Cina – Vaticano:

la strana volontà della Santa Sede di lasciarsi ingannare

Parte terza


Articolo della Fraternità San Pio X











Nei due primi articoli abbiamo presentato due delegati cinesi alla Conferenza nel 100esimo anniversario del primo Concilio cinese, che si è svolta Roma il 21 maggio 2024: Mons. Joseph Shin Ben, vescovo di Shangai e vice-presidente dell’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi (APCC); e la signora Zheng Xiaojun, personaggio importante della politica di sinizzazione delle religioni.

Sempre nei due primi articoli abbiamo esaminato gli interventi dei due delegati, che erano in linea con la dottrina del Partito Comunista Cinese (PCC) in materia di religione; nonché gli organismi incaricati di applicare questa politica religiosa, in particolare l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi – dipendente dal PCC -, e il Fronte Unito, che diffonde il pensiero dei dirigenti cinesi e quindi la “sinizzazione” delle religioni.

Ma. per «lasciarsi ingannare» è necessario essere in due: chi inganna e chi è ingannato.
Quindi adesso esamineremo la posizione della Santa Sede, così come è già conosciuta e come è stata espressa negli interventi che sono stati presentati ai partecipanti alla Conferenza.


I conferenzieri si sbagliano completamente sull’obiettivo

Ciò che colpisce negli interventi consultabili – quelli di Papa Francesco, del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, del cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, e di Gianni Valente, Direttore dell’Agenzia Fides; è la sensazione di assistere ad un tragico errore: una focalizzazione sul passato per flagellarlo e una dimenticanza molto profonda del presente.

Certo, si tratta di un Concilio centenario; certo, esso ha una storia, un orientamento, un percorso, delle decisioni, che sono state determinate dai problemi dell’epoca e dallo stato delle missioni nella Chiesa, stato che poteva certamente essere migliorato, ma che ha rappresentato un impulso missionario non comune realizzato nel XIX secolo.

Alcuni interventi nella loro generalità espongono dei giudizi ingiusti, per non dire temerari. Così, Papa Francesco, sui vescovi presenti a quel Concilio, dice: «Essi venivano quasi tutti da paesi lontani e, prima del Concilio, molti di essi non erano ancora pronti a considerare di affidare la direzione delle loro diocesi a dei preti e a di vescovi nati in Cina».

Cosa che francamente appare esagerata.

Anche il cardinale Tagle ha commesso questo errore di prospettiva: quando ha detto per esempio. «Oggi, noi abbiamo appreso che numerosi decreti del Concilio di Shangai miravano ad evitare che il cristianesimo fosse presentato e percepito come una ideologia religiosa imposta da altre civiltà o come una forma di imperialismo religioso»

Nell’intervento del pro-prefetto è stata anche fortemente sottolineata l’inculturazione. Egli ha affermato: «Così che è nata una Chiesa cinese (…) che viveva la sua fisionomia e la sua identità autoctone non come un ripiegamento su se stessa o come una chiusura, ma sempre aprendosi alla Chiesa universale e alle Chiese locali».

Cosa che bisognerebbe provare!

Il cardinale Tagle si permette anche di affermare che: «Mons. Costantini e tanti Padri del Concilio di Shangai sarebbero felici di riconoscere che oggi la comunità del cattolici battezzati (APCC) in Cina è pienamente cattolica e pienamente cinese».

Ecco un’altra affermazione più che azzardata, poiché l’APCC non è cattolica, ma chiaramente scismatica.

Il cardinale Parolin ha centrato il suo discorso su due pilastri: a fianco della necessità di indigenizzazione del clero cinese e dell’inculturazione, che hanno occupato una buona parte dei lavori del primo Concilio cinese, egli ha sottolineato l’esigenza fondamentale del legame col successore di Pietro, nonché «la necessità che la Santa Sede e le autorità cinesi stabiliscano un dialogo diretto tra loro».

Difficile non vedervi l’allusione alla situazione attuale: è noto che il Segretario di Stato è all’origine dell’accordo Sino-Vaticano; ed è altrettanto noto che egli desidera ardentemente aprire un canale diplomatico permanente – qualunque sia – con la Repubblica Popolare di Cina. Ma in tutto questo vi è un grande assente: la vera realtà del cattolicesimo in Cina.


Le giuste riflessioni del Direttore di Asia News

Padre Gianni Criveller, del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (PIME), attualmente Direttore editoriale dell’Agenzia Asia News, la cui redazione è affidata a questo Istituto, conosce bene la situazione in Cina e rappresenta una voce autorevole.
Egli scrive regolarmente per presentare la situazione dei cattolici cinesi, senza fronzoli e con convinzione.

Egli ha presentato un resoconto della Conferenza che è istruttivo.
Pur riconoscendo gli errori nel modo di affrontare la missione, egli afferma: «è ingiusto ridurre la storia missionaria dalla metà del XIX secolo alla metà del XX secolo ad un esercizio di colonialismo e imperialismo». Ed aggiunge che Mons. Costantini non poteva accettare che si denigrasse il movimento missionario.

E puntualizza: «Sfortunatamente, questi giudizi negativi sono usati per giustificare la politica religiosa delle autorità cinesi e talvolta sono stati ascoltati, benché in maniera sfumata, in alcuni discorsi pronunciati nelle conferenze citate».
E prosegue: «io ho letto migliaia di lettere dei missionari del PIME in Cina: essi non sono partiti in missione – decisione allora senza ritorno – per favorire il colonialismo dei loro paesi, ma per evangelizzare e per la “salvezza delle anime”».

Più avanti, Padre Creveller conclude con vigore su questo punto: «Ridurre un secolo di attività missionaria ad un episodio di colonialismo ci sembra una comoda reinterpretazione ideologica per giustificare delle posizioni politiche illegittime. (…) Passando sotto silenzio le campagne di persecuzione religiosa che hanno causato tante sofferenze nelle comunità dei cattolici cinesi, il cui solo torto è stato di aderire ad una fede universale».

Il missionario del PIME prosegue con grande precisione. «I missionari erano dei figli del loro tempo: non lo siamo anche noi? E cosa si dirà di noi tra cento anni? Si dirà che siamo stati troppo concilianti di fronte alle gravi violazioni della libertà del popolo cinese e dei diritti umani e religiosi di tanti credenti delle diverse religioni?»

Domande che i diplomatici della Santa Sede farebbero bene a porsi.

Infine, ecco l’ultimo chiodo nella bara di questa Conferenza: «Noi, che non abbiamo alcun ruolo diplomatico, ma non vogliamo venire meno alla nostra responsabilità, non possiamo impedirci di ricordare questo semplice fatto: oggi il problema fondamentale della Chiesa in Cina è la sua libertà. Libertà o emancipazione non nei confronti dei nazionalismi passati, ma nei confronti del nazionalismo attuale».

Infatti, tutto il problema sta in questo: La Chiesa non si trova di fronte al nazionalismo della Repubblica di Cina e del Kouo-Min-Tang, ma di fronte al nazionalismo della Repubblica Popolare Cinese e del PCC, il che non è certo la stessa cosa. Poiché il comunismo in generale e il PCC in particolare sono dei nemici irriducibili della religione e del cattolicesimo, e useranno ogni arma – menzogna e inganno compresi – per distruggere la religione.

E’ questo che la diplomazia vaticana non capisce più e che ha fatto soffrire tanto i fedeli cattolici cinesi e il loro migliore portavoce, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun.

E chi analizza dall’esterno ha l’impressione che la Santa Sede si comporti come se volesse essere ingannata. Per quali oscure ragioni?













 
maggio 2024
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI