Il Modernismo impenitente

di Benedetto XVI


parte seconda

di Don Curzio Nitoglia


Parte prima
Parte seconda
Parte terza


Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/






Don Joseph Ratzinger - e -  Benedetto XVI



Il discorso di Benedetto XVI

SECONDA PARTE

“L’ECCELSIOLOGIA”

Sette Tesi e sette Risposte

1a Tesi di Ratzinger


«I Vescovi avrebbero letto testi già preparati, e i membri del Sinodo avrebbero semplicemente approvato e così si sarebbe svolto il Sinodo. I vescovi hanno concordato di non fare così, in quanto loro stessi sono i soggetti del Concilio. Il primo momento nel quale quest’atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno» (Benedetto XVI).

Rispondo

La fase preparatoria iniziò il 5 giugno del 1960 e durò sino al 20 giugno del 1962; in essa si approntarono circa 70 schemi da discutere in Concilio, redatti in massima parte dal S. Uffizio, il cui Prefetto era il Papa ed il vice-Prefetto il card. Ottaviani. Questi 70 schemi rispondevano ai “Vota” che i Vescovi, sparsi nel mondo nelle loro proprie Diocesi, interpellati dal S. Uffizio, avevano inviato in Vaticano. Essi, quindi, come fece notare il card. Ottaviani, avevano un valore paragonabile al Magistero Ordinario Universale, ossia all’insegnamento impartito dai Vescovi sparsi nel mondo unitamente al Papa.  

Il Concilio iniziò l’11 ottobre 1962 e terminò l’8 dicembre 1965. Sin dal 20 novembre 1962 (appena un mese dopo l’inizio del Concilio) si assisté al “colpo di mano” (elogiato con pertinacia ed ostinazione da Benedetto XVI il 14 febbraio 2013) del rifiuto della fase preparatoria (elaborata da papa Giovanni XXIII (1) e dal S. Uffizio, che rispondevano ai ‘Desideri’ dei Vescovi del mondo intero) e all’inizio di una nuova fase, sia cronologica che dottrinale. Infatti, i documenti poi partoriti dal ‘62 al ‘65 furono improntati alla dottrina della nouvelle théologie di alcuni ‘teologi’, dei quali Benedetto tesse l’elogio (“grandi figure”) nel suo discorso del 14 febbraio 2013, i quali, però, erano stati condannati 10 anni prima da Pio XII con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950).
Anche qui dove sta la continuità?

Per la collegialità episcopale «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings, per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger, il quale ancor oggi ne è un convinto assertore. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema [preparatorio del S. Uffizio]» (2) : il “mito della  continuità” è smentito in verbis et in factis dal giovane Ratzinger e da Benedetto XVI, in piena continuità con se stesso, ma in ‘discontinuità-continua e costante’ con la Tradizione della Chiesa. Benedetto XVI rappresenta l’incarnazione della “discontinuità-continua”, come il cattolico liberale è “l’incoerenza stessa sussistente” (card. Louis Billot).

Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla collegialità, che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e a Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia» (3). Ottaviani rispose a Frings che “chi vuol essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da Pietro che è il Pastore, e non sono le pecore [i Vescovi] che devono dirigere Pietro, ma è Pietro che deve guidare le pecore [i Vescovi] e gli agnelli [i fedeli]”. L’idea collegialista di Frings-Ratzinger non era comune neppure a tutto l’Episcopato tedesco. Infatti, in un resoconto del perito conciliare belga monsignor Albert Prignon si legge: «Per quanto riguarda le conferenze episcopali, Döpfner non era d’accordo con Frings al quale successe nel 1965 come presidente della “Conferenza Episcopale Tedesca”» (4).

Paradossalmente durante il Concilio, spiega monsignor Prignon (5), il card. Frings col suo giovane teologo J. Ratzinger appartenevano all’ala del collegialismo duro e addirittura “violento” per quanto riguarda l’apertura alla modernità e quindi essi furono più oltranzisti di Döpfner e Rahner, che allora erano collegialisti sfumati o mitigati. Infatti, furono proprio Frings e Ratzinger a bloccare nell’8 novembre del 1963 gli schemi preparatori dogmatici del S. Uffizio e ad indirizzare il Concilio verso la “pastoralità” modernistica e la riforma della Curia romana (1967). Tuttavia dopo il Concilio, forse per il mutar dei ruoli e dei posti, Ratzinger specialmente è divenuto il “moderato”, l’interprete del Concilio alla luce della Tradizione (a parole ma non a fatti) e lo sponsor dell’ermeneutica della continuità. Ciò che stupisce è il fatto, che ancora dopo cinquanta anni si caschi nelle stesse trappole, fidandosi di chi ha dissimulato per mezzo secolo.

La dottrina sulla ‘collegialità’ fu attaccata dalla rivista diretta da monsignor Antonio Piolanti “Divinitas” n. 1 del 1964 tramite due articoli, l’uno di Sua Ecc. monsignor Dino Staffa e l’altro di monsignor Ugo Emilio Lattanzi (che citava, confutandolo, anche il teologo J. Ratzinger), i quali vennero fatti distribuire in Concilio sotto forma di estratti dal card. Ottaviani.

La Collegialità episcopale è stata costantemente condannata dal Magistero ecclesiastico sino a Pio XII, il quale ancora tre mesi prima di morire nell’enciclica Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958) ribadì, per la terza volta, dopo la Mystici Corporis del 1943 e la Ad Sinarum gentem del 1954, che la giurisdizione viene ai vescovi tramite il Papa. Il gallicanesimo o conciliarismo, invece, tende ad assegnare al Concilio ecumenico una funzione suprema, eguale se non superiore a quella del Papa.

Monsignor Prignon scrive: «Sembra che si sia arrivati al punto di minacciare di far saltare il Concilio nel caso passasse il testo votato sulla Collegialità. Si è accusato papa Montini come dottore privato di inclinare verso l’eresia» (6). Infatti, il card. Arcadio Maria Larraona il 18 ottobre 1964 inviò una lettera a Paolo VI in cui fra l’altro scrisse: «Sarebbe nuovo, inaudito e ben strano che una dottrina [collegialità episcopale] passasse improvvisamente […] a divenire più probabile, anzi certa o addirittura matura per essere inserita in una Costituzione conciliare. Questo sarebbe cosa contraria a ogni norma ecclesiastica, sia in campo di definizioni infallibili pontificie sia d’insegnamenti conciliari anche non infallibili. […]. Lo schema [sulla collegialità] cambia il volto della Chiesa; infatti: la Chiesa diventa da monarchica, episcopale e collegiale, e ciò in virtù della consacrazione episcopale. Il Primato papale resta intaccato e svuotato. […]. Il Pontefice romano non è presentato come la Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo (gerarchia e fedeli) (7) ; non è descritto come Vicario in terra di Cristo; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine, viene scardinata. Infatti, se si ammette che la consacrazione episcopale porta con sé le Potestà di Ordine ma anche, per diritto divino, tutte le Potestà di Giurisdizione (magistero e governo) non solo nella Chiesa propria ma anche in quella universale, evidentemente la distinzione oggettiva e reale tra Potere d’Ordine e Potere di Giurisdizione, diventa artificiosa, capricciosa e paurosamente vacillante. E tutto ciò – si badi bene – mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, proclamano questa distinzione essere di diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi e in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato» (8).

Sempre sulla collegialità Rahner, e soprattutto Ratztinger, specificarono «ciò che era necessario per far parte del collegio» dei vescovi: secondo Ratzinger «si fa parte del collegio “vi consecrationis” […]. Non fu raggiunta, invece, l’intesa sulla necessità di ripetere la formula del Vaticano I sul primato del Papa: Salaverri e Maccarrone la avrebbero inserita nel paragrafo sulle relazioni tra Papa e collegio, mentre Rahner e Ratzinger non aderirono» (9).

Anzi, spiega Alberigo, se per la Collegialità Congar fece appello al senso di responsabilità dei Padri conciliari, perché non si aggiungesse altro disagio a quello che il Papa aveva già con le contestazioni del Coetus Internationalis Patrum (10), invece «Ratzinger è favorevole ad azioni dure per ottenere almeno un dibattito libero sulla questione» (11).  Quindi, Ratzinger sulla Collegialità era più radicale di Congar e persino di Karl Rahner.


2a Tesi di Ratzinger

«Frings ha detto che il Papa ha convocato i Vescovi nel Concilio ecumenico come un Soggetto che rinnovi la Chiesa.[…] Un’esperienza dell’universalità della Chiesa e della realtà concreta della Chiesa, che non semplicemente riceve imperativi dall’alto, ma cresce e va avanti – naturalmente – sotto la guida del Successore di Pietro» (Benedetto XVI).

Rispondo

Il Soggetto del Magisterium e dell’Imperium nella Chiesa è il Papa, che, se vuole, può - come Principe dei successori degli Apostoli - interpellare ab alto i Vescovi nelle loro Diocesi e pronunciarsi insieme con loro nel “Magistero Ordinario Universale”, oppure li riunisce straordinariamente o eccezionalmente in Concilio Ecumenico e li fa partecipare al suo Munus docendi et imperandi nel “Magistero Straordinario Universale”. Il Soggetto supremo del potere di governo e d’insegnamento nella Chiesa è uno solo: il Papa; non ce ne sono due: Papa e Vescovi, e ciò per volontà di Dio che ha detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la Mia Chiesa” (Mt., XVI, 18). Si badi, Gesù ha detto “Tu … su Te”, non ha detto: “Voi siete il Mio Collegio e su Voi …”. Non si può negare che il Papa imperi dall’alto ai Vescovi, con buona pace di Frings e Ratzinger, senza negare il Primato di Pietro e dei suoi successori, infallibilmente definito de Fide divino-catholica dal Vaticano I.


3a Tesi di Ratzinger

«Il primo momento nel quale quest’atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno. Erano state previste, per questo primo giorno, le elezioni delle Commissioni ed erano preparate in modo imparziale le liste, i nominativi. E queste liste erano da votare. Ma, sùbito i Padri hanno detto: “No, non vogliamo semplicemente votare liste già fatte. Siamo noi il soggetto”» (Benedetto XVI).


Rispondo

Abbiamo già visto che quest’atteggiamento è stato definito un “colpo di mano” contro le decisioni del S. Uffizio diretto dal Papa con la vice-gerenza di Ottaviani in risposta ai “Vota” dei Vescovi della Chiesa universale. Un atto grave sia dal punto di vista disciplinare che dottrinale. I Vescovi renani dissero: “noi siamo il Soggetto” del Sommo potere di Magisterium e di Imperium nella Chiesa, non è il Papa coadiuvato dalla Curia romana e dalla Prima e Massima Congregazione del S. Uffizio, non sono neppure i “Desideri” dei Vescovi sparsi nel mondo ciascuno nella sua Diocesi, ma siamo noi! La Chiesa è stata fondata “su di Noi e non su Pietro”; il Vangelo, quindi, ha sbagliato …


4a Tesi di Ratzinger

«Non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari» (Benedetto XVI).


Rispondo

Invece era proprio un atto rivoluzionario, un “colpo di stato o di … Chiesa”, che mostrava l’avversione dei Padri renani verso Roma, il Papato, la struttura monarchica della Chiesa voluta da Dio, il S. Uffizio ed i “Vota” dell’Episcopato universale, quando non concordava con le loro opinioni neo/modernistiche. Anche la Collegialità episcopale va interpretata: se esprime la nuova teologia modernistica va bene; invece, se rimane fedele alla teologia tradizionale, allora non va più bene. Quindi vi è un Episcopato buono (quello renano/modernista) e uno cattivo (quello romano/antimodernista).

La Fede, contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione, ci insegna che i Vescovi devono ricevere dall’Alto, ossia dal Papa, che è il Primo e il Principe degli Apostoli, sia la Giurisdizione nella loro Diocesi, la quale viene assegnata loro dal Papa, sia la partecipazione al Sommo Magistero per la Chiesa universale, che non hanno come Vescovi ma solo quando il Papa li vuol unire a sé nel Magistero Universale, sia Ordinario che Straordinario. Un Vescovo senza Papa è acefalo, successore solo materiale e non formale degli Apostoli.


5a Tesi di Ratzinger

«Il Papa ha ricordato che il Concilio Vaticano I si era interrotto a causa della guerra franco-tedesca e così aveva sottolineato solo la dottrina sul primato, che è stata definita grazie a Dio in quel momento storico, e per la Chiesa era molto necessaria per il tempo seguente. Ma, era soltanto un elemento in un’ecclesiologia più vasta» (Benedetto XVI).


Rispondo

In realtà furono i bersaglieri dei Savoia a entrare a Roma nel 1870 e a interrompere il Vaticano I. È chiaro che per Benedetto XVI occorreva andare oltre la dottrina del Primato, la quale, storicisticamente parlando, era buona per il 1870, aggiornandola con la Collegialità che, come abbiamo visto, contesta il Primato petrino.


6a Tesi di Ratzinger

«Con la dottrina del Corpo mistico di Cristo si voleva dire che la Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale, è anche questo, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale. In questo senso, Pio XII aveva scritto l’Enciclica Mystici Corporis Christi, come un passo verso un completamento dell’ecclesiologia del Vaticano I» (Benedetto XVI).


Rispondo

La Chiesa è un “Corpo”, quindi è un’organizzazione o Società giuridica. Pio XII nell’Enciclica del 1943 sul “Corpo Mistico di Cristo” non ha parlato di una Chiesa pneumatica, ma ha condannato questo errore insegnando che essa è il Corpo o la Società dei battezzati, che partecipano agli stessi Sacramenti, sono sottomessi ai legittimi Pastori o Vescovi e specialmente al Principe dei Pastori, il Romano Pontefice. Certamente la Chiesa è anche un’entità spirituale e mistica, fondata da Dio, che porta in  Cielo e conferisce la Grazia santificante mediante i Sacramenti.


7a Tesi di Ratzinger

«C'era questa idea di completare l’ecclesiologia in modo […] strutturale, cioè accanto alla successione di Pietro, alla sua funzione unica, definire anche meglio la funzione dei vescovi, del corpo episcopale. E per fare questo è stata trovata la parola 'collegialità', molto discussa con discussioni accanite, direi, un po’ esagerate anche. Ma, era la parola che serviva per esprimere che i vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del corpo degli Apostoli» (Benedetto XVI).


Rispondo

La Collegialità episcopale pretende di riformare e deformare la struttura della Chiesa monarchica per istituzione divina.

La Chiesa è un Episcopato monarchico per volontà di Dio: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt., XVI, 16). Un solo Capo, una monarchia. I Padri della Chiesa sin dal II secolo hanno insegnato tale verità rivelata nel Vangelo. Vedi S. Ignazio di Antiochia (Smirn., VIII, 1-2; IX, 1); la successione ininterrotta dei Vescovi e dei Papi a partire dagli Apostoli e da Pietro è segno della vera Chiesa di Cristo (S. GIUSTINO MARTIRE, Adv. haer., III, 3, I); senza successione apostolica non vi è vera Chiesa di Cristo (TERTULLIANO, De praescr., 32). Pietro è il primo e il Capo di tutti gli Apostoli, come ha definito di Fede il Vaticano I (DB 1823).

Il Primato su tutti gli Apostoli e su tutta la Chiesa promesso a Pietro in Matteo (XVI, 16-19) gli è stato conferito quando Cristo, dopo essere risorto, disse a Pietro: “Pasci [governa] i miei agnelli [Apostoli/Vescovi], pasci le mie pecorelle [sacerdoti e fedeli]” (Gv., XXI, 15-17). In questo senso l’hanno interpretato i Padri ecclesiastici unanimemente (v. TERTULLIANO, De mon. 8; CIPRIANO, De unit. Eccl., 4; CLEMENTE ALESSANDRINO, Quis dives salvetur, 21, 4; CIRILLO DI GERUSALEMME, Cat., II, 19; S. LEONE MAGNO, Sermo IV, 2).

Pietro, per divina istituzione, ha nei Papi i perpetui successori nel primato di governo sulla Chiesa: è una verità di Fede definita dal Concilio Vaticano I (DB 1825). L’edificio della Chiesa non può sussistere senza il fondamento che è Pietro e i Papi, così insegnano i Padri della Chiesa (v. PIETRO CRISOLOGO, Ep., XXV, 2; S. LEONE MAGNO, Sermo III, 2): «Pietro è la ‘pietra’ che conferisce saldezza, [compattezza e unità] alla Chiesa» (A. LANG, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, p. 310).



NOTE

1 - Purtroppo fu il medesimo Giovanni XXIII, che aveva letto e approvato (durante il 1960 e il 1961) gli schemi del S. Uffizio ad affossarli (nel 1962), sostenendo la manovra dei Teologi renani.
2 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
3 - H. JEDIN, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. RATZINGER, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
4 - F-PRIGNON, n° 512 bis: relazione dattiloscritta sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, pp. 10-11, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163, nota 100; cfr. A. S., vol. II, cap. 5, pp. 66-69.
5 - F-PRIGNON, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163-165.
6 - Nastro registrato spedito da monsignor Albert Prignon al card. Suenens, fine giugno 1964, F-Prignon, 828, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1999, vol. IV, p. 86, nota 216.
7 - Questo concetto del Papato proprio della Collegialità episcopale spiegherebbe il perché delle dimissioni, annunziate già nel 2011, di Benedetto XVI. Infatti, il Papa è il Vescovo di Roma, ha una preminenza ma non un Primato. Quindi, come i Vescovi devono dare le dimissioni per limiti di età, con una decina di anni di posticipazione.
Questo sarebbe il “colpo di mano finale” di Ratzinger per cambiare la struttura monarchica della Chiesa. Il ‘primo colpo di mano’ fu opera dei Vescovi renani (il 20 novembre 1962), che rigettarono gli Schemi preparati dal S. Uffizio, cui seguì lo scontro tra il card. Ottaviani e il card. Frings (il cui teologo era Ratzinger) l’8 novembre 1963 sulla Collegialità. Esattamente 50 anni dopo - l’11 febbraio 2013 - Ratzinger, divenuto Benedetto XVI, annunzia le sue dimissioni ed il 14 dello stesso mese precisa che non si ritira a vita privata. Quindi, lascia capire che il Papa, come gli altri Vescovi, deve andare in pensione a una certa età e fare il “Papa emerito”. Questo sarebbe “il colpo di grazia” all’Istituzione divinamente monarchica del Copro Mistico di Cristo, se la Chiesa non fosse assistita da Dio “tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Però, “Dio lascia fare, ma non strafare” diceva Sant’Alfonso de Liguori. Certamente Ratzinger è un modernista lucido, teoretico e impenitente, sa quel che vuole e lo ottiene pian piano, mettendo i fedeli davanti al fatto compiuto. La stessa astuzia la ebbe durante il Vaticano II, quando i teologi progressisti si stavano irrigidendo contro la “Nota Explicativa Praevia” voluta da Paolo VI e avrebbero compromesso la dottrina della Collegialità mettendosi troppo apertamente contro la decisione del Papa, perciò la Collegialità sarebbe stata fatta bocciare dal Coetus Internationalis essendo usciti troppo allo scoperto i Renani contro il Papa stesso. Ma “per fortuna c’è Ratzinger” esclamò padre Yves Congar, “che con la sua perizia e prudenza ha saputo salvare ogni cosa”, facendo accettare la ‘Nota Praevia’ in quanto non votata dai Vescovi in Concilio e quindi non Documento conciliare…
8 - Cit. in M. LEFEBVRE, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
9 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 129.
10 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. IV, p. 469.
11 - Ivi






 
settembre 2023
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