Conoscere meglio la Chiesa:

Il Rito Siro Malabarese

prima parte



Articolo della Fraternità San Pio X


Prima parte
Seconda parte






Mons Raphael Thattil (in bianco), arcivescovo maggiore dei Siro-Malabaresi


Abbiamo già visto la tradizione latina con i Riti Mozarabico e Ambrosiano.
Poi la tradizione alessandrina con la Chiesa di Rito Gueze e col Rito Copto che abbiamo considerato insieme al Patriarcato relativo.
Poi la tradizione antiochena, con il Rito Maronita che abbiamo considerato col suo Patriarcato, e i siriaci, col Rito Siro-Malankarese.

Abbiamo anche visto la tradizione armena, di cui abbiamo considerato il Patriarcato armeno; poi la tradizione caldea, che è divisa in due rami: il ramo caldeo che abbiamo considerato col suo patriarcato.
Adesso vediamo il Rito Siro-Malabarese.

Nel Malabar, che è una parte dell’attuale Kerala, nell’India meridionale, è sorta la Chiesa Siro-Malabarese.


Storia

Come spiegare la presenza su questa costa lontana di una popolazione cristiana appartenente ad un Rito orientale?
Secondo le tradizioni locali, la Chiesa siriana del Malabar risale a San Tommaso, che ha evangelizzato l’India, dove fu martirizzato. Dopo aver annunciato il Vangelo presso i Parti e fondato le Chiese della Siria orientale e della Mesopotamia, l’Apostolo si recò in India.

Nell’anno 52 sbarcò ad Cangranore. In pochi anni convertì un buon numero di famiglie di bramini e fondò sette Chiese lungo la costa del Malabar.
Proseguendo il suo cammino, l’Apostolo andò ad evangelizzare altre parti dell’India e nel 67 venne martirizzato a Mylapore, un po’ più a Sud di Madras e lì fu sepolto.

A partire dal IV secolo sono state trovate prove positive a sostegno della tradizione originaria.
Innanzi tutto vi sono diversi testi che provano l’esistenza di una tomba di San Tommaso in India. Sant’Efrem, in un inno dedicato alle reliquie del Santo, fa dire a Satana: «L’Apostolo che ho ucciso in India mi è venuto incontro a Edessa», alludendo al trasferimento delle Reliquie di San Tommaso.

San Gregorio di Tours, nella sua opera Gloria martyrum, riporta il racconto che gli fece un pellegrino della Gallia: «Nella parte dell’India dove erano stati seppelliti i resti dell’Apostolo San Tommaso, vi era un monastero con una chiesa di dimensioni straordinarie e abilmente decorata; dopo un lungo intervallo di tempo, le reliquie del Santo furono trasferite a Edessa».

Il calendario siriaco porta la data del 3 luglio: «San Tommaso fu trafitto da una lancia in India. Il suo corpo è a Urhai (Edessa), dove fu portato dal mercante Khabin».
Infine, il Re Alfredo il Grande, per ringraziare Dio delle vittorie che gli aveva concesso nel 883, inviò dei doni, non solo alla tomba di San Pietro a Roma, ma anche a quella di San Tommaso in India.

Dopo la morte di San Tommaso, i suoi discepoli rimasero fedeli alla sua dottrina per lungo tempo.
A causa di guerre e persecuzioni, i cristiani del Mylapore dovettero disperdersi, mentre quelli di Cochin, più felici, non dovettero soffrire e poterono diffondersi da Coulac (Quilon) a Palur.

Nel corso dei secoli, la persecuzione dei Califfi musulmani portò a diverse migrazioni i cristiani della Mesopotamia. Alcuni di rifugiarono nel Malabar.
Ma i missionari nestoriani, la cui attività fu considerevole per diversi secoli, non tardarono a convertire ai loro errori questa popolazione, probabilmente ancora molto ignorante e che viveva al di fuori del mondo cristiano.

Il patriarca Nestorio vi inviava di tanto in tanto i vescovi di cui avevano bisogno e questo durò fino all’arrivo dei Portoghesi, all’inizio del XVI secolo (1504).
I visitatori europei che hanno visitato l’India dal XIII al XVI secolo, come Marco Polo, Marco Corvino, Jordan de Severac, ecc., ci hanno detto poco sui Siriani del Malabar.

Nel 1330, il domenicano Jordan de Severac venne nominato vescovo per i cristiani di questo paese da Papa Giovanni XXII.
Il Papa li invitò ad abiurare lo scisma e a ritornare all’unità cattolica.
Noi non sappiamo per quanto tempo Jordan de Severac rimase nella sua missione né quali risultati ottenne.
Per un periodo molto lungo, i Siriani del Malabar rimasero privi della gerarchia ecclesiastica.

Nel 1490, essi inviarono un’ambasciata al patriarca Nestorio per chiedergli dei vescovi, che vennero loro accordati.
San Francesco Saverio fa l’elogio di uno di essi in una lettera inviata il 28 gennaio 1549 a Giovanni III, Re del Portogallo. In effetti, essi invitarono i missionari cattolici a predicare nelle loro chiese e a istruire il popolo.

Alla morte dell’ultimo di essi, Mons. Menezes, arcivescovo portoghese di Goa, si adoperò per impedire ai Siriani di ritornare al nestorianesimo.
A questo scopo, egli riunì a Udiamparur (Diamper) un Sinodo che segnò una data importante nella storia della cristianità sirana del Malabar (1599).
Egli ottenne la sottomissione al cattolicesimo dell’arcidiacono che amministrava la Chiesa siriana.

Al Sinodo c’erano anche 153 sacerdoti e circa 600 laici.
L’arcivescovo fece condannare gli errori di Nestorio, acclamare la fede cattolica e proclamare la sottomissione al Pontefice Romano. Ma mise troppo zelo nel latinizzare e nel fare sparire delle usanze molto legittime, cosa che scontentò i cristiani molto attaccati alle loro tradizioni.
Questo spiega in parte lo scisma che si produsse cinquant’anni dopo.

Lo scisma del 1665 assunse subito una importanza considerevole: su circa 200.000 Siriani, solo 400 rimasero fedeli all’unione. Fu opera dell’arcidiacono Thomas Parambil che l’aveva preparato da lunghi anni. La causa principale era l’odio verso i Gesuiti e le loro goffe riforme.
I Siriani rifiutarono di sottomettersi e chiesero dei Padri Carmelitani.

Alessandro VII gliene inviò due: il Padre José de Sébastiani e il Padre Vincent de Sainte-Catherine, che operarono immediatamente con zelo al ritorno dei dissidenti all’unità.
I capi della rivolta chiesero un altro vescovo che Alessandro VII concesse. I ritorni furono numerosi: 84 chiese furono riconquistate, mentre a Thomas Parambil restarono solo 32 chiese.

Dopo la loro espulsione da parte degli Olandesi che avevano conquistato il Malabar, i Carmelitani poterono tornare.
A metà del XVIII secolo, i Siriani erano 150.000, di cui 100.000 cattolici e 50.000 scismatici.
Dal 1678 al 1886 nel Malabar si susseguirono 15 vescovi carmelitani che governarono i Siriani senza incontrare molte difficoltà, salvo nella seconda metà del XIX secolo.

Nel 1887, Papa Leone XIII istituì due nuovi vicariati apostolici: Trichur e Kottayam, che furono affidati a dei vescovi latini.
Nel 1896, il Papa istituì tre vicariati apostolici: Changanacherry, Ernaculam e Trichur, affidati a vescovi indiani di Rito Siriaco.
I tre nuovi titolari furono consacrati il 25 ottobre 1896, e ricevettero da parte dei loro fedeli una accoglienza trionfale.

San Pio X, nel 1911, ristabilì l’antico vicariato di Kottayam pro gente sudistica, una categoria di Siro-Malabaresi che sono conosciuti col nome di “suddisti”: questa distinzione sparì nel 2017.
Nel 1923, Pio XI istituì una gerarchia completamente siro-malabarese.
Nel 1993, la Chiesa fu elevata al rango di Chiesa arciepiscopale maggiore. Diretta da un arcivescovo maggiore, metropolita di Ernakulam.

Il 24 maggio 2011, una riunione del Sinodo dei vescovi della Chiesa siro-malabarese elesse a capo George Alencherry, elezione confermata da Benedetto XVI.  Questo arcivescovo maggiore venne creato cardinale nel Concistoro del 18 febbraio 2012.
Il 10 ottobre 2017, Papa Francesco estese a tutta l’India il territorio proprio della Chiesa cattolica siro-malabarese.

La storia della Chiesa siro-malabarese è intrecciata con quella della Chiesa siro-malankarese, ma bisogna distinguere: dal punto di vista del Rito quest’ultima deriva dalla tradizione antiochena, mentre la prima dipende dalla tradizione caldea.



 
settembre 2025
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