i Giudei “sono nemici di tutti gli uomini”. Infatti, sono nemici perché vietano e impediscono a noi Apostoli del Nuovo Testamento di predicare a tutti gli uomini e così ostacolano la loro conversione. […]. Così essi vivono sino a quando giungeranno al punto in cui Dio permette. Infatti, Dio, dopo la passione di Cristo, concesse ai Giudei uno spazio di 40 anni per la penitenza, però essi non solo non si convertirono, ma aggiunsero peccati a peccati. E Dio non lo tollerò più. […]. Tuttavia non pensare che quest’ira divina duri per 100 anni, bensì durerà “sino alla fine” del mondo, allorché la totalità dei Pagani avrà abbracciato la fede in Cristo» (THOMAS AQUINATIS, Expositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli. Super Primam Epistolam ad Thessalonicenses Lectura, Lectio II, caput 2, versiculi 15-16).

Settimio Cipriani chiosa: «Si osservi il fosco quadro che S. Paolo fa dei suoi connazionali, violenti e omicidi. Egli ritrae a meraviglia il loro spirito razzistico non del tutto estinto anche oggi. La collera di Dio però è arrivata al colmo e non tarderà ad esplodere. Infatti, la Prima Epistola ai Tessalonicesi è stata scritta attorno al 50 d. C. e la distruzione di Gerusalemme sarebbe avvenuta entro 20  anni, nel 70. Ma la condanna della Nazione israelitica non esclude la salvezza dei singoli Ebrei credenti al Vangelo (cfr. Rom., IX, 11)» (S. CIPRIANI, Le Lettere di San Paolo, Assisi, Cittadella Editrice, V edizione, 1965, p. 68, note 14-16).

Infine padre Marco Sales scrive: «La perfida condotta dei Giudei [a Tessalonica, ndr] richiama alla mente di S. Paolo i loro grandi delitti, e perciò egli si fa un dovere di ricordarli. Uccisero il Signore Gesù: i Romani non furono che deboli strumenti nelle mani dei Giudei, sui quali ricade per conseguenza la principale responsabilità della morte di Gesù. E i Profeti: anche il Signore rinfacciò ai Giudei questo delitto (cfr. Mt., XXIII, 3-37; Atti, VII, 52). Perseguitarono noi: Apostoli di Gesù Cristo, suscitando dappertutto ostacoli acciò non potessimo predicare. Ci scacciarono: ossia ci espulsero per mezzo della persecuzione dai luoghi ove ci eravamo recati a predicare. Macchiati di tanti misfatti i Giudei non sono più il popolo eletto ed hanno cessato di piacere a Dio. Sono nemici di tutti gli uomini: perché vorrebbero che tutti, essi soli eccettuati, fossero esclusi dalla salute messianica, e perciò odiano gli altri e a loro volta sono odiati. Proibendoci: mostrano il loro odio contro tutti opponendosi con ogni mezzo a che noi predichiamo il Vangelo ai Pagani. Colmano eccetera: comportandosi così essi vengono ad aggiungere colpa a colpa, e a colmare sempre più la misura dei loro peccati, ossia della loro malizia, e ad attirarsi l’ira d Dio. Le parole affinché siano salvate: indicano il felice esito che deve ottenere quella predicazione, che i Giudei si studiano di impedire. Per colmare: comportandosi così i Giudei vengono ad aggiungere colpa a colpa, e a colmare sempre più la misura dei loro peccati, ossia della loro malizia, e ad attirarsi l’ira di Dio. S. Paolo aggiunge infine perciò l’ira di Dio è venuta sopra di essi: egli annunzia come avvenuto quello che certamente avverrà, riportandosi come i Profeti al tempo a venire. Sino alla fine: l’ira di Dio contro i Giudei è giunta sino all’estremo limite, il castigo sta per cominciare. La maggior parte dei commentatori ritiene che S. Paolo profeticamente parli qui della distruzione di Gerusalemme compiuta da Tito nel 70. Altri autori, tuttavia, pensano che S. Paolo tratti solo dell’indurimento e dell’ostinazione dei Giudei, per cui essi furono esclusi come popolo dal Regno messianico e dalla Nuova Alleanza, per non esservi riammessi che quando sarà entrata la pienezza delle Genti (cfr. Rom., XI, 25 “ed allora tutto Israele sarà salvato”)» (M. SALES, Le Lettere degli Apostoli, Proceno di Viterbo, Effedieffe, II ed., 2016, p. 423, note 15-16).


Ipocrisia farisaica

Tornando al Vangelo di San Matteo (XXIII, 1-39), il vizio che viene principalmente fustigato da Gesù in esso e che caratterizza più di tutti i Farisei è l’ipocrisia, tant’è vero che, genericamente, il termine “Fariseo” è diventato sinonimo di ipocrita.

Qui appare chiaro il fatto che gli Scribi e i Farisei - col loro modo di vivere lassista, i cattivi esempi nella vita pratica accompagnati dai loro insegnamenti rigoristi in teoria -  non solo allontanavano il popolo fedele dal Messia Gesù di Nazareth e, quindi, da Dio, ma rendevano anche impossibile ai fedeli l’osservanza della Legge, aggiungendovi ogni sorta di precetti umani assai duri e difficilmente praticabili. Perciò, nel Fariseismo dei tempi di Gesù si ritrova un duplice problema di rigorismo dottrinale e di lassismo pratico.


Secondo “Guai a voi”: il proselitismo rovinoso

Il secondo “Guai a voi” ai versetti 14-15 recita: “Guai a voi, Scribi e farisei ipocriti, perché girate per mare e per terra per fare anche un solo proselito e, fatto che sia, ne fate un figlio della geenna, due volte peggiore di voi”. Insomma, nel Vecchio Testamento i Farisei erano animati da un notevole spirito di proselitismo, a differenza del Giudaismo postbiblico il quale si rivolge unicamente agli Ebrei di sangue. Perciò, i Farisei del tempo di Gesù (prima del Deicidio e della distruzione del Tempio) desideravano fortemente convertire i Pagani o i non-ebrei alla religione ebraica veterotestamentaria (cfr. G. RICCIOTTI, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1932, II vol., pp. 231-237). Essi, come dice il Vangelo, “giravano per mare e per terra”, ossia facevano lunghi viaggi dalla Palestina attraverso i Paesi dei Gentili con lo scopo di predicare la religione ebraica o mosaica nel mondo pagano e di convertire i Pagani al Giudaismo veterotestamentario.

San Tommaso spiega: “Quando voi Scribi e Farisei lo avete reso Giudeo, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi, poiché dapprima è Pagano e poi Giudeo e allora ha un duplice peccato, cioè il politeismo pagano e la partecipazione all’uccisione di Cristo” (Commento al Vangelo secondo Matteo, n. 1861). 


Terzo “Guai a voi”: i giuramenti interessati

La terza maledizione che Gesù scaglia contro i Farisei riguarda il problema di voti accompagnati anche da giuramento. Infatti il Redentore proclama: “Guai a voi, guide cieche, che dite: Se uno  giura per il Tempio non è obbligato; ma se uno giura per l’oro del Tempio resta obbligato. […]. E ancora dite: Se uno giura per l’altare, non resta obbligato, ma se uno giura per l’offerta [l’animale che sarà sacrificato, ndr] che sta sopra l’altare, resta obbligato” (v. 16 e 18).

In breve i Rabbini - per dispensare dal voto coloro che lo avevano fatto imprudentemente - ricorrevano ad ogni sorta di cavillosità e sottigliezze più o meno ipocrite. Per esempio, sostenevano che giurare per il Tempio, l’altare del Tempio o il Cielo non obbligasse; mentre obbligava certamente giurare per l’oro del Tempio o per le offerte degli animali da sacrificare che si facevano in esso e a favore di esso e sulle quali loro potevano contare e lucrare, attingendo all’oro o mangiando i resti degli animali sacrificati. Ora questa distinzione faceva capire che essi volessero insegnare ai fedeli un “sacro” rispetto per le ricchezze materiali (in preziosi o animali) contenute nel Tempio, da cui poi i Farisei attingevano abbondantemente e che, quindi, volevano far lievitare. Di qui l’ipocrisia e l’avarizia che Gesù rinfaccia ad essi, che reputavano sacre le offerte dei beni preziosi, ma non altrettanto sacro il Tempio, l’altare, il Cielo. Infatti, non potevano guadagnare dal Tempio e dal Cielo, ma potevano attingere al tesoro che si trovava nel Tempio.

Ai sofismi di costoro, il Redentore risponde: “Stolti e ciechi! Cosa vale di più: l’oro o il Tempio, che rende sacro l’oro? […]. Ciechi! Cosa vale di più: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta?” (v. 17 e 19).

Infine Gesù asserisce: “Chi giura per l’altare, giura per esso e per quanto vi sta sopra, chi giura per il Tempio, giura per esso e per Colui che lo abita; e chi giura per il cielo, giura per esso ossia per il trono di Dio e per Colui che vi sta seduto” (vv. 20-22).

La dottrina insegnata dai Farisei si fondava sulla scarsa importanza che essi davano ai giuramenti fatti sulle creature; mentre, secondo loro, solo i giuramenti fatti su Dio erano obbliganti. Infatti, essi giuravano spesso sul Tempio, sull’altare del Tempio, sul Cielo, su Gerusalemme, senza sentirsi obbligati dal giuramento. Poi spiegavano che, se la creatura su cui si giura non è direttamente e immediatamente in relazione con Dio, il giuramento fatto su di essa non obbliga. Quindi siccome nel Tempio vi erano molte cose che non stavano in immediata e diretta relazione con Dio, si poteva giurare su di esso senza essere poi obbligati di mantenere il giuramento.

Tuttavia, obiettava loro Gesù, come potete poi sostenere che obbliga invece il giuramento fatto sull’oro del Tempio e sulle offerte fatte nel Tempio? Questo è il problema e la contraddizione stridente della dottrina e della pratica farisaico/rabbinica. Infatti l’oro del Tempio e le offerte fatte e depositate in esso sono  sacre soltanto in quanto appartenenti  al Tempio e non in se stesse. L’oro e le offerte di beni preziosi non sono cose sacre, ma profane. Purtroppo esse interessavano ai Farisei proprio per il loro intrinseco valore materiale e non per la loro relazione a Dio. Quindi, concludeva il Salvatore, se obbliga il giuramento fatto per queste offerte che si trovano nel Tempio a maggior ragione dovrebbe obbligare il giuramento  fatto per o sul Tempio stesso. Inoltre pure il giuramento fatto sul Cielo, che è il trono di Dio, dovrebbe obbligare anch’esso.

L’Aquinate spiega:
“Si sa che ciò che si trova nel Tempio è sacro in ragione del Tempio; perciò, chi ruba nel Tempio, ossia in un luogo sacro, commette un sacrilegio. Quindi, è più grave giurare per il Tempio che per l’oro. […]. Il Tempio contiene l’oro e non viceversa, similmente l’altare contiene l’offerta sacrificale e non viceversa. Quindi chi giura per il Tempio giura per l’oro che si trova nel Tempio e chi giura per l’altare, giura per l’offerta che sta su di esso. Perciò chi giura per il Tempio o l’altare giura per Dio, poiché si giura per il Tempio o l’altare in quanto santificati e santificanti, ossia in relazione alla Divinità” (Commento al Vangelo di Matteo, n. 1865 e 1867).

S. Girolamo commenta: “Qui viene condannata l’avarizia dei Farisei, che fanno ogni cosa per lucro. Infatti essi ingrandendo i filatteri e moltiplicando le frange acquistavano una certa reputazione tra il popolo, che credeva in quella loro maschera di santità. Così facendo i Farisei realizzavano guadagni per mezzo della stima che godevano tra i fedeli” (Commento a Matteo, XXIII, 15, libro IV).

Al versetto 23 vi è il quarto “Guai a voi”, ma lo vedremo nella terza parte di questo articolo.  


Insomma, non sono condannati i titoli, ma l’ambizione e la vanità che essi possono fomentare nei cuori degli uomini insigniti di essi, desiderandoli disordinatamente per essere maggiormente stimati dagli uomini. Dunque essi possono essere utilizzati, ma senza prescindere da Dio, né li si deve utilizzare allo scopo di sorpassare e schiacciare gli altri. Certamente solo Dio è il Padre, il Maestro, il Precettore, il Superiore per essenza o assolutamente e infinitamente, noi uomini lo possiamo divenire per imitazione, per partecipazione, ossia in maniera limitata e finita. 

Continua




 
maggio 2023
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI