La vera natura del protestantesimo

parte terza

Per capire meglio La natura del Protestantesimo,
occorre studiare il pangermanesimo neo/pagano



di Don Curzio Nitoglia


Parte prima - La Vita di Lutero
Parte seconda - La dottrina di Martin lutero
Parte terza - Pangermanesimo neo/pagano



Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/








Cristianesimo e germanesimo

Cristo ha assegnato alla Chiesa il ruolo di ammaestrare tutti i popoli, non c’è alcun figlio preferito (siano ebrei o germani) né alcun figlio trascurato (siano latini o arabi) nella Nuova Alleanza!

Certo, unità di fede e di morale non significa appiattimento e livellamento di cultura o di particolarità nazionali: tedeschi, francesi, italiani sono una stessa cosa quanto alla fede e alla morale, ma hanno una cultura, una storia, una tradizione e una particolarità nazionale, psicologica ed etnica ben distinta gli uni dagli altri.

Il Cristianesimo non è mondialismo o globalizzazione: vuole porgere al mondo una sola fede, ma non un’unica cultura. Il mondialismo, invece ci toglie la fede e livella e appiattisce le diverse culture in un’unica barbarie o inciviltà o sottocultura.

Così la Chiesa ha un carattere soprannazionale o universale e non deve infeudarsi a nessun popolo e a nessun regime politico.


I Germani prima di Cristo

Tacito scrisse nel 98 d.C. un’opera storica intitolata La Germania.


“È un dato di fatto che gli antichi Germani adoravano un gran numero di Dei. Gli Dei germanici erano stati creati dall’uomo a sua immagine e somiglianza; invece secondo la dottrina cristiana l’uomo è creato da Dio a Sua immagine e somiglianza. È un dato di fatto che gli antichi germani offrivano sporadicamente ai loro Dei sacrifici umani erano dediti a grossolane superstizioni... È un dato di fatto che presso i germani la schiavitù era cosa abituale... È un dato di fatto la proverbiale infingardaggine degli antichi germani. Gli uomini lasciavano il lavoro dei campi agli schiavi e alle donne (cap. 14); in tempo di pace essi se la spassavano a caccia o dormendo, mangiando e trincando (cap. 15). Tacito, benché romano - osserva il prelato tedesco - torna a parlare con disprezzo del ‘dormire fino al giorno inoltrato’ (cap. 22) e della ‘abituale pigrizia’ dei germani (cap. 45). Tuttavia, lo storico romano ammette ch’essi erano modello di fedeltà umana di ospitalità; inoltre, avevano un elevato concetto del matrimonio e della fedeltà matrimoniale”.

“Di una vera cultura presso i germani dei tempi precristiani, secondo Tacito, non si può parlare. I popoli dell’Eufrate e del Nilo avevano raggiunto due/tremila anni prima, un più alto grado di cultura senza essere ariani”; anzi, essendo semiti.


Come fu introdotto il Cristianesimo presso gli antichi Germani?

“Bisognò, innanzitutto, sradicare la zizzania del politeismo, dei sacrifici umani e della superstizione; inoltre, anche la schiavitù, l’infingardaggine e gli eccessi nel bere. Bisognò piantare tutto ciò che presso i germani era di buon germoglio, come la fedeltà umana, l’alto concetto del matrimonio e della fedeltà coniugale. I germani sono diventati un popolo grazie al Cristianesimo. Tacito enumera circa cinquanta popolazioni germaniche, che scendevano in campo le une contro le altre in continue guerre fratricide. Ora, è una realtà storica che queste molteplici popolazioni si raccolsero in sedi fisse, fondendosi in un unico popolo, soltanto con la loro conversione al Cristianesimo.

Grazie al Cristianesimo e al monachesimo benedettino i germani divennero un popolo di cultura e la Cristianità ottenne sangue forte e sano dall’ingresso dei barbari germanici nell’Impero romano, che oramai era invecchiato ed era soppiantato da un nuovo impero romano spirituale: la Chiesa, la quale ha saputo educare i germani alla civiltà romana e alla fede cristiana. I monaci di S. Benedetto insegnarono ai nostri antenati la lavorazione dei campi, l’industria, e le belle arti al servizio della liturgia”.


Relazioni tra Cristianesimo e razza germanica

“Non c’è nulla da obiettare contro le oneste ricerche di razza e gli onesti doveri di razza, contro la premura di conservare le proprietà caratteristiche di un popolo. Dobbiamo tuttavia, dal punto di vista ecclesiastico, porre tre condizioni. In primo luogo, l’amore per la propria razza non deve giammai diventare odio per gli altri popoli. In secondo luogo, l’individuo non deve ritenersi esonerato dal dovere di curare la propria anima; infatti, il giovanotto, che sente sempre e soltanto canonizzare la propria razza, troppo facilmente finisce per convincersi che davanti a Dio e alla Chiesa egli non ha più il dovere morale dell’umiltà e delle castità. Terzo luogo, i doveri di razza non devono prendere posizione contro il Cristianesimo. Al cristiano non è proibito di scendere in campo per la propria razza e per i suoi diritti: quindi, uno potrà essere un sincero tedesco e un cristiano che altrettanto sinceramente professa la sua religione. Ma non ci dovremo giammai dimenticare che noi non siamo stati redenti dal sangue tedesco: siamo, invece, stati redenti dal Sangue prezioso del Crocefisso” (1).

La Chiesa studia il problema ebraico non alla luce della biologia ma della fede, contenuta nella Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) e nella Tradizione divino/apostolica. Dio ha creato Israele per sé, affinché preparasse la via al Messia e lo facesse conoscere al mondo intero; la grandezza del popolo ebraico si fonda sulla promessa che Dio ha fatto ad Abramo di farlo diventare capostipite di una “razza” (Gen., XII) dalla quale sarebbe nato il Messia. Abramo ha creduto, e i suoi discendenti, per essere benedetti da Dio, devono credere nella promessa messianica (realizzatasi nell’Avvento di Gesù Cristo).

Non basta dunque essere discendenti di Abramo solo secondo la carne (“olim judaeus, semper judaeus / una volta ebreo sempre ebreo”, nel bene o nel male), ma occorre avere la sua fede in Gesù Cristo. I “veri Israeliti” - per la Chiesa - son coloro che, imitano la fede del Patriarca, credendo in Cristo, mentre coloro che, discendono solo carnalmente da Abramo senza averne la fede non sono “veri Israeliti”.

«Ma, come allora - scrive S. Tommaso - colui [Ismaele] che era nato secondo la carne perseguitava quello che era nato secondo lo spirito [Isacco]; così pure adesso [il falso Israele perseguita il vero Israele o Chiesa di Cristo]. Sin dall’inizio della Chiesa primitiva i giudei hanno perseguitato i cristiani, come appare dagli Atti degli Apostoli e lo farebbero ancora ora, se lo potessero» (2).

La vocazione del vero Israele spirituale è irrevocabile (Rom., XI, 9) in quanto è unito spiritualmente a Gesù salvatore del mondo, ma il falso Israele carnale, che si ostina ancor oggi a rifiutare Gesù, “è stato reciso dall’ulivo fruttifero, per la sua incredulità” (Rom., XI, 20). Perciò la vocazione, da parte di Dio, permane; ma, da parte dell’uomo può essere rifiutata e quindi persa.

La radice dell’accecamento ebraico consiste nello scambiare la razza per il Salvatore: la razza ha il primato su Cristo. Il giudaismo, avendo questa concezione razzista della storia, è nemico di tutti i popoli: «[I Giudei] hanno ucciso il Signore-Gesù e i Profeti, ci hanno perseguitato, non piacciono a Dio, sono nemici di tutti gli uomini, impedendoci di predicare ai pagani per la loro salvezza» (S. PAOLO, 1ª Tess., II, 15- 16); nemici dei pagani che intendono dominare come “bestie parlanti”, ma ancor più nemici dei cristiani che vorrebbero sterminare come continuazione di Gesù nella storia.

«Quando la romanità divenne la cristianità - scrive monsignor Umberto Benigni - l’odio della Sinagoga raddoppiò contro di essa per il motivo religioso, giacché lo spirito talmudico odia più il Cristianesimo che non il paganesimo. Questo rappresenta per la Sinagoga un gregge da domare, da spogliare; quello è l’insieme dei seguaci di Gesù Cristo ai quali va l’eredità dell’odio specialissimo del Sinedrio contro il Crocefisso» (3).

Ma, qual è, dunque, la ragione della scelta erronea, che fa ripudiare l’Antico Testamento come cattivo in sé e reputare la razza come “divina”? La vera ragione va ricercata nelle opere cattive, nella vita, nell’atto della volontà che può anche essere soltanto interno (come l’orgoglio della mente).

S. Tommaso d’Aquino insegna che «È chiamata buona non la persona intelligente, ma quella che ha la buona volontà» (S. Th., I, q. 5, a. 4, ad 3).

Le opere cattive non sono soltanto l’immoralità grossolana come l’attaccamento ai piaceri dei sensi, ma anche l’immoralità sottile: l’esaltazione dell’Io, la ricerca della gloria umana e dell’onore del mondo. Ebbene colui che, fa il male fugge la luce interna della verità che lo rimprovera, come il ladro fugge la luce del sole e cerca le tenebre per non essere visto. Egli non verrà alla luce, non s’accosterà ad una dottrina che condanna la sua vita (anche quando l’abbia conosciuta come vera).

“È impossibile non pensare a coloro che, predicano l’osservanza della Legge, ma la cui vita non corrisponde a questo ideale” (S. Th., II-II, q. 10, a. 3 e 6). Gli increduli amano, quindi, le tenebre non per se stesse, ma perché nascondono la loro condotta esteriore, ed odiano la luce, perché smaschererebbe la loro perversità interna!

In breve, le cattive disposizioni della volontà sono la causa ultima che impedisce agli uomini di riconoscere Dio. L’ultima ragione dell’incredulità non va ricercata nell’intelligenza, ma nel non voler credere a causa di una cattiva volontà moralmente indisposta.

Si può perciò concludere che la volontà e la vita cattiva sono la causa di ogni incredulità. Come il diavolo è un Angelo decaduto per cattiva volontà (ha preferito affermare se stesso, pur dannandosi, piuttosto che sottomettersi alla Volontà di Dio); così gli increduli preferiscono rifiutare il Salvatore e la salvezza, per soddisfare la propria perversa volontà di dominio terreno.


La dottrina cattolica sui rapporti tra Giudaismo e Cristianesimo

San Tommaso d’Aquino, che ha riassunto, meglio di ogni altro, la dottrina della S. Scrittura, della Tradizione apostolica e patristica, del Magistero ecclesiastico sul rapporto tra Giudaismo (mosaico, talmudico) e Cristianesimo e ne ha dato una spiegazione teologica, mediante sillogismi, la quale soddisfa tutte le domande e le obiezioni che ci si possa porre su questo tema; precisa i termini, rende più chiara e sicura la Teologia patristica grazie al metodo della Teologia scolastica e ci mette in guardia contro “il pericolo dell’ora presente”: la «giudaizzazione» cabalistico/talmudista del Cristianesimo (4).

Per l’Aquinate “con la morte di Cristo cessò la Vecchia Legge e iniziò la Nuova ed Eterna Alleanza” (Somma Teologica, I-II, q. 103, a. 3); dunque le Cerimonie dell’Antico Patto “non si possono osservare dopo la morte di Cristo senza peccato, poiché sarebbero una professione di fede falsa nel Messia non già venuto in Cristo, ma ancora da venire” (I-II, q. 103, a. 4). Inoltre “la Legge Nuova essendo Legge perfetta, doveva essere preceduta dalla Legge imperfetta del Vecchio Patto” (I-II, q. 106, a. 3) e siccome “la Legge Nuova è perfetta, non ha bisogno di essere perfezionata” (I-II, q. 106, a. 4).

Infatti, “la Legge Nuova è Legge di perfezione. Dunque è diversa dalla Legge Vecchia, che è Legge imperfetta o di preparazione a Cristo” (I-II, q. 107, a. 1), insomma la “Legge Nuova compie, perfezione e attua la Vecchia perché dà in atto quanto la prima prometteva o conteneva in potenza, dando in atto la Redenzione del Messia-Gesù Cristo” (I-II, q. 107, a. 2). Quindi, non è vero che “l’Antica Alleanza non è stata mai revocata” (Giovanni Paolo II, Magonza, 17 novembre 1980) e neppure che “gli Ebrei sono Fratelli Maggiori dei Cristiani nella fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, Roma, 13 aprile e 31 dicembre 1986); anzi è vero tutto il contrario.





NOTE

1 - M. VON FAULHABER, Giudaismo, Cristianesimo, Germanesimo, pp. 152-172.
2 - S. TOMMASO, Super epistulam ad Galatas lectura, lectio VII, n. 249, 271-272, Marietti, Torino, 1953, pag. 620 ss.
3 - U. BENIGNI, Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1922, vol. III, pag. 24.
4 - Cfr. J. MIENVIELLE, Dalla Càbala al Progressismo, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019.







 
luglio 2023
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