Il Modernismo impenitente

di Benedetto XVI


parte prima

di Don Curzio Nitoglia


Parte prima
Parte seconda
Parte terza



Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/






Don Joseph Ratzinger - e -  Benedetto XVI


Introduzione

Dopo aver annunciato le sue dimissioni, l’11 febbraio 2013, per mancanza di forze fisiche e morali che non gli avrebbe consentito di agire per il bene della Chiesa, Benedetto XVI ha incontrato il Clero di Roma, al quale - il 14 febbraio - ha proluso una “Lectio magistralis” sul Concilio Vaticano II, la sua retta interpretazione ed è tornato con la memoria ai ricordi storico/teologici della sua partecipazione da giovane teologo al Concilio, prima come teologo privato del cardinal Frings e poi come “Perito ufficiale” del Concilio. 

Pertanto, mi vorrei soffermare su questo testo, che esprime la teologia modernistica di Ratzinger/Benedetto XVI dal 1959 al 2013, testo ufficialmente diffuso dalla “Radio Vaticana”, il lettore potrà leggerlo sul sito VATICAN NEWS, 14 febbraio 2013.

In esso si costata che l’85nne Benedetto XVI nel 2013 è sostanzialmente identico al 38nne don Ratzinger del 1960-65. Egli, infatti, è restato un convinto assertore delle novità introdotte dalla “nouvelle théologie” nella Pastorale del Vaticano II.  

Questa è la vera “tragedia” e non l’aver dato le dimissioni per motivi d’incapacità di governare la Chiesa (ammesso che la motivazione sia realmente questa).

Aver riunito ad Assisi nell’ottobre del 2102 tutte le false “religioni” assieme all’unica vera, è un atto in sé inaccettabile e in rottura con la Tradizione apostolica: basta leggere l’Enciclica “Mortalium animos” di Pio XI del 1928.

Aver elogiato la Collegialità, la rivolta contro gli Schemi preparatori del S. Uffizio, l’Ecumenismo, la Riforma della Messa anche nel momento che precede le sue dimissioni ed il redde rationem finale è qualcosa di molto grave, che deve aprirci gli occhi sulla mentalità di Benedetto XVI, anche quanto alla liberalizzazione della Messa tradizionale del 7 luglio 2007, per non cadere nel trabocchetto della “Continuità” tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica, la quale è smentita implicitamente da ciò che dice lo stesso papa Ratzinger, il quale proclama - ma non dimostra - la ‘non-rottura’ del Vaticano II con la Tradizione.


Il discorso del 14 febbraio 2013 e Commento

Il discorso di Benedetto XVI è bene articolato e riafferma quasi tutti i grandi temi del Vaticano II in quest’ordine: 1a Parte) la Chiesa e la Modernità (in 3 Tesi e 3 Risposte); 2a Parte) l’Ecclesiologia (in 7 Tesi e 7 Risposte); 3a Parte) la Riforma liturgica (in 3 Tesi e 3 Risposte).

Per aiutare il lettore ho diviso il testo in tre Parti, esponendo le Tesi di papa Ratzinger e cercando di dare una Risposta a ciascuna di esse.


Il Testo di Benedetto XVI diviso in Tesi

PRIMA PARTE

“CHIESA E MODERNITÀ”

Tre Tesi e tre Risposte

1a Tesi di Ratzinger

Il primo punto esposto da Benedetto XVI lascia più che perplessi. Infatti, esso contiene l’utopica conciliabilità tra “Concilio e il mondo del Pensiero Moderno”.

Rispondo

La Modernità è caratterizzata dal Soggettivismo (religioso di Lutero, filosofico di Cartesio e socio/politico di Rousseau). Il Concilio Vaticano II ha preteso di conciliare la Modernità filosofica iniziata da Cartesio, perfezionata da Kant e ultimata da Hegel con il Cattolicesimo.

Ora, questa è l’essenza del Modernismo, il quale - come insegna San Pio X nell’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907) - è “lo spurio connubio di Cristianesimo e kantismo”, ossia una contradictio in terminis, che sfocia nella “cloaca di tutte le eresie” (ivi).

Infatti, l’uomo, secondo il kantismo, è Supremo Legislatore di se stesso. Egli agisce moralmente soltanto quando osserva la sua legge; se si sottomette alla Legge divina, si ha l’eteronomia (sottomissione a una legge estranea) che è immorale, poiché contraddice l’autonomia della morale. Kant ripete, con parole più sfumate, il non serviam di Lucifero e lo erige a sistema “filosofico”. La filosofia moderna si fonda sul principio di autonomia assoluta e di autosufficienza completa dell’uomo, ossia dell’allontanamento dell’uomo da Dio con la conseguenza dell’autodistruzione progressiva.

Dio (come pure l’essere partecipato-creaturale, la ragione umana e la logica, la morale oggettiva e naturale), soprattutto nell’epoca contemporanea, è visto come il male da combattere, distruggere ed uccidere (1) . Eppure il Vaticano II ha voluto conciliare il Vangelo con la Modernità.

L’uomo contemporaneo si sente limitato da Dio, dalla sua Chiesa, dalla vera Religione, dall’essere extra-mentale, dalla logica e dalla morale oggettiva. Quindi, è impossibile conciliare Cattolicesimo e Modernità o post-Modernità, tranne che la Modernità si converta al Cattolicesimo e sconfessi se stessa o che i Cristiani abiurino il Cattolicesimo ed aderiscano alla Modernità. Purtroppo, il dialogo conciliare con la Modernità ha portato i Cristiani e gli Ecclesiastici all’aggiornamento, ossia all’adattamento e all’accettazione della Modernità soggettivistica.

L’ateismo implicito iniziale e il deicidio, come ateismo esplicito compiuto, rappresentano la natura del processo filosofico moderno, che dialetticamente prima nega Dio e, poi, nichilisticamente lo vorrebbe uccidere.

La negazione del peccato originale è una conseguenza pratica della negazione di un Dio creatore, che limita l’uomo come creatura. Infatti, il peccato originale infligge all’Uomo/totale o Assoluto una doppia ferita: quella della creaturalità e della vulnerabilità, che egli non è più disposto ad accettare, come avveniva in passato (2) . L’uomo si protende, invece, verso un Umanesimo integrale (3), che è ateismo e nichilismo radicale.

Da questa filosofia è nata la contrapposizione radicale tra il Cristianesimo tradizionale e il mondo moderno-contemporaneo. Contraddizione che è stata volutamente ignorata da alcuni Ecclesiastici modernisti e che essi hanno cercato di superare nel disperato tentativo di conciliare il teocentrismo con l’antropocentrismo (Gaudium et spes, 22, 24). Alcuni di loro hanno detto esplicitamente che la natura esige la grazia e implicitamente che l’uomo è Dio (HENRY DE LUBAC, Surnaturel, Parigi, 1946). Tuttavia, il mondo ha rifiutato, in larga misura, questa mano tesa da parte dell’arrendevolezza modernistica ed ha riaffermato, sempre più marcatamente, la diversità e la contrarietà tra Fede e ragione, tra Grazia e natura, tra Chiesa e Stato.

Il cuore del “problema dell’ora presente” è propriamente la velleità di conciliare l’inconciliabile, teocentrismo e antropocentrismo, Messa romana e Novus Ordo, Tradizione divino-apostolica e Vaticano II, Collegialità episcopale e Primato di Pietro. Questa velleità è stata il cuore della teologia del giovane Ratzinger e del Pontificato di Benedetto XVI modernista impenitente sino alla fine (v. Discorso al Clero Romano del 14 febbraio 2013).


2a Tesi di Ratzinger

«Speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa» (Benedetto XVI).

Rispondo

Questa Tesi ecclesiologica della Nuova era dell’economia della salvezza e di una Nuovissima Chiesa pneumatica già venne espressa da Gioacchino da Fiore, di cui J. Ratzinger come dottore privato è un profondo conoscitore.

Essa, però, è stata condannata dalla Chiesa. San Tommaso d’Aquino, risponde e confuta (meglio di ogni altro) gli errori millenaristi di Gioacchino e della sua scuola. Nella Somma Teologica dimostra che la Nuova Alleanza e la Chiesa di Cristo fondata su Pietro durerà sino alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Infatti, la Nuova Alleanza è succeduta alla Vecchia, come il più perfetto al meno perfetto. Ora, nello stato della vita umana in questo mondo, nulla può essere più perfetto di Cristo e della Nuova Legge, poiché qualcosa è perfetto in quanto si avvicina al suo fine. Ora, Cristo ci introduce – grazie alla sua Incarnazione e morte – in Cielo. Quindi, non vi può essere – su questa terra – nulla di più perfetto di Gesù e della sua Chiesa.

Per quanto riguarda lo Spirito Santo, come perfezionatore dell’opera della Redenzione di Cristo, esso è inviato proprio da Cristo per confessare Cristo stesso, che ha promesso formalmente ai suoi Apostoli: “Lo Spirito Santo che Io vi manderò, procedendo dal Padre, renderà testimonianza di Me”. Quindi, il Paraclito non è l’iniziatore di una terza era, ma testimonia e spiega Cristo agli uomini e li rafforza per poterlo imitare. Onde, dopo l’Antica e la Nuova Legge, su questa terra non vi sarà una terza Alleanza, ma il terzo stato sarà quello dell’eternità, sempre felice nel Cielo o sempre infelice nell’Inferno. Gioacchino erra nel trasportare la realtà ultramondana o eterna su questa terra. Il Regno, di cui parla l’abate da Fiore, non riguarda questo mondo, ma l’aldilà. Infatti, lo Spirito Santo ha spiegato agli Apostoli (il giorno di Pentecoste del 33) tutta la verità che Cristo aveva predicato e che loro non avevano ancora capito appieno. Il Paraclito non deve insegnare una nuovissima Legge o un altro Vangelo più spirituale di quello di Cristo, ma deve solo illuminare e dar forza per ben conoscere e ben vivere la dottrina cristiana, che ha perfezionato quella mosaica (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Inoltre, la Vecchia Legge, non fu solo del Padre, ma anche del Figlio (raffigurato e prefigurato da Mosè); come pure la Nuova Legge non fu solo del Figlio, ma anche dello Spirito promesso e inviato da Cristo ai suoi Apostoli. La Legge di Cristo è la Grazia dello Spirito santo, che illumina, vivifica e irrobustisce per poter osservare la Legge divina. Così come già nell’Antico Testamento era lo Spirito Santo a illuminare e corroborare i Patriarchi e i Profeti, i quali, pur vivendo sotto la Vecchia Legge, avevano già lo spirito della Nuova e la vivevano eroicamente mediante la grazia dello Spirito Santo (per attribuzione).  Quando Gesù insegna agli Apostoli che “Il Regno dei Cieli è vicino”, non si riferisce – spiega san Tommaso – solo alla distruzione di Gerusalemme, come termine definitivo della Vecchia Alleanza e inizio formale della Nuova, ma anche alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 6, a. 4, ad 4; ivi, III, q. 34, a. 1, ad 1; ivi, III, q. 7, a. 4, ad 3 et 4). Infatti, il Vangelo di Cristo è la ‘Buona Novella’ del Regno (ancora imperfetto) della ‘Chiesa militante’ su questa terra e del Regno (oramai e per sempre perfetto) della ‘Chiesa trionfante’ nei Cieli. Inoltre, nel Commento a Matteo sul discorso escatologico di Gesù (XXIV, 36), san Tommaso postilla: “Qualcuno potrebbe credere che questo discorso di Cristo, riguardi solo la fine di Gerusalemme; però sarebbe un grosso errore riferire tutto quanto è stato detto solo alla distruzione della Città santa e quindi la spiegazione è diversa… cioè che tutti gli uomini e i fedeli in Cristo sono una sola generazione e che il genere umano e la fede cristiana durerà sino alla fine del mondo” (Expos. In Matth. c. XXIV, 34). L’Angelico, si basa su tale testo per confutare l’errore gioachimita, secondo il quale la Nuova alleanza o la Chiesa di Cristo non durerà sino alla fine dei tempi; egli riprende l’insegnamento patristico (specialmente del Crisostomo e di San Gregorio Magno) e lo sviluppa anche nella Somma Teologica (I-II, q. 106, a. 4, sed contra). Perciò, il cristianesimo durerà sino alla fine del mondo e non ci sarà bisogno di una ‘terza Alleanza pneumatica e universale’(Catolikòs), ma la Chiesa di Cristo è il Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (con buona pace di Gioacchino e seguaci) né occorre sognare il rimpiazzamento del cristianesimo, basta solo viverlo sempre più intensamente.

I teologi renani del Vaticano II erano imbevuti di questa malsana ideologia che attendeva una Chiesa di un’ipotetica “Terza Alleanza”, del Pentecostalismo, del Carismatismo, del Rinnovamento dello Spirito, del Cammino Neocatecumenale e del Sentimentalismo religioso. È Ratzinger stesso che lo ricorda.


3a Tesi di Ratzinger

«Si sentiva che la Chiesa non andava avanti, ma sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro» (Benedetto XVI).

Rispondo

Qui si tocca il problema dei rapporti tra la Chiesa, e specialmente il Concilio Vaticano II, e la Tradizione. Per questo motivo affronto questo problema nella prima parte dell’articolo: “Concilio e Modernità” e non nella seconda parte sulla “Ecclesiologia”.

Infatti, la Chiesa per andare avanti omogeneamente e non eterogeneamente deve rifarsi alle sue radici o alla sua Tradizione, “vita e giovinezza della Chiesa” (B. Gherardini), che assieme alla S. Scrittura è una delle due fonti della divina Rivelazione. Ora, parlare di una Chiesa tutta protesa in avanti e svalutarne il passato storico (per esempio, il preteso errore sul caso Galileo) equivale a tagliare le radici di un albero e condannarlo alla morte.

Tradidi quod et accepi” (1 Cor., XV, 3): non si può dare null’altro se  non ciò che si è ricevuto, l’Autorità nella Chiesa ha il compito di custodire, e trasmettere inviolato il ‘Deposito della Rivelazione’, senza cambiamenti sostanziali ed oggettivi, ma approfondendo la Fede, però sempre in eodem sensu. Come si vede la questione non è un bizantinismo, ma è di estrema attualità. Infatti, il pontificato di Benedetto XVI si è proteso ad affermare di leggere il Concilio Vaticano II non in discontinuità, ma in continuità con la Tradizione della Chiesa, mentre in realtà vi è una “continua discontinuità” tra il Vaticano II e la Tradizione apostolica. Onde, occorre sapere qual è la vera nozione di Tradizione e mettere a confronto la dottrina ricevuta e trasmessa dagli Apostoli sino a Pio XII con l’insegnamento del Vaticano II per vedere se tra essi vi è continuità e sviluppo omogeneo oppure eterogeneo. Non basta conclamare verbalmente continuità perché essa esista realmente. Ove si riscontra contrarietà e novità oggettiva, intrinseca ed eterogenea vi è rottura, che è la morte o l’interruzione della Tradizione, in quanto non si consegna ciò che si è ricevuto dagli Apostoli, ma nuove dottrine (“nova non nove/ cose nuove e non le stesse cose dette in maniera nuova”), ossia una “contro-tradizione”. Non si può sostituire la verità di ieri con quella di oggi a lei contraria o difforme, poiché la verità è una e immutabile sostanzialmente e oggettivamente “heri, hodie et in saecula”. Perciò, se è lecito e doveroso rileggere oggi la Tradizione per capire meglio e più profondamente ciò che ci fu detto ieri dagli Apostoli, non è mai lecito piegare l’insegnamento apostolico alle filosofie moderne immanentistiche e modernistiche e cambiarlo sostanzialmente in senso soggettivistico e relativistico.

Ora, per fare un esempio, la “Dei Verbum” del Concilio Vaticano II rigettò lo schema della Commissione preparatoria “De fontibus Revelationis” (avvenimento salutato con entusiasmo da Benedetto XVI sino al 14 febbraio 2013), che riprendeva le definizioni del Tridentino e del Vaticano I ed era stato preparato sotto la direzione del card. Alfredo Ottaviani vice-Prefetto del S. Uffizio (il cui Prefetto - si badi bene - era il Papa), e ciò per annacquare il peso della Tradizione a tutto vantaggio della sola Scrittura, in vista del dialogo interreligioso col protestantesimo, che aborrisce la Tradizione. Col Vaticano II non si parla più di duplice fonte della Rivelazione. Con il Vaticano II si misurò la Tradizione in base alla Scrittura: tutto ciò che non era scritto, non poteva essere ritenuto come vero; in breve si ribaltò la dottrina comune e definita dell’insufficienza della sola Scrittura nei confronti della Tradizione. Col Tridentino e il Vaticano I, la Tradizione era accolta perché proveniente da Gesù e dagli Apostoli, col Vaticano II (DV) è accolta se sono i teologi a riconoscere tale provenienza fondandosi sulla S. Scrittura, omologando Tradizione e Scrittura. La loro distinzione invece era stata ribadita anche dopo il Vaticano I da S. Pio X nel Decreto Lamentabili (1907) e poi da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos (1928). Il problema è quindi di vedere se realmente la dottrina dell’unica fonte scritta della Rivelazione (Dei Verbum) sia contenuta nella Tradizione apostolica o sia una novità del Concilio (pastorale e non dogmatico) Vaticano II.


NOTE

1 - Cfr. C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, 2 voll., Roma, Studium, 1967; A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, Bologna, Il Mulino, 1964.
2 - Cfr. A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Milano, Giuffrè, 1970; C. FABRO, L’uomo e il rischio di Dio , Brescia, Morcelliana, 1964.
3 - Cfr. J. MARITAIN, Umanisme integral, Parigi, 1936.
 






 
settembre 2023
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